Tradizioni Celtiche

Il Potere della Nah-sinnar, la musica della Natura - 2

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02 Maggio 2012

Un suonatore di flauto in un affresco dell’antico Egitto

La musica della Natura e la vibrazione cosmica all’origine dell’Universo. L’imitazione del linguaggio degli Dei e la nascita della Nah-sinnar. Le proprietà armonizzatrici della Nah-sinnar come supporto per la meditazione e per la musicoterapia e strumento catalizzatore di esperienze di Visione interiore


L’archetipo cosmico della musica

Nella tradizione dello sciamanesimo druidico degli antichi Celti la musica aveva una importanza rilevante ed era al centro della loro concezione mistica dell’universo.

Sul piano dei miti e dell’esperienza iniziatica, il suono rappresentava la Causa Prima dell’esistenza, la vibrazione primigenia che aveva dato origine a tutto l’universo creando ulteriori vibrazioni all’interno di essa, con cui avrebbero preso corpo gli atomi che costituiscono la materia e la vita sino a consentire la manifestazione dello stato di consapevolezza di ciascuna forma vivente.

Per questo motivo gli sciamani dell’antico druidismo utilizzarono la musica nelle loro pratiche al fine di realizzare stati percettivi di coscienza superiori, esplorare le dimensioni segrete dell’universo e operare a una terapeutica naturale delle patologie del corpo e della mente.

La musica nasce dall’ascolto dei suoni che sono prodotti incessantemente dalla Natura.

La Natura ha iniziato l'individuo alla pratica e alla conoscenza della musica. Troviamo la sua melodia ovunque: nell’acqua sussultante che scorre lungo i fiumi, o in quella scrosciante e continua di una cascata. Ma anche nel vento che sussurra tra gli alberi, nel canto degli uccelli, nella possenza del tuono.

I suoni rendono manifesta l’esistenza alla nostra attenzione. Ci mettono in relazione con la Natura che ci circonda e la fanno sentire come un essere misterioso, la Madre Terra dei nativi, che sussurra messaggi da decifrare. Messaggi che costituiscono un richiamo continuo alla manifestazione dell’esistenza in cui viviamo e la mostrano come la nostra casa abituale.

I suoni nascono anche dal di dentro di ciascun individuo: dal ritmo del battito del cuore, a quello dei suoi passi e del suo respiro, al ritmo della fluidità armonica del movimento del corpo nel tempo e nello spazio.


Aborigeno australiano mentre suona il “didjeridoo“ con cui imita la voce dei suoni della Natura

Ma i suoni che cogliamo nella Natura non sono solo un fenomeno auditivo. Essi giungono alla nostra mente e si trasformano in emozioni, riportano in superficie ricordi dimenticati, suscitano visioni oniriche e aprono a percezioni non convenzionali, facendoci varcare una porta sull’Infinito.


L’imitazione del linguaggio degli Dei

Per via del rilievo esperienziale attribuito al suono, gli antichi sciamani ritennero importante sviluppare le potenzialità che la musica consentiva, per potere entrare in relazione magica con la Natura e dominare i fenomeni che l’animavano e coinvolgevano le creature viventi.

Veniva visto un particolare legame tra i suoni della Natura e l’idea simbolica degli Dei che l’abitavano, nelle loro dimore inaccessibili da cui sembravano dominare il mondo. Considerando che gli Dei dello sciamanesimo druidico non erano intesi come delle creature effettive, ma solo come l’antropomorfizzazione dei fenomeni e delle leggi naturali che l’esistenza manifestava.

Così gli antichi sciamani cercarono di apprendere e imitare il linguaggio degli Dei allo scopo di attuare una operatività magica sull’ambiente, per dominare gli eventi atmosferici richiamando la pioggia o il sole, ma anche per attuare terapie del corpo e dell’anima.

I loro tentativi portarono alla realizzazione dell’intonazione magica del canto dello sciamano e alla costruzione di altri strumenti musicali in grado di riprodurre i suoni della Natura. Tra questi, spiccano per primi e per importanza il tamburo, lo xilofono e il flauto.

Le tradizioni dei Popoli naturali dei vari continenti tramandano ancora oggi antiche leggende che celebrano la nascita della musica e degli strumenti musicali. Nella tradizione dei Nativi europei viene riportata la leggenda di Bann-Azi che racconta come nacque il flauto e la musica.

L’antica leggenda narra di un giovane, Bann-Azi, che si trovava casualmente in un canneto intento a tagliare dei giunchi. All’improvviso si era levato un vento impetuoso che aveva iniziato a scuotere tutto il canneto. Passando per i fori lasciati su una canna che Bann-Azi aveva maldestramente intagliato, il vento iniziò a produrre un suono inconsueto e meraviglioso che incantò Bann-Azi e che egli interpretò come la voce del Dio del Vento che stava manifestando il suo potere scuotendo l’aria.

Bann-Azi, per imitare la voce divina che aveva ascoltato e impadronirsi del suo linguaggio per dominare allo stesso modo gli eventi della Natura, tagliò via il segmento dello stelo forato in precedenza e iniziò a soffiarvi dentro, creando la prima melodia.

Su un altro continente, quello australiano, una antica leggenda aborigena del Queensland settentrionale racconta in modo pressoché simile alla nascita del flauto la nascita del “Didjeridoo”, il tronco vuoto dentro il quale gli Aborigeni riproducono suggestive melodie sacre che imitano i suoni degli animali e dei loro Dei ancestrali.


Un flauto dalla classica conformazione data dai Nativi nordamericani

La leggenda narra di due donne che si trovavano a raccogliere legna per il fuoco che accatastavano vicino a loro. Uno dei tronchetti raccolti, per via dell’azione delle termiti, era casualmente cavo e così accadde che il vento prese a soffiare, passando al suo interno, producendo una suggestiva melodia. Le due donne, dopo la prima meraviglia, capirono che il suono proveniva da quel tronco vuoto e allora pensarono che se il vento, soffiando nel tubo di legno, riusciva a creare un suono come quello che stavano ascoltando, anche loro lo avrebbero potuto fare.

Nella parte nord-orientale della terra di Arnhem, Australia, questa leggenda viene attribuita alle due sorelle Wawilak che si trovano a interagire, attraverso varie vicende, con il “serpente arcobaleno” Yurlunggur, un animale ancestrale benevolo e portatore dell’acqua sulla Terra, considerato come il Padre e la Madre di tutte le creature viventi.

Un’altra antica leggenda, questa volta originaria del continente nord-americano, tramanda allo stesso modo la nascita del flauto come dono di “Wakan-Tanka”, il “Grande Mistero”. La leggenda narra di un bimbo che si era perso nel buio di una fitta foresta, che può ricordare per il suo simbolismo quella citata da Dante Alighieri all’inizio della Divina Commedia. Stanco e spaventato per i possibili pericoli che avrebbe potuto incontrare, il bimbo finisce per impietosire Wakan-Tanka, che gli fa dono di un flauto con cui poter vincere la paura del buio. Anche qui il protagonista si trova a ottenere fortuitamente un primo flauto. Mentre cammina tra gli alberi, viene raggiunto da un suono meraviglioso prodotto dal vento che passa dentro a un ramo cavo su cui un uccello, beccandolo, aveva aperto dei fori. Il bimbo sale a raccogliere il ramo e inizia a soffiarci dentro, traendone una melodia che lo induce a prendere coraggio nella sua traversata della foresta.


La creazione della “musica del Vuoto”, la Nah-sinnar

I suoni della Natura non sono singole manifestazioni di un solo suono a sé stante, ma ciascuno di essi si manifesta attraverso una specifica musicalità, identificabile in una sequenza di suoni dello stesso timbro collegati tra di loro.

Ne è un esempio il suono riferibile al tuono. Esso esplode con un rombo iniziale, ma poi si sviluppa in una serie di suoni che si susseguono a cascata, mantenendo lo stesso timbro del suono del tuono, in una sorta di modulazione che persiste per un certo tempo. Un altro esempio è il suono prodotto dal vento che sibila tra le cime degli alberi e che manifesta una sonorità ciclica ed estesa nel tempo.

I suoni della Natura si esprimono attraverso una musicalità costituita da una sequenza concatenata e variata di uno specifico suono che produce precisi effetti sull’uomo. Nel caso del tuono, questo è in grado di suscitare un senso di inquietudine oppure, nel caso del vento, di far percepire un senso di poesia e di pace interiore.

Nel tentativo di imitare la musicalità della Natura gli antichi sciamani hanno creato strumenti musicali di ogni genere che fossero in grado di riprodurla in tutti i suoi aspetti. L’utilizzo di questi strumenti musicali ha consentito di creare sviluppi musicali complessi che hanno portato alla necessità di ideare sistemi di suoni o note per poterli concatenare tra di loro e riprodurre la musicalità dei suoni della Natura.


Il “Kokopelli“, mitico suonatore di flauto della cultura megalitica, ricordato ancora oggi dalle leggende dei Nativi nordamericani. La tradizione vuole che si recasse periodicamente presso le varie tribù per portare con la sua musica il messaggio dell’antica conoscenza

Per poter identificare le note, gli antichi sciamani presero a riferimento la suddivisione di un suono base, come quello di un tamburo, in tante frazioni, realizzando una precisa scala musicale costituita da suoni differenti tra di loro per intonazione, che andavano da quelli gravi a quelli acuti.

Lo strumento sul quale i primi sciamani realizzarono lo scorporo del suono base in note, le “fare”, è stato lo “uzara”, una sorta di xilofono a blocco unico, di legno o pietra, a 12 posizioni sonore, poi trasformato anche in uno strumento a tasti di nota separati, che ha permesso di identificare la scala musicale dalle note acute, poste a destra, sino a quelle gravi.

La creazione di questo strumento musicale ha dato la possibilità di utilizzare le note ottenute per concatenarle tra di loro ottenendo lo sviluppo melodico che non solo poteva riprodurre i suoni della Natura, ma anche sviluppare temi completamente nuovi, legati all’interpretazione della dimensione umana. Nacque così il linguaggio musicale, definibile con il termine di melodia, la “sinnar”. Con l’introduzione degli strumenti e delle note, gli sciamani compresero di poter agire sulle proprietà naturali della musicalità dei suoni della Natura, operando con una precisa melodia costruita agli scopi che si prefiggevano.

Resisi conto che il suono non era solamente un fenomeno auditivo, ma poteva giungere al Profondo per suscitare emozioni, ricordi e aprire a percezioni spazio-temporali sull’Infinito, gli sciamani valutarono che utilizzando la possibilità dell’impianto musicale delle dodici note era possibile intervenire e migliorare il messaggio, il “kuidan”, che poteva giungere al Profondo del cervello umano per portare armonia nella sfera esperienziale dell’individuo.

Da questa esperienza è nata la Nah-sinnar, la musica della Natura: la musica che opera in forma matematica attraverso la sua struttura melodica per invitare a vivere l’armonia della Natura secondo i suoi archetipi fondamentali. Come si trattasse della sequenza del DNA, basata sulla combinazione di quattro segmenti, ma in questo caso costruita sulla base di dodici elementi da concatenare tra di loro.

Una sequenza costruita per invitare l’attività cerebrale alla sua funzionalità armonica e consentire all’individuo di vivere un’esperienza di Bien-être, fatta di benessere psicofisico, spiritualità e gioia di vita, che risponde alla partecipazione della reale qualità esperienziale della Natura. Un’esperienza che si identifica nel Suono della vibrazione cosmica primigenia, la Causa Prima del tutto.


Frammento di un antico flauto in osso ritrovato negli scavi di Divje Babe in Slovenia e risalente ad almeno 50-60.000 anni fa, appartenente alla cultura neanderthaliana

Nell’eseguire la Nah-sinnar ciascuno sciamano operava con l'"aluan", l’agogica personale applicata da ogni musicista che interpreta un pezzo musicale ordinario e che rappresentava la modalità con cui lo sciamano stesso trasmetteva, attraverso l’esecuzione, un kuidan più completo, caratterizzato dalla sua esperienza vissuta nella sintonia con lo Shan. Lo sciamano eseguiva la melodia utilizzando la compensazione del vuoto e del pieno attraverso l’applicazione del “gloan” con cui manteneva l’intera estensione musicale dell’esecuzione nell’armonia archetipale dello Shan.

Una peculiarità esperienziale dello sciamano che esprimeva nel momento stesso in cui eseguiva la sua musica. Un aluan che nel caso della voce e dell’uso del flauto esprimeva, attraverso la modulazione del “koran”, il soffio vitale, voce dell’anima interiore vissuta nell’esperienza dello Shan. Un koran che, nel caso del tamburo, era manifestato dalla sua forza ritmica consapevole.


Il linguaggio degli strumenti musicali

L’antico sciamanesimo druidico ha realizzato nel tempo specifici strumenti musicali con i quali riprodurre la musica della Nah-sinnar, come quello naturale della voce, il tamburo, lo xilofono, gli strumenti a corda, e altro ancora.

Ciascuno di questi strumenti relaziona l’individuo con i suoni e i fenomeni della Natura.

Il ritmo del tamburo mette in sintonia con gli archetipi vitali del battito del cuore e del respiro. Interpreta il ritmo archetipale dell’universo che è dentro ciascun individuo. Questo strumento, come si può osservare in una certa parte della cultura africana d’oggi, può divenire “parlante”, al di là dell’esecuzione ritmica, impiegando la fluidità della sua tonalità.

Questa qualità esecutiva ha aperto all'uso della voce come strumento musicale. Essa prende vita dal soffio primordiale, il koran, che sgorga dall'uomo ed esprime la fluidità dell’astrazione vocale guidata dallo sciamano.

Nell’uso della voce il suono diviene un linguaggio per l'intelletto e per l'anima, dove la mutevole sintassi delle note è in grado di produrre molteplici e fantasmagoriche spirali di suono che vengono interpretate sia dalla ragione che nelle emozioni delle viscere del Profondo.

Il flauto, da parte sua, imita e supporta la fluidità melodica della voce. Lo sciamano convoglia il suo soffio primordiale nello strumento e lo gestisce operando con la duttilità delle dita che portano lo strumento a scandire le note e ad esprimere la melodia.


Il “bodhran”, tamburo sciamanico dei Nativi europei ancora in uso ai giorni nostri presso molti gruppi musicali celtici

Alla voce e agli strumenti fisici si può associare anche lo strumento rappresentato dal corpo, che si esprime attraverso il movimento. La danza si lega indissolubilmente al principio della musica ed esprime il senso del movimento della Natura attraverso il ritmo e il fluire armonico del gesto, in una melodia gestuale che può essere eseguita da sola oppure integrandosi con l’opera degli strumenti.

Dal timbro musicale e dalle modalità derivanti dagli strumenti utilizzati, l’esperienza sciamanica dell’antico druidismo ha sviluppato quattro tipologie musicali che ancora oggi, al di là della definizione delle caratteristiche della Nah-sinnar, rappresentano una possibile catalogazione della musica ordinaria che si può ascoltare nel corso della storia moderna.

Troviamo la categorizzazione del “Kit”, l’esecuzione fortemente ritmata, suggerita dal crepitio del fuoco, dal battere della pioggia e dalle cascate d’acqua. Il “Fen-tò”, l’esecuzione emozionale suggerita dal riverbero melodico dell’acqua che scorre in un ruscello. L'"Iskara", l’esecuzione solenne suggerita dal tuono e dall’immensità del cielo stellato e del sorgere del Sole. Infine il “Kuidat”, l’esecuzione musicale attuata sulla “nota lunga” suggerita dal fluire del vento.


Le proprietà armonizzatrici della Nah-sinnar

La Nah-sinnar è una melodia basata su dodici note e si esprime attraverso un preciso codice matematico che porta le note a concatenarsi tra di loro creando una sequenza del tutto particolare. Una melodia che può essere strutturata a seconda degli scopi che si prefigge lo sciamano. Come ad esempio allo scopo di portare al Silenzio interiore attraverso cui entrare in sintonia con la natura segreta dello Shan, la qualità reale e immateriale della Natura che è fonte di benessere e di conoscenza. Oppure per operare a una certa azione terapeutica del corpo e della mente o ancora per produrre esperienze oniriche lucide con uno scopo terapeutico più profondo.

Al di là degli specifici utilizzi di base, la melodia della Nah-sinnar è in ogni caso costruita su una struttura musicale che riflette le proprietà degli archetipi dell’esistenza in grado di attivare la “korà”, la forza vitale esistente in natura che, come nel simbolismo druidico dell’Yggdrasil, l’Albero della Vita che si sviluppa tra i Mondi, è in grado di portare l’individuo all’evoluzione interiore e alla realizzazione di piani di coscienza superiori.

La Nah-sinnar agisce come una sorta di specchio dell’anima che sollecita a realizzare il Bien-être, inteso come l’attuazione del senso reale di partecipazione all’esistenza, risvegliando alla realtà dello Shan. Agisce come un’agopuntura virtuale sull’attività cerebrale in grado di attivare il benessere del corpo attraverso l’attuazione di uno spontaneo rilassamento fisico.


Uno xilofono rituale africano usato dalle comunità residenti presso il sito megalitico di Wassu in Gambia. Il sito comprende alcuni antichi Cromlech, i cerchi di pietre conosciuti anche dagli antichi Celti

All’ascolto, si verifica anche la spontanea e progressiva tacitazione mentale, l’acquietamento del vorticare dei pensieri e delle emozioni, consentendo l’ottenimento del “said”, la pacificazione della mente, con una conseguente somatizzazione benefica del corpo. La Nah-sinnar sollecita il Profondo a sviluppare l’armonia naturale della sfera individuale, lasciando spazio alla dimensione consapevole dell’Io non più ipotecato dal corpo e dalla mente, consentendo di sviluppare intuizioni dell’interiore.


I piani di esperienza prodotti dalla Nah-sinnar

Durante la sollecitazione musicale che viene prodotta dalla Nah-sinnar si possono verificare vari piani di esperienza percettiva.

Il primo riguarda l'interpretazione valutativa dell’ascoltatore, basata sulla percezione estetica dello sviluppo ordinato-armonico della melodia, sul tempo dato dal ritmo e secondo il proprio orientamento culturale che porta a un giudizio di gradevolezza o meno. In proposito c’è da considerare che la melodia della Nah-sinnar, se dovesse essere realizzata con i soli moduli matematici che attivano il “kuidan”, potrebbe risultare musicalmente incomprensibile. L’esecutore ha cura pertanto di rendere gradevole e melodiosa la partitura musicale, intercalando i moduli con brevi aggiunte melodiche.

La seconda esperienza riguarda l’interpretazione emotiva che può essere sviluppata dall’ascoltatore sulla base dell’incisività dell’armonia melodica della Nah-sinnar. Questa è una fase interpretativa della musica in genere, dove chi l’ascolta, a seconda della tipologia musicale, può vivere sensazioni di eccitazione o di rilassamento psichico, e anche coinvolgimento immaginativo, con una ricaduta somatizzatrice sul piano fisiologico.

Infine troviamo il piano esperienziale determinato dalla sollecitazione subliminale che la Nah-sinnar produce sull’inconscio, l'"annurat".

In questo caso si verifica un’esperienza che può essere definita “visione”, di natura onirica oppure paraonirica, messa in relazione a una percezione, si potrebbe dire di veggenza, sugli eventi dello spazio-tempo. La visione di tipo onirico si riferisce all’emersione di ricordi e di produzioni immaginative. Veri e propri frammenti di sogni che in questa occasione non vengono dimenticati come solitamente avviene al risveglio dal sonno e che possono essere usati sul piano terapeutico come esperienze compensatrici delle carenze psicologiche o come elementi di messaggio inconscio di valutazione o di risposta a problemi del mondo della veglia.

La visione relativa alla percezione spazio-temporale risulta più difficile da definire e da identificare. Si può solo osservare come la Nah-sinnar sia in grado di consentire la manifestazione di fenomeni di percezione che potrebbero essere definiti come di veggenza. Un’esperienza di visione che apre su eventi accaduti nel passato, situazioni proprie del presente o eventi che devono ancora accadere.

Per quanto incredibile, la Nah-sinnar è anche questo.


www.giancarlobarbadoro.net


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