Tradizioni Celtiche |
Il mito di Fetonte e la Città di Rama - 2 |
18 Settembre 2013 | ||||||||||||||||
La tradizione druidica riporta che intorno al cromlech in cui Fetonte riuniva i suoi allievi che giungevano da tutto il pianeta prese vita la città megalitica di Rama. Storia e leggenda si intrecciano in questa tradizione. Rama come l’origine dell’identità “magica” della città di Torino
La tradizione druidica della città ciclopica di Rama Secondo le antiche tradizioni druidiche delle valli del Piemonte, all’inizio dei tempi sarebbe disceso dalle nubi un dio celeste le cui vicende sarebbero riconducibili al mito del Graal. Il dio, identificato in Fetonte, al contrario della narrazione postuma di Ovidio, non sarebbe precipitato al suolo con il suo carro solare, ma sarebbe disceso regalmente ai piedi del Roc Maol, l’attuale monte Rocciamelone. Le tradizioni druidiche riportate nelle lamine in greco antico, studiate negli anni ’70 dall’archeologo Mario Salomone, raccontano che all’epoca della venuta del dio il Roc Maol era la vetta sovrastante una grande e rigogliosa isola che campeggiava nel mare dove oggi trova posto la Valle di Susa. Il dio avrebbe fatto costruire dai suoi due aiutanti di metallo dorato un grande cerchio di pietre erette, dove si sarebbe posto a insegnare le scienze del cielo e della terra, assieme ai segreti dell’alchimia dello spirito. Secondo le antiche leggende, presso il cerchio di pietre dove Fetonte raccoglieva i suoi allievi c’era un antico santuario, realizzato in una grotta esistente sul fianco del monte Rocciamelone, ricordato come “il Santuario del Fuoco”. Una grotta considerata sacra già in precedenza al suo arrivo dal cielo e che, sempre secondo la tradizione druidica, si inoltrava nel cuore della montagna sino a sbucare su altri pendii montagnosi. Il ricordo di questa grotta persiste ancora oggi nelle tradizioni valligiane del Nord del Piemonte che riportano come, ancora nei secoli scorsi, prima di crollare in più punti del suo percorso, consentiva di raggiungere dalla Valle di Susa sino all’opposto, alle valli di Lanzo. Intorno al grande cromlech fatto edificare da Fetonte comparve un primo borgo di ripari fatiscenti che raccoglieva i pellegrini che giungevano ad ascoltare il dio. Dopo che Fetonte ebbe raccolto attorno a sé un gruppo di allievi che lo seguivano in maniera costante, creò l’ordine monastico-guerriero dello Za-basta, una istituzione che aveva lo scopo di fortificare nel corpo e nello spirito quanti intendevano mettere in pratica la conoscenza che elargiva. E qui, la narrazione druidica trova un parallelismo con quella dell’antico Egitto, dove la figura parallela del dio Thot, elargitore della conoscenza della tavola smeraldina, realizzava una “palestra” in cui riunire i suoi auditori più solerti per fortificarli verso le avversità del mondo primordiale.
Sembrerebbe anche che, secondo la tradizione druidica del Nord del Piemonte, l’ordine monastico-guerriero dello Za-basta figurasse come esempio di organizzazione dell’Ordine del Tempio. In breve tempo le abitazioni fatiscenti del primo borgo si trasformarono in dimore più solide e il borgo prese ad ospitare commerci, mense di ristoro e strutture ospedaliere. Nei secoli successivi comparvero mura di protezione in pietra che si svilupparono, progressivamente alla crescita dei residenti, in una vera e propria città-fortezza. Successivamente, dopo il congedo di Fetonte dagli uomini, la città-fortezza si trasformò in una immensa città megalitica che si espanse per tutta la valle. Una città che poi nei millenni a venire verrà ricordata come la città di Rama. Il suo nome faceva riferimento alla “roccia”, in un antico termine gaelico, alla pietra con cui era stata costruita la città e sembra che fosse anche la contrazione del significato di “Città dei tre draghi”, riferendosi ai periodi di ricostruzione della città che ospitava il “Drago” che sarebbe avvenuta nel tempo. Il nucleo più antico della città di Rama si ergeva sulle falde del monte Rocciamelone, la cui vetta sarebbe stata poi in epoca romana la sede di culti antichi tra cui per ultimo il culto di Giove. La città antica era stata costruita con l'uso di grandi blocchi di pietra che dalla stima delle loro dimensioni dovevano pesare mediamente dalle quattro alle cinque tonnellate ciascuno. Le mura ciclopiche di Rama si snodavano per circa 27 chilometri e i suoi immensi portici in pietra si sviluppavano, per tutta la lunghezza della valle, sulla direttrice delle cittadine di Bruzolo, Chianocco e Foresto, sulle rive del fiume Dora. Sulla sommità del Roc Maol, la montagna su cui si appoggiavano le mura della città, era posto l'osservatorio da cui i druidi del tempo esploravano il cielo. La città antica giunse ad essere il centro di un immenso agglomerato urbano di costruzioni minori che si estendeva dal suo centro alla città di Susa sino alle porte dell'attuale città di Torino, raggiungendo il versante transalpino dell’odierna Francia.
Nei tempi antichi, ancora legati al mito del Graal, Rama era la vera e sola città esistente allora su tutto il continente europeo, la sede pacifica e intellettuale di un popolo misterioso che diceva di aver avuto origine dalla conoscenza giunta dalle stelle. La saga millenaria della città di Rama Oggi della città di Rama, oltre alle tradizioni druidiche, la storia ufficiale conosce ben poco e ancor meno sa dei suoi edificatori. Oltre alle tradizioni druidiche orali e delle narrazioni scritte sulle lamine rinvenute in Val di Susa, abbiamo anche una serie di leggende che sono state raccolte da vari ricercatori piemontesi nei primi del ‘900. Tuttavia l’archeologia ha dimenticato queste testimonianze e ha relegato la sua esistenza nel mito. Alcune di queste leggende raccolte nel ‘900 raccontano che anticamente, presumibilmente intorno al 3000 a.C., un popolo di uomini di pelle scura era giunto nella valle e vi si era stabilito. Secondo la leggenda, queste genti, provenivano da una terra scomparsa a seguito di una grande inondazione, e si erano fermate in quelle zone per ché vi avevano trovato un raro minerale che serviva loro per motivi misteriosi. Con tutta probabilità si trattava dei Pelasgi, conosciuti anche come “Popolo del Mare”, che erravano alla ricerca di nuove terre dopo che la loro era stata distrutta da una grande catastrofe ambientale, probabilmente il diluvio provocato dalla tracimazione del Mar Mediterraneo nel bacino della terra fertile dell’attuale Mar Nero. Questo popolo si unì con la gente del posto e provvide a riedificare la città ciclopica di Rama che nel corso di millenni era caduta in parziale rovina a seguito di varie catastrofi ambientali, per trovare sede in cui sostare. Sovrapponendo ere lontane tra di loro, i racconti del folklore valligiano riportano che gli edificatori di Rama veneravano il sole e il fuoco come simboli spirituali. Erano ritenuti dei grandi maghi e degli alchimisti versatissimi nelle scienze esatte quanto in quelle occulte e possedevano macchine che facevano cose meravigliose. Erano considerati abili metallurgici, forgiavano oggetti in metallo ed estraevano un particolare minerale dalle miniere del Bosco Nero, nella zona di Mompantero.
Dagli studi dei ricercatori del ‘900 risulterebbe che in seguito i romani, suggestionati dalle leggende su Rama, si misero a cercare i pozzi minerari per esplorarli allo scopo di capire che cosa veniva estratto. Ai piedi della zona detta del “Bosco Nero” c'era un immenso giardino che gli autori del secolo scorso definirono come il Giardino delle Esperidi, detto anche il Paradiso, dove si riunivano i grandi maghi di Rama e dove, molti secoli più tardi, si ritrovavano i sacerdoti della cosiddetta Antica Religione. La fine della città ciclopica Le narrazioni valligiane raccolte dai ricercatori del ‘900 riportano che la città di Rama venne distrutta da un grande e improvviso diluvio. Altre ancora raccontano che la sua scomparsa fu dovuta ad una gigantesca slavina di ghiaccio e pietre che la spazzò via seppellendola per sempre sotto i suoi detriti. Se quest'ultimo racconto si riferisce all'azione morenica dei ghiacci che slittavano lungo la valle c'è da pensare che la fine di Rama sia avvenuta in epoche molto remote. Altri autori riportano la cronaca di un improvviso terremoto distruttore nella valle che rase al suolo la città e questa non venne più riedificata. Altre leggende riportano l’esistenza della città ciclopica ancora presente alle soglie del nostro millennio. Esse portano a vedere la scomparsa e la ricostruzione progressiva di Rama attraverso l’avvicendarsi dei popoli europei nelle loro conquiste territoriali. Una parziale distruzione di Rama potrebbe essere attribuita all’invasione della Pianura Padana, intorno al 600 a.C., di popoli del Sud che attaccarono in forze la grande città ciclopica e distrussero le mura megalitiche facendo fuggire i Pelasgi verso il Mare Tirreno e oltre le Alpi. Si può pensare che questi invasori fossero gli Etruschi che avevano invaso la Padania intorno al 600 a.C.. Da notare che proprio intorno all’800-500 a.C., all’inizio dell'Età del Ferro, si manifestò la cultura celtica storica del Periodo di Hallstatt, forse proprio a seguito dell’influenza pelasgica che proveniva dalla città di Rama. Successivamente, intorno al 400 a.C., i Gallo-celti transalpini occuparono i territori a Sud delle Alpi scacciando gli Etruschi e ricostruendo parzialmente la città ciclopica. In seguito, intorno al 200 a.C., i romani invasero e devastarono la Gallia Cisalpina. Il santuario del fuoco esistente sul Roc Maol venne occultato e la grande ruota d’oro di Fetonte e altre reliquie furono nascoste in grandi caverne naturali che la tradizione vuole esistessero nella Valle Padana e che dal centro della Valle di Susa raggiungevano il Po, inoltrandosi nel territorio dove oggi sorge la città di Torino, il capoluogo del Piemonte.
I romani saccheggiarono quel che rimaneva di Rama smantellando e asportando le grandi pietre delle mura rimaste, risparmiate dal tempo e dagli eventi tellurici.
La continuità dell’influenza culturale della città di Rama Oggi della ciclopica città di Rama rimangono innegabilmente le tradizioni che hanno alimentato la cultura druidica dell'area piemontese. Dopo la sua scomparsa, i druidi del luogo proseguirono la loro opera iniziatica continuandola in segreto nei secoli seguenti sino al nostro presente. Possiamo ricordare la sopravvivenza, per millenni e fino ai giorni nostri, della cultura druidica che aveva come fulcro il culto solare e quello del fuoco e che ancora viene celebrata da alcune comunità contadine della valle con riti segreti che riuniscono centinaia di persone di ogni villaggio. Sino al secolo scorso erano noti i riti eseguiti dai "calderai", le corporazioni metallurgiche della valle, che in certi periodi dell'anno si riunivano a danzare freneticamente intorno a grandi fuochi accesi in onore delle energie del fuoco e in ricordo del potere del sole. La divinità solare era celebrata per aver donato il carro celeste da cui era stato ricavato il grande disco d'oro forato, fulcro della cultura spirituale della zona. Il ricordo della città di Rama rimane vivo nelle molteplici leggende locali e nei nomi di vari luoghi dell'area su cui sorgeva, come il "bosco di Rama" o il borgo di "Ramat", e in molti cognomi di persone. Nella valle, e specificatamente nell’area di Mompantero, si tramandano ancora oggi leggende locali che narrano in maniera molto viva eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa. Esse affermano che non tutti i suoi abitanti scomparvero, ma che una parte di loro costruì una città nelle viscere rocciose del Roc Maol dove si rifugiò mantenendo segreta la sua esistenza. Affermano anche che in posti segreti, conosciuti solo da pochi valligiani, sono rimasti ancora strumenti di scavo e strane macchine che furono usate dagli abitanti di Rama con le quali è possibile fare ancora oggi delle cose straordinarie.
Altre leggende ancora dicono che il dio disceso tra gli uomini avrebbe lasciato uno dei suoi aiutanti di metallo dorato a proteggere una grande ruota d’oro e tutti i segreti della sua conoscenza. L’aiutante del dio sarebbe stato in grado di mutare a piacimento le sue sembianze e si sarebbe trasformato in un grande drago d’oro che, ancora nell’epoca attuale, custodirebbe il Graal, nella forma di uno smeraldo con una forte luce verde, nascosto in una grotta celata dentro ad una montagna della Valle di Susa. Esistono leggende medievali che asseriscono che all'interno della montagna vi sarebbe un mago benevolo che vegliava su un immenso tesoro fatto di monili preziosi e di strumenti magici. Della presenza storica di Rama rimangono tuttavia molte testimonianze nelle numerose opere megalitiche tuttora ancora visibili. Nella Valle di Susa si possono rinvenire dolmen e menhir di ogni dimensione, in valle e sulle pendici del Monte Musinè. A Villafocchiardo si può osservare una grande pietra coricata su cui sono state raffigurate le tre fasi della Luna. Sulle pendici del Musinè è stata trovata una stele di cospicue dimensioni raffigurante una dea madre. Rimane soprattutto la presenza inequivocabile della tradizione di Fetonte testimoniata attraverso le centinaia di “ruote solari” intagliate nella pietra che si ritrovano in tutta l’area della Valle di Susa. Una evidente testimonianza postuma del mito della ruota d’oro forata donata da Fetonte all’umanità del suo tempo in ricordo della sua presenza sul nostro mondo. La tradizione druidica riporta infatti che Fetonte, prima di congedarsi con i suoi allievi, avesse lasciato in dono una grande ruota d’oro forata, di circa due metri di diametro, sulla quale avrebbe inciso tutta la sua conoscenza. Una tradizione che probabilmente in seguito, in epoche più recenti, si sarebbe poi trasformata in un vero e proprio culto che avrebbe perpetuato il mito attraverso le “ruote solari”. Negli anni '70, sul pianoro denominato Pian Focero, o anche "il piano dei fuochi", è stato rinvenuto un tempio solare, dove i druidi andavano a osservare le stelle. Era un antico luogo di culto che comprendeva una collinetta e un pianoro, un'ampia area dove si riunivano i fedeli del culto. La collinetta che domina il luogo ricorda molto il fronte di una piramide Maia. Vi si può trovare anche una scala intagliata nella pietra che sale sino alla cima, dove sono stati rinvenuti tre "mascheroni" di fattura tolteca. Sul fronte della collinetta sono stati rinvenuti numerosi bassorilievi intagliati nella pietra, raffiguranti il sole fiammeggiante.
Alla fine del secolo scorso, nel campo di un contadino del luogo, fu ritrovato un sarcofago in pietra di tre metri della cui origine nessuno ha saputo dare una spiegazione e che potrebbe essere collegato alla mitica civiltà di Rama. Le leggende della valle di Susa Le antiche leggende della Valle di Susa collegano la città di Rama al mito del Graal e sostengono che la mitica coppa smeraldina fosse custodita e protetta dai suoi misteriosi abitanti. Sopravvivono ancora oggi le leggende e i reperti storici legati al mito di Rama, e in Piemonte sono ancora vive le testimonianze culturali e storiche della presenza locale del Graal. Possiamo citare la leggenda della caverna del Mago, situata nel Musinè, la montagna ad ovest di Torino da cui si apre l'accesso alla valle di Susa, colma di simbolismi legati al mito del Graal. Le tradizioni valligiane medievali narrano che in una grotta posta nel cuore di questa montagna vivrebbe un mago che si era nascosto per compiere indisturbato i suoi esperimenti con gli strumenti rimasti della scomparsa città di Rama. A difesa del luogo ci sarebbe un enorme dragone tutto d'oro pronto a distruggere con il suo fiato infuocato ogni intruso che tentasse di avventurarsi all'interno delle grande caverna. In una piccola cripta esisterebbe uno smeraldo di immenso valore mistico, grande quanto un pugno di una mano d'adulto, da cui si diffonderebbe una intensa e limpidissima luce verde che illumina tutto intorno. Un’altra leggenda su questo tema riporta che un signorotto del luogo, un certo Gualtiero, cercò di penetrarvi con degli uomini armati per appropriarsi dei tesori che sarebbero stati nascosti in questa caverna. Entrarono in una sala illuminata dove sembrava che la luce venisse emanata dalle pareti stesse. Trovarono il mago seduto davanti ad una fontana d'acqua che sgorgava dalla roccia. Il mago invitò gli intrusi a guardare nell'acqua del laghetto che all'improvviso divenne lattea e mostrò delle immagini che andavano formandosi. Gualtiero e i suoi armati videro così apparire in sequenza soldati con armature che si combattevano, soldati vestiti solo con abiti blu e cappelli a tricorno che sciamavano con archibugi in pugno, quindi grandi uccelli di metallo che lasciavano cadere oggetti che distruggevano una grande città e infine bruchi metallici che si muovevano tra le rovine della stessa città. Gli intrusi, terrorizzati per quello che avevano visto, fuggirono dalla grotta. Ebbero modo di vedere dietro di loro il mago che saliva verso il cielo scortato da due grifoni tra un rumore assordante. Poi dei massi caddero dall'alto della montagna e chiusero l'ingresso della grotta che non verrà mai più ritrovata. Il mito del Graal e la città di Torino Le antiche tradizioni riportano che in tempi immemorabili, dopo la discesa di Fetonte dal cielo con il suo carro di fuoco, venne ricavata una grande ruota forata fondendo il metallo di questo carro celeste. Una ruota di due metri di diametro che costituì un riferimento di cultura iniziatica per le popolazioni di tutta l'area dove si era verificato il prodigioso evento. Queste stesse popolazioni costruirono, dopo il commiato di Fetonte dalla storia dell’umanità, un grande tempio sotterraneo strutturato sulla pianta di un immenso labirinto. Un tempio che può ricordare quello che costruirono nell'antico Egitto sul Lago Moeris, costituito da migliaia di stanze collegate tra loro. Al centro di questo labirinto, in una enorme sala sotterranea, vi posero la ruota d'oro che divenne il centro delle attività iniziatiche.
Quando, nei secoli successivi, l'Impero romano estese la sua influenza militare sul Piemonte, sconfiggendo e sottomettendo le popolazioni locali dei Salassi, il culto antico legato alla ruota d'oro si trasferì decisamente nel labirinto del tempio sotterraneo le cui grotte si estendevano dall'ingresso della Valle di Susa fino a raggiungere il fiume Po. Secondo la leggenda, il culto druidico avrebbe quindi continuato ad esistere in queste grotte e sarebbe ancora presente ai giorni nostri. L'ingresso principale del grande tempio sotterraneo venne nascosto seppellendolo, come già fecero i Pitti di Scozia per le loro pietre runiche, sotto una massa di terra e di pietre che cancellavano la sua ubicazione. Al di sopra dell'area dove si trovava il tempio sotterraneo venne quindi edificato un castro romano adibito al ristoro e all'intrattenimento delle truppe imperiali che erano in transito verso le zone nord europee. Della ruota d'oro non si seppe più nulla e oggi, secondo le credenze popolari, sarebbe ancora nascosta nel suo luogo originario, nel complesso di caverne che ancora esisterebbe al di sotto degli edifici della città di Torino, edificata in tempi successivi agli antichi avvenimenti. Nel valutare la narrazione del mito del Graal, del racconto della leggenda di Fetonte e dell'esistenza della città megalitica di Rama, si possono comprendere i motivi della sacralità che era attribuita dagli antichi druidi alla Valle di Susa e alle Valli di Lanzo. Valli collegate tra di loro dalla lunga galleria, oggi franata e impraticabile, che si apriva proprio dalla grande grotta del Tempio del Fuoco che esisteva all’epoca della venuta di Fetonte sulle pendici del Roc Maol. Galleria che consentì l’accesso alla tribù celtica dei Ramat, legati al culto della ruota d’oro e provenienti dalla Valle di Susa, alle valli di Lanzo dove si stabilirono accolti dal popolo dei Salassi. Evidentemente qualcosa di molto particolare segnò la storia delle antiche popolazioni che abitavano il Piemonte, un evento tanto importante da creare miti e leggende in grado di perpetuarne il ricordo e il significato che gli fu da allora attribuito. Forse è proprio da tutti questi eventi straordinari del lontano passato che ha radici il mito che vuole Torino come una città particolare posta al centro di un grande segreto di natura storica e mistica e che apparentemente, di riflesso, ospita da secoli una fucina di libera cultura e di ricerca posta tra passato e futuro. Non c'è quindi da stupirsi che le credenze medievali indichino proprio il sottosuolo torinese come nascondiglio del Graal. Esistono in proposito cronache del settecento che riportano le testimonianze dirette dell'esistenza di una rete di gallerie segrete esistenti sotto la città. Questi stessi racconti citano anche l'esistenza di accessi segreti che sarebbero situati nelle cantine dei palazzi più antichi di Torino, accessi che conducono ai sotterranei dove sarebbe nascosto il Graal. Esiste anche una credenza popolare secondo cui nelle statue che adornano la chiesa della Gran Madre di Torino, sul fiume Po, sono celati elementi simbolici segreti la cui interpretazione consentirebbe di avere le indicazioni che rivelano il luogo esatto dove è celato il Graal. 2 - continua Articoli correlati: |