Tradizioni Celtiche |
La città di Rama nelle leggende del Piemonte |
21 Ottobre 2013 | ||||||||||||
La leggenda e le vestigia ritrovate della città megalitica di Rama. Le testimonianze degli storici romani e i toponimi dell’area alpina del Piemonte. Le testimonianze dei ricercatori dell’800
Il mito di Fetonte e la città di Rama – Terza Parte Le vestigia della città di Rama e il mito di Fetonte Le narrazioni relative al mito di Fetonte e della città di Rama sembrano giungere, con chiarezza di cronaca, dai tempi antichi sino ai primi del novecento quando vari ricercatori le hanno catalogate. Poi, inspiegabilmente, tutto è sbiadito e apparentemente viene all’improvviso dimenticato, o forse cancellato. A continuare la testimonianza degli antichi eventi sono rimasti pochi testi pressoché introvabili e le tradizioni delle comunità tradizionali celtiche ancora presenti e vitali sul territorio e nel Nord Europa. Queste comunità tradizionali, soprattutto quelle del Piemonte, mantengono un profilo di discrezione, e in molti casi di segretezza, con cui intendono proteggere la loro presenza sul territorio. La memoria delle persecuzioni subite dai “pagani” dopo l’avvento dell’Editto di Costantino le induce a mantenere questa posizione storica. Non è stato dimenticato ad esempio l’evento emblematico e tragico del campo di detenzione, di sterminio e di tortura, antesignano di quello americano di Guantanamo, aperto dalla Chiesa cristiana nel 359 d.C. a Skytopolis, in Siria, destinato ad accogliere e far morire i pagani che venivano arrestati in tutto l’impero. Ed è proprio grazie a queste comunità tradizionali ancora presenti se nella tradizione piemontese sopravvivono molte leggende che nella loro esaustiva narrazione riecheggiano il mito del Graal e quello di Fetonte. Non si può neppure ignorare la possibilità che le tradizioni di Fetonte e di Rama abbiano influenzato da secoli la cultura laica dei salotti illuministi della città di Torino, capoluogo del Piemonte, sino ai giorni nostri. Tant’è che la credenza popolare cittadina asserisce che una delle statue poste sopra il tempio della Grande Madre, in riva al fiume Po, indicherebbe il luogo dove si trova custodita la coppa smeraldina del Graal.
Ma la città di Rama non appartiene affatto al mito. Essa rappresenta la perseveranza di una cronaca popolare e tradizionale che è servita a trasmettere la sua esistenza, e il suo ruolo storico, attraverso il tempo e le generazioni. Prova della sua concreta esistenza è la scoperta che è stata fatta, nell’estate del 2007, di una parte delle sue mura ciclopiche proprio all’interno della Valle di Susa. Esse si mostrano come un’opera gigantesca costituita da enormi massi squadrati e intagliati in modo da sostenersi naturalmente a secco l’uno con l’altro. Il tempo ha prodotto danni evidenti e parte di queste mura sono ancora sommerse dalla massa di terra e di rocce della montagna vicina, ma l’imponenza di quanto è oggi visibile fa fede alla grandezza della città Rama così com’è stata celebrata negli antichi racconti. È da tempi immemorabili che i contadini del luogo erano a conoscenza di questo sito megalitico e lo hanno protetto nascondendolo ai ricercatori temendo che potesse essere volutamente distrutto. La fine impietosa della grande piramide esistente nei pressi di Nizza, in Francia, cancellata dalla storia con il pretesto di fare uno svincolo autostradale dimostra quanto fosse coerente il loro timore. Tuttavia, rincuorati dall’interesse e dalla serietà di lavoro dimostrata, negli anni ‘70 alcuni di loro portarono all’archeologo Mario Salomone una sorta di libro costituito da una serie di lamine di metallo che dicevano di aver rinvenuto in una delle tante stanze sotterranee che esistevano all’interno del perimetro delle mura di Rama. Le lamine metalliche, che probabilmente erano appartenute ai druidi della zona valligiana, recavano, impresse in caratteri di greco arcaico, narrazioni di leggende riferibili al mito di Fetonte e antiche cronache relative alla città di Rama e ai suoi abitanti.
Le leggende della valle di Susa e il Graal L’esistenza della città di Rama è sempre stata legata al mito di Fetonte e molte leggende legano la storia mitica di Rama al mistero del Graal. Pertanto, nella stessa maniera con cui sopravvivono ancora oggi le leggende e soprattutto i reperti archeologici e storici legati al mito di Rama, esistono in Piemonte molte testimonianze culturali che si riferiscono alla discesa di Fetonte e al Graal che sarebbe stato custodito nel corso di molti millenni dai misteriosi abitanti della stessa città di Rama. Addentrandoci nelle leggende delle valli piemontesi possiamo ricordare la sopravvivenza, per millenni e fino ai giorni nostri, della cultura druidica che aveva come fulcro il culto solare e quello del fuoco della consorteria sciamanica che avrebbe incontrato Fetonte al suo arrivo nella Valle di Susa. Tradizione che viene ancora oggi celebrata da alcune comunità contadine del Piemonte, con riti segreti che riuniscono centinaia di persone di ogni villaggio dell’area piemontese. Sulla scia delle tradizioni legate all’apparizione di Fetonte, ancora oggi in Val Grande, nelle Valli di Lanzo in Piemonte, si tramanda la leggenda di un grande masso d'oro disceso dal cielo, che potrebbe essere riconducibile al carro celeste dorato di Fetonte. Un’altra leggenda della Valle di Susa può collegarsi alla ruota d’oro forgiata da Fetonte prima del suo congedo dall’umanità. La leggenda, di origine medievale, riporta la narrazione di una ruota forata di pietra, recante delle scritte incise sulla sua superficie, che sarebbe caduta dal cielo sul monte Ciabergia, raccolta e conservata come una preziosa reliquia dai montanari che erano stati testimoni dell’evento. La tradizione druidica narra che, dopo che Fetonte fu congedato dagli uomini, la sua ruota d’oro e le sue reliquie furono custodite in una caverna del monte Roc Maol, l’attuale Rocciamelone. Una grande grotta che già prima della venuta di Fetonte era considerata un vero e proprio santuario dove gli sciamani celebravano il culto del fuoco e del sole, entrambi considerati la manifestazione di un mistero mistico che era in grado di sconfiggere le tenebre e infondere calore e vita negli esseri viventi. Una mistica del fuoco che trova il suo eco anche in epoche storiche posteriori, a cominciare dalla narrazione biblica di Mosè quando nel deserto si trova di fronte al roveto ardente, inteso come manifestazione del creatore di tutte le cose.
L’antica caverna, secondo la tradizione druidica, si trovava sulle pendici del Roc Maol ed era di proporzioni tanto vaste da accogliere decine e decine di partecipanti alle cerimonie. Secondo i valligiani, la grotta era in realtà una lunga e grande galleria che univa la Valle di Susa con le Valli di Lanzo. Anche il ricordo di questa caverna sembra che non sia andato perduto. Esistono in merito molte leggende medievali in cui vari illustri personaggi si sarebbero dedicati alla ricerca della reliquia senza mai riuscirvi, le cui gesta sono ricordate nelle leggende. Il mito della caverna segreta e dei suoi tesori era ben vivo ancora nel corso della seconda guerra mondiale, quando le truppe naziste occupanti il Piemonte si misero a perlustrare i monti della Valle di Susa, soprattutto il Musinè, alla ricerca di mitiche caverne che avrebbero custodito antichi tesori nascosti ed eventuali armamenti dei partigiani, senza tuttavia mai riuscire nel loro intento. In valle viene ricordata la leggenda della caverna del Mago del Musinè che è colma di simbolismi legati al mito del Graal. Essa narra che in una grotta all'interno del monte Musinè che si affaccia sulla Valle di Susa viveva anticamente un mago che custodiva una grande gemma verde difesa da un Dragone d'Oro, forse proprio volendosi riferire ad una delle creature mutaforma di metallo dorato che Fetonte, prima di congedarsi, aveva lasciato a protezione della conoscenza elargita ai suoi allievi. È viva anche la leggenda di Ardoino III, marchese di Avigliana, Susa e Torino, che, secondo la narrazione settecentesca, attratto dalle dicerie esistenti sui tesori che sarebbero stati nascosti in una grotta del monte Rocciamelone, organizzò una spedizione militare per impadronirsene senza tuttavia riuscirci. Ardoino e le sue truppe, ogni qualvolta si avvicinavano al luogo venivano ostacolati da una nebbia impenetrabile accompagnata da una fitta sassaiola.
La cronaca dell’esistenza della città di Rama non appartiene solo al corpus delle leggende raccolte e riportate alle soglie del nostro secolo da ricercatori e da consorterie druidiche. Risulta infatti che la città di Rama era già nota sino dall’antichità sia nel mondo greco che romano, tanto da essere citata in vari oggetti d’uso comune come coppe rituali sacerdotali. Nel IV secolo era nota l'esistenza di una Rama citata dalla cultura Gallo-celtica nell'area transalpina ai limiti della frontiera con le Alpi Cozie.
Ancora oggi le narrazioni locali dell’area transalpina a nord del Piemonte parlano di una antica città di pietra che si chiamava Rama. L’epicentro della memoria della città di Rama era situato in una zona tra Briançon e Embrun, nei pressi dell’area della Valle di Susa. Secondo i ricercatori della zona transalpina la città di Rama sembra essere sparita quasi totalmente, probabilmente a causa di una catastrofe naturale. Della scomparsa città di Rama rimane ancora oggi traccia in una rupe, chiamata “Rupe di Rama”. Tuttavia si ipotizza che nella zona di Briançon e nella Valle di Susa, i Romani intorno al 200 a.C. prelevarono materiale dalle strutture della città ciclopica di Rama per rafforzare le loro fortezze militari. Così come sembra essere palesamente avvenuto nel Lazio dove le antiche opere dei Pelasgi, uno degli ultimi popoli ad aver ricostruito le mura decadute dell’antica città ciclopica di Rama, sono state conglobate in architetture posteriori. Nell’area su cui sorgeva Rama rimangono vive ancora oggi numerose citazioni presenti nei toponimi e nei cognomi di persone. Sul lato subalpino della parte italiana, nella Valle di Susa, esistono vari toponimi che ricordano la presenza della città di Rama come il “bosco di Rama” presso Susa, la frazione“Ramat” della cittadina di Chianocco, i numerosi cognomi di persone che portano il nome riferito a Rama. Sul lato dell'area subalpina francese troviamo altri toponimi che ricordano il mito di Rama come “le Chateau de Rama” vicino a Champcella nella Vallée du Durance, la cittadina di “Roche de Rama”, vicino a Embrun, conosciuta nel medioevo come “le bourg o la ville di Rama”, che prende il nome dalla grande roccia che viene considerata l’ultimo baluardo della scomparsa e omonima città megalitica. Oppure una via di Briançon che per qualche motivo è stata nominata come “Rue de Rame, l’ancienne rue des Seigneurs de Rama”.
Il mito della città di Rama è sopravvissuto ai secoli anche grazie al prezioso lavoro di indagine dei ricercatori dell’800 che hanno raccolto dati di prima mano e documentazioni della sua esistenza, prima che la presenza storica della città scomparissero nell’oblio. Ad esempio possiamo citare il “Dizionario Geografico-storico-statistico-commerciale degli stati di S.M. il Re di Sardegna” del l 1837, che alla voce Chiavrie cita l’esistenza della città di Rama come le vestigia di una antica civiltà esistita nella valle di Susa. Oppure ricordare l’opera enciclopedica di William Smith, “The Dictionary of Greek and Roman Geography”, pubblicato nel 1854 in cui viene riportato il mito della città di Rama. Dobbiamo soprattutto citare la scrittrice e antropologa Matilde Dell'Oro Hermil che ha scritto una serie di libri sulle usanze e sui miti della Valle di Susa. In uno di questi, del 1897, “Storia di Mompantero e del Roc Maol”, la ricercatrice cita e descrive ampiamente la città di Rama e le sue vicende.
Nel testo di Matilde dell’Oro Ermil possiamo trovare un richiamo al mito di Fetonte in relazione alle conoscenze metallurgiche che avrebbe insegnato agli uomini e quindi al suo insegnamento alchemico. Il riferimento proviene dalle tradizioni delle antiche famiglie di fonditori di metalli che hanno continuato, in Valle di Susa, la loro attività da tempi immemorabili sino alle soglie del nostro millennio. Secondo la ricercatrice la presenza in Valle di Susa di questa tradizione era ancora viva ai suoi tempi e si manifestava, oltre che dall’opera metallurgica, anche nelle danze rituali e selvagge dei calderai che venivano eseguite intorno al fuoco durante i solstizi e gli equinozi. Queste famiglie di calderai, sopravvissute alle repressioni religiose, conservavano gelosamente il segreto della lavorazione dell'oro. L’indiscrezione delle comunità valligiane del Monte Romulejo, altro nome del Roc Maol, narravano che la loro conoscenza di mestiere era riconducibile a un dio disceso in terra venuto per portare il fuoco rapito dal cielo. Un blackout storico Dall’epoca della Matilde dell’Oro Ermil e della sua testimonianza antropologica, non risultano altre citazioni successive sul mito della città di Rama e sulle leggende della Valle di Susa. Non si riesce a dare una spiegazione al “buco” di informazioni. Probabilmente ebbe un ruolo censorio il casato dei Savoia che custodiva la “Sacra Sindone”, il contestato lenzuolo funerario del Cristo, nella città di Torino, capoluogo del Piemonte, e dava largo credito ai Benedettini, strenui custodi della tradizione cristiana in Piemonte, che avversavano ogni presenza “pagana”. La figura di Fetonte e il mito della città di Rama erano tuttavia ben vivi nel segreto dei salotti esoterici della città di Torino. Secondo la tradizione di questi circoli, la figura mitica di Fetonte venne addirittura celebrata, nel 1879, con l’edificazione del Monumento al Traforo del Frejus tuttora esistente in Piazza Statuto al centro della città. In effetti ci sono ben pochi riferimenti che possono essere dati all’opera del traforo ferroviario franco-italiano, quanto invece sono presenti molti elementi che possono essere considerati simboli riferibili alla saga di Fetonte. Ad esempio si può constatare come sulla piramide di massi, che costituisce il monumento, campeggi un angelo alato che ricorda la discesa dal cielo del Graal. Oppure come lo stesso monumento sia orientato verso est, là dove sorge il sole e appare la stella del mattino a ricordare la grandezza del fuoco dello spirito. 3 - continua Articoli correlati: |