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Rappresentazione artistica del pianeta Venere Image: ESO |
Uno studio su «Nature Astronomy»: nell’atmosfera tracce di fosfina, l’ipotesi che sia prodotta da batteri
di Giovanni Caprara
La vita al di fuori della Terra potrebbe essere più vicina di quanto immaginato finora. Nelle nubi di Venere è stata scoperta una grande quantità di molecole di fosfina formata da idrogeno e ossigeno. E dopo una serie di verifiche su vari fronti, l’ipotesi che sia il prodotto di microrganismi è considerata molto seriamente. Un primo indizio era stato raccolto da scienziati britannici con il loro telescopio Maxwell alle Hawaii. La traccia era così entusiasmante che subito erano state mobilitate le 45 parabole dell’European Southern Observatory (Eso) che formano il radiotelescopio Alma. Distribuite nel deserto di Atacama, sulle Ande cilene, l’aria rarefatta e il cielo limpido hanno consentito di raccogliere il segnale della fosfina. Altrettanto sulla vetta a quattromila metri delle Hawaii.
Alla fine le varie decine di astrofisici di diverse nazioni coinvolte non hanno avuto dubbi. «L’elaborazione dei dati è stata complicata, ma tutti abbiamo visto la stessa cosa: un debole assorbimento alla giusta lunghezza d’onda della fosfina gassosa, prodotta dalle molecole retroilluminate dalle nubi sottostanti più calde», ha scritto su Astronomy Nature Anita Richard, alla guida della ricerca.
Lo stupore è stato notevole perché Venere è un ambiente infernale. In superficie la temperatura di quasi 500 gradi centigradi permetterebbe al piombo di scorrere fuso e la pressione è quasi cento volte più alta di quella sulla Terra. Ma alzandosi nelle nubi che avvolgono perennemente il mondo venusiano le condizioni sono più favorevoli e dove aleggia la preziosa molecola il termometro segna soltanto 30 gradi centigradi.
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Rappresentazione artistica che
mostra la superficie e l’atmosfera del pianeta Venere, con le molecole
di fosfina in evidenza. Image: ESO |
Che la fosfina fosse presente non era impossibile perché derivata dal fosforo, ma l’interazione con le altre sostanze dell’ambiente la altera o la distrugge. Comunque i ricercatori hanno avviato indagini in ogni direzione. Cercando di capire se a generarla potessero essere la radiazione solare o il contatto con dei minerali sospinti verso l’alto dalle correnti atmosferiche, dei fulmini o l’attività vulcanica. Ma nessun fenomeno era in grado di produrre una massa così rilevante. Al massimo queste sorgenti non biologiche potevano arrivare ad un decimillesimo della quantità misurata dai radiotelescopi. Quindi, hanno concluso gli studiosi, o si è colta una reazione chimica finora sconosciuta o la traccia dei batteri è diventata molto seria. Sulla Terra i batteri generano fosfina dopo aver assorbito i fosfati dai minerali o da materiale biologico. Aggiungendo idrogeno producono, appunto, fosfina. «Trovarla su Venere è stata un regalo inaspettato, anche se pone molte domande», aggiunge Clara Sousa Silva del Massachusetts Institute of Technology (Mit) che ha condiviso lo studio. L’idea che le nubi venusiane possano ospitare forme di vita era stata da tempo ipotizzata. L’esobiologo americano Carl Sagan, protagonista nelle indagini della vita su Marte, ipotizzava che oltre a Venere, anche nelle nubi di Giove potessero fluttuare forme di vita simili a trasparenti meduse. Ma sembravano visioni più legate alla fantascienza che alla realtà. Ora la fosfina segna un punto a favore di queste visioni diventate numeri e grafici. E l’esplorazione del misterioso pianeta (intorno al quale negli anni ’60 si immaginava di mandare degli astronauti) si riaccenderà con l’obiettivo di trovare con le sonde la conferma della vita.
(Dal Corriere della Sera del 15 settembre 2020 – Per gentile concessione dell’Autore)
Giovanni Caprara, giornalista e scrittore, è responsabile della redazione scientifica del Corriere della Sera
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