Scienze |
Vivere sull'orlo del nulla |
17 Gennaio 2015 | ||||||||||||||
Diamo per scontata la nostra esistenza. Tutto sembra essere ovvio. Ma il nostro senso di esistere è iniziato con la nostra nascita e finirà con la nostra morte. Dove ci troviamo ad esistere in questa parentesi di vita? Esistiamo per davvero o è tutta una illusione?
Come possiamo dare un reale senso alla nostra esistenza? La nostra esperienza di vita ordinaria è basata su tre parametri percettivi. Possiamo identificare con facilità, nella nostra sfera individuale, il parametro dato dal nostro corpo che si avvale dei sensi con cui percepiamo il mondo intorno a noi, poi quello della mente che crea un mondo tutto suo in cui avvengono processi onirici, emozioni e sprazzi di immaginazione, e infine quello della coscienza che solitamente trascuriamo di vivere appieno facendoci trascinare dal mondo coinvolgente del piano della mente. Nella nostra vita infatti, la funzione della mente ha un ruolo preponderante. Essa raccoglie dati dal mondo esterno e li elabora facendoci vivere un mondo tutto virtuale in cui solitamente identifichiamo la nostra identità. Una percezione di esistenza che si basa su ricordi, sulla qualità del rapporto con gli altri, sui paradigmi di comportamento verso l'uno o l'altro, sulle sensazioni di successo e di degratificazione in cui concorrono spesso anche disturbi del nostro metabolismo che ci mostrano un mondo visto con occhi da pessimista. Una identità in cui spesso l'Io consapevole viene ad identificarsi dimenticando la propria vera natura, che è poi quella di noi stessi. L'Io consapevole è dotato di coscienza e capacità creativa e di un certo libero arbitrio, ma molte volte, essenzialmente nella cultura maggioritaria, giunge a perdere le sue potenzialità per condividere le pulsioni del mondo della mente come se fossero sue. In questa commistione di parametri, vissuti con apparente lucidità, spesso l'Io consapevole finisce per usare la dimensione della mente come se lui fosse questa stessa.
Nella dimensione della mente si vivono problematiche infantili che danno corpo a problemi di ogni genere. Si vive schiacciati da morali inutili che hanno ragione di essere solo per motivazioni sociali. Si vive secondo filosofie che ci sono state inculcate da bambini soffocando la naturale curiosità che poteva portare a ben altre esperienze, reali e in grado di aprire a una effettiva conoscenza delle cose e a un solido benessere personale. In questa dimensione mentale non si è mai se stessi, ma solamente banderuole al vento secondo quanto ci impone il mondo degli altri, dalla pubblicità ai cattivi amici. E spesso non si coscienzializzano i problemi, come potrebbe fare l'Io consapevole, ma si impiega una verbalizzazione mentale che porta a separarci inevitabilmente dall'oggetto a cui riferiamo ciascun problema. Il rapporto con il proprio partner o con un supervisore diventano problematici perché non si vive nell'immediato presente. Se si sta praticando una sessione di arti marziali, mentre si sta verbalizzando la modalità della mossa si è già stati gettati a terra. Tuttavia, qualche volta, nonostante tutto, si riesce anche a interrogarsi sul senso che può avere la propria esistenza in questo immenso e sconosciuto universo. Ci si interroga soprattutto se si ha qualche impegno morale da assolvere o si deve aspettare pazientemente che la nostra vita termini con la morte lasciandoci godere di una pratica epicurea senza limiti. Le varie religioni e le conseguenti ideologie esistenti nel panorama planetario, e ce ne sono per tutti i gusti, sono attente e pronte a rispondere sul senso della vita e a dare etiche di comportamento di vario genere accogliendo nelle loro fila quanti si affidano fiduciosi ad esse. Ma questi enti non sono mai concordi tra di loro e da millenni stanno provocando conflitti sanguinosi nell'umanità che portano a sofferenza e spesso a regressioni culturali. Sembra ovvio che a questo punto ogni individuo non può fare affidamento su una pletora di credenze religiose o ideologiche che portano da tutte le parti e da nessuna parte. Sembra ovvio che ogni individuo possa sentirsi libero di cercare una propria via personale per poter dare una risposta che sia scevra da ogni possibile ipoteca ideologica o religiosa. Ma come poter dare una risposta a questa fondamentale domanda se non possiamo fidarci della mente che rappresenta in definitiva un ostacolo e impedisce all'Io consapevole di valutare al di fuori di ogni plagio una effettiva esperienza raggiunta? La materia non esiste Iniziamo da lontano, ma ci serve per poter capire il problema. La nostra mente non è altro che un ente virtuale basato sulle funzioni del nostro cervello, un organo particolare, tra i tanti della nostra fisiologia corporea, che è in grado di consentire straordinariamente il senso di esistenza. La mente non è altro che il prodotto astratto della funzione dei "neuroni", le cellule specifiche che compongono il cervello. Esse sono collegate tra di loro dagli "assoni", veri e propri canali delle informazioni, che giungono alle altre cellule del cerebro attraverso la connessione filtrante delle "sinapsi". In questo sistema virtuale navigano da ogni parte informazioni costituite da messaggi bioelettrici che vanno a costituire la nostra memoria e quindi la nostra identità, nonché la nostra percezione e la nostra consapevolezza del mondo circostante. Basandoci sulla percezione mentale non possiamo avere certezza delle caratteristiche del mondo in cui viviamo e quindi poterci dare una effettiva risposta sul senso della nostra esistenza. Il cervello, per alimentare la dimensione mentale, prende informazioni del mondo esterno attraverso i sensi corporei di cui disponiamo. Ma questi sensi non ci danno e non possono dare una concreta informazione sull'universo in cui viviamo. Dobbiamo considerare che la materia con cui identifichiamo lo scenario della nostra esistenza non esiste per come la percepiamo in quanto non c'è nulla di effettivamente materiale. Tutto quanto identifichiamo come materia si riduce a “quanti” energetici che non sono affatto materiali. Se scendiamo nella dimensione del microcosmo troviamo atomi che non vediamo nella nostra dimensione macrocosmica. Così come non vediamo i pixel che compongono l'immagine di uno schermo in HD, in alta definizione, che solamente avvicinandoci a qualche centimetro possiamo scorgere e così comprendere che l'immagine che stiamo vedendo in realtà è costituita da quei minuscoli puntini. Nella stessa maniera un tavolo, o noi stessi che ci guardiamo allo specchio, in realtà siamo costituiti da una miriade di atomi uniti tra di loro da molecole che, pur abissalmente distanti tra di loro, formano la solidità e la forma degli oggetti materiali che conosciamo.
A loro volta questi atomi non sono altro che cariche elettriche che ospitano nel loro sistema altre cariche energetiche che la scienza ha identificato nei "quark". Ma non è finita qui: una certa parte della scienza ha concepito l'origine dei quark nel concetto astratto di "stringhe vibranti" di energia. Ovvero in qualcosa che si mostra come un nulla per l'esperienza umana. Un qualcosa che non si può toccare o vedere. Quindi in qualcosa che possa essere materiale. Già l'antico sciamanesimo druidico dei Nativi europei concepiva la nascita dell'universo attraverso la cosmologia del Suono primordiale, oggi lo interpreteremmo come il Big bang, che producendo il propagarsi di onde energetiche nell'infinito avrebbe creato l'universo che conosciamo. Cosmologia ereditata in seguito dagli Antichi Egizi, dai Nativi australiani e infine dalla narrazione biblica dell'universo creato sul suono della voce di dio. I nostri sensi sono fatti di atomi, e quindi energia sconosciuta all'esperienza umana. Atomi che hanno costruito uno scenario utile per l'evoluzione della specie. Uno scenario di "materia" che ci permettesse di rapportarci con una dimensione comune a tutte le forme di vita del pianeta potendo mostrarci le risorse vitali utili alla vita. Materia che non è altro che il prodotto della nostra "cecità" sensoriale che impedisce di vedere l'energia di base che rappresenta la natura reale dello Shan. Cecità sensoriale che rimane pertanto inutile per poter ricavare dati effettivi con cui rispondere al nostro interrogativo esistenziale. La nostra mente basata sui sensi non può farcelo capire. L'energia delle stringhe vibranti è una energia che è fuori dalla portata umana. E la mente non può neppure consentirci di immaginare un qualsiasi scenario cosmologico. Anzi, più lo immaginiamo e lo contestualizziamo in un paradigma religioso o scientifico e più ci allontaniamo dalla vera natura della nostra dimensione reale di esistenza in cui potremmo trovare effettivamente una qualche risposta. Pertanto, se si vuole fare una ricerca su un possibile significato della nostra esistenza e delle nostre esperienze quotidiane non ci resta che andare al di là della dimensione della mente. Le illusioni della mente È inutile basare le proprie certezze sulla capacità di discernimento razionale valutando quanto può proporci la mente. Durante la seconda guerra mondiale i neurochirurghi canadesi avevano constatato che ponendo degli elettrodi sul cervello, a scatola cranica parzialmente scoperta, di militari infortunati provenienti dal fronte, erano in grado di far rivivere ai soggetti ricordi e situazioni in quel momento lasciandoli convinti della realtà di quanto stavano vivendo sino a quando non venivano tolti gli elettrodi. Recentemente altri neurochirurghi statunitensi hanno potuto constatare qualcosa di ancora più strabiliante. Ponendo degli elettrodi sul cervello dei loro pazienti ottenevano un corrispettivo movimento degli arti, ma costoro dichiaravano ed erano convinti che non fosse un comando indotto dagli elettrodi ma che avessero mosso i loro arti per propria volontà.
È un esempio di quanto accade nel mondo soggettivo delle rappresentazioni oniriche che viviamo durante il sonno. In questa occasione, ordinariamente, non ci rendiamo conto di essere dentro ad un sogno, ma percepiamo tutti gli eventi che viviamo in quel frangente come fosse una realtà effettiva e che non possano essercene altre. Non ci ricordiamo neppure di esserci coricati. Ci accorgiamo della sua completa soggettività solo quando ci svegliamo. Su questa esperienza potremmo valutare che anche nello stato di veglia forse stiamo vivendo una sorta di sogno poiché anche la percezione della veglia è prodotta dallo stesso cervello che alimentava la produzione onirica. A questo punto avremmo bisogno quindi di un "risveglio" che ci porti al di fuori della produzione cerebrale e ci faccia emergere nell'eterno giorno dello Shan. Che faccia emergere l'Io consapevole alla realtà dell'esistenza. Quanto sopra citato rivela la natura e le caratteristiche del mondo della mente. Un mondo soggettivo e impreciso che può sottostare inconsapevolmente ad ogni "meme" che porti ad un plagio calcolato dell'individuo, agendo anche contro i suoi stessi interessi. Gli antichi druidi dicevano in proposito che la mente è come una tigre che cavalchiamo senza dare importanza e quindi impreparati qualora, senza preavviso, le venisse in mente di disarcionarci finendo per ferirci dolorosamente con i suoi artigli. Vivere in un universo fantasma Attraverso la dimensione della mente stabiliamo ordinariamente una relazione con il mondo materiale dell'universo in cui siamo comparsi e in cui esistiamo e nulla di più. Senza sapere neppure com'è veramente il suo vero aspetto. Ad esempio, la moderna teoria scientifica dell'"universo olografico" prevede che tutto l'universo non sia altro che una proiezione olografica di una matrice bidimensionale che noi invece interpretiamo a mezzo del cervello, quindi della mente, come di natura tridimensionale. In questo caso il cervello ricostruisce dentro di esso, nella trama virtuale dei neuroni, una rappresentazione olografica dell'universo circostante determinandone la tridimensionalità e l'idea di essere dentro alla scena vissuta. Ma non sappiamo com'è realmente l'universo che vediamo e in realtà non siamo effettivamente dentro alle cose che fanno parte del suo scenario. Ci capita di percepire che noi siamo in riva al mare e sentiamo il profumo di salsedine, ascoltiamo il verso dei gabbiani e lo strabordio delle onde sulla scogliera. Ci siamo abituati a questo genere di percezione. Ma nulla di più falso. In realtà, siamo da qualche parte, ma quello che vediamo e percepiamo è solo dentro di noi, nel nostro cervello, nella nostra rappresentazione olografica del mondo circostante. Chissà com'è effettivamente l'universo fuori di noi. Piatto a due dimensioni, sicuramente senza i colori che vediamo, arido nel suo aspetto funzionale alla vita del pianeta. Per capire meglio questa situazione basti pensare come gli occhi rilevano l'immagine rovesciata dell'ambiente e come poi il cervello la corregga mostrandola diritta. Oppure come i sensi ci portino a recepire un urto che consideriamo immediato, ma che in realtà percepiamo dopo un certo lasso di tempo e lo rileviamo solo dopo che il cervello ne ha preso nota. È ovvio che se ci si identifica con la mente non si vive il vero senso dell'esistenza. Esistono infinite percezioni dell'esistenza che vanno da individuo ad individuo. Dai colori allo stato emotivo vissuto da ciascuno di essi. Si potrebbe dire: "il mio verde non è quello che vedi tu”.
Sostanza e energia del vuoto Non dobbiamo dimenticare il terzo parametro percettivo di ognuno di noi. Quello che appartiene all'Io consapevole. Questo ente non possiede sensi, così come noi li intendiamo, e quindi non utilizza i cinque sensi con cui la mente si rapporta all'universo ordinario. Li utilizza solamente per interagire in maniera creativa con questo. Per questo ente la mente è solamente una interfaccia per gestire l'elemento biosenziente e, all'occorrenza, per scriverci sopra come se fosse una lavagna. Eppure l'Io consapevole è in grado di sviluppare una propria consapevolezza delle cose che lo circondano, di possedere una volontà creativa, di portare alla comprensione immediata dei problemi che l'entità biosenziente può affrontare nel mondo materiale. Ma l'Io consapevole ha una sua specifica proprietà. La sua percezione non si limita solamente all'ambiente fisico determinato dal cervello, ma si estende alla percezione intuitiva dell'immanenza del mistero in cui viviamo. Non si tratta di fare un saggio di mistica, ma di prendere atto di un fatto concreto di percezione che unisce, ed ha unito, personaggi di ogni genere che hanno tentato la via dell'ascesi interiore, spesso gabellata come conquista ottenuta in una specifica religione ma comunque sempre identica nella medesima esperienza. Ci sono stati saggi che hanno accettato il mistero che incontravano per quello che straordinariamente si manifestava, altri appartenenti alle varie religioni e con la patente di santi hanno creduto di incontrare Dio. Ma è una esperienza possibile a tutti. L'Io consapevole non sembra relazionarsi in maniera diretta con il mondo ordinario della materia ma ad un altro piano della Natura di cui sembra essere il riflesso naturale. Esso possiede una capacità intuitiva che lo porta a percepire una dimensione che è oltre a quella ordinaria e appartiene a quella dimensione reale che era presente al momento in cui il Big bang si è verificato e che continua a sussistere ancora al di fuori dell'universo. Una intuizione di uno stato di esistenza che sembra essere in ultima analisi la matrice reale di tutta l'esistenza in cui, se mai esiste, possiamo inserire anche la presenza di una Causa Prima del tutto. Una esperienza che gli antichi druidi avevano identificato in una qualità non concettualmente descrivibile. Uno stato dell'esistenza che per noi, individui dipendenti dai sensi dell'universo ordinario, è assolutamente invisibile e immateriale e a cui gli antichi druidi dei Nativi europei davano il nome di "Shan", ovvero "bagliore intuitivo della realtà", inteso anche come "Vuoto", un attributo che denotava come fosse privo di ogni definizione concettuale. Per prima cosa avevano identificato il mondo della mente, virtuale potremmo dire oggi, nel quale erano circoscritti il pensiero, i sogni e l'immaginazione dei singoli. Poi avevano identificato un piano primario, quello della materia sensibile e visibile, accessibile a tutte le forme viventi, con cui poter interagire e cercare le fonti di sopravvivenza. Infine contemplavano l'esistenza di un mondo reale che era invisibile all'esperienza ordinaria dell'individuo, che però aveva dato origine a tutte le cose, umanità compresa, e che sosteneva il mondo abitato dall'uomo.
Un percezione non difforme da quella che ha impostato la fisica quantistica moderna con la teoria inflazionaria. Nella concezione dei suoi ideatori, tra cui Alan Guth del MIT, prima che si verificasse il Big bang preesisteva una condizione di esistenza raffigurata da una "qualità di vuoto" di cui non possiamo neppure immaginare la sua "energia" che la spingeva ad agire. Per via di una fluttuazione dei campi, prevista dalla fisica quantistica, il "vero vuoto" all'improvviso mutò in un cosiddetto "falso vuoto" caratterizzato dal contenimento di una specifica energia. Questa collassò su se stessa sino a divenire quanto più piccola non avrebbe potuto e sotto l'immane pressione esplose in quell'evento che i fisici oggi identificano nel Big bang, dando vita ad atomi, stelle, galassie e pianeti, creando la vita a tappe. La prima manifestazione, secondo le teorie dei ricercatori di Harvard, a circa qualche milione di anni dopo la deflagrazione cosmica quando il plasma si era già raffreddato. Una vita forse ancora esistente e oggi celata nell'immensità dell'universo. Poi, dopo circa tredici miliardi di anni dall'esplosione primigenia, è comparsa la nostra specie. Compresi noi che ci interroghiamo sullo scopo della nostra esistenza. Ma la "qualità di vuoto" preesistente al Big bang non si è esaurito con la comparsa del nostro universo ed è ancora presente e vitale, come contempla la teoria dell'"universo a bolle", mentre produce altri Big bang, che stanno dando vita ad altri universi. Come il nostro universo che, come l'equivalente di un buco nero che si sta espandendo alla velocità limite della luce, esiste come una bottiglia colma di vita in questo vuoto incomprensibile alla mente ma ben evidente alla percezione intuitiva dell'Io consapevole.
Forse qui inizia un discorso che potrebbe allontanarsi dal campo della scienza. Ma oggi più che mai ci accorgiamo che scienza e filosofia sono divenute indissolubili. Le scoperte scientifiche giungono inevitabilmente a rivoluzionare il nostro stato di cose e a migliorare la nostra condizione di vita. Prima di chiederci il motivo per cui esistiamo dovremmo chiederci "dove siamo". Dove ci troviamo ad esistere? Probabilmente troveremmo il filo conduttore che ci porterebbe ad una soluzione del nostro quesito. In effetti ci siamo mai chiesti dove siamo? Cos'è il vuoto da cui è uscito l'universo e che oggi consente la sua continuità supportandolo attraverso sconosciute leggi che appartengono al mistero? Potremmo chiederci perché ci sia qualcosa invece di niente. Nella Natura è tutto sempre ergonomico, per cui le sarebbe stato più facile non spendere alcuna energia destinata a creare l'universo e lasciare che non ci fosse altro che il "niente". Ma visto che c'è, cos'é questo "qualcosa" che c'è invece del niente? E che cosa siamo noi sul piano dell'Io consapevole che possiamo riflettere lo straordinario evento che è lo Shan?
Senza trascurare in ultima analisi l'ipotesi che potrebbe anche non esserci assolutamente nulla di quanto ci sembra di percepire. Noi potremmo essere solamente l'illusione di un niente che, per la legge riconosciuta dalla quantistica, sogna nel suo "falso niente energetico" di essere qualcosa che esiste. Ma i termini del problema non cambiano perché comunque noi abbiamo la sensazione di esistere. A meno che anche questo fatto non dipenda da una nostra familiarizzazione soggettiva della specie. Ma questo vale per una disquisizione mentale come si può fare nel mondo maggioritario. In realtà quando si riesce a raggiungere quella intuizione folgorante dello Shan, in un istante colmo di una certezza significativa, la consapevolezza di esistere è più che mai evidente. Forse questo "teatro" rappresenta l'uovo cosmico o un utero generatore di vita degli antichi alchimisti, in cui abbiamo possibilità di prendere padronanza delle nostre potenzialità. Come accade per un bimbo che nel gioco della sua culla sviluppa la sua maturità futura. Siamo comparsi all'improvviso in uno stato di cose che percepiamo e con cui interagiamo, lo stiamo vivendo con la nostra percezione ma poi è previsto che immancabilmente ne usciremo con l'esperienza della morte come è già deciso dal timer scritto nel nostro DNA. E ne usciremo senza sapere che cosa accadrà a ciascuno di noi. Teniamo comunque conto che dalla nascita in poi abbiamo conquistato poco alla volta la coscienza di essere del nostro Io consapevole, che rispecchia nelle sue potenzialità il vuoto. Possiamo prendere atto che, sebbene il corpo invecchi, al contrario l'Io consapevole mantiene la sua lucidità e si evolve. Può sembrare impensabile che una simile capitalizzazione vada perduta con l'uscita dall'universo materiale e non si unisca in qualche modo al vuoto primordiale. Comprendere l'esistenza della qualità di vuoto citato dalla fisica quantistica potrebbe portarci ad un'altra valutazione della nostra esistenza nell'universo, consentendoci una migliore qualità di vita nel vissuto ordinario e prepararci ad affrontare idoneamente l'esperienza della morte. Non sappiamo, e non abbiamo certezze in merito, se dopo la fine funzionale del corpo e della mente scompariremo in un niente oppure l'Io consapevole prenderà ad esistere nel Mistero. Ma tanto vale, per via dei prodromi percettivi che suggeriscono una possibile continuità della vita dopo la vita, non rimanere poi in definitiva lo sfrido inutile di un processo evolutivo andato fallito poiché negato a priori. Ma questo è un impegno dell'Io consapevole che dovrebbe cercare di disgiungersi come minimo dal mondo fittizio della mente e vivere il senso di una esperienza che non sia raccontata da altri, ma che sia vissuta e verificata in prima persona. Sicuramente in questa maniera si potrebbe trovare l'agognata risposta sul senso della nostra esistenza. Ne guadagnerebbe anche la vita ordinaria, uscendo dalle ipoteche della mente e dalla sofferenza psicologica, conquistando, con le potenzialità raggiunte dell'Io consapevole, la nostra vera identità. Non dimentichiamo che per quanto ci consideriamo dei liberi pensatori noi viviamo spesso soggetti al plagio e alle morali del visibile, ignorando la logica del Vuoto che è basata sull'armonia delle cose che può portare al benessere e alla conoscenza. Andare contro questa logica non si trova, inevitabilmente, altro che sconforto e sofferenza. |