Sciamanesimo

Lo Sciamanesimo dei Popoli della Natura - 1

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30 Aprile 2013

La meditazione è un’antica esperienza umana conosciuta da millenni. Qui il graffito raffigurante di un meditante, rinvenuto nel deserto del Tassili in Africa

Alla ricerca di se stessi e del mistero che domina l’esistenza. L’eredità culturale dei Popoli naturali come chiave dell’esoterismo moderno per capire i segreti della Natura. La tradizione dell’antico sciamanesimo druidico. La meditazione, il “viaggio sciamanico” più puro e antico verso il piano del trascendente


Un’antica esperienza sempre attuale

La meditazione è un’esperienza umana conosciuta da millenni. Un’esperienza che nell’immediato può portare a un benessere psicofisico con cui realizzare uno stato di pace interiore e una identità consapevole e reale di se stessi, in armonia con la Natura.

Un’esperienza che può consentire anche di realizzare una intuitiva conoscenza interiore di natura mistica che, secondo i druidi della Foresta di Brocéliande, porta ad una condizione personale di Bien-être ravvisabile in uno stato di gioia di vita legata a questo stato di conoscenza. Qualcosa di simile all’estasi vissuta dai vari santi dell’empireo mistico.

La meditazione, occorre ricordarlo, non è il frutto di una invenzione umana, ma rappresenta l’interpretazione di un archetipo evolutivo naturale manifestato spontaneamente dalla Natura. Rappresenta per l’individuo un’esperienza fondamentale che lo può portare fuori dai suoi problemi ordinari e dallo stato di molteplici forme di sofferenza interiore. In proposito, un druido bretone ebbe a dire che la meditazione è come un salvagente gettato dal Mistero nel mare della vita, per aiutare coloro che vogliono vivere ed evolvere nella trascendenza manifestata dalla Natura, invece di lasciarsi morire annegati nell’illusione del mondo ordinario.

Per via della forza della meditazione molte religioni storiche e ancora più numerosi movimenti newageani si sono appropriati della sua pratica adattandola ai loro specifici scopi e snaturando del tutto la purezza della sua esperienza ancestrale.

Oggi risulta infatti che sia stata inglobata nelle pratiche delle religioni che conosciamo, come il cristianesimo, ravvisabile negli “esercizi spirituali” dei gesuiti cattolici e nelle preghiere esicastiche degli ortodossi. Il buddismo ha addirittura integrato la meditazione nel corpus dei propri riti mentre nell’Islam la si ritrova nell’esercizio delle quattro preghiere quotidiane.

Non da meno la meditazione è stata cooptata, in maniera disastrosa, dalle varie forme moderne di newage che la propongono in maniera parziale ed essenzialmente come un insieme di tecniche di benessere psicofisico.

Ma la meditazione non è un’esperienza destinata alla pratica devozionale né tantomeno all’attuazione di esercizi psicofisici.


Papa Nicola V promulgatore della Discovery Doctrine che diede l’inizio al dramma delle colonizzazioni

La meditazione è sostanzialmente un’esperienza che ha lo scopo di realizzare un rapporto armonico tra l’individuo e la Natura. Non la Natura intesa come quella delle praterie, delle foreste e del cielo stellato, ma soprattutto nella sua qualità più reale che rappresenta il senso della nostra esistenza, qualità che l’antico sciamanesimo druidico identificò nel concetto di Shan.

Una qualità di esistenza immateriale e invisibile che ha fatto da culla alla nascita del nostro universo in cui esso si sta espandendo e che può manifestarsi attraverso la percezione, propria dell’Io consapevole, nell’esperienza della “Visione”.

Uno stato di esistenza che può essere concepito in un significato di Vuoto, cioè privo di ogni attribuzione concettuale.


I tre piani di accesso alla meditazione

La vita pone continuamente di fronte a varie problematiche di ordine quotidiano e ad altre ancora più profonde di natura interiore, che portano a un disagio esistenziale che spinge a porsi interrogativi sul senso della vita oppure a cercare strumenti di benessere che possano risolverlo e dare una qualità migliore di esistenza.
Nella ricerca di una soluzione al proprio disagio esistenziale di natura spirituale sembra che non ci possa essere altra soluzione al di là di quanto proposto dalle grandi religioni storiche e dalle filosofie che esse hanno ispirato, sotto qualsiasi latitudine ci si possa trovare.
Sembra che in alternativa ci siano solamente soluzioni del tipo “fai da te” in cui prendere da una parte e dall’altra le cose che possano interessare o gratificare, senza mai concludere nulla e rimanendo in uno stato di continua e inappagante ricerca.
In realtà la meditazione si propone come un’esperienza che può contribuire ad affrontare il problema del disagio esistenziale in maniera concreta ed efficiente.
Attraverso l’esperienza della meditazione esiste infatti la possibilità di sperimentare un rapporto pragmatico di natura cognitiva con la Natura, prendendola come riferimento esperienziale posto al di sopra di ogni umana interpretazione.
Esistono tre piani di accesso all’esperienza della meditazione, e ognuno può aderire a quello che gli è più confacente. Il più semplice è rappresentato dal piano cosiddetto “olistico”, attraverso il quale è possibile realizzare un benessere psicofisico e uno stato di armonia basati sulla pacificazione della mente, il “said” degli antichi druidi.

Si rende di seguito disponibile il piano cosiddetto “transpersonale” in cui l’individuo può trovare una sua reale e intima identità attraverso la realizzazione della sua consapevolezza interiore, libera da condizionamenti e patologie.

Infine viene prospettato il terzo piano esperienziale, quello della “risposta interiore al richiamo del Trascendente”, che può portare l’individuo a una esperienza di natura mistica con cui realizzare armonia e conoscenza in sintonia con la qualità invisibile e immateriale dell’esistenza.

Rimane in ogni caso la necessità, anche già dal semplice accesso al piano olistico, di non opporsi al naturale e inevitabile prosieguo della pratica della meditazione, che può avvenire spontaneamente verso un’esperienza più completa. Quest’ottica si rende necessaria al fine di dare stabilità ai benefici ottenuti, i quali possono essere attuati e mantenuti solamente nella prospettiva del Trascendente, altrimenti si potrebbe finire per mediarli con le proposte delle varie ipoteche culturali che porterebbero inevitabilmente alla perdita dei risultati conseguiti. La meditazione è un’esperienza di natura cosmica che non può essere legata a nessuna ideologia storica di parte.

Per comprendere le proprie esigenze interiori e per poter scegliere il piano di accesso alla meditazione che possa rispondere al proprio bisogno è essenziale comprendere la natura della stessa meditazione.


Una stampa del Quattrocento che mostra l’arrivo dei conquistatori europei sugli altri continenti

La meditazione non appartiene al confuso melting pot culturale esistente, ma ha una precisa origine nel tempo e nella storia dell’umanità. Per capire la natura della meditazione dobbiamo necessariamente valutare e comprendere il contesto storico e culturale in cui è nata e si è sviluppata, a cui deve le sue origini ancestrali e che rivela la sua specifica caratteristica esperienziale.


La società maggioritaria e i Popoli naturali

Noi oggi viviamo in un mondo che è stato costruito e disegnato dalle grandi religioni storiche del passato, che ancora si affacciano nel nostro tempo, e dalle forti ideologie di parte che hanno contribuito a creare.
Le grandi religioni storiche si impongono sugli individui come le uniche intermediarie con il mistero che domina l’esistenza, senza possibilità di critica e di evoluzione, vantando principi divini incontrovertibili. Ciascuna con la propria verità, solitamente in antitesi l’una verso l’altra, e in perenne stato di conflittualità concorrenziale, sino a essere causa di pulizie etniche, guerre e lutti per tutta l’umanità.
Tutto ciò che viviamo, lo viviamo inevitabilmente all’interno di una loro precisa filosofia di vita che determina ogni cosa del nostro quotidiano. Persino parte della scienza, che apparentemente dovrebbe per la sua natura potersi sottrarre da questa ipoteca, ne risponde supinamente.
Siamo abituati a vivere e ad accettare come normalità il mondo che è stato disegnato dalle grandi religioni storiche. Siamo abituati a concepire la ricerca della spiritualità attraverso l’opera delle grandi religioni storiche, a cui deleghiamo una precisa competenza in merito, e non concepiamo solitamente la possibilità che possa essere altrimenti. Al di là di esse intravediamo solamente la possibilità di un rifiuto del modo di concepire il mondo che esse, nei vari contesti geografici, hanno disegnato.
All’individuo che cerca una sua libertà interiore non rimane altro che adottare un atteggiamento di posizione laica che comporta implicitamente una rinuncia alla competenza e alla legittimità di una ricerca spirituale, che sembra essere solo appannaggio delle grandi religioni storiche. E spesso questa posizione laica porta l’individuo, per reazione, a escludere ogni esperienza spirituale, cedendo a forme di radicato materialismo. Se non peggio, a finire per aggregarsi a una delle tante nicchie newageane, perdendo così di vista ogni possibilità di realizzare una effettiva esperienza spirituale, abbagliato dal fachirismo illusorio che vuole imitare con la sua abilità il riflesso del Trascendente.

Nel nostro tempo, nella grande confusione culturale del mondo mediatico, sul panorama umano del pianeta tutto sembra scontato. Non ci rendiamo conto che esistono due categorie nell’umanità che possono dare una chiave di interpretazione all’esperienza della meditazione e allo strumento che rappresenta per l’arricchimento interiore.

Esiste innanzitutto quella che viene definita come la “società maggioritaria”, la nostra dimensione ordinaria, ipotecata dalle grandi religioni storiche. Essa è caratterizzata da molteplici sacche sociali tra le quali possiamo ad esempio identificare il mondo occidentale, quello islamico e il mondo asiatico.

Il mondo maggioritario è basato su una cultura patriarcale che si è imposta dopo le ultime grandi glaciazioni sconvolgendo l’assetto naturale della società umana. Erede dei clan dei cacciatori, carnivori e dediti a culti sacrificali umani di natura antropofaga, che rimangono ancora vivi in alcune tradizioni religiose anche se ricondotti a pure simbologie.

Un mondo basato sullo sfruttamento dell’individuo che viene assoggettato a valori di comodo, realizzato sulla conflittualità permanente tra le varie sacche sociali, sulla circolazione del denaro che consente il rafforzamento del più forte sul più debole e sulla discriminazione razziale, sessuale e generazionale.

A fianco della società maggioritaria esiste un altro esempio di società umana non molto conosciuto e spesso mistificato nei suoi valori al fine di non dargli spazio culturale, ovvero l’esempio dei cosiddetti popoli della Natura, o Popoli naturali, che vivono rapportandosi ai valori pragmatici e mistici manifestati dalla Natura.

Spesso questa dimensione dell’umanità viene identificata con i nativi dei vari continenti a cui vengono attribuite caratteristiche di ignoranza e superstizione e di arretratezza culturale.


Il segreto dei monumenti megalitici è rimasto custodito dai Popoli naturali

Ma i Popoli naturali si distinguono ben nettamente da questa falsa attribuzione, manifestando capacità culturali molto più elevate e progredite della società maggioritaria.

Si vuole utilizzare il termine di Popoli naturali proprio per distinguerli dalla massa incerta dei nativi che sono legati alle grandi religioni a cui si sono convertiti abbracciando le loro credenze.

Per quanto i Popoli naturali si differenzino a seconda delle diverse aree geografiche, essi, facendo riferimento alla Natura, manifestano una comune identità culturale. Una natura che non viene intesa solamente come quella dei prati e delle foreste, ma soprattutto come la manifestazione di un Mistero mistico che anima l’universo e che dà senso all’individuo e alla sua storia. Da cui nasce il concetto di “Madre Terra” e di “Cuore Antico”.

Una Natura concepita dall’antico druidismo dei Nativi europei nel concetto di Shan, una qualità immateriale e invisibile dell’esistenza che travalica la manifestazione del nostro universo, collocata in un piano fenomenico reale e trascendente a cui tutto è sotteso.

Il mondo dei Popoli naturali è basato sull’effettiva libertà e sul rispetto dell’individuo, sulla comunità solidale e intergenerazionale. Una dimensione sociale in cui viene riconosciuta la capacità di realizzare l’armonia interiore basata sulla pratica della meditazione, come qualità morale di ogni individuo.


L’azione storica della Discovery Doctrine

Questa categorizzazione che divide l’umanità in società maggioritaria e in Popoli naturali non è casuale ma ha una sua precisa ragione dovuta all’azione storica determinata dalla “Discovery Doctrine”.

La Discovery Doctrine ha rappresentato l’anima ideologica che diede inizio a quella che oggi è conosciuta come Epoca delle Colonizzazioni. Un principio dottrinale che consentì l’espansione commerciale di molte nazioni cristiane che si arricchirono a scapito di quelle conquistate.

Un principio che permetteva ai coloni europei, in nome della Chiesa e per diritto divino, di impossessarsi delle terre scoperte con tutto quello che c’era sopra, abitanti compresi, per farne tutto quello che volevano.


Kokopelli, lo sciamano itinerante dell’antica tradizione dei Nativi nordamericani, che con la musica del suo flauto risvegliava la conoscenza del Trascendente tra le varie tribù

Tutto aveva avuto origine da un preciso disegno evangelizzatore del cristianesimo. Dopo l’avvento di Costantino, dando seguito alla mentalità dominatrice dell’Impero romano preesistente al cristianesimo, le manifestazioni dei Popoli naturali dell’area europea erano state cancellate sanguinosamente. La Chiesa che seguì continuò a perseguitare la cosiddetta Antica religione, eredità culturale del druidismo europeo. Poi proseguì provvedendo a cancellare altre successive organizzazioni riferibili alla cultura dei Popoli naturali. Nel 1200 provvide ad esempio allo sterminio dei Catari e quindi nel 1300 dei Templari.

Dopo aver preventivamente “normalizzato” il continente europeo, la Chiesa del tempo si apprestò a colonizzare gli altri continenti con la promulgazione di quella che viene riconosciuta come la “Discovery Doctrine”. Una dottrina che giustificava e legittimava le nazioni cristiane a invadere militarmente gli altri continenti, consentendo loro di impadronirsi delle varie terre e dei popoli che le abitavano, uccidendo tutti coloro che non si convertivano al cristianesimo.

La Bolla papale “Romanus Pontifex”, promulgata da papa Nicola V nel 1452, diede il via alle colonizzazioni consentendo al Portogallo di conquistare i territori abitati dell’Africa. Seguì nel 1493, dopo l’arrivo di Cristoforo Colombo in America, la Bolla papale “Inter Caetera” di papa Alessandro VI che estese il principio della Discovery Doctrine anche alle competenze espansionistiche della Spagna dandole modo di colonizzare e cristianizzare militarmente le nuove terre d’oltreoceano.

A questa sanguinosa colonizzazione non parteciparono i Nativi europei che presero le distanze da questa vergogna storica, rifugiandosi nel segreto delle loro organizzazioni che consentivano la loro sopravvivenza fisica e culturale al di là di ogni possibile persecuzione. Così come avevano fatto i “marrani”, gli istraeliti che nello stesso modo erano scampati agli eccidi della cattolica Spagna. Azione che oggi consente ai Nativi europei di poter convivere con pari dignità al fianco di tutte le altre culture dei Popoli naturali del pianeta.

Oggi le statistiche ufficiali delle Nazioni Unite mostrano che i Popoli naturali sono all’incirca il 25-27% dell’intera umanità. E proprio in seno all’ONU queste culture, perseguitate e mistificate nei loro valori reali, si stanno riorganizzando. Il lavoro iniziato con il Working Group on Indigenous Populations, nell’ambito del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU di Ginevra, è sfociato nel Permanent Forum on Indigenous Issues che si svolge ogni anno all’ONU di New York e che è diventato la più vasta assemblea delle Nazioni Unite. Ora i Popoli naturali si stanno aprendo a iniziative politiche sempre più importanti che possono consentire di vivere la loro identità in maniera libera e senza timori di persecuzioni.


La rappresentazione di un “viaggio sciamanico” in una stampa settecentesca

Il 13 settembre 2007 l’Assemblea Generale dell’ONU ha adottato a larga maggioranza la Carta dei Diritti dei Popoli Indigeni che tra gli altri principi stabilisce il loro diritto a praticare la loro lingua tribale, i loro riti e ad accedere ai loro luoghi sacri.

Nel 2012, il Permanent Forum on Indigenous Issues dell’ONU di New York aveva come tema principale la Discovery Doctrine puntando l’indice accusatorio verso i suoi mandanti allo scopo di poter ottenere effettivamente e definitivamente un pianeta libero da ipoteche culturali.

Il mondo disegnato dalla Discovery Doctrine ha portato alla formazione di una cortina virtuale oscura e spessa tanto da essere difficilmente valicabile, che attualmente separa l’era cosiddetta moderna dal passato intenso, vissuto dalla storia reale del pianeta, impedendo agli individui di vivere le potenzialità delle radici della storia dell’umanità.

E quando un popolo non possiede più le sue vere radici non può che proseguire la sua esistenza allo sbando, lontano dalla Natura quale manifestazione del mistero che è immanente a tutto l’universo, preda di ogni megafono che sappia rivolgersi alle proprie esigenze egotiche.

A causa della Discovery Doctrine risulta risibile lo sforzo che, nel nostro tempo, i ricercatori di ogni campo della scienza e i grandi movimenti esoterici attuano, cercando di ricostruire e di stabilire un legame con l’antica Tradizione dell’umanità.

Il loro impegno pesca inevitabilmente ormai solo nel torbido e confuso mare dei frammenti sopravvissuti di una antica cultura, senza poter ottenere una qualsiasi certa conoscenza sulla reale storia dell’umanità e sulla sua grande spiritualità naturale.

Oggi nell’era della post Discovery Doctrine, rimangono a continuare le antiche tradizioni storiche e spirituali del pianeta solamente i popoli della Natura o Popoli naturali. Le uniche culture a ricordare e a celebrare conoscenze altrimenti andate perdute.

L’antico sciamanesimo druidico ad esempio ci riporta da tempo che i sauri erano esseri a sangue caldo, ricoperti di peli e di variopinte piume e che avevano una vita sociale, in anticipo di millenni rispetto alle scoperte che i moderni paleontologi stanno facendo nel nostro tempo.

Non solo: per dirla tutta, anche l’esempio dei due gemelli della famosa metafora einsteniana, che esprime cosa poteva accadere ad entrambi nel caso di un viaggio a velocità iperluminale, era già conosciuto nei miti che oggi ci ricordano le narrazioni dei Celti.


La Kemò-vad, una forma di meditazione dinamica ereditata dall’antico sciamanesimo druidico

Per avere idea della sopravvivenza dello sciamanesimo druidico nel nostro tempo possiamo guardare al panorama attuale delle sacche sociali del mondo maggioritario in cui possiamo constatare come solamente nella cultura occidentale di origine europea esista una manifestazione dichiarata e organizzata del pensiero laico che fa fronte alle imposizioni religiose. Questo fatto è l’evidenza che il druidismo non è stato completamente distrutto e nel tempo si è fortificato mimetizzandosi nelle strutture sociali ordinarie. Al contrario di quanto è successo nelle altre sacche sociali, come l’Islam, che continuano a essere dominate dalle religioni.


La meditazione e lo sciamanesimo ancestrale

Nella cultura dei Nativi europei, così come per tutti i Popoli naturali, l’attuazione del rapporto spirituale con la Natura si rese manifesta con la cultura dello sciamanesimo.

Lo sciamanesimo è stato la prima forma di religione naturale apparsa con la presenza della vita sul pianeta, intendendo per religione il contesto culturale e spirituale in cui l’individuo ha sviluppato il suo rapporto consapevole e spontaneo con il Mistero, per provvedere alla sua elevazione interiore e giungere a un piano di conoscenza. Un contesto naturale, privo di dogmi e di morali, basato sulla sperimentazione diretta della Natura, senza che possa essere mediata da alcun intermediario ideologico.

L’elemento centrale dell’esperienza spirituale dello sciamanesimo è costituito dalla pratica della meditazione. Gli antichi sciamani, nella ricerca di un significato reale dell’esistenza e del ruolo dell’individuo, presero a sperimentare un rapporto con la Natura in maniera osservativa e pragmatica. Nel loro lavoro di ricerca giunsero alla constatazione che l’universo mostrava solamente un’apparenza sensoriale della sua effettiva sostanza e che esistevano altre dimensioni che era possibile esplorare.

Suddivisero i piani di percezione dell’esistenza in tre categorie simboleggiate dall’Yggdrasil, l’albero della vita che si snoda attraverso la natura misteriosa dello Shan...

La prima, definita come “Mondo Inferiore” era riferita al mondo vissuto sul piano della mente, in rapporto all’immaginazione, alle sensazioni e alle emozioni. Comprendendo le percezioni oniriche e il contatto con i defunti che si rivelavano nel buio della notte.

La seconda categoria riguardava il “Mondo di Mezzo”, costituito dall’apparenza materiale che consentiva a tutte le creature di interagire alla pari tra di loro, ma estendendo la percezione sciamanica agli eventi del passato e a quelli del futuro.

La terza categorizzazione del rapporto con l’esistenza riguardava il “Mondo Superiore”, o “Mondo Reale” che si manifestava con una sua qualità invisibile e immateriale, ma che costituiva la manifestazione di uno stato di realtà a cui tutto era sotteso.


La Kemò-vad comprende anche l’esperienza della meditazione statica

L’antico sciamanesimo druidico sperimentava queste tre qualità di esistenza attraverso varie pratiche che si riassumevano nella prassi del “Viaggio sciamanico”. Le esperienze di viaggio proseguirono per secoli sino a quando ci si accorse dell’inutilità delle esperienze condotte sul piano del Mondo Inferiore e di quello di Mezzo. A questo punto divenne chiaro che risultava preferibile e funzionale allo scopo il viaggio sciamanico condotto su un cammino di evoluzione che portava verso una conoscenza e una effettiva armonia interiore procedendo nell’esplorazione del Mondo Superiore.

Nacque così la prassi consolidata della meditazione, intesa come viaggio sciamanico, utile per rispondere al richiamo del Trascendente.

Oggi, la meditazione continua a rappresentare ancora e sempre un laboratorio di trascendenza che consente a ogni individuo di ottenere una percezione consapevole di se stesso e della reale dimensione di esistenza in cui vive.

Un’esperienza che viene identificata tradizionalmente nel concetto sciamanico di “Visione”, ovvero la percezione dello Shan sviluppata dall’individuo nel suo stato di coscienza consapevole messo in relazione alla qualità mistica del mistero.

Un’esperienza che gli consente di realizzare un benessere psicofisico e una conoscenza interiore sul Mistero che anima il tutto, che porta a una concreta gioia di vita. Una condizione di vita che l’antico druidismo bretone definisce ancora oggi con il concetto di Bien-être.

Esperienza che lo sciamano può riversare anche nel quotidiano per attestare il suo benessere psicofisico e ambientale, ma anche per attuare una creatività di natura terapeutica e un’opera alchemica nei confronti di quanti cercano una via per rispondere al richiamo del trascendente.

Esperienza che può aprire a squarci percettivi sull’aspetto reale dell’esistenza per mostrare la incontrovertibile soggettività del sogno quotidiano in cui viviamo e suggerirci come poter vivere al meglio la nostra possibile condizione di Bien-être.

www.giancarlobarbadoro.net


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