Sciamanesimo |
Il Tamburo dello Sciamano |
03 Febbraio 2014 | ||||||||||||||||||
Il ruolo catalizzatore della musica nell’operatività dello sciamano. L’azione della Nah-sinnar, la musica che riflette gli archetipi della Natura. La meditazione della Kemò-vad e il viaggio sciamanico. L’esoterismo del flauto sciamanico. Il “Cuore Antico” e la tradizione dei Popoli naturali
L’esperienza sciamanica La realtà apparente disegnata dai sensi ci propone una dimensione limitata e non ci permette di entrare in rapporto con le forze della Natura da cui poter trarre esperienza per il nostro bisogno e per acquisire conoscenza. In tempi remoti, tra le prime creature viventi, ci fu chi si rese conto di questo limite e si impegnò a squarciare il velo dell’apparente realtà delle cose in cui viviamo per andare oltre ed esplorare dimensioni di esistenza che rappresentavano altri mondi e talvolta anche le radici su cui si sostiene l’universo. Nacque così in ere arcaiche lo sciamanesimo come forma comune di ricerca scientifica e mistica che univa creature di ogni parte della Terra che condividevano tra di loro le proprie conoscenze in una grande comunità planetaria. Si può affermare che lo sciamanesimo possa rappresentare la prima forma di rapporto consapevole tra l’individuo e l’esistenza. Nel tempo, soprattutto ad opera degli antropologi del ‘900, lo sciamano è stato definito o interpretato come un sacerdote, o come uno stregone dell’occulto che comunicava con gli spiriti, o un terapeuta naturale che miscelava erbe per portare alla guarigione, oppure come un custode di antiche tradizioni. In realtà la natura dello sciamano si può identificare in quella del filosofo, del ricercatore e anche del divulgatore didattico di una scienza che rimane eguale sotto ogni emisfero e attraverso il tempo. Lo sciamano può essere ciascuno di noi che sia portato a dare attenzione al significato dell'esistenza cercando conoscenza e armonia. Allo sciamano infatti non basta l'apparenza delle cose. A fronte della manifestazione dell'esistenza, ovvero del fenomeno che rende possibile la sua presenza consapevole, vuole capire e conoscere dove si trova e che cosa risulti di implicito a questo stato di cose. Da questa valutazione ha preso identità nell'antico sciamanesimo druidico il concetto di Shan, ovvero la Natura nel suo aspetto reale di qualità invisibile e immateriale da cui trae origine l'universo. Da una parte lo Shan inteso come fenomeno cosmologico riconducibile al “Vuoto”, cioè assenza di identificazione concettuale, e dall'altra inteso come un valore mistico di Mistero immanente a tutte le cose a cui poter ascendere per trovare il proprio completamento interiore. Lo Shan era visto come sintesi armonica tra una dualità di “vuoto” e di “pieno” che poneva lo sciamano nell’esperienza spirituale neutra di “Man”, ovvero lo Shan vissuto dall’individuo che trova la sintonia con esso. Da qui l’antica definizione di “portatore di esperienza” che distingueva lo sciamano, che in shannar, l’antico idioma dei nativi europei, era definito “shan-a-man”.
Lo sciamano si trova ad essere in interazione continua con la dimensione dello Shan ed è interfacciato in maniera prioritaria con il Mistero, tendendo a rispondere al suo richiamo con la propria consapevolezza. L’esperienza dello sciamano riflette la natura arcaica e vitale delle creature viventi di ogni tempo e si perfeziona, al di là dei dogmi religiosi e delle ideologie parascientifiche, incentrandosi sull'ottenimento della “Visione” interiore attraverso la quale egli penetra l’illusione dell’esistenza per trovare il suo vero aspetto. La qualità della Visione non è altro che uno stato di percezione consapevole riferibile allo specifico oggetto in corso di esplorazione. Paradossalmente, l’esperienza della Visione può essere paragonata all’atto di comprensione consapevole dell’oggetto espresso da una espressione algebrica presa in esame da un matematico. Tuttavia la Visione dello sciamano è riferibile a molteplici orizzonti percettivi e può giungere alla comprensione di una qualità mistica che è manifestata dall’intera esistenza. Per ottenere lo stato interiore della Visione, lo sciamano opera secondo un preciso sistema di operatività che è da intendersi come la prima forma di meditazione conosciuta nella storia dell'umanità. Questa esperienza è anche descritta nella tradizione dello sciamanesimo universale come il “viaggio sciamanico” che viene intrapreso dallo sciamano ogni qualvolta opera nella sua esperienza interiore. La pratica della meditazione non rappresenta il frutto dell'ingegno umano, bensì l'interpretazione di un archetipo evolutivo presente in natura senza il quale non sarebbe possibile alcuna esperienza. A mezzo della pratica della meditazione lo sciamano trascende la dimensione soggettiva del corpo e della mente per aprire una porta sull'Invisibile e ottenere l'esperienza della Visione. Un’esperienza che lo porta ad acquisire elementi di guarigione e ad ottenere progressivi stati percettivi superiori di coscienza con cui realizzare il Potere interiore, il “Nah”, che ottiene entrando in sintonia con la natura immateriale dello Shan. Dall'esperienza sciamanica si sono consolidate successive pratiche che hanno consentito la divulgazione dell'esperienza della meditazione a tutti i livelli di interesse del pubblico. Questi viaggi vengono fatti in uno stato alterato di coscienza che portano al di fuori della percezione ordinaria dell’illusione sensoriale per trovare una dimensione interiore reale ed effettivamente consapevole, che viene conosciuta anche come “Stato sciamanico di coscienza”. Uno stato di essere ben conosciuto anche dalle culture della società maggioritaria storica. Ad esempio questo stato viene anche definito con il termine di “estasi” e deputato all’esperienza dei numerosi santi dell’empireo delle varie religioni. L'importanza del suono Il mezzo di supporto creativo dello sciamano per l’attivazione del viaggio sciamanico e per il raggiungimento della Visione è rappresentato ordinariamente dalla pratica musicale. Un metodo efficace e comune, diffuso presso quasi tutte le tradizioni, per raggiungere lo stato sciamanico di coscienza risiede nell’ascolto della voce modulata, del flauto o del suono, ritmico e ripetitivo, del tamburo. Attraverso il suono lo sciamano può prendere a viaggiare verso altri mondi: il fluire continuo del suono gli permette di esplorare altre realtà, lo sostiene nella trance ma nel contempo è il legame che lo mantiene collegato con la realtà ordinaria. Il suono è come il filo di Arianna che gli permette di andare verso l’ignoto mantenendo un legame che gli consenta di tornare sempre indietro. Il suono è il faro che utilizza per il suo ritorno. In epoche moderne ci sono sciamani che usano anche sostanze allucinogene per produrre gli effetti del viaggio, ma queste in realtà sono un succedaneo della vera Visione e vengono usate per fare effetto sui turisti del caso oppure quando lo sciamano non è in grado di vivere vere Visioni spontanee. In proposito, proprio per sottolineare l’importanza e l’utilizzo prioritario della musica, essa veniva considerata come la “droga eccelsa di Mat”.
La porta di accesso alla natura reale dell'universo è il Profondo che lega ogni persona alla matrice fondamentale del “Baktà”, l'energia plasmante vibratoria su cui si è formato l'universo, dai suoi fenomeni più nascosti sino alla formazione dell'individuo e al suo stato di consapevolezza. La musica è la chiave per aprirla. Essa agisce sul Profondo sollecitando l'attuazione della Visione, una condizione percettiva e stato d'essere, conosciuta anche come trance. Il suono viene considerato come un elemento catalizzatore che prepara lo sciamano al suo viaggio interiore e che lo aiuta nella realizzazione della Visione. Sia che questo venga identificato nella voce dello stesso sciamano che nella musica ottenuta con i più disparati strumenti. Lo sciamano considera la musica come parte della manifestazione del “Suono primordiale” che ha dato origine all’universo. Per lo sciamanesimo druidico l’universo è nato con l’espandersi, da un punto mistico, di un Suono primordiale, che allargandosi su un’onda continua, attraverso l’infinito ha creato gli atomi della materia, lo stesso individuo, le leggi fisiche e tutte le altre possibili dimensioni di esistenza. Per lo sciamanesimo la materia non possiede la concretezza che le si può attribuire, ma rappresenta solamente una sorta di scenario virtuale, assolutamente immateriale, basato sul mantenimento ondulatorio in espansione del Suono primordiale che i nostri sensi danno come qualità concreta essendo anch’essi parte della grande rappresentazione cosmica. Lo sciamanesimo druidico non separa l’individuo dall’universo, essendo entrambi costituiti dalla stessa materia. Pertanto concepisce l’individuo come parte della dimensione vibrazionale, anch’egli di natura immateriale e astratta come il suono, distinguendolo solo nella sua proprietà consapevole. Una proprietà, detta l’esperienza del Nah, che diviene effettivamente reale solamente nella sintonia esperienziale con la qualità reale della Causa Prima, origine del Suono primordiale, che porta l’individuo a situarsi al di fuori della logica dello scenario virtuale dell’universo in cui vive. L’individuo era quindi visto come una sorta di cristallo trasparente che vive la sua consapevolezza, ma che non può vedersi in alcuna forma e sostanza concreta se non nella realtà fenomenica del piano esperienziale che è proprio della Causa Prima. L’antico sciamanesimo druidico si accorse di come la musica potesse influire sul Profondo, o Inconscio, dell’individuo producendo visioni di tipo onirico, spazio-temporale e di natura trascendente. Quindi attraverso il linguaggio della musica ritenne di poter sviluppare un più perfezionato strumento catalizzatore dell’esperienza di Visione. La musica a questo punto assunse un rilievo notevole nell’esperienza dello sciamano. Per attuare la Visione protesa sullo Shan, lo sciamano realizza la condizione di Silenzio interiore, il “Sà”, che lo sottrae dal “rumore” dei sensi e della mente e lo interfaccia con la vera natura dell’esistenza, considerando questa nella sua qualità immateriale e invisibile, identificabile in una proprietà di “Silenzio”. Una manifestazione della Natura esaustiva a se stessa che va compresa nel suo linguaggio fatto di silenzio, a cui si può giungere solamente attraverso lo stato interiore di consapevolezza. La Visione è propriamente la percezione e l’immedesimazione in questo Silenzio mistico. Per poter realizzare il Sà, lo sciamano deve porsi innanzittuto nella condizione di “Saah”, quello che può essere definito come il “silenzio esteriore”, che contribuisce all'esperienza interiore disimpegnandolo dall'ipoteca sensoriale suscitata dall’ambiente che lo potrebbe trattenere nella dimensione ordinaria. Un Saah che può essere identificato nell’ambiente quieto di un luogo sacro, o in una specifica ambientazione rituale, o nell’apporto dei simboli che egli disegna su di sé, sul suolo o sulle pareti. Ma soprattutto l’aspetto migliore del Saah è dato in ogni caso dalla musica.
La musica, infatti, con il suo impatto ambientale contribuisce facilmente a creare, in ogni luogo e situazione, una condizione di Saah che favorisce lo sciamano nel realizzare senza difficoltà l'esperienza del Silenzio interiore e quindi della Visione. L’applicazione della musica rappresenta una metodologia antica quanto lo stesso sciamanesimo. Lo sciamano, attraverso la musica che viene riprodotta con la voce o con i suoi strumenti, crea facilmente la condizione che può favorire l’inizio del suo viaggio e quindi l’esperienza della Visione. Se poi nella struttura del suono sussiste un preciso archetipo esperienziale, quale può essere un ritmo o una melodia, il suo apporto amplifica l’azione. Ne è un esempio la Nah-sinnar, o "musica del Vuoto", della tradizione druidica che è stata realizzata su una precisa metrica basata sul principio del "vuoto" e del "pieno", in grado di produrre maggiori e mirati effetti contributivi all'esperienza dello sciamano. Esistono più utilizzi della musica da parte dello sciamano. Ad esempio, il suono ritmico gli serve essenzialmente per il suo viaggio nel mondo inferiore, eseguibile sul suono del tamburo, sulla percussione delle pietre, dei sonagli, e dei legnetti rituali. In questo caso la preparazione musicale lo porta al viaggio della “trance”. Una Visione basata su una sorta di autoipnosi che gli consente di entrare nel mondo onirico in perfetto stato di veglia, tanto da potere rimanere testimone lucido degli eventi che si verificano. In questa condizione di lucidità è in grado di immergersi nella dimensione degli strati del suo profondo psichico in cui può dialogare con entità disincarnate, con i defunti e con il suo “Totem-guida” o “Amico magico”. Questa è l’esperienza che si è soliti ad attribuire allo sciamano nell’immaginario collettivo. Un individuo che canta, suona il tamburo e danza. Magari vestito di pelli e di altri orpelli misteriosi e che parla con i trapassati a cui chiede rimedi terapeutici. Ma la musica non viene applicata solo per dar seguito a questa operatività oramai poco utilizzata dallo sciamano. La melodia della nah-sinnar, strutturata su archetipi naturali, gli serve per iniziare il suo vero viaggio verso il mondo superiore, verso il trascendente. Può eseguire questa musica con la voce, il flauto, lo xilofono e anche con strumenti moderni come la tastiera elettronica.. La sua Visione in questo caso è basata sull’abbandono delle istanze sensoriali come il corpo e la mente per lasciare emergere lo spirito, l’Io consapevole, alla percezione della natura invisibile e immateriale dello Shan che si rivela come ente in grado di trasmettere una conoscenza che lo sciamano può leggere e in cui può immedesimarsi. Questa esperienza porta molto lontano e lo sciamano ha la facoltà di giungere a contemplare il mistero mistico del “Mondo del cerchio vuoto di Keugant”, posto di fronte al “volto” della Causa Prima esaustiva a se stessa e della natura dello Shan che si fonde con essa. Questa è l’esperienza che solitamente, secondo un altro immaginario collettivo, viene invece riferita all’individuo che attua una postura relativa alla meditazione, e che erroneamente non viene più interpretato nella sua identità di sciamano che sta vivendo il suo viaggio oltre il mondo del visibile. In effetti, che lo sciamano stia suonando il flauto, percuotendo il suo tamburo, battendo i piedi nella polvere del suo luogo sacro, che sia seduto su un tappeto attuando la meditazione posturale, o che stia danzando in una forma di meditazione dinamica, è sempre lo stesso sciamano che si trova in cammino nel suo viaggio esperienziale. La “Kemò-vad” come forma di viaggio sciamanico La meditazione, come si è detto, è stata la prima forma di viaggio sciamanico. Esiste quella statica condotta in postura come quella più completa e appagante eseguita in movimento e conosciuta, secondo l’antico sciamanesimo druidico da cui è stata ereditata, come “Kemò-vad”, dal significato poetico, ma esaustivo nel suo simbolismo mistico di “danzare nel vento”. Danzare nel vento per vivere l’armonia della Natura, divenendo vento nel vento. La Kemò-vad è a tutti gli effetti un vero e proprio viaggio sciamanico in cui è possibile, come per ogni forma di meditazione, realizzare particolari esperienze e vivere stati superiori di coscienza che ognuno può compiere per cercare un proprio equilibrio psicofisico e piani di conoscenza interiore.
Danzare nel vento per rispondere al richiamo trascendente del Mistero e vivere in armonia con la Natura quale sua manifestazione più immediata. “Essere vento nel vento” è stato da sempre l'impeto interiore, fin dallo sciamanesimo più antico, vissuto nella ricerca del Potere trascendente interiore. L’antico sciamanesimo druidico concepiva l’esperienza della Kemò-vad attraverso il simbolismo arboreo dell'Yggdrasil, l'albero cosmico che si estende attraverso la natura unitaria dello Shan, e distingueva le sue varie qualità esperienziali in relazione alla qualità interiore raggiunta dallo sciamano, quelle di un mondo inferiore, di un mondo di mezzo e di un mondo superiore, identificati rispettivamente nelle radici, nell’estensione del tronco e nello sviluppo arboreo delle fronde che venivano illuminate dal sole alto nel cielo, simboleggiante la Causa Prima del tutto. La Paità del gesto consapevole, la postura della meditazione dinamica che viene eseguita nella pratica della Kemò-vad, rappresenta l'Athanor alchemico, l'uovo cosmico in cui lo sciamano si prepara al suo viaggio e al suo risveglio interiore. Nella sua azione sul Profondo la musica della Nah-sinnar produce azioni terapeutiche, come il rilassamento spontaneo, e sollecita esperienze oniriche di tipo visionario oppure di indicazione terapeutica. Tuttavia la sua azione è anche in grado di portare lo sciamano all'accesso del piano della matrice del Suono Primordiale che gli consente di accedere all'archetipo fondante dell'universo. L'esperienza dello sciamano nel mondo superiore era considerata determinante poiché lo portava ad una conoscenza mistica superiore che rispondeva ad una precisa cosmologia. Per lo sciamanesimo tutto l'universo è energia che si mostra attraverso i sensi nell'azione delle leggi fisiche e nella apparente concretezza della materia. Gli antichi sciamani per poter descrivere l'astrazione concettuale dell'energia fondante dell'universo ricorsero al paragone con il fenomeno del suono. Un fenomeno che non si vede fisicamente ma che si manifesta ed è percepito dall'individuo tanto da suggestionarlo con il ritmo e la melodia. Del resto, in merito al ruolo del Suono Primordiale, esistono suggestivi miti e tradizioni che legano il suono alla creazione dell'universo primordiale e alla danza come espressione creativa per descrivere la sua natura energetica. A cominciare dall’urlo del Drago del mito druidico che ha dato vita all’universo. Mito che trova similitudini con quello dell’antico Egitto riferito al canto creazionista di Thot o nel suono del “Bull Roar” degli Aborigeni australiani. Non ultima la narrazione biblica di Dio che crea l’universo con il suono della sua voce. Nell'attuare la trance dovuta alla sollecitazione della musica lo sciamano giungeva a unirsi all’energia fondante dell'universo realizzando l'esperienza della "seconda morte" descritta dalla filosofia dell'antico sciamanesimo druidico, prevista sul cammino del Sentiero d'Oro. Ma questa esperienza non lo portava ancora alla natura reale dello Shan che si proiettava oltre l'universo generato dal Big bang. Tuttavia in questa condizione lo sciamano si poteva accorgere dell'universo illusorio prodotto dal Suono Primordiale rendendosi conto della Causa Prima che lo aveva prodotto come effettiva realtà esistente al di sopra di tutte le cose. Gli diventava evidente di essere anch’egli un pallido riflesso appartenente all'universo illusorio, inconsistente come il suono e che solo entrando in sintonia con la Causa Prima avrebbe potuto divenire reale. Il suo scopo diveniva allora quello di salire al mondo superiore e di unirsi a questa Causa Prima per trovare il senso reale della sua esistenza. Era l'esperienza descritta della filosofia dell'antico sciamanesimo druidico come la “terza morte” prevista sul cammino del Sentiero d'Oro. L'ultima tappa di un sentiero evolutivo in grado di portare l'individuo al suo completamento alchemico. Gli strumenti musicali dello Sciamano Lo strumento musicale più antico dello sciamano, se vogliamo definirlo come tale per le sue proprietà, era rappresentato dalla sua voce, che egli intonava secondo il proprio stato interiore per creare la condizione di “Saah” necessaria per la preparazione al viaggio sciamanico.
Ma non solo, anche per comunicare un preciso stato di essere agli eventuali astanti al fine che potessero condividerlo e partecipare in qualche modo alla sua esplorazione interiore di altre dimensioni dell’esistenza. Più tardi questa capacità modulatoria della voce venne applicata con l’utilizzo della nah-sinnar, la musica strutturata dallo sciamanesimo druidico dei Nativi europei, basata su principi matematici che riflettevano precise funzioni archetipali della Natura. La voce a questo punto divenne una forza trascinante ad opera dello sciamano che poteva condividere stati interiori, impossibili altrimenti da manifestare concettualmente, in quanto esprimevano stati di pura coscienza e con cui poteva condurre anche altri sul sentiero del “Nor-sat”, il “Sentiero d’Oro o di Luce” del cammino evolutivo dell’Yggdrasil interiore della meditazione. In tempi più recenti la musica sciamanica basata sulla voce e sul supporto strumentale ha continuato a mantenere questa caratteristica interiorizzante, pur suddividendosi in musica destinata specificatamente alle ballate popolari di incontro comunitario e in musica sacra, destinata alla meditazione e alla ritualità del culto druidico e alle funzioni terapeutiche. Alla voce seguì il flauto, conosciuto come “azi”, uno strumento che modulava la stessa voce estendendo le proprietà della Nah-sinnar soprattutto in campo simbolico ampliando la sua applicazione didattica. Il flauto infatti veniva accostato al simbolo dell'Yggdrasil. I fori rappresentavano i “Nai-tah” ovvero le cinque tappe da percorrere per giungere al vertice dell’Albero. Il fiato dello sciamano simboleggiava la “Korà”, l’energia plasmante esistente in natura che porta all’evoluzione dell’universo e dell’individuo, che si univa all'aria, simbolo della qualità invisibile e immateriale dello Shan. Il boccaglio rappresentava il Cielo quale fonte dell’ispirazione interiore, mentre il cilindro simboleggiava la Terra che veniva fecondata spiritualmente dal Cielo ricordando il mito di Fetonte. Il flauto, unito nelle sue due componenti, simboleggiava il Man, l’”Uomo cosmico”, figlio del Cielo e della Terra. L’”Ard-rì”, ovvero lo sciamano della Scuola iniziatica di Fetonte. La nascita del flauto era fatta risalire, per i Nativi europei, all’occasionale ascolto del vento che soffiava dentro alle canne forate di un canneto, oppure, presso i Nativi australiani, dentro a un tronco scavato dalle termiti, o ancora, presso i Nativi amerindi, il vento che soffiava attraverso un ramo cavo dell’albero di una foresta. Nella pratica del viaggio sciamanico rivolto verso il mondo inferiore dell’Yggdrasil, la dimensione dei defunti e delle creature dell’invisibile, lo sciamano prese ad usare anche il tamburo, lo “uzi”, usato sino ad allora solamente come supporto per la base ritmica dell’apprendimento didattico della musica. Il tamburo interpretava il suono ritmico e profondo del battito del cuore e del respiro. Interpretava anche il suono minaccioso e impenetrabile del rombo del tuono che precedeva il flagello delle tempeste e rivelava la presenza di forze esistenti al di là del visibile, non sempre favorevoli all’uomo e per questo da usare nei riti di magia legata al mondo inferiore. Il tamburo era solitamente ricavato da un tronco cavo sulla cui lunghezza veniva percosso da bastoni di legno stagionato e compresso. Non mancavano anche esempi di tamburi fatti di un corpo di legno più corto, il cui vuoto veniva ricoperto da lamine di pietra o di vario metallo sul quale veniva ricavata la percussione ritmica. Ogni sciamano provvedeva anche a dipingerlo con disegni simbolici di natura cosmologica o di protezione per la sua persona.
Il tamburo con copertura in pelle animale venne introdotto in tempi molto più recenti dalla cultura del Patriarcato che per un principio di “magia simpatica”, oltre che a disegnare sulle pareti della grotte la figura degli animali da uccidere, utilizzava gli elementi degli animali uccisi per essere facilitati nella caccia e per avere visioni, interpretandoli paradossalmente come spiriti di “Animali-guida” che si prestavano al loro bisogno. Accadeva anche che il tamburo venisse sostituito dalla percussione delle pietre o dei bastoncelli di legno stagionato e risonante. In certi casi storicamente più recenti venivano usati sonagli fatti di piccole zucche riempite di sassolini. Il bagaglio rituale dello sciamano Il tamburo o il flauto erano gli strumenti musicali che lo sciamano si portava sempre appresso, sia per averli sempre a disposizione che per mostrare implicitamente il suo rango spirituale. Cosa che spesso gli serviva come una sorta di salvacondotto per non essere coinvolto nelle dispute tra comunità tribali o quando attraversava territori ostili. Tuttavia, oltre a questi due oggetti, lo sciamano porta ancora sempre con se nella “Bulla”, la sua sacca personale che appoggia sul petto, altri oggetti che sono destinati alla terapeutica e alla divinazione. Innanzitutto contiene le 22 pietre o gemme corrispondenti all’Hatmar, la ruota degli archetipi di conoscenza donata da Fetonte ai suoi primi allievi, le cui proprietà vengono usate a scopo didattico, divinatorio e terapeutico. Poi anche le ampolline di acqua trattata per i vari rimedi necessari in caso di bisogno. In una bulla più piccola conserva poi una “ricetta” terapeutica o protettiva, costituita da gemme, erbe e frasi di contenuto magico. Altro elemento rilevante che caratterizza la prassi operativa dello sciamano è rappresentato dalla pratica del rituale con cui svolge la sua esperienza individuale e utilizza per elargire il suo insegnamento agli eventuali astanti. Il rito svolge una funzione importante in quanto porta a coinvolgere se stesso, e all’occorrenza anche i suoi allievi, in un unico simbolismo catalizzatore, dove le valenze esperienziali e magiche possono interagire e soprattutto astrarre, come una sorta di Saah, dal disturbo mentale e di quello del visibile quotidiano. La stessa postura, dinamica o statica, della meditazione che lo sciamano assume viene attuata con un atto rituale, condotto secondo una precisa prassi di gestualità e di operatività dell’interiore, che dà accesso poco alla volta alla dimensione del Silenzio interiore. La stessa ritualità viene applicata nell’ “Askad”, il “Luogo Simbolico”, dove lo sciamano opera con l’esposizione di precisi simboli con cui i suoi allievi interagiscono a mezzo della loro partecipazione, seguendo una prassi collettiva simile all’esecuzione della postura della meditazione individuale. Contribuivano a questa ritualità, a seconda dei casi, i simboli e gli oggetti catalizzatori, la luce della fiamma, il buio della notte, la presenza dei “kinn”, oggetti magici investiti del potere del mondo invisibile, e il contributo empatico del Totem-guida. L’Arte dello sciamano La figura dello sciamano riveste una particolare importanza presso la cultura nativa, in cui è considerata un punto di riferimento per l’insegnamento delle tradizioni comunitarie, per i consigli di aiuto psicofisico e come guida in un cammino spirituale.
In effetti lo sciamano può operare la cosiddetta “guarigione sciamanica” a mezzo del Potere interiore, che egli utilizza mediante una precisa disciplina volta ad una terapeutica naturale conosciuta come “Shantzu”, che applica su di sè e sugli altri attraverso l'equilibrio tra le qualità fenomeniche di “vuoto” e di “pieno”. La sua conoscenza e la sua capacità nell’uso di una terapeutica sui mali del corpo e della psiche lo fanno divenire involontariamente oggetto di attenzione e di riferimento per tutta la sua comunità. Ma lo sciamano non è propriamente il “parroco” del villaggio, egli è innanzitutto un ricercatore che nel corso sua vita, chiamato a dare una risposta al Trascendente, svolge una ricerca personale che sviluppa senza nascondersi e senza nascondere nulla agli altri suoi compagni di vita. Quella dello sciamano è un’esperienza del tutto personale, che tuttavia va a coinvolgere la curiosità degli altri membri della sua comunità. Diventa un esempio e un catalizzatore per quanti sentono di dover rispondere, come lui, al richiamo del trascendente. La sua figura potrebbe essere paragonata a quella di un Alchimista che opera nel suo laboratorio alla ricerca della "Pietra filosofale" con cui elevarsi e che stimola alla stessa ricerca quanti, sostenuti dalla ricerca interiore, intraprendono un rapporto con lui. Lo sciamano sviluppa capacità che fanno di lui un vero e proprio mago nel senso stretto del termine poiché raggiunge la possibilità di operare tangibilmente sullo spazio-tempo dell’ambiente in cui vive e di ottenere, nel linguaggio simbolico dell’Alchimia medievale, la trasmutazione dei metalli poveri in oro. Come dice un antico aforisma druidico: “la natura dello sciamano può essere paragonata a quella di una stella che è nata in proprio nell’immensità del cosmo e rifulge di luce propria, e che viene attorniata dai suoi eventuali pianeti naturali”. Così lo sciamano, come un curioso Alchimista che risponde al richiamo del trascendente, si dedica al suo lavoro personale divenendo un naturale riferimento per altri che si incamminano sulla via del trascendente. Dal riferimento al suo lavoro emergono inevitabilmente altri sciamani che si uniscono a lui in una conseguente entità iniziatica che mantiene un reciproco rapporto nella trasmissione di una tradizione e nella mutua assistenza. Proprio l'Alchimia dello spirito, quale eredità dell'insegnamento arcaico ricevuto dall’umanità dal mitico Fetonte, indica la natura e l'identità esperienziale dello sciamano attraverso il simbolismo della cosiddetta "Triplice corona dei Saggi". Essa esprime la qualità dello sciamano in tre specifici parametri che sanciscono proprietà vissute e riscontrabili dallo sciamano e che non possono essere incontrovertibili. Il primo parametro definisce la capacità di stabilire un rapporto simbiotico con la natura dello Shan, ovvero divenire, come diceva l’antico sciamanesimo druidico, parte dell’”Eterno giorno in cui tutto esiste per sempre e senza tempo”. Il secondo parametro definisce la capacità dello sciamano di realizzare l’Eden in Terra tra gli uomini di buona volontà, rifuggendo ogni conflittualità con quanti lo possano ostacolare in nome di ideologie di potere. “Dove lui cammina sorgono la vita, la libertà e la conoscenza, come tante piante sempreverdi e vigorose”. Il terzo parametro definisce la capacità di procedere alla trasmutazione del metallo ordinario in prezioso e incorruttibile oro. E questo senza cedere alla cupidigia dell’oro accumulato né alla gratificazione dell’immenso potere che mostra di possedere. Sono tre parametri importantissimi che guidano lo sciamano nel valutare la sua stessa esperienza, senza cedere a madornali errori, o da usare anche nei momenti in cui potrebbe essere assalito dalle forze involutive che attentano alle sue opere. Attraverso la loro valutazione possono essere facilmente smascherati i falsi sciamani imbonitori che lucrano sul prossimo. Infatti, sciamani non si diventa sulla base del solo studio, presso una qualsiasi università accademica o pseudo-tribale.
Per divenire sciamani si è scelti e chiamati da Madre Natura. Innanzitutto, secondo la sequenza naturale, dalla percezione personale del Mistero cosmico che è immanente a tutte le cose, poi dal richiamo del trascendente a cui viene l’impulso di dare ardente risposta, e quindi dalla percezione naturale del Vuoto che rivela la natura immateriale dello Shan. Secondo la tradizione dell’antico sciamanesimo druidico l’acquisizione dei poteri sciamanici può avvenire secondo più modalità. La prima, oggi considerata la più comune presso molte etnie indigene che hanno avuto contaminazioni con il mondo della società maggioritaria, è la trasmissione ereditaria della professione sciamanica, intesa come una vera e propria professione comunitaria. Questa forma di ereditarietà nasce dal costume ereditato dal patriarcato primordiale allo scopo di mantenere l’identità della comunità. Lo sciamano non manifesta alcun potere effettivo e porta spesso alla finzione rituale e all'utilizzo di bevande allucinogene. Esiste anche il caso di individui divenuti sciamani mediante la loro sola volontà autoreferente o per volontà del clan, ma costoro sono considerati equiparabili a quelli che hanno ereditato la professione o che hanno seguito la "chiamata" degli dèi e degli spiriti. La seconda è riferibile alla ricerca personale di qualsiasi individuo che voglia scoprire le proprie facoltà intuitive e che si accoga della presenza di un vero sciamano a cui chiedere di divenire allievo. La terza è quella riferibile alla vocazione spontanea, che segue la "chiamata" o l' "elezione" al magistero. In questo caso uno sciamano è riconosciuto come tale solo dopo aver ricevuto una doppia istruzione: 1) istruzione d'ordine estatico (sogni, trance ecc.); 2) istruzione d'ordine tradizionale (tecniche sciamaniche, nomi e funzioni degli spiriti, mitologia e genealogia del clan, linguaggio segreto ecc.). Questa doppia istruzione, impartita dagli anziani maestri sciamani, equivale ad una vera e propria iniziazione in seno alla tradizione sciamanica. Il Cuore Antico e la tradizione dei Popoli naturali Dall'esperienza di interazione tra l'individuo e la natura immateriale e mistica della Natura vissuta dallo sciamano prende corpo un evento trascendente che non si limita solamente alla sfera personale, ma coinvolge le vicende di interi popoli. Un evento di portata cosmica concepito come il "Cuore Antico" che rappresenta l'identità ancestrale che distingue e unisce tutti i Popoli naturali. Un’esperienza intima vissuta dall'individuo nei confronti della natura mistica e immateriale della Natura nel suo concetto di Vuoto, lo Shan, che diviene un’identità spirituale condivisa nella comunità, quindi trasmessa ad altri attraverso il tempo. Articoli correlati: |