Animalismo |
Torino, un nuovo lager per gli animali |
24 Dicembre 2015 | ||||||||
Sembra imminente il ritorno dello zoo in Parco Michelotti, nonostante le proteste di animalisti, ambientalisti e singoli cittadini
Non ci volevamo credere, eppure ormai sembra inevitabile. Nonostante le proteste degli animalisti e della stragrande maggioranza dei cittadini torinesi, nonostante le rassicurazioni dei rappresentanti istituzionali, pare ormai impossibile fermare questo folle progetto che riporta Torino indietro di quasi tre decenni. Ventotto anni fa infatti veniva chiuso lo zoo in Parco Michelotti, dopo innumerevoli proteste e azioni intraprese da chi si opponeva al tristissimo spettacolo di animali esotici in gabbia, strappati dai loro habitat naturali per essere collocati in una vetrina angusta e per giunta in pieno traffico cittadino. La chiusura dello zoo era stata una grande vittoria di civiltà che premiava chi per anni si era battuto per far chiudere un luogo di prigionia per esseri viventi e senzienti, una esibizione di dolore che faceva vergognare i torinesi sensibili e che di certo era diseducativa per i giovani. Questo, ventotto anni fa. Ma ora, a quasi trent’anni di distanza, torniamo indietro dal ciclo evolutivo che ci aveva fatto sperare in una città moderna e civile, protesa verso il futuro. Una città che si era distinta per essere stata la prima in Europa a proibire i botti di Capodanno che tante vittime fanno tra gli animali. Torino era stata presa ad esempio da molte altre città italiane ed europee che da allora hanno introdotto il medesimo divieto. Ma cosa è successo nel frattempo? Come mai il divieto dei botti non viene applicato anche per la festa patronale di San Giovanni? Come mai, dopo un riuscito tentativo di introdurre il circo senza animali con il magnifico spettacolo del Circo Zoppis, ora si torna al tristissimo spettacolo dei circhi con animali, e quest’anno dobbiamo vedere il tendone dell’American Circus, circo che basa i suoi spettacoli sull’umiliazione degli animali, con annesso addirittura uno zoo, per giunta con il patrocinio della Città di Torino? Come è possibile che sia stata emessa un’ordinanza dal sindaco che limita drasticamente l’alimentazione ai colombi, senza nessuna valida ragione e contro il parere della Consulta animalista?
Cos’è successo a questa città, che vanta un regolamento a tutela degli animali avanzatissimo, ma che poi non li tutela? Come è possibile che si sia creato un tale scollamento tra l’amministrazione comunale e la volontà dei cittadini? Tornando alla questione zoo in Parco Michelotti, tutto ha avuto inizio a fine 2014 quando si è appreso che il Comune aveva istituito un bando per una cosiddetta “concessione per valorizzazione” del parco, con una connotazione all’inizio molto incerta, ma che sembrava non escludere la presenza di animali vivi tenuti in cattività. Le associazioni animaliste e ambientaliste si erano subito mobilitate e per cercare di evitare una simile eventualità si erano consociate nel “Coordinamento No Zoo” prendendo delle posizioni contro un nuovo zoo a Torino e iniziando a organizzare petizioni e manifestazioni. Nel maggio 2015 il Coordinamento No Zoo a seguito della petizione ha organizzato una conferenza stampa a Palazzo Civico in cui ha illustrato le ragioni della protesta ai consilieri comunali e alla stampa. In quell’occasione SOS Gaia, associazione membro del Coordinamento, ha realizzato un servizio video con interviste ai portavoce del Coordinamento e all’assessore all’Ambiente il quale aveva dato ampie rassicurazioni sul fatto che non ci sarebbero mai più stati animali al Parco Michelotti. Affermazione ribadita pubblicamente anche in altre occasioni. Ma purtroppo pare che non sarà così. Lo scorso 14 ottobre, in Comune si è proceduto all'apertura delle buste inviate dai partecipanti al bando di gara per la “Concessione per valorizzazione” dell'area dell'ex zoo all'interno del Parco Michelotti, da cui è emerso che è stata presentata una sola offerta, quella di "Zoom", già tristemente noto per gestire il Bioparco di Cumiana (TO), dove sono detenuti animali provenienti da ogni parte del mondo, strappati al loro habitat naturale contro la loro volontà, per farne un’attrattiva turistica a scopo di lucro. Una sola offerta per un bando che sembra fatto su misura per Zoom, il quale, se il progetto, come sembra, andrà in porto, usufruirà di una concessione trentennale in cambio di una cifra di ben 60.000 euro l’anno. Facile prevedere che tutti ci guadagneranno in questo business: il Comune, che intascherà 60.000 euro ogni anno per trent’anni; Zoom che (immaginiamo) vanterà un superBioparco che fungerà da rimbalzo e lancio per quello già esistente, con proposte fantasmagoriche per i cittadini e i turisti alla modica cifra (sempre immaginando) tra i 10 e i 17 euro. A spese di chi? Ovviamente degli animali, a cui gli attori di questo business non pensano di certo. Nonostante le dichiarazioni delle istituzioni, gli animali al Parco Michelotti ci saranno eccome. Il progetto prevede un vasto campionario di animali: dalle murene gialle alle farfalle, dalle rane ai serpenti, dagli insetti ai lama, dai maialini vietnamiti alle galline, dalle caprette ai bachi da seta etc. Un progetto al cui gestore il Comune attribuirebbe il ruolo di "educatore e sensibilizzatore ambientale". Secondo il progetto presentato da Zoom, verrà realizzato “un polo permanente multidisciplinare con contenuti naturalistici ludico scientifici didattici destinati ai cittadini e ai turisti.”
Ma come può essere educativo un luogo di prigionia per gli animali? Da uno studio del medico veterinario Enrico Moriconi leggiamo: “Qualunque animale, immesso in un ambiente che non permette l'espletamento dei suoi comportamenti naturali subisce un danno e cerca di adattarsi alla nuova condizione. Lo sforzo dell'organismo è stato descritto come ‘Sindrome generale di adattamento’ che è la causa dello stress.” Secondo Moriconi “le criticità rilevate negli zoo sono ugualmente presenti nelle strutture che si stanno diffondendo e che hanno perso la dizione ‘zoo’ a favore del termine ‘parco’. Le modalità di mantenimento degli animali non differiscono sostanzialmente da quelle degli ‘zoo’ e lasciare qualche metro quadro in più non cambia la condizione degli animali”. Se davvero ci fosse l’intenzione di creare una struttura educativa e didattica per i più giovani, ci potrebbero essere mille idee per installazioni virtuali, molto più moderne e protese verso il futuro, che non prevederebbero l’utilizzo di animali vivi. Sempre Moriconi afferma che “la tecnologia odierna permette di osservare gli animali con altri mezzi e strumenti che forniscono elementi di conoscenza ben più approfonditi e reali di quella possibile nelle strutture dove gli animali vivono confinati. Complessivamente pertanto appare del tutto superata l'utilità di tali strutture e pertanto si deve operare affinché si giunga al riconoscimento della loro obsolescenza e quindi alla chiusura.” Non è sufficiente chiamare gli zoo con nomi più moderni, tipo “bioparco” o “fattoria didattica”, per far digerire ai cittadini una situazione che di fatto è una prigione per animali, incarcerati senza aver nessuna colpa. Ovviamente chi tiene agli animali non se ne sta con le mani in mano. Il Coordinamento No Zoo, formato attualmente da dodici associazioni animaliste e ambientaliste, ma seguito e supportato anche da molti privati cittadini, già dalle prime avvisaglie si è mobilitato organizzando petizioni, sia scritte che online, manifestazioni, assemblee, cortei. L’attenzione al problema sta coinvolgendo buona parte dei torinesi, come dimostra la grande partecipazione alla fiaccolata del 6 dicembre scorso nel centro di Torino in cui molte centinaia di persone si sono unite al corteo e agli slogan di protesta. Sempre in dicembre si è svolta un’assemblea pubblica in cui, davanti ad un pubblico numeroso, sono intervenuti come relatori Enrico Moriconi (veterinario ASL Torino), Marco Francone (presidente Consulta animalista), Maurizio Trombotto (presidente Commissione Ambiente Città di Torino), Ugo Mattei (docente di Diritto Civile Università di Torino), Emilio Soave (Pro Natura Torino). I relatori hanno evidenziato l’assurdità di un progetto che con la giustificazione di una presunta “riqualificazione del parco” in realtà si spiega unicamente con motivazioni esclusivamente economiche.
Se il progetto, come si teme, andrà in porto, un'area di circa 32.000 mq, in pieno centro cittadino, per trent'anni non sarà accessibile ai torinesi se non mediante un biglietto d’ingresso, un ticket che darà l’accesso a un luogo di prigionia per animali. Si teme inoltre che questa operazione possa creare un pericoloso precedente, dando il via ad altre “privatizzazione” dei parchi cittadini. Gli animalisti non hanno nessuna intenzione di arrendersi e con loro si schierano molti esponenti di diverse forze politiche oltre che moltissimi cittadini. I giochi non sono ancora conclusi, e il Coordinamento No Zoo ha già in programma una serie di manifestazioni volte a coinvolgere un numero sempre maggiore di torinesi per fermare un progetto che può generare solo sofferenza e malcontento. Per firmare la petizione online: www.change.org/p/no-zoo-a-torino Facebook: No Zoo a Torino Articoli correlati: Storia dello zoo di Torino al Parco Michelotti Gli Zoo, inutili e dannosi per gli animali Video Correlati:
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