Tradizioni Celtiche

Dentro la Coppa del Graal

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06 Luglio 2011

Andando alla ricerca delle radici mitiche dei Celti si scoprono tesori per il nostro presente


Le origini dell’umanità sono tracciate indelebilmente nel mito del Graal. Oggi conosciamo un aspetto delle antiche vicende attraverso le tradizioni dei Celti, ma le radici della loro cultura affondano in un passato ben più lontano di quanto si possa immaginare, comune a tutta l’umanità. Da questo lontano passato emergono, conservate dal druidismo, antiche conoscenze mai andate perdute. La pratica della Kemò-vad appartiene a questo prezioso bagaglio culturale e può rivelare ancora oggi il suo valore di benessere psicofisico, di libertà e di gioia di vita che nasce nella conoscenza e nel rapporto con la Natura.


Gli archeologi virtuali del Celtismo

La cultura del Celtismo si presenta affascinante per la sua storia e per le sue vicende, tanto che ha generato in ogni tempo, dalla saga medievale di Re Artù e di Mago Merlino al moderno stile fantasy, un immaginario collettivo fortemente ispirato da una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che trova origine nel mito. Un mito sorprendentemente simile a molti altri di tradizioni lontane, condiviso da popoli di altri continenti che indiscutibilmente rivelano radici comuni di un antico passato, oggi dimenticato o volutamente occultato.

Per risalire il fiume del tempo, e giungere a comprendere il significato di quell’immaginario emozionale che ci portiamo dentro sotto qualsiasi latitudine, dobbiamo valutare una serie di tappe a ritroso che rappresentano i vari livelli con cui l’antica cultura celtica può essere messa in luce. Come se ci comportassimo da archeologi virtuali che sfogliano le vestigia rimaste di una cultura che si può ritenere ancora viva, al di là dell’oblio in cui sembra essere stata relegata.

Il primo strato di questa cultura è rappresentato dal folklore ancora vivo e presente in tutta l’Europa. Tuttavia spesso questo folklore rappresenta solamente la sopravvivenza della cultura celtica come è stato concesso dalla società maggioritaria dominante.

Sembrano gioirne ormai solo quelle comunità new-age che prosperano su questo bagaglio di conoscenza antica per inventarsi costumi dalle “braghe a righe” e riti di ogni genere per far denaro e vivere romanticamente nel loro “fai da te” l’antica epopea dell’umanità.

In un secondo strato della nostra archeologia virtuale troviamo le tradizioni della cosiddetta “antica religione”, ovvero il vastissimo bagaglio di conoscenze, costumi, rimedi, riti, trasmessi in maniera diretta dai sopravvissuti alle terribili persecuzioni subìte dal druidismo per opera dell’Impero romano e successivamente del cristianesimo.

In questo secondo strato del nostro scavo virtuale troviamo i racconti di “masche” e “masconi”, streghe e stregoni, in grado di compiere atti di magia e malefici. Troviamo inspiegabili usi e costumi che portano a celebrare i morti alla festa di Ognissanti. Troviamo una miriade di indicazioni di come usare le erbe e altri rimedi per una spicciola terapeutica contadina. Ma soprattutto troviamo ogni genere di feste in costume che celebrano antichi riti per un pubblico che non è in grado di comprendere appieno i significati manifestati.

E’ difficile infatti riconoscere nei personaggi e nelle disposizioni terapeutiche i druidi-sciamani dell’epoca celtica e il bagaglio della farmacopea naturale sopravvissuta alle sistematiche persecuzioni dell’Impero romano e poi del cristianesimo.

Il folklore rappresenta un bagaglio fantasmagorico ma desolantemente vuoto che mostra conoscenze riportate e reinterpretate a seconda della cultura e della religione del luogo. Spesso il folklore risulta essere inquinato da interpretazioni che travisano il significato originale del mito, leggenda o usanza. Ne è un esempio l’interpretazione della figura della “masca”, anticamente considerata la figura della sciamana e poi diventata la “strega”, o delle leggende legate ai luoghi megalitici a cui si associa con facilità il demonio, come nel caso delle coppelle preistoriche scavate nelle pietre delle montagne.


Cattedrale di Valencia. Nella “Cappella del Graal” è conservata una antica coppa di agata e pietre preziose

A un terzo livello, scavato virtualmente, più in profondità troviamo la presenza di monumenti megalitici che apparentemente sembrano essere messi lì per caso, senza alcun significato. Attirando tuttavia l’attenzione di enti che, con molta perseveranza, provvedono nel tempo a demolirli per far passare strade oppure a recintarli con la presunta motivazione di preservarli nel tempo.

In tal modo stava per scomparire la piramide di Barnenez in Bretagna, dichiarata come fonte di materiale di cava. O come invece scomparve la grande piramide di Nizza, in Francia, alta 50 metri, cancellata per sempre pochi decenni orsono per far posto a uno svincolo autostradale.

Qui, in questo livello, troviamo reperti come il planisfero celeste del disco di Nebra o le cosiddette “barchette celtiche” che dimostrano traguardi di conoscenza scientifica mai immaginati prima della loro scoperta, o i documenti storici, riferimenti a siti megalitici e quant’altro di storicamente documentato.

Rimane per ultimo il quarto livello, il più profondo del nostro scavo virtuale, che è rappresentato dal bagaglio di miti che sono all’origine del celtismo, ma anche di tutta l’umanità.

Miti che appaiono come racconti per bambini e che danno lavoro agli esegeti storici, ma che in realtà nascondono preziose cronache di storia e di cultura le cui narrazioni sono custodite dalle comunità druidiche di tutta l’Europa, e non solo, e dalle cosidette “Famiglie celtiche” come esse stesse amano definirsi.

Sono i miti delle origini, ovvero il bagaglio spirituale dei miti riferiti alla nascita dell’universo dell’umanità. Miti che trattengono una antica sapienza e che non parlano il linguaggio storico adottato nei millenni, dove ormai è andato perduto ogni sapere per trasformarlo in trastullo culturale della società maggioritaria contemporanea.

Miti tramandati sul continente europeo dalla tradizione druidica, ma condivisi dalle tradizioni di altri popoli del pianeta.

Si può ritenere che questo livello sia il più importante, poiché è in grado di legare il lontano passato al presente, in una continuità che può portare alla luce valori mai dimenticati. E’ importante riportare alla luce le radici da cui proveniamo per dare loro un volto preciso. Senza la conoscenza delle proprie radici non si possono affrontare le problematiche del presente, che spesso sono il risultato di una realtà fittizia e non rispondente ai bisogni dell’individuo, né si può guardare al futuro che ci attende.


Il mito all’origine della Storia

La storia ordinaria che conosciamo dei Celti non è altro che lo strato storico più vicino al nostro tempo, riflesso di una antica saga, di un’era lontana, che ha origine con l’umanità.

Al di là delle vicende dei Gallo-romani e della cosidetta “cultura di Hallstatt”, la storia di quelli che conosciamo come Celti retrocede molto più indietro nel tempo. Le sue radici affondano nel lontano passato, dalla grande civiltà del Mar Nero che dopo la tracimazione del Mediterraneo diede origine alle vaste migrazioni in Europa e in Asia e al mito dei Pelasgi.

Ma possiamo andare più indietro, seguendo radici ancora più profonde, incarnate nella genesi dell’umanità, fino alla mitica “Terra di Mezzo”, Midgard, il perduto Eden dove secondo le tradizioni druidiche Odino, aiutato dalla misteriosa presenza di Loki, diede vita all’umanità.

Fino a giungere al mito del Graal, la cui storicizzazione nelle vicende di Fetonte ci rivela un passato antico e dimenticato dai popoli della Terra.

Una vicenda straordinaria che tuttavia non è andata perduta nella memoria del druidismo il quale, celatosi di fronte alla pulizia etnica dell’Impero romano e poi del cristianesimo, ha continuato a trasmettere nel tempo l’antica conoscenza dello sciamanesimo solare dell’antico Eden.

E’ così che possiamo ancora oggi venire a conoscenza della incredibile “Nah-sinnar”, la musica del Vuoto, in grado di portare i suoi ascoltatori a spontanei benefici psicofisici e a percezioni mistiche. Così come tante altre conoscenze che comunemente si potrebbero credere perdute e che rimangono solo un ricordo nel soffio delle parole di potere celebrate nelle cripte di esoteristi ingenui e sognanti.

E’ a seguito di questo percorso sulle tracce del mito che dopo decenni di incontri con l’antica comunità druidica di Paimpont, nella Foresta di Brocéliande in Bretagna, io e Rosalba Nattero siamo venuti a conoscenza dell’antica arte dello Za-Basta, ma soprattutto della pratica della Kemò-vad, la “danza nel vento” degli antichi druidi.

La Kemò-vad è parte del patrimonio più intimo della cultura celtica e rappresenta una esperienza molto importante che è stata occultata dalla storia dalle varie culture dominanti, che da sempre hanno temuto la libertà di pensiero degli individui. Cosa che invece la Kemò-vad tende ad auspicare nella sua proposta di un rapporto con la Natura e con il Mistero mistico che essa può rappresentare.

Una esperienza che arriva da lontano ma che, come abbiamo potuto constatare in prima persona, può essere ancora oggi sperimentata e recuperata per un benessere individuale e per dare un senso concreto alla propria vita.

Definire che cosa sia la Kemò-vad non è facile poiché manifesta aspetti molteplici: è una pratica ginnica, un’arte marziale dolce, una danza sacra ma è anche una meditazione dinamica.

La sua esecuzione si basa apparentemente su un principio ginnico accompagnato dalla consapevolezza della gestualità e dalla corretta respirazione. Gli effetti che si ottengono non sono quindi solamente di benessere fisiologico ma anche psicologico e si manifestano nella realizzazione della pacificazione della mente, il Said.

Ma la Kemò-vad presenta anche un ulteriore aspetto esperienziale di natura alchemica. Se non ci si accontenta del benessere psicofisico ottenuto, si può procedere infatti, attraverso successivi stati percettivi di coscienza del proprio Io consapevole, verso una esperienza di trascendenza.


Il mito del Drago e l’origine dell’umanità

Per comprendere appieno la natura dell’esperienza proposta dalla Kemò-vad ci si può rivolgere alla mitologia celtica.

L’antico druidismo conserva un mito riferito al Drago cosmico primordiale che sarebbe uscito da uno squarcio nel Vuoto, ritenuto quest’ultimo come l’essenza primordiale dell’esistenza.

Oggi potremmo paragonare l’evento al Big Bang che ha dato vita all’universo ed è nato da una contrazione inflazionaria del vuoto cosmico che fa da supporto allo stesso universo.


La Danza del Drago allo stadio Olimpico di Pechino

Come recita la leggenda, il Drago, ovvero l’universo nato da quello squarcio sul Vuoto “per prima cosa si rannicchiò su se stesso chiudendosi come l’uovo generatore, poi si alzò in piedi e si stese in tutta la sua altezza aprendo le braccia che diventarono gigantesche e possenti ali, dispiegandole in tutta la loro estensione. Lanciò il suo urlo verso il grande vuoto, tanto forte che risvegliò la vita che esso nascondeva.

Il Drago si fermò, immobile, per guardarsi intorno, muovendo solo la coda in segno di sfida e di determinazione.Il suo sguardo era terribile. Era come un immenso serpente in stato di veglia, con lo sguardo acuto dei rapaci, ipnotico e pietrificante come quello dei rettili. Guardava davanti a sé con intensità e fissità pronto a colpire, rapido e senza esitazione, ogni suo possibile nemico. Aveva l’acutezza della percezione, la costanza della vigilanza, aveva il potere di uccidere, ma aveva anche una conoscenza delle cose segrete che gli dava saggezza.

Il Drago era enorme e pieno di forza. Poteva volare nell’aria con le sue ali, poteva esplorare le inaccessibili grotte che scendevano nel cuore della Terra, poteva dimorare nelle acque e poteva eruttare il fuoco con il suo fiato. E non lo si poteva neppure guardare a lungo perché la sua figura che era di fuoco, brillante e luminosa, faceva abbassare gli sguardi.

Poi il Drago portò le braccia sui fianchi sollevandole sino a serrare le mani sul petto per trovare tutta la forza di cui poteva disporre e accennò al suo primo passo di danza.

Dal suo fiato infuocato nacquero i primi dèi. Li fece a sua somiglianza e trasfuse in loro l’amore per la vita, la forza e la conoscenza.Perché essi potessero imparare ad essere dèi e ad evocare il potere del Drago, diede loro la ruota delle saz-hat. Dal sangue degli dèi nascemmo infine noi. Da loro apprendemmo come diventare uomini e ci venne trasmesso il potere del Drago”.

Il mito del Drago cosmico è il simbolo centrale dell’esperienza della Kemò-vad e può spiegare la sua profonda natura. Esso rappresenta la forza e l’energia della Natura a cui può attingere il Kaui, il praticante di questa disciplina. Con la precisazione del passo di danza compiuto dal Drago, il mito vuole sottolineare l’azione partecipativa dell’individuo all’esistenza attraverso la sua gestualità creativa, la sua sensibilità artistica con cui si rapporta all’esistenza.

Nella sua narrazione, la leggenda porta a far intravedere la dimensione del silenzio interiore in cui l’individuo può rapportarsi al Mistero mistico immanente a tutto l’universo e la qualità di potere magico che può giungere ad assumere.

Ma questo mito manifesta anche una serie di simboli che portano a dare un contesto storico e culturale alla stessa pratica della Kemò-vad, che rivelano anche l’identità interiore, di natura iniziatica, del meditante che si rivolge alla Natura e alla Tradizione.

Un simbolismo ripreso anche, molto più tardi, dal mondo mediterraneo con il mito di Eurinome, la Dea nata anch’essa da uno squarcio sul nulla che per dare un senso alla sua esistenza prese a danzare nel vento interpretando, con la sua naturale creatività di essere vivente e consapevole della propria esistenza, il mistero della sua presenza.

La mitologia ellenica narra come alla danza di Eurinome si unì il serpente Ofione che condivise con lei per un certo periodo di tempo la sede dell’Olimpo per poi trovare dimora nelle caverne sotterranee della Terra. Dai denti di questo serpente nacque la prima umanità.


La “Caduta di Fetonte” in un dipinto di Rubens

Il mito era importante per gli antichi Celti. Attraverso la sua narrazione si fissavano nella memoria delle generazioni antichi eventi e li si poteva celebrare nella loro sacralità per ciò che hanno rappresentato per la storia dell’umanità.

Il mito del Graal riveste un importante ruolo nella cultura e nella spiritualità degli antichi Celti. In esso si identificano le vicende che hanno dato una significativa svolta storica al nostro pianeta e rappresentano l’origine dell’umanità.


Il mito di Fetonte e la Kemò-vad

Le origini storiche della Kemò-vad fanno specificatamente riferimento al mito del Graal.

Il mito parla di una conoscenza giunta da oltre i confini del cielo sotto forma di una gemma verde che, trasformata in coppa, venne elargita all’umanità in tempi remoti.

La stessa parola Graal può essere rivelatrice se si valuta il suo acronimo che ribadisce questo evento, ovvero: Gnosis Recepita ab Antiqua Luce, “conoscenza ricevuta da una antica Luce”.

Il mito del Graal è stato storicizzato in seguito con la leggenda di Fetonte, riportata dalla tradizione druidica europea e delle Famiglie celtiche del Piemonte, che ha consentito di sviluppare una cronaca più precisa dell’antico evento, sebbene sempre ancora ammantato di simbolismi e di segreti iniziatici.

Il mito di Fetonte può essere associato ad altri miti che riportano in definitiva lo stesso antico evento, come ad esempio quello degli Elohim biblici oppure di Njambé, il dio civilizzatore africano.

Secondo la narrazione della tradizione druidica, quello che viene identificato nella figura di Fetonte rappresenta un Dio che, al di là della narrazione di Ovidio, discese dal cielo sul proprio carro celeste completamente d’oro. Giunto nella Valle di Susa, ad ovest della attuale città di Torino, il Dio si fece costruire dai suoi due aiutanti di metallo dorato un grande cromlech, un cerchio di pietre erette, dentro al quale prese ad insegnare all’umanità del tempo le arti della terra, del cielo e dell’alchimia dell’interiore.

Una umanità di quel tempo che ci assomigliava ben poco, essendo costituita, secondo la tradizione druidica, da creature dall’aspetto sauroide ricoperte di variopinti piumaggi.

Stando alla narrazione druidica, Fetonte organizzò i suoi allievi, gli Ard-rì, nello Za-basta, un ordine iniziatico di natura monastico-guerriero, suddividendolo in due competenze: una parte destinata alle arti marziali vere e proprie rivolte al combattimento di difesa, e una parte destinata alla preparazione individuale, la Kemò-vad. Quest’ultima con il compito di praticare il combattimento più terribile che l’individuo poteva affrontare, ovvero contro se stesso, contro l’interferenza della propria mente e del proprio egocentrismo.


Il Libro della Natura degli antichi druidi

Nel tempo, la Kemò-vad ha assunto una particolare importanza come forma di meditazione dinamica ed è giunta a noi come strumento di benessere individuale.

Ma la Kemò-vad non è solo una pratica ginnica a se stante. Rappresenta e rivela anche una dimensione di vita che nasce dal riferimento alla Natura. Esperienza che diventa inevitabilmente spontanea per chi la pratica e si trova a rapportarsi e a vivere l’armonia della Natura.

Evento che può divenire essenziale anche per dare stabilità ai benefici ottenuti dalla stessa esperienza della Kemò-vad poiché solo nei principi della Natura si possono trovare parametri pragmatici di vita che sostengono l’esperienza realizzata.

Occorre precisare che per il druidismo, la Natura non era intesa solo come la manifestazione poetica dei boschi, del cielo e delle acque, ma anche dal suo aspetto invisibile e mistico dove si rendeva manifesto il Mistero immanente a tutte le cose che porta ad una ricerca spirituale sul senso dell’esistenza umana e alla ricerca di una Causa Prima. Una qualità immateriale di esistenza che veniva concepita nel concetto cosmologico dello Shan di cui si intravedeva solo una percezione parziale, l’immediato quotidiano, attraverso la limitazione dei sensi.

Il druidismo esprimeva la sua filosofia in maniera semplice e immediata che nasceva dal suo rapporto pragmatico con la Natura e la manifestava attraverso il preciso postulato del Tai Shan, il Libro della Natura. Un libro di natura archetipale basato sull’esperienza diretta dei fenomeni e della qualità fenomenica dello Shan che non risultava quindi come il prodotto di una qualche ideologia, ma era basato sull'esperienza osservativa della Natura.

Un testo, trasmesso, secondo la consuetudine della cultura druidica, in forma orale perché rimanesse impresso nel cuore e nelle azioni.


Kemò-vad, la danza del vento degli antichi druidi, tra i menhir della Bretagna

Il Tai Shan era incentrato sul concetto di esistenza dello Shan inteso come una qualità invisibile e mistica dell'esistenza, paragonabile ad una identità di Vuoto, ovvero una dimensione priva di concetti descrittivi e accessibile alla sola esperienza diretta dell’individuo.

Una qualità di esistenza considerata fonte di armonia e conoscenza, occasione di benessere per l’individuo, a cui era possibile accedere entrando in sintonia con la sua natura.

Una natura percepibile e accessibile nel Silenzio interiore vissuto nella meditazione, ovvero la Kemò-vad vista come meditazione dinamica e creativa.

Nel simbolismo della Kemò-vad, danzare nel vento diviene pertanto il modo simbolico di entrare in sintonia con la natura invisibile dello Shan. Invisibile come il vento che ci avvolge e che, per quanto non lo si possa vedere e descrivere, ci coinvolge con la sua forza e il suo messaggio di vita.

Un simbolismo che invita l’individuo a divenire parte della Natura. Per divenire vento nel vento dei vortici cosmici dell’universo, assumendo la trasparenza del silenzio, entrando in sintonia con l’armonia del tutto.

Oggi attraverso la pratica della Kemò-vad si può stabilire una continuità tra le antiche radici della storia dell’umanità e l’epoca moderna, sperimentando direttamente la conoscenza di una esperienza ancestrale che non è mai andata perduta e che può contribuire a realizzare un effettivo rapporto con la Natura. Una Natura che rappresenta il senso mistico dell’esistenza dell’individuo e di tutto l’universo, vissuta dentro un Mistero inteso come il vero senso delle cose, che può portare al benessere e alla gioia di vita basata sulla conoscenza acquisita per esperienza personale. Una conoscenza che non può essere appresa attraverso la lettura di testi filosofici o sulla parola dei tanti “maitres à penser” che si possono incontrare. Ma che può essere realizzata, al di fuori di qualsiasi ipoteca ideologica, da ciascun individuo nella più completa libertà interiore.

Così come ci viene tramandato dal Libro della Natura dell’antica Tradizione.

 

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