Tradizioni Celtiche |
Il Libro d'oro dei Druidi di Rama |
11 Settembre 2014 | ||||||||||||||||||
La conoscenza degli antichi è stata affidata alle pagine incorruttibili di libri d'oro. Il caso del libro d'oro della città di Rama, fonte di moltissime leggende del mondo mitico dei Nativi europei
I libri di metallo della storia I popoli antichi del mondo storico conosciuto, a seconda delle regioni del pianeta, usavano scrivere ordinariamente su corteccia d'albero, su foglie pressate di papiro oppure su pergamena. Nell'evoluzione culturale dell'Impero romano, per prendere appunti e per i messaggi brevi, si giunse all'uso dei "pugillares", tavolette di legno antesignane dei moderni "iPad", che recavano su un lato uno strato di cera sul quale veniva inciso il testo con una sorta di punteruolo. Tuttavia presso tutti i popoli antichi, nel caso si trattasse di testi di particolare interesse venivano utilizzate le superfici di lastre di pietra che potevano consentire di sfidare il tempo e resistere alla possibilità della loro lettura attraverso le generazioni. Ma accadeva anche che venissero usati supporti di metallo per i testi più prolissi, che per il numero delle loro pagine divenivano come veri e propri libri e che per la loro importanza se ne voleva assicurare la sopravvivenza nei secoli. All'epoca erano comuni materiali come il piombo e il rame, ma quello considerato più idoneo allo scopo era l'oro, del resto considerato incorruttibile all'azione degli agenti atmosferici e facile da incidere.
Non mancano esempi di lamine dorate incise in greco arcaico che ci pervengono dalla cultura ellenica come pagine frammentate. Si dice che le prime stesure delle opere di Esiodo fossero state scritte su lamine d'oro. Abbiamo comunque un esempio ben documentato di testi scritti su lamine d'oro rappresentato dalle tre lamine d'oro di Pyrgi. Tre lamine rinvenute negli anni '60 nel sito archeologico etrusco di uno dei porti dell'antica Cerveteri, in Italia. Le lamine, ciascuna alta circa 20 cm e risalenti al VI secolo a.C., contengono in lingua fenicia e in lingua etrusca la testimonianza della consacrazione di un tempio dedicato alla dea fenicia Astarte. Ma prima del mondo classico conosciuto la sapienza degli antichi popoli era già stata consacrata a libri costituiti da pagine in lamine d'oro. Il più antico che si possa ricordare è quello del cosiddetto "Libro di Thoth" che, secondo il mito, venne inciso dall'omonimo dio egizio per trasmettere la sua conoscenza celeste agli umani su ventidue lamine d'oro. Lamine da cui vennero ricavate in seguito, attraverso la riproduzione di disegni simbolici, le cosiddette "lamine" dei Tarocchi utilizzate nel nostro tempo sia per la divinazione che per l'interpretazione esoterica di una antica conoscenza considerata di origine pre-diluviana. Inevitabilmente, questa divinità del mondo dell'Antico Egitto riecheggia nel mito di Fetonte. Entrambi considerati detentori di una grande conoscenza cosmica e figure civilizzatrici del pianeta. Entrambi identificabili nel mito del Graal, quella conoscenza arcaica che sarebbe giunta dal cielo all'alba della storia umana. Sempre ancora in simbiosi, edificarono una "palestra" ovvero una scuola iniziatica per i loro allievi in cui insegnarono la pratica della danza per far esercitare le loro proprietà interiori. Nella cultura dell'antico sciamanesimo druidico dei Nativi europei, rimasto intatto e vitale nella sua continuità storica all'interno della Foresta bretone di Brocéliande, questa metodologia di meditazione dinamica è rimasta viva e conosciuta con il nome di “Kemò-vad", ovvero l'arte di "danzare nel vento per divenire vento nel vento", imitando simbolicamente l'invisibilità dell'aria, propria della qualità reale della Natura.
Ulteriori esempi di libri di metallo sono stati ritrovati in una grotta situata in una zona remota della Giordania, dove dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 d.C. si ripararono i profughi cristiani sopravvissuti. I libri, in settanta esemplari, sono costituiti da lamine di piombo e sarebbero stati casualmente scoperti da un beduino che li cedette allo studioso inglese David Elkington, esperto di storia antica e di archeologia religiosa. Questi, dopo aver esaminato il contenuto dei libri, ha affermato che potrebbero rappresentare il più importante ritrovamento della storia cristiana e che sarebbero appartenuti ai primi santi della Chiesa. Una scoperta che risulta tuttavia controversa tra i vari archeologi poiché c'è chi sostiene che questi libri sono dei falsi. A vederli, sono numerosi e di struttura piuttosto complessa, pertanto necessiterebbe molto coraggio per falsificarli. Viene più da pensare che la loro scoperta potrebbe intaccare credenze e certezze storiche del cristianesimo e quindi che venga temuto il loro contenuto, come è accaduto per i Rotoli del Mar Morto di cui non si è mai avuta una reale e fedele traduzione in merito alla setta degli "esseni" alla figura del Cristo. In ogni caso c'è da ricordare che nell'Apocalisse viene detto che vi sono testi segreti della storia umana che sono ancora da aprire e da leggere e che solo il Messia alla sua venuta potrà aprirli e comunicare al mondo il loro contenuto. Un altro libro di metallo, questa volta costituito da lamine d'oro, che ha raccolto molte posizioni controverse da parte di esperti storici e di archeologi è quello che oggi si trova alla base della fede mormone. Le sue origini sono particolari e ricordano per certi versi la mitologia legata al mito di Fetonte e a quello del dio egizio Thoth, venuti dal cielo per elargire la loro conoscenza.
In questo caso il libro sarebbe stato donato da una creatura discesa dal cielo, identificata poi come un angelo, a Joseph Smith, il futuro fondatore del movimento mormone. La creatura celeste, che si dichiarò con il nome di Moroni, gli consegnò un libro costituito interamente da lamine d'oro incise in un antico idioma pre-egizio che potè essere tradotto grazie all'aiuto di esperti del tempo. Il testo narrava di una antica civiltà esistente sulla Terra oggi scomparsa, di cui non si hanno più tracce storiche, dando un resoconto di varie peripezie storiche e individuali. Come già è accaduto per il caso della "Pietra Nera", caduta anch'essa dal cielo con il suo bagaglio di conoscenza, e custodita nel santuario arabo della Mecca, il libro d'oro di Moroni divenne il centro focale della particolare filosofia e del culto della comunità mormone. Il libro d'oro dei druidi dell'antica città di Rama Nel lavoro di ricerca sul mito di Fetonte e sulla città megalitica di Rama si affaccia un altro di questi particolari libri di metallo destinati a sfidare il tempo per attraversare le peripezie storiche di migliaia di generazioni. Innanzitutto occorre premettere che la città di Rama non appartiene più al mito, allorché nel 2007 venne reperita in Val di Susa una parte delle sue possenti mura ancora oggi intatte a fronte dell'incuria del tempo e delle catastrofi ambientali che hanno portato al declino di quella città. E non sembra essere un mito neppure quello riguardante Fetonte, ma piuttosto un racconto allegorico che cela un preciso evento storico. Secondo la storia narrata dalle "Comunità celtiche" e dai Druidi del Nord del Piemonte, il dio disceso dal cielo, prima di congedarsi dagli uomini del tempo, avrebbe donato una grande ruota d'oro forata, del diametro di circa due metri e dallo spessore di circa dodici centimetri, che conteneva tutta la sua conoscenza. Un inusitato libro d'oro che sembra sia stato venerato su tutto il pianeta, considerando come la ruota forata sia presente, oltre che in quantità notevoli in Val di Susa, anche sui vari continenti, dall'Asia all'Africa e dall'Australia alle Americhe.
Ma, oltre a questo, si può citare anche un altro libro di metallo legato al mito di Fetonte e alla città megalitica di Rama. Dopo l'era mitica legata alla presenza di Fetonte sulla Terra, la città di Rama, ormai caduta in rovina a seguito di disastrosi eventi naturali, venne raggiunta intorno al 4000 a.C. dai Pelasgi che la ricostruirono parzialmente nello stesso stile architettonico di cui hanno lasciato traccia nelle grandi fortificazioni del Circeo nel Lazio. Un evento ricordato anche dalle leggende popolari del Piemonte dell'Ottocento che riportano come dall'Asia giunse una popolazione di uomini dalla pelle scura che si impossessò delle vestigia della città di Rama per carpire antichi segreti. In realtà i Pelasgi stavano cercando una terra in cui poter trovare una nuova patria dopo la catastrofe ricordata come il "diluvio di Decaulione", che aveva allagato con la tracimazione del Mar Mediterraneo l'intero bacino della terra nera fertile dell'attuale Mar Nero. Nel loro intento di ricostruire le antiche vestigia avevano raccolto dai druidi valligiani, custodi delle tradizioni di Rama, tutta la loro memoria storica e pensarono di custodirla in un libro costituito da lamine di metallo dorato. Da questo libro redatto dagli antichi Pelasgi rinvenuto casualmente in tempi recenti escono tutti i miti che sono serviti per strutturare la ricerca poi esposta nel libro "La mitica città di Rama", scritto dall'autore e da Rosalba Nattero. Leggende poetiche e significative come ad esempio la "Leggenda del cerchio" e la "Leggenda del Drago", quest'ultima alla base della mistica e della pratica della Kemò-vad.
Il modo in cui si è giunti al Libro d'oro di Rama è singolare e puramente occasionale, sebbene significativo nei particolari della vicenda. La Valle di Susa è stata da sempre oggetto di attento studio da parte di ricercatori e di scopritori di tesori dell'antichità. Purtroppo, molte volte gli organi ufficiali hanno compiuto azioni che hanno portato alla distruzione di elementi archeologici preziosissimi, come è accaduto con la scomparsa nel 2013 di un antico insediamento a Chiomonte a seguito del pretesto di installare strutture ferroviarie. E senza contare lo smantellamento sistematico di monumenti megalitici avvenuto ad opera di "ignoti". Assieme al compianto archeologo Mario Salomone, negli anni '70 attuammo moltissime esplorazioni in tutta la Valle di Susa, giungendo alla scoperta di "ripari sotto roccia" e alla serie dei famosi "mascheroni" definiti di "fattura tolteca" rinvenuti nei pressi della cittadina valligiana di Villarfocchiardo.
I contadini della Valle, anch'essi curiosi sulla storia della loro terra e raccoglitori dei reperti antichi rinvenuti occasionalmente nei loro campi durante le arature, sono sempre stati gelosi custodi delle loro conoscenze e diffidando degli enti ufficiali e dei "ricercatori della domenica" sono sempre stati riservati sui loro segreti, rilasciando tutt’al più all'occorrenza indicazioni sempre fuorvianti. Tuttavia i contadini della Valle, divenuti fiduciosi della nostra integrità di ricercatori, non lesinarono mai nel mostrarci le loro scoperte che non erano assolutamente attribuibili ai Celti pre-romani né tantomeno all'Impero romano. Oggetti che gli enti ufficiali dell'epoca non presero mai in vera considerazione. Fu così che un giorno dei primi di ottobre del '74 due contadini della Valle di Susa portarono a vedere a Salomone un cofanetto di pietra. Gli dissero di averlo trovato casualmente in una delle stanze sotterranee del complesso megalitico della città di Rama che di tanto in tanto esploravano alla ricerca di possibili tesori. Approfondendo in seguito la conoscenza di queste due persone compresi che era stato un aiuto giunto da parte delle Famiglie Celtiche della zona valligiana per darci un supporto concreto su cui lavorare nella nostra ricerca sulla città di Rama e sul mito di Fetonte. In quell'occasione, Salomone mi convocò immediatamente nel suo studio per esaminare i reperti. Il cofanetto era in pietra grigia scura a forma di parallelepipedo con un coperchio che si apriva su uno dei lati più lunghi lasciando intravedere una serie di lamine di metallo rettangolari che i contadini definirono come un libro dalle pagine d’oro.
Le lamine sembravano essere effettivamente d’oro, però inscurito e dai riflessi vagamente verdastri. Erano tutte incise su ambo i lati con caratteri delicatamente impressi. Le lamine, che al conteggio risultavano essere sessantasei, erano impilate dentro al cofanetto in pietra e recavano quattro fori sul lato più lungo dentro ai quali passavano dei cordoni di tessuto arrotolato beige unito a sottili fili di metallo dorato. Le lamine, di circa 18 per 24 centimetri, risultavano lisce al tatto con fini arrotondamenti sui loro bordi e il loro spessore, misurato con un righello, risultava di circa quattro-cinque millimetri. Salomone propose ai due contadini di trattenere il tutto per qualche giorno ma questi rifiutarono con fermezza. Ci permisero tuttavia di ricavare dei calchi usando il metodo del ricalco, o "frottage", ottenuto ponendo della carta leggera su ciascuna delle lamine e strofinando sui caratteri incuneati la punta morbida di una matita. Il delicato lavoro di “copiatura” ci prese tutto un giorno e una notte, ma alla fine avevamo la copia fedele e numerata di tutte le pagine del misterioso libro d'oro di Rama. Esaminando più tardi le iscrizioni rilevate, non avendo idea di che lingua si trattasse, pensammo di trovarci di fronte alla scrittura di qualche antica civiltà perduta che aveva edificato la città di Rama. Ma Salomone riconobbe che i caratteri sembravano essere in greco antico. Nella settimana successiva, portò una copia fotografica dei fogli ad un esperto di linguistica di Torino per fargli tradurre qualcosa che ci illuminasse sul contenuto delle lamine. Ma questi si dichiarò incapace di fare una vera traduzione essendo il testo scritto in un greco piuttosto arcaico e indicando un suo conoscente, che abitava a Saint-André-de-la-Roche in Francia, anche lui esperto linguista che avrebbe potuto tradurre compiutamente il contenuto delle lamine.
La traduzione richiese parecchi mesi, ma alla fine, uno dopo l'altro, uscirono tesori inattesi costituiti da leggende, conoscenze storiche, trattati sciamanici dell'antico druidismo, e molto altro. Il libro d'oro era una sorta di enciclopedia, una raccolta sistematica di varie leggende e di cronache di eventi storici riguardanti la città di Rama e il mito di Fetonte. Documentazione che nel suo insieme narrativo risultava di poco dissimile da quella conservata ancora nel nostro tempo dalle Famiglie Celtiche e dalle comunità druidiche del Piemonte. Materiale che più tardi, insieme a Rosalba Nattero, utilizzammo per scrivere il libro "Rama Vive" e il successivo "La mitica città di Rama", con l'intenzione di riportare alla luce l'antica cultura dei Nativi europei dimenticata, forse volutamente, dalla storia ufficiale. La traduzione del Libro d'oro continua Ma la traduzione dell' "enciclopedia" di conoscenze e di miti che è custodita nel Libro d'oro della città di Rama non è ancora terminata. Poco tempo fa, dopo aver recuperato il contatto con il traduttore francese trovato da Salomone, che oggi risiede a Mentone in Francia, ormai anziano e senza aver più la voglia di impegnarsi nelle difficoltose traduzioni dal greco arcaico, ci ha consegnato le pagine che aveva in custodia e ci ha indicato un suo allievo in grado di tradurre il testo, che oggi dimora a Ginevra in Svizzera. Concordemente con Rosalba abbiamo depositato i disegni originali in una cassetta di sicurezza di una banca di Mentone portando con noi le relative fotocopie in Svizzera. Abbiamo preferito fare in questo modo poiché più volte siamo stati soggetti a furti di documenti e non potevamo permetterci di perdere una così preziosa documentazione. Qui, le abbiamo consegnate al traduttore che a sua volta, sull'onda delle nostre preoccupazioni, le ha depositate in una cassetta di sicurezza di una banca di Ginevra.
Sembrerebbe tutto quasi preordinato dal fato. Ora questo libro, nella sua veste originale, giace custodito dai cuori puri dei contadini-druidi della Valle che sicuramente lo serberanno gelosamente assieme agli altri loro millenari segreti. D’altro canto una parte di sé ora giace nella libera terra di Francia, dove i valori del celtismo non sono esecrati come paganesimo da distruggere in nome della fede e dell'accademismo universitario legato alla romanità italica. Un'altra parte di sé si trova ad essere custodita nell'altrettanto libera terra elvetica di Ginevra, città di origine celtica e depositaria di antichi segreti, rifugio dei perseguitati delle libertà di ogni nazione e custode di numerosi reperti storici dei Nativi europei. Non dimenticherò mai l'emozione della prima volta che lessi sul monumento ginevrino dedicato alla "Riforma" il motto druidico ripreso da Calvino: "POST TENEBRA LUX", ovvero "Dopo le Tenebre La Luce". Motto e simbolo ripreso dalla Scuola di Kemò-vad Sole Nero. Il Sole Nero, per l'appunto. Quello che si mostra durante un’eclisse e che per quanto spaventosa questa possa apparire, non potrà mai cancellare per sempre l'inevitabile riapparire della luce del Sole. E questa Scuola rappresenta oggi il mezzo culturale con cui si divulgano le antiche conoscenze relative al mito di Fetonte e di Thoth. Nella speranza che, presto, avremo altre cose da far conoscere a quanti sono interessati ad apprendere circa le vere radici storiche del controverso mondo attuale. |