|
Alba, la “città dalle cento torri”
|
Un itinerario alla scoperta di una delle terre più magiche del Piemonte
di Danilo Tacchino
Accesso: punto di partenza del nostro itinerario è la città di Alba, raggiungibile da Torino con la strada regionale 29 del Colle di Cadibona o da Alessandria ed Asti per mezzo dell’autostrada A21 Torino-Piacenza, uscendo al casello di Asti est e percorrendo il tratto della strada regionale 231 Asti-Alba-Cuneo.
Nell’itinerario proposto visiteremo i luoghi fortificati di Alba, Barbaresco, Neive, Mango, Sinio, Roddino, Serralunga, Fontanafredda, Castiglione Falletto, Monforte, Perno, Monchiero, Novello, Barolo, La Morra, Verduno, Roddi e Grinzane Cavour. L’itinerario si chiude con il ritorno alla città di Alba, la piccola capitale delle Langhe.
Alba, la “città dalle cento torri”, è il fulcro della zona del tartufo e del vino di Langa. Accanto alle attrattive alimentari vi sono numerose evidenze storiche e artistiche, che risalgono all’epoca romana e medievale. Il centro storico, pur conservando molte testimonianze di quella che era l’antica Alba Pompeia, oggi mantiene prevalentemente l’aspetto medievale evidenziato dalle numerose torri che attirano l’attenzione del visitatore. Delle leggendarie cento torri ne sono rimaste solo più una ventina, come la torre Sineo in piazza Duomo, la Bonino in via Vittorio Emanuele, la Astesano e la Paruzza nei pressi di via Cavour e le due torri signorili delle case Porta e Dacomo. Molte non sono più visibili perché sono state incorporate nei palazzi e abbassate a livello dei tetti. La piazza centrale della città, dove svetta l’imponente duomo in stile gotico è il fulcro della vita religiosa e sociale albese. Qui si svolgono le più importanti manifestazioni legate alla tradizione e al folclore della città, come la "Pantalera storica in costume" e il "Festival della Bandiera", che vengono replicate ogni anno nel mese di ottobre. Come tutte le città medievali anche Alba possedeva delle forti e poderose mura, con il loro profilo merlato interrotto a tratti regolari da torri e bastioni. Le mura rappresentavano un efficace sistema di difesa. Erano costruite su un basamento che superava i due metri e cinquanta centimetri in spessore, erano munite di contrafforti e torrioni ed erano circondate da un fossato.
|
Mappa dei Castelli delle langhe
|
Le porte della città corrispondevano alle principali vie d'accesso: a nord Porta Tanaro o Porta del Ponte, a sud Porta San Martino, a est Porta del Soccorso o Porta Cherasca, a sud est Porta San Biagio, a ovest Porta Castello. Ogni porta aveva una o due torri per il corpo di guardia e per i funzionari del comune addetti a riscuotere i pedaggi.
Anche Alba possedeva il suo castello. Sembra che sia esistita sin dal 1200 una fortificazione che subì parecchie modifiche nel tempo. Da un documento del 1494 si fa riferimento al castello, che doveva ergersi nell’angolo sud ovest della città, dove ora sorge l’ospedale costruito sulle vecchie fondamenta, sino a giungere alla porta di San Martino. Non vi sono purtroppo altre notizie e documenti che chiariscano le cause della sua scomparsa.
Alba è una città ricca di monumenti e luoghi storici di notevole interesse. Citiamo più significativi.
La piazza del duomo, che è il cuore storico della città pittoresca, vi troviamo portichetti bassi e vecchi caffè dell'epoca romantica. Il Palazzo del Comune, dove un tempo pendeva il "Libro della Catena", pubblico repertorio di leggi e decreti che iniziava con gli statuti del 1224. La sua aula consiliare è ricca di notevoli dipinti. L’imponente cattedrale di San Lorenzo, del secolo XII, ma ricostruita completamente nel 1486 e rimaneggiata in diverse epoche. La chiesa di San Domenico la troviamo nei presi del duomo, in stile gotico primitivo, costruita alla la fine del XIII secolo: contiene al suo interno un pregevole sarcofago rinascimentale del 1491.
Fra gli edifici civili ricordiamo: la Casa Fontana (XV secolo) il palazzo Degiacomi, dove nell'atrio si trova un bassorilievo del XVI secolo rappresentante San Giorgio; il palazzo dei conti Belli, altra costruzione medievale con decorazione esterna in cotto; il palazzo Serralunga e, infine, una casa quattrocentesca con tre ordini di archetti a ogiva. Da Alba, andando verso nord ovest con la strada provinciale n. 3 raggiungiamo il paese di Barbaresco. È un villaggio reso famoso dall’omonimo vino che qui si produce: le origini del suo nome sono controverse. C’è chi le fa risalire al romano Barbarica Sylva, cioè selva dei barbari, mentre altri fanno invece risalire il nome del paese ai Saraceni o Barbareschi, che nel 900 d. C. invasero le Langhe giungendo a saccheggiare Alba. Il castello è originario dell’XI secolo, come ci attestano i documenti dell’epoca.
|
Una manifestazione medievale ad Alba
|
L’attuale fabbricato non ci consente di sapere quali fossero le caratteristiche e le dimensioni del complesso originario, che appartenne dapprima ai Marchesi di Monferrato, quindi all’abate di Fruttuaria Guglielmo, in seguito ad una donazione confermata nel 1014 dall'imperatore Enrico II. Nel 1100 passò ai signori di Barbaresco, un ramo dei Manzano, che poi lo cedettero, con annessi diritti su fabbricato e territorio circostante, al comune di Asti; altri quattro membri della famiglia lo vendettero segretamente ad Alba nel 1204, scatenando una controversia tra i due comuni, risolta poi con la rinuncia di Alba al possesso (1276).
Nel 1631 il castello passò ai Savoia, pervenuto come possedimento legato al trattato di Cherasco. Fu dunque sottoposto ad una pesante opera di ristrutturazione che lo trasformò in una residenza. Se si escludono alcuni rari elementi decorativi come le due piccole torrette laterali, il castello ora si presenta come una costruzione usata interamente per un uso civile, che ha quasi del tutto perso ogni valenza connessa al modello tradizionale di castello medievale.
A picco sul Tanaro sorge la vecchia torre usata per le segnalazioni, di pianta quadrata, alta 36 metri. Aveva anticamente il tetto, che venne tolto nel 1821 per l'arrivo in zona del re Vittorio Emanuele I e della regina Maria Teresa: il comune decise infatti di far accendere sulla sommità della torre un grande falò in segno di tripudio per la visita.
Da Barbaresco, sempre seguendo la strada provinciale, proseguiamo in direzione di Neive. Il maggior centro della valle Tinella sorge su un poggio ridente, a dodici chilometri da Alba. È un comune molto antico, come attestano i numerosi ritrovamenti romani. Dell'antico castello, distrutto nel 1274, non rimane che una torre adibita a campanile. L’edificio originario fu costruito nell’XI secolo dai signori di Manzano, alleati di Alba. Nelle lotte con Asti, in una tremenda battaglia di rivincita degli astigiani per lavare l’onta di una sconfitta inflittagli da Filippo di Lagonessa comandante degli albesi, il castello di Neive venne completamente distrutto lasciando superstite, solo la torre. Ciò che rimase venne poi infeudato con titolo comitale ai principi Dal Pozzo della Cisterna. Ci dirigiamo quindi a Mango, un paese situato a sud di Neive, fondato dagli astigiani dopo il 1000. L’attuale castello risale al 1630 e fu voluto dai marchesi di Busca conti di Neviglie e di Cossano. Fu costruito sulle rovine di una torre fortificata per difesa e avvistamento, databile attorno al 1280. Si presenta come costruzione massiccia, con rientranze e sporgenze ad andamento regolare formate dalle pareti sulle quattro facciate, che possono essere considerate l’unico ornamento architettonico.
|
Il Castello di Barbaresco
|
Dalla tipologia della costruzione, la funzione è chiaramente di residenza nobiliare, seppur sembra che la realizzazione abbia seguito il modello tipico del castello rinascimentale, con quattro torri laterali ed una scarpatura molto pronunciata.
Da Mango, passando per Benevello in direzione sud ovest, troviamo Arguello, sede di un antico castello, ormai scomparso. Risaliamo verso Albaretto della Torre, a nord ovest, e raggiungiamo Sinio. Sinio è costituito da un gruppo di case raccolte intorno alla chiesa parrocchiale e ai resti del castello medievale, già dei marchesi Del Carretto di Monforte e poi dei conti Vassallo di Castiglione. Fu fatto costruire nel 1448 da Franceschino Del Carretto, sui resti di un’antica torre. Rimase a questa famiglia per due secoli, poi passò ai Falletti che lo vendettero quando mancarono i fondi per avviarne gli interventi di restauro. Oggi possiede una bella facciata impreziosita da graziose bifore. Sopra al portale d’ingresso si riesce ancora a vedere un affresco, il pregiato trittico raffigurante la madonna con il Bambino e Santi.
Da Sinio, ridiscendiamo verso nord, sulla strada che porta a San Lorenzo e raggiungiamo Roddino dove vi era un castello, di cui oggi non esiste più alcuna traccia. La sua esistenza era legata al feudo, fino al 1588 fu territorio dei marchesi di Saluzzo. Poi il duca Carlo Emanuele I se ne impossessò, infeudando a suo nome il vassallo Antonio Saluzzo della Manta. La stirpe di questo feudatario mantenne il territorio sino al 1740. Risalendo verso nord raggiungiamo l’importante centro di Serralunga d’Alba. Il suo inconfondibile castello, che si evidenzia anche in lontananza per le sue tre alte torri chiamate localmente “i tre ciochè”, è uno dei più importanti castelli della Langa e del Piemonte Fu costruito in laterizio da Pierino e Goffredo Falletti, tra il 1340 e 1357, ed è giunto fino a noi mantenendo sostanzialmente inalterata la sua struttura primitiva a pianta rettangolare. Prima della costruzione dell’edificio esisteva nel luogo una torre fortificata costruita dai discendenti di Bonifacio del Vasto, demolita nel 1340 per far spazio alla nuova realizzazione.
|
La Tenuta di Fontanafredda
|
L’edificio sovrasta le case del paese e da lontano colpisce immediatamente per la sua slanciata architettura che comunica solidità e sicurezza. Vi si sale dalla parte bassa del paese attraverso una porta tagliata nella cinta muraria, in parte ancora esistente. La struttura è palesemente quella di una massiccia fortezza medievale, quasi priva di aperture. Al pianterreno della torre quadrata sono inesistenti, e al primo piano ve ne sono solamente due. Al secondo piano troviamo tre bifore, in corrispondenza dell’alloggio del feudatario. La principale porta d’ingresso è difesa da una saracinesca azionata da un verricello, che si chiudeva quando avveniva l’innalzamento del ponte levatoio. Del fossato del castello ora non vi è più traccia, è stato riempito nel XVI secolo per fare spazio ad un magazzino a due piani utilizzato per lo stoccaggio dei raccolti che i contadini consegnavano periodicamente al feudatario.
Nella torre rotonda d'angolo troviamo una scala a chiocciola che mette in comunicazione tre sale sovrapposte, che sono strutturalmente gli unici locali dell'edificio. Al loro interno spiccano alcuni grandi camini. Sono degne di nota la torretta pensile, di stile francese, e la torre quadrata, che si trova nello spigolo opposto a quella circolare, collegata al corpo centrale da una lunga cortina muraria. Il castello possedeva anche un passaggio segreto, che ora non è più accessibile perché nel corso dei secoli ha subito frane e smottamenti. Il suo ingresso si trovava alla base della torre cilindrica e portava all’esterno.
Scendendo verso il fondovalle, verso la frazione di Sorano, incontriamo la tenuta di Fontanafredda, che fu una delle case di caccia del re Vittorio Emanuele II, ora riconvertita in grande azienda enologica. All'epoca dei soggiorni del re vi era un semplice padiglione che sorgeva in una radura al centro di un fitto bosco. Più tardi, nel decennio 1878-88, il figlio del re e della moglie morganatica Rosa Vercellana, il conte Emanuele di Mirafiori e di Fontanafredda, decise di disboscare e ripulire i terreni provvedendo alla piantagione dei vigneti ed alla costruzione di grandi fabbricati per la vinificazione. La tenuta è ora una moderna azienda coltivata a vigneto, che si estende su oltre 100 ettari tra i comuni di Serralunga, Diano e Barolo. Più di 70 ettari sono coltivati a vigneto specializzato, da cui provengono le più rinomate selezioni dei barolo di Fontanafredda, dalle vigne “La Rosa”, “Lazzarito”, “La Delizia”, “La Villa” e “Galarey” al barbera d’Alba della vigna “Raimonda”, al Dolcetto di Diano della vigna “La Lepre”.
|
Il lago della Tenuta di Fontanafredda
|
Solo due ne rimangono di quelle dei tempi dei Conti di Mirafiori: la Gatinera e la Galaretto. Nel XVIII secolo in questa località vi era un “alteno”, una forma di coltivazione che vedeva i vitigni sistemati su alberi, di cui era proprietario un certo Carlo Antonio Pittatore. La proprietà passò poi a Giovanni Battista Roggeri, esponente di una delle più antiche famiglie terriere del vicino paese di La Morra. Nel 1860 fu acquistato dal re Vittorio Emanuele II e donato alla bela Rosin, contessa di Mirafiori.
Al centro della tenuta vi è la palazzina fatta costruire da Vittorio Emanuele II per ospitare gli incontri con la moglie morganatica Rosa Vercellana, la celebre “bela Rosin”, e i loro figli naturali Maria Vittoria ed Emanuele Alberto. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1878, il conte Emanuele di Mirafiori impiantò la prima attività produttiva vinicola, creando gli edifici destinati ad ospitare le cantine dell’invecchiamento, scavate nel tufo della collina. Cantine intriganti e ombrose attraverso il profumo aspro, in un ambiente illuminato appena dagli scarsi lucernari. Mantenne invece intatto una parte del bosco originario, con il lago e la sorgente naturale Fontana Fredda, che diede il nome alla tenuta.
La villa Reale, oggi adibita a museo, è vivace, distensiva e riposante. Nell’interno troviamo la camera del re e la camera della Contessa, curiosa e particolare, con l’arredamento di bambù, ripreso nelle decorazioni del soffitto. Vi si respira un’atmosfera d’altri tempi, che subito si dissolve avvicinandosi alla parte nuova della tenuta, senza perdere quell’eleganza e quel sapore d’antico che evidenzia questo luogo intriso di storia, di un passato romantico e di un segreto fatto di odori e profumi legati al vino e alla sua terra.
1 - continua
Danilo Tacchino è scrittore e poeta ed è stato docente di sociologia all'Università Popolare di Torino. Ha pubblicato numerosi volumi sul fenomeno UFO e su storia e folclore piemontese e ligure. È stato responsabile regionale del Centro Ufologico Nazionale (CUN) dal 1989 al 2000 |