Scienze

La memoria dell’acqua

Stampa E-mail
01 Novembre 2011

La crociata ultradecennale contro l’omeopatia continua al di là di tutte le prove scientifiche a suo favore


Quando agli inizi degli anni '80 Bernard Poitevin, ricercatore, medico ed omeopata, propone al proprio direttore di effettuare degli esperimenti sulle alte diluizioni, la risposta del suo capo è immediata: “Provi pure ma non otterrà nulla, le alte diluizioni non sono che acqua”.

Sembrerebbe una comune storia di scetticismo accademico, così diffusa tra i luminari, se il laboratorio non fosse l'Unità 200 diretta da Jacques Benveniste. Così, in modo apparentemente banale, inizia una delle più controverse e scottanti vicende scientifiche degli ultimi trent'anni, vicenda che non si è affatto conclusa con la morte di Benveniste, avvenuta nel 2004.

Ma andiamo con ordine. Tutto ruota attorno ad un principio base dei medicinali omeopatici, ovvero i medicamenti in alte diluizioni. Se prendete una goccia di un preparato e la diluite con altre novantanove, agitate, prendete una goccia di questa diluizione e ripetete il procedimento per molte volte, alla fine, dopo parecchi passaggi, la soluzione è talmente diluita da non poter fisicamente contenere neanche una molecola del medicamento iniziale.

Ciononostante l'omeopatia (e tutti i malati che si curano con essa) afferma che l'effetto terapeutico permane. Come è possibile se “...le alte diluizioni non sono che acqua”? La risposta per la medicina ufficiale ed accademica è semplice: non è possibile e l'omeopatia non funziona.

Ma allora, come spiegare i milioni di persone che si curano con medicinali omeopatici? Sono tutti professionisti dell'effetto Placebo e si curano con l'autosuggestione? Sembra strano, ma questa è la risposta migliore che riescono a dare scientisti, scettici ed accademici al complesso e raffinato insieme di terapeutiche omeopatiche.

Altri scienziati hanno invece proposto una risposta diversa: se l'effetto terapeutico permane nelle alte diluizioni, probabilmente esso è da attribuirsi all'acqua stessa. In altre parole, l'acqua che viene a contatto con certi medicamenti ne assume in qualche modo le caratteristiche e diventa in grado di curare essa stessa.

Ecco perché Bernard Poitevin era così interessato ad effettuare dei test sulle alte diluizioni: voleva verificare in laboratorio questa peculiarità dell'acqua di assumere caratteristiche terapeutiche, poiché l'evidenza sperimentale sarebbe stata di importanza fondamentale per lo sviluppo dello studio di terapeutiche omeopatiche.


Jacques Benveniste allora era il direttore dell'Unità 200, un istituto di ricerca francese impegnato su svariati fronti ed uno dei pochi al mondo a fare indagini sul fenomeno delle allergie che agli inizi degli anni '80 era considerato ancora un campo di ricerca secondario, nonostante l'esplodere esponenziale di tali patologie. Benveniste era uno scienziato di chiara fama, con esperienza in istituti di ricerca americani oltre che francesi. Il suo rigore scientifico non era messo in discussione da nessuno, visto che aveva anche fatto significative scoperte di base sui meccanismi dell'allergia.

A buon titolo era direttore di un centro di ricerca a finanziamento statale. Insomma, uno scienziato “serio” ed accreditato nel mondo accademico della scienza “ufficiale”. Questo fino a che non ha cominciato ad indagare in campi eretici della scienza stessa, quelle zone di confine dove non è concesso avventurarsi se non a proprio rischio e pericolo. Benveniste ha pagato di persona un prezzo altissimo per il suo coraggio intellettuale anche se, o forse proprio per questo, ha avuto pieno successo nelle sue ricerche, come è stato in seguito dimostrato da numerose conferme sperimentali indipendenti.

L'esperimento che Benveniste ha messo a punto per studiare l'effetto delle alte diluizioni era basato su un fenomeno che accade ad una categoria di globuli bianchi del sangue, i basofili, quando entrano in contatto con agenti che inducono reazioni allergiche, ovvero la “degranulazione”. Nel citoplasma (la parte della cellula che circonda il nucleo) dei basofili ci sono dei granuli pieni di una sostanza chimica, l'istamina, che scatena le reazioni allergiche. Se si mettono delle IgE (immunoglobuline tipo E che sono anticorpi) sulla superficie del basofilo e si pone il basofilo a contatto con gli antigeni specifici, ecco che il basofilo “degranula”, cioè secerne istamina. (vedi Fig. 1 e 2)

Questo procedimento era stato messo a punto dallo stesso Benveniste per studiare in vitro le reazioni allergiche ed evidentemente lo conosceva molto bene in ogni suo aspetto. A questo punto era già pronta la mossa successiva: cosa succede se si pone il basofilo non a contatto con allergeni ma con soluzioni altamente diluite di essi? Naturalmente abbiamo già intuito la riposta: i basofili hanno degranulato ugualmente (vedi Fig. 3). Anzi, si è verificato un fenomeno paradossale: man mano che le diluizioni diventavano più alte, l'effetto sembrava diminuire in un primo momento, e questo è quanto ci si può attendere se consideriamo che gli allergeni si diluiscono, ma ecco che all'aumentare ulteriore delle diluizioni, fino a livello inferiore a quello del numero di Avogadro (vedi Fig. 4) l'effetto di degranulazione riprendeva vigore fino ad essere identico ai preparati di partenza, ricchi di allergene.

Non ci sono più fisicamente gli antigeni ma la soluzione ne mostra gli stessi effetti. Nuovamente: come è possibile “se non è che acqua”? L'acqua è capace di mantenere informazioni dei composti con cui viene a contatto? Insomma, l'acqua possiede una memoria?

Benveniste ripete l'esperimento numerose volte, applicando tutte le tecniche di controllo della ricerca che egli conosce molto bene. Effettua esperimenti in “cieco e doppio cieco”, ovvero prove in cui i ricercatori stessi non conoscono quali soluzioni utilizzano nell'esperimento, se soluzioni diluite o semplice acqua di controllo, e quindi non possono consapevolmente o inconsapevolmente influenzare l'esito della ricerca. Vengono interessati due laboratori di ricerca esterni indipendenti, uno italiano ed uno canadese. Ambedue i laboratori confermano i risultati.


Il fenomeno è talmente eretico che Benveniste lo controlla, lo fa controllare da altri ricercatori, lo ripete molte volte usando tutte gli accorgimenti che un ricercatore esperto come lui conosce molto bene. Alla fine si convince e ne viene fuori un articolo dal titolo apparentemente neutro, come tutti gli articoli scientifici, ma rivoluzionario nei contenuti, “Human basophil degranulation triggered by very dilute antiserum against IgE” ovvero “Degranulazione di basofili umani innescata da antisiero antiIgE altamente diluito”. L'articolo, facilmente reperibile nel web, è firmato da molti ricercatori che hanno partecipato allo studio. Benveniste compare per ultimo come d'uso per i ricercatori responsabili dello studio.

A questo punto, siamo arrivati al 1986, lo scritto, risultato di anni di ricerche e verifiche, viene sottoposto alla rivista inglese Nature (la stessa rivista che ha stroncato la fusione fredda), redattore capo John Maddox. Maddox è fieramente contrario alla pubblicazione di un articolo che a suo parere va contro le convinzioni di base della scienza. Come può l'acqua, un semplice composto chimico binario formato da ossigeno ed idrogeno, due gas elementari, essere in possesso di “memoria”? La sua avversione è tale che ostacola in tutti i modi la pubblicazione dell'articolo. Richiede una serie infinita di verifiche che Benveniste effettua. Per una descrizione puntuale di ciò che accade rimandiamo alla lettura del bel libro “La mia verità sulla memoria dell'acqua” pubblicato postumo dai figli di Jacques Benveniste ma scritto da quest'ultimo.

Il racconto è surreale. Maddox fa un'affermazione che diventa un cavallo di battaglia di tutti gli skeptics e scientisti del mondo; essa recita più o meno così “affermazioni straordinarie richiedono verifiche straordinarie”. In nome di questo principio richiede verifiche e controlli a Benveniste molto maggiori di quelli normalmente richiesti alle ricerche scientifiche, e li ottiene.

Guarda caso questo assunto di Maddox si trova come enunciato di base dei vari oppositori dei campi di ricerca “eretica”. Di recente lo si può trovare nel web in articoli che attaccano la fusione fredda fatto da skeptics italiani.

Apparentemente il principio di Maddox è ragionevole. Se uno scienziato (perché non dimentichiamoci che parliamo di scienziati di chiara fama ed accreditati) asserisce, sulla base di ricerche sperimentali, che esiste una cosa come la memoria dell'acqua, possiamo anche concordare con skeptics e scientisti che tale affermazione sia straordinaria e quindi richieda verifiche straordinarie. Quello si evita accuratamente di citare e men che meno sottolineare è che lo scienziato in oggetto è lasciato da solo, ostacolato, la sua carriera viene messa in pericolo. L'aggressione a cui Benveniste è sottoposto è tale da distruggerlo personalmente. Se uno scienziato di fama fa una dichiarazione “straordinaria”, per dirla con le parole di Maddox, che ha conseguenze anche solo potenziali di enorme portata, allora è vero che bisogna verificarla in modo eccezionale, ma significa nello stesso tempo che, viste le implicazioni scientifiche e pratiche, bisogna anche fare sforzi di ricerca straordinari, supportare lo scienziato in modo straordinario perché, se ha ragione, il contributo all'evoluzione della conoscenza umana è enorme e quindi occorre moltiplicare gli sforzi per verificare le sue affermazioni. Invece il principio skeptics di Maddox viene usato unitamente ad una sorta di paragrafo scritto in piccolo come nei contratti “capestro” delle assicurazioni. E tale paragrafo recita, più o meno tra le righe: “si preoccupi il ricercatore colpevole di affermazioni eretiche di dimostrare, possibilmente a proprie spese, a proprio rischio e pericolo e pagandone le conseguenze, che le proprie affermazioni straordinarie siano vere”.


Jacques Benveniste

Intanto il tempo passa, la ricerca viene ostacolata e magari il ricercatore muore con buona pace dell'establishment scientifico ed economico dominante che resta nella stanza dei bottoni e controlla per i decenni a venire le idee da diffondere, approvare e, naturalmente, chi deve godere degli enormi fondi economici dedicati dagli stati alla ricerca.

Vi siete indignati? Non siete i soli.

Comunque sia, dopo un paio d'anni di richieste di prove ulteriori, puntualmente ottenute, Maddox decide di pubblicare l'articolo di Benveniste ma ad una condizione: Beveniste deve consentire ad un'inchiesta da parte di Maddox e di suoi prescelti. Questa inchiesta deve avvenire nel laboratorio dello scienziato ed egli deve sottostare alle richieste della commissione. Benveniste accetta. Inutile dire che questa procedura non aveva precedenti. Benveniste stesso si pentirà amaramente di averla permessa ed in seguito non permetterà mai più a nessuno di entrare nel suo laboratorio.

Maddox sceglie come “esperti” James Randy, divenuto famoso perché ha “smascherato” il celebre Uri Geller e Walter Stewart, un esperto in frodi scientifiche. E' evidente che l'inchiesta parte da un'idea di partenza precisa: esiste una frode e si tratta solo di evidenziarla.

Sorvolando sui dettagli, i tre esperti concludono che non esiste il fenomeno della memoria dell'acqua e che esso è da attribuire ad errori di procedura e di analisi statistica. Tuttavia falliscono nell'evidenziare la frode. Paradossale, perché è evidente che sia Randy che Stewart non potevano che essere esperti in frodi e non certo in procedure di ricerca o ancora meno di statistica.

Le conclusioni vengono pubblicate su Nature e cominciano i problemi per il gruppo di Benveniste.

Dei due laboratori indipendenti che hanno confermato le ricerche, quello di Toronto non si fa più sentire, mentre quello di Milano riconferma i risultati e l'appoggio a Benveniste.

Verso la fine degli anni '80 e l'inizio degli ani '90 Benveniste decide di cambiare il tipo di ricerca per trovare ulteriori conferme al fenomeno. Effettua ricerche su cui non ci piace dilungarci perché la nostra coscienza di animalisti non condivide la ricerca diretta su animali. Basti dire che hanno ancora una volta pieno successo.

Insomma, gli studi di Benveniste mettono in luce la presenza di un fenomeno misterioso ed affascinate: l'acqua sembra mostrare la straordinaria capacità di imprimere nella sua struttura la sua storia, i suoi trascorsi. Se viene a contatto con un particolare composto, anche complesso come può essere una proteina, l'impronta di questo resta stampata sull'acqua in modo stabile ed a lungo.

Alcuni scienziati si pongono delle domande su questo meccanismo e vengono proposte varie possibili risposte.

L'acqua, a dispetto della sua apparente semplicità, è un liquido con caratteristiche affascinati e misteriose. Se lo confrontiamo con composti binari simili, come l'ammoniaca, troviamo delle enormi differenze nel comportamento chimico-fisico. Non a caso l'acqua è la base della vita come noi la conosciamo. Essa non sarebbe neanche immaginabile senza l'acqua.

Le peculiarità di questo liquido sono dovute alla sua struttura chimico-fisica.


L'ossigeno e l'idrogeno realizzano un legame molto forte, ma elettricamente polarizzato. Verso l'ossigeno si accentrano cariche negative e verso l'idrogeno positive. Il fatto che i due atomi di idrogeno non siano a 180° rispetto all'atomo di ossigeno determina la formazione di un dipolo elettrico (vedi Fig.5). Questo “sbilanciamento” elettrico sembra essere la causa principale dei fenomeni chimico-fisici dell'acqua. Le singole molecole d'acqua non sono isolate, al contrario sono connesse tra loro dal cosiddetto “legame idrogeno”. Se poste in vicinanza tra loro, le molecole si orientano in modo da annullare le reciproche cariche elettriche; gli idrogeni si orientano verso gli ossigeni.

Ecco che gli atomi di idrogeno vengono a formare come dei ponti tra diverse molecole d'acqua. Questi ponti sono tanto forti da essere considerati come le più potenti attrazioni intermolecolari, o addirittura dei deboli legami chimici. In condizioni non estreme, l'acqua può creare delle catene di molecole che sembrano essere molto stabili ed assumere forme precise.

Ilya Prigogine, il premio Nobel celebre per aver dimostrato le “strutture dissipative” ed aver rivoluzionato il concetto di entropia, parlava di “acqua polimerizzata”. Altri parlano di clusters ed altri ancora di “acqua vicina”. I clusters non sono che catene più o meno lunghe di molecole d'acqua; particolarmente interessante è il concetto di “acqua vicina”. Le molecole vengono tenute in soluzione in acqua dal fenomeno detto della solvatazione. In pratica, molte molecole d'acqua si dispongono intorno alla molecola disciolta in modo da neutralizzarne le cariche elettriche di superficie. Nel fare questo ne ripetono la forma.

Una delle possibili spiegazioni della memoria dell'acqua è che tale forma viene mantenuta anche in mancanza della molecola al centro, a seguito di diluizione ed agitazione. Immaginiamo una molecola a forma di mano. Quando si scioglie, le molecole d'acqua si dispongono intorno ad essa come un guanto. Quando estraiamo la mano dal guanto, per diluizione il guanto stesso non si distrugge, ma conserva la forma originaria in modo stabile ed a lungo. Questa “acqua vicina” che era intorno alla molecola sembra poter causare le stesse reazioni chimico-fisiche della molecola di partenza. Altre ipotesi, concepite dallo scienziato Giuliano Preparata, parlano di strutture ordinate di molecole d'acqua organizzate da fenomeni di coerenza molecolare di natura quantistica.

Come abbiamo visto, già Benveniste aveva ottenuto conferme ai suoi esperimenti da laboratori indipendenti, ma in tempi successivi ci sono state altre ricerche, del tutto scollegate da Benveniste stesso, che hanno confermato il fenomeno.

Negli anni '90 la Boiron, importante casa farmaceutica produttrice di rimedi omeopatici, ha commissionato al dott. Roberfroid uno studio che venne effettuato in quattro laboratori: in Francia, Italia, Belgio ed Olanda. Lo studio confermò che il fenomeno della degranulazione dei basofili poteva essere inibito con alte diluizioni omeopatiche di istamina. In questo studio i ricercatori lavoravano in “cieco”. Essi non sapevano se stessero applicando una soluzione contenente istamina o se invece stessero lavorando con una soluzione altamente diluita. Le provette sono state preparate da laboratori completamente indipendenti che non hanno preso parte alle determinazioni delle degranulazioni. Lo studio insomma mostra una grande affidabilità scientifica e, praticamente, impossibilità di frode, ed infatti viene di solito ignorato dagli skeptics che contestano il lavoro di Benveniste.

Ma non mancano studi di diversa natura. Ad esempio il prof. Louis Rey ha studiato la termoluminescenza dell'acqua ed ha concluso che l'acqua possiede “un'impronta digitale” che si porta dietro dalla sua storia, ovvero dai contatti avuti con altre molecole, anche quando queste molecole non sono più presenti nell'acqua. Detto in breve, la termoluminescenza è un fenomeno che avviene quando si fonde del ghiaccio che è stato precedentemente irradiato con radiazioni ionizzanti quali i raggi X ed i raggi gamma. Se nel reticolo cristallino del ghiaccio sono presenti degli atomi diversi dall'acqua, come un sale di Litio ad esempio, il reticolo viene deformato dalla presenza di questi sali. Ne consegue che le radiazioni che vengono dirette su un tale reticolo cristallino durante lo scongelamento emettono una luminescenza diversa da quella che viene emessa da semplice ghiaccio di acqua distillata.


Il prof. Rey ha dimostrato che se si effettuato alte diluizioni di cloruro di litio e cloruro di sodio, al di là del numero di Avogadro, queste mostrano la stessa specifica luminescenza delle soluzioni di partenza anche se in realtà non si ha più presenza di sali disciolti in esse. Egli definisce il fenomeno “fingerprint”, impronta digitale dell'acqua, ma il risultato della sua ricerca è facilmente riconducibile alla memoria dell'acqua di Benveniste.

Durante un'intervista rilasciata a membri della commissione scientifica della Ecospirituality Foundation il prof. Rey ha dichiarato che preferiva che il suo nome non venisse associato a quello di Benveniste. Il prof. Rey riteneva che Benveniste fosse uno scienziato serio, ma la sua testardaggine lo poneva in contrasto esagerato con la scienza ufficiale; per questo motivo Rey non volle parlare di memoria dell'acqua e preferì la dicitura “impronta digitale” dell'acqua.

Sia come sia, è evidente come il fenomeno del permanere di informazioni nell'acqua riceva sempre più conferme sperimentali, indipendentemente dalla definizione che gli si dà.

Ma la cosa non finisce qui. Benveniste è convinto che gli effetti che evidenzia siano dovuti ad una sorta di messaggio di tipo elettromagnetico che resta impresso in qualche modo nell'acqua. Dando seguito a questa teoria cerca di registrare questo messaggio. Secondo le sue ricerche ogni molecola emette una sorta di onda elettromagnetica specifica e una certa molecola complessa può emettere una sorta di sinfonia, che può essere registrata.

Siamo nel campo delle onde kilohertziane (migliaia di cicli al secondo), ovvero esattamente lo stesso campo di frequenze del suono percepibile dall'uomo. Ponendo uno speciale sensore intorno ad una soluzione di eparina (sostanza che se aggiunta al sangue ne inibisce la coagulazione), Benveniste era in grado di registrare la “sinfonia” specifica del composto, trasformandola in suono. E qui la cosa diventa impressionante. Questo suono registrato in modo digitale può facilmente essere memorizzato su un cd o inviato via internet. Una volta ricevuto, può essere riconvertito in onde elettromagnetiche che a loro volta possono essere inviate ad irradiare una provetta d'acqua. Dopo 5 minuti di irraggiamento e qualche secondo di agitazione, quest'acqua può essere usata al posto dell'eparina per inibire la coagulazione, ottenendo gli stessi risultati.

La cosa è stupefacente ma è stata ripetuta molte volte. Esistono su youtube dei filmati realizzati dallo stesso Benveniste in cui si mostra tutto il procedimento attuato in modo completamente automatico, senza l'intervento dei ricercatori, cosicché non può essere soggetto ad alcuna frode. Secondo il ricercatore dunque sarebbe possibile registrare ed inviare in tutto il mondo la specifica memoria elettromagnetica, ad esempio di un rimedio omeopatico, per imprimerla su semplice acqua e curare praticamente a costo zero milioni di persone.

Certo, sono affermazioni straordinarie, ma le implicazioni sono enormi. Cosa si dovrebbe fare per verificarle? Quali sarebbero i benefici se fossero vere?

D'altronde, già Giorgio Piccardi, lo scienziato che viene considerato il padre della chimica fisica italiana, parlava di “attivazione” dell'acqua da parte di onde elettromagnetiche lunghe. Piccardi asseriva che un dielettrico polarizzato a contatto con l'acqua induce modificazioni “non elastiche” (ovvero stabili) nell'acqua stessa, che persistono a lungo anche dopo che questo contatto non esiste più. Egli chiamava quest'acqua “attivata”.

Ancora più sconcertante è il fatto che egli avesse effettuato migliaia di esperimenti chimici di precipitazione di sali da una soluzione acquosa, dimostrando che le caratteristiche e le rese di queste precipitazioni variavano a seconda della posizione della Terra in relazione al Sole. Fortunatamente Piccardi ha lavorato in un'epoca in cui non esistevano associazioni di skeptics che potessero farlo a pezzi, stiamo parlando degli anni che vanno dal 1935 fino a tutti gli anni '60. Indubbiamente un precursore, oggi apparentemente dimenticato, anche se compare come riferimento in recenti articoli del professor Vittorio Elia dell’Università degli studi di Napoli e dei suoi colleghi.


Il prof. Elia ha confermato con la propria attività di ricerca la presenza di quelle che lui chiama “strutture dissipative nelle soluzioni acquose altamente diluite”. Un modo di definire delle strutture con una propria stabilità ed un proprio ordine intrinseco, seguendo gli studi di Ilya Prigogine. Nella sua attività decennale egli ha dimostrato la presenza di tali strutture e quindi ha riaffermato che il fenomeno della memoria dell'acqua è una realtà.

Ci sono state ancora molte prove a favore del fenomeno della memoria dell'acqua, si veda ad esempio lo studio di Madeleine Ennis dell'Università di Belfast. La sua posizione iniziale era di forte scetticismo (come d'altronde, non dimentichiamolo, quella di Benveniste).

Colpita dal risultato ottenuto da Roberfroid ha sperimentato lei stessa il fenomeno e ne è diventata una convinta assertrice.

Insomma, potremmo continuare a snocciolare conferme indipendenti e sperimentali. Prove ottenute da ricercatori a livello universitario, certo molto più accreditati nel loro lavoro di illusionisti come Randy o presunti cacciatori di frode come Stewart, ma a questo punto è inutile. Il quadro ci si presenta piuttosto simile ad altre grandi battaglie della scienza, come ad esempio quella della fusione fredda.

Nel caso della memoria dell'acqua ci sono in ballo molti differenti interessi. Interessi economici, legati alle grandi multinazionali farmaceutiche. Interessi personali dei singoli ricercatori che non vogliono mettere in discussione le proprie idee sulla scienza oppure vogliono difendere le proprie poltrone e le proprie aree di influenza. Il fenomeno delle baronie tra scienziati non ha certo bisogno essere descritto.

Ma nel caso della memoria dell'acqua ci sono anche in gioco nuove concezioni scientifiche. Nuovi rivoluzionari punti di vista. Alcune delle implicazioni tendono ad allargare di molto le nostre concezioni sui fenomeni che avvengono intorno a noi. Non si può non notare ad esempio che i “fenomeni fluttuanti” di Piccardi partono dall'osservazione che ciò che avviene in laboratorio non è isolabile sempre e totalmente da ciò che circonda il laboratorio stesso. Noi siamo posti su un pianeta che ruota intorno ad un sole e Piccardi ha dimostrato con il suo lavoro che questa collocazione cosmica è lontana dall'essere ininfluente. Al contrario, ha dimostrato che la collocazione cosmica è in grado di influenzare addirittura i fenomeni squisitamente chimici che accadono in una provetta.

Forse dà fastidio ad un certo pensiero positivista e meccanicista che influenze sottili possano agire sui fenomeni chimico-fisici quasi ad asserire in modo sperimentale che il microcosmo della provetta o dell'uomo non può essere separato dal macrocosmo che li circonda?

Forse ci sono correnti di pensiero a cui dà fastidio pensare all'uomo come facente parte di un tutto ed in relazione con il tutto macrocosmico che lo circonda. Correnti di pensiero secondo cui gli uomini sono entità separate dall'Universo, dalla Natura, irrimediabilmente isolate nella loro dimensione individuale, per sempre tagliate fuori da un personale rapporto con il tutto.

Chissà, forse ci sono in ballo interessi ideologici molto più grandi di quanto non si sospetti.

 

Seguici su:

Seguici su Facebook Seguici su YouTube