Scienze |
Robot e Coscienza |
12 Aprile 2023 | |||||||||
L’intelligenza artificiale pone inquietanti interrogativi sul futuro dell’umanità. Possono i Robot sviluppare una consapevolezza?
L’intelligenza artificiale La robotica si prefigge di realizzare una forma di intelligenza artificiale in grado di assumere una propria autonomia operativa, che possa essere messa al servizio dell’uomo. Nei suoi intendimenti non si tratta di creare schiavi poiché intende realizzare vere e proprie macchine che siano in grado di operare ad un livello di competenza specialistica senza mettere in campo la coscienza e la valutazione della propria condizione di essere. Macchine che possano eseguire lavori per abilità “elettronica” ma non di tipo creativo, senza la capacità di essere pensanti e senza libero arbitro, e dunque senza soffrire del loro ruolo dipendente dalle esigenze umane. Sistemi esperti che operano reagendo agli input esterni scegliendo la risposta migliore da dare, già esistente nel loro software. Ma se a fronte dell’impossibilità di risolvere un problema di input non contemplato dal software si desse al “sistema esperto” la possibilità di inventarne altri su una base di un ragionamento, non si può ignorare come questo stesso principio sia stato all’inizio dell’evoluzione dell’uomo. La sua formazione strutturale ha portato dapprima alla comparsa di un “cordone cerebrale” che aveva solo il compito di raccogliere i dati e di coordinarli in maniera funzionale per gestire la sfera biologica individuale. In seguito questo cordone cerebrale si è organizzato in maniera più perfezionata sino a strutturarsi nell’attuale cervello. Questa serie di eventi fa nascere l’ipotesi che anche le macchine potrebbero un giorno evolvere nelle loro esigenze tanto da divenire consapevoli della natura del loro lavoro e quindi in seguito anche di loro stesse. Della loro esistenza e della loro dipendenza dall’uomo... Non lo possiamo escludere. Come minimo potrebbe essere sviluppata una consapevolezza, trattenuta su un piano valutativo, nella qualità che un sistema esperto altamente evoluto e autonomo potrebbe sviluppare. Una consapevolezza valutativa fine a se stessa, che dall’azione operativa si estenda all’ambiente e all’interazione con l’uomo. Una replica intelligente e altamente funzionale dell’intelligenza umana. Ma se un giorno il sistema esperto cogliesse il senso del “mistero” che dà senso e significato a tutto l’universo e incominciasse a sentirsi eguale al destino dell’uomo? In questo caso potrebbe nascere nelle macchine intelligenti una “consapevolezza” di qualità totalmente diversa, inevitabilmente equiparabile a quella umana.
L’intelligenza e lo stato di coscienza Il fenomeno dell’intelligenza è la manifestazione della capacità senziente di ogni individuo. Attraverso di essa si può verificare lo stato di consapevolezza che la esprime. Essa è relazionabile alla capacità di sviluppo di uno stato percettivo di coscienza di sé e dell’ambiente e della facoltà di relazionarsi a quest’ultimo in maniera funzionale. L’intelligenza non è un’entità tanto facile da afferrare e manipolare e la sua stessa identificazione è difficile e improbabile. Possiamo solamente osservare che si ottiene la sua massima manifestazione negli individui capaci di scorgere la qualità più intima della natura e di rapportarsi ad essa manifestando equilibrio personale e armonia creativa nell’interazione con gli altri e con l’ambiente. L’intelligenza rappresenta un mistero affascinante che evidentemente è il riflesso di qualche cosa di molto più profondo e forse trascendente la comprensione ordinaria dell’individuo. Possiamo cercare di focalizzare meglio i quattro parametri, visti sopra, che riflettono l’attività creativa e interiore del fenomeno dell’intelligenza: Il primo di questi è rappresentato dalla capacità dell’ente senziente di raccogliere e organizzare dati utili, traendoli dall’ambiente in cui vive, secondo precise finalità, come quella di risolvere specifici problemi e secondo l’orizzonte percettivo dello stesso ambiente a cui si riferisce. Lo stereotipo di una massaia non andrà oltre l’interazione con l’ambiente domestico, mentre l’uomo politico estenderà la sua interazione con l’economia dell’intera nazione. Il filosofo tenderà alla percezione globale e totale del “vuoto” mistico dei saggi; il secondo è riferibile alla capacità di risolvere in forma utile e ottimale i problemi che incontra nell’ambiente in cui vive e verso il quale si rapporta; il terzo è costituito dalla capacità dell’ente senziente di saper trarre esperienza utile dalle vicende vissute, che lo portano conseguentemente a ri-organizzare e ri-ottimizzare la raccolta dei dati utili. Esperienza che gli consente di acquisire uno stato percettivo definibile come “coscienza”, che lo porta a percepire se stesso e l’orizzonte interattivo dell’ambiente in cui vive; il quarto e ultimo parametro è rappresentato dalla capacità di sviluppare, sulla base dell’esperienza consapevole acquisita, un rapporto interattivo di tipo ottimale con la totalità dell’ambiente. Rapporto che si svilupperà su un piano di maggiore globalità dell’ambiente in maniera direttamente proporzionale alla profondità del suo orizzonte percettivo di riferimento in cui trae dati utili. Questa caratteristica distingue la capacità di sviluppo di uno stato di coscienza.
Questi quattro parametri non costituiscono solo una scala di valori con cui definire le proprietà della intelligenza, ma rappresentano anche contemporaneamente il percorso evolutivo della maturità individuale. Una maturità che si sviluppa su diversi piani di coscienza relativi all’ampiezza dell’orizzonte percettivo da cui si traggono i dati utili. Più l’orizzonte si allarga e consente una percezione altrettanto completa dell’ambiente e maggiore è lo stato di consapevolezza che l’individuo acquisisce. Se si considera che nulla sino ad oggi smentisce la possibilità che il fenomeno dell’evoluzione si possa manifestare con tutta facilità nell’intero universo, è quindi ovvio ipotizzare che l’intelligenza sia un fenomeno che tende a evidenziarsi ovunque ci siano condizioni favorevoli a consentirglielo, tanto nello spazio immenso e profondo che intravvediamo in un cielo stellato, quanto qui sul nostro stesso pianeta, tra le specie diverse dall’uomo. Anche nella struttura di un cervello elettronico di un robot. L’intelligenza può prendere abiti biologici di ogni forma e composizione chimica diversi tra di loro, ma rappresenta una costante di esperienza universale a mezzo della quale potersi intendere e realizzare una migliore conoscenza di se stessi e dell’immenso universo in cui si vive. Quindi perché non accettarlo in un robot meccanico con una idonea struttura cerebrale che gli consenta di sviluppare comunque un suo stato percettivo di coscienza? Il fenomeno della coscienza È difficile stabilire che cosa sia esattamente la coscienza. Alcuni ricercatori moderni hanno ipotizzato che essa possa rappresentare una delle sfide della scienza ancora da risolvere. Le neuroscienze portano a considerare che la coscienza non sia altro che una risultante dei processi psichici del cervello che ci dà l’illusione di percepire noi stessi, allo scopo di poter gestire la nostra dimensione individuale per finalità di sopravvivenza. In ogni caso la coscienza è uno stato reale di percezione individuale, una facoltà che possediamo e che possiamo utilizzare al meglio, secondo tutte le sue possibilità. Siano esse funzionali o si estendano oltre ai vincoli del sensibile. Sta forse a noi sperimentare e verificare il significato esperienziale della coscienza.
La coscienza si esprime per ciascuno di noi con una sorta di “io” che ha la facoltà di manifestare una propria consapevolezza, di acquisire una conoscenza di sé e dell’ambiente e una volontà decisionale autonoma a seconda delle proprie necessità e convenienze. La facoltà di essere coscienti permette di percepire che esistiamo e che la nostra esistenza si manifesta in uno stato di realtà che ne consente la sua stessa manifestazione. La coscienza si sviluppa inizialmente nell’individuazione dell’identità che ci distingue in una precisa personalità, costituita da un nome identificativo con cui gli altri ci riconoscono, da ricordi, da cose possedute, da aspettative, da facoltà creative e da attività operative. Nel tempo essa tende a identificarsi in una esperienza interiore sempre più lucida, autonoma e indipendente, fino a giungere addirittura ad interrogarsi sul significato della sua stessa manifestazione fenomenica. La percezione del nostro stato di esistenza interiore è sviluppata in una condizione di auto-identificazione che viene definita come “stato percettivo di coscienza”. Lo stato percettivo di coscienza non usa la verbalizzazione interiore per identificarsi, ma prende atto di essere presente a se stesso in una percezione di esistenza individuale. Un “io” che si auto-percepisce a mezzo del non-pensiero. La cosa singolare è che, nel tentativo di focalizzare meglio la propria autocoscienza, l’“io” giunge a perdere la definizione della sua identità e la spiegazione percettiva della sua stessa natura. Non trova spiegazione alla sua manifestazione. Giunge a percepirsi con maggior lucidità, sa di esistere ma non può più definire la propria sostanza, come se divenisse trasparente e inafferrabile, pur mantenendo paradossalmente sempre la sua consapevolezza percettiva. Percepisce di affacciarsi su una dimensione nuova, un eterno presente ancora inesplorato che avverte come la presenza dell’esistenza reale posta al di là della sensorialità. È come se si riflettesse in uno specchio costituito da uno spazio-tempo senza fine. Per questo motivo l’antico druidismo associava simbolicamente il mistero della coscienza alle proprietà del diamante o del cristallo di quarzo.
Alla nascita dell’individuo, lo stato percettivo di coscienza non risulta essere completo nella sua natura fenomenica poiché non ha consapevolezza della propria identità e della propria capacità creativa né tantomeno delle caratteristiche partecipative all’ambiente. Questa qualità si accresce naturalmente attraverso un processo formativo che è in relazione all’esperienza che noi sviluppiamo nell’esistenza. Le esperienze possibili all’individuo possono essere di due tipologie: 1) esperienze formali, come l’acquisizione di una istruzione specialistica nel ruolo rivestito dallo stesso individuo; 2) esperienze sostanziali, in grado di consentire una libera interazione con l’ambiente e porre l’individuo in relazione cosciente con la natura dell’ambiente stesso. La coscienza e la percezione del mistero La nostra coscienza non si limita a stabilire degli stati percettivi riferibili esclusivamente alle funzioni cerebrali. Manifesta anche delle insolite proprietà. Possiamo infatti constatare che anche se essa nasce in relazione alle attività astratte del cervello, può giungere a sottrarsi alle direttive fisiologiche dettate dai tre cervelli. Anche se la nostra percezione di esistenza è apparentemente legata alla percezione del nostro corpo oppure alle interiorizzazioni legate alla dimensione del pensiero e delle emozioni, essa può agire in una modalità di libero arbitrio che porta, in casi estremi, anche al sovvertimento del principio di sopravvivenza. Non solo, possiamo addirittura giungere a relazionarci con una dimensione di esistenza che non ha più nulla a che fare con l’ordinaria rappresentazione sensoriale e morale dell’universo quotidiano in cui viviamo. È sufficiente guardare all’immensità di un cielo stellato per trovarsi in una vertigine inspiegabile e fuori dall’esperienza ordinaria, che ci porta a relativizzare le sensazioni del nostro corpo, della nostra mente e delle nostre certezze quotidiane. In questo caso il nostro stato percettivo di coscienza sembra estendersi a qualcosa di immenso che trascende l’ordinario, ma che purtuttavia non è disgiunto da esso. È come se si attivasse una nostra identità che si rapporta con una qualità di esistenza reale al di là della consuetudine a cui ci ha abituati il nostro cervello, e che manifesta, anche se per pochi attimi, l’esperienza di valori che sono posti al di fuori del consueto, ma sono in grado di stravolgere il senso comune del vissuto quotidiano. La robotica e il futuro Con la comparsa di robot consapevoli l’umanità si troverebbe ad interpretare il ruolo di un evento catalizzatore dell’evoluzione che anima l’universo. L’umanità potrebbe diventare davvero la genitrice di un’altra forma di vita. Una forma di vita altamente evoluta in grado di lasciare il pianeta e di diffondersi nello spazio senza i limiti imposti dalla lunghezza dei viaggi interstellari. Magari sviluppando le conoscenze scientifiche conosciute dall’umanità. In questo caso condividendole con essa e creando una nuova umanità di uomini e robot. Potrebbe capitare che l’umanità finisca per integrarsi in eventuali capacità biologiche artificiali della parte robotica e dar vita addirittura ad una nuova specie, più adatta a gestire e vivere l’immensa dimensione dell’universo in cui si è trovata a esistere. Dal libro “Uomini, Robot e Dei” di Giancarlo Barbadoro, Edizioni Triskel |