Scienze

La realtà della coscienza e la natura del tempo

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04 Ottobre 2022
La realtà della coscienza e la natura del tempo

Che cos’è la coscienza? E che relazione ha con la dimensione del tempo?


Il fenomeno della coscienza

La coscienza è il fenomeno che ci consente di consapevolizzare la nostra esistenza e di dare una identità alla nostra stessa esistenza. Senza questa qualità interiore non potremmo neppure essere qui a porci il problema del fenomeno della coscienza.

La nostra stessa ricerca sulla natura del tempo ha riferimento nel fenomeno della coscienza. Tutto porta ad essa poiché serve a consentirle di sviluppare esperienza e di giungere ad una possibile conoscenza.

La coscienza rappresenta un fenomeno della sfera dell’individuo a cui la scienza non ha ancora dato una definitiva risposta. Per tale motivo dobbiamo valutare tutto ciò che può essere stato sperimentato in relazione ad essa. Dalla tradizione dei Popoli naturali (o nativi, o indigeni) possiamo prendere molti spunti di riflessione che potrebbero risultare utili.

Quando si parla di coscienza si intende lo stato di coscienza interiore in cui ci identifichiamo nella nostra identità di realtà individuale e di presenza nell’esistenza. Non si intende una scintilla generica di interiorità spirituale, ma si parla di un ente ben preciso e riscontrabile nell’esperienza umana.

È il caso di puntualizzare che per stato di coscienza si intende un preciso piano esperienziale vissuto nella sfera delle competenze esperienziali dell’individuo.

Solitamente, infatti, siamo abituati a concepire la nostra identità personale come una globalità generica dove dal corpo all’interiorità siamo sempre noi stessi, coscienza compresa.

Salvador Dalí, “Melting Watch”, Acrilico 1954
Salvador Dalí, “Melting Watch”, Acrilico 1954

Al contrario, secondo l’esperienza dei Popoli naturali, possiamo suddividere la sfera individuale in tre precise competenze esperienziali attraverso le quali ci rapportiamo all’esistenza in cui viviamo.

Possiamo infatti distinguere per prima cosa il corpo che è basato sulla forma, sulle funzioni metaboliche che sviluppano la necessaria energia meccanica. Possiamo ancora distinguere la mente che è costituita dall’insieme dei processi astratti del cervello basati sui processi chimici ed elettrici che esso produce. Un’attività basata sul fenomeno della causa-effetto impossibile a vedersi se non nei suoi riflessi fisiologici e comportamentali. Nulla di paragonabile alle competenze e alla struttura del corpo.

Poi abbiamo la coscienza. Possiamo distinguere questa istanza dell’individuo dal piano fenomenico del corpo e della mente per la sua capacità di sviluppare la qualità della consapevolezza e di agire, volendo, al di fuori del processo di causa-effetto. Nulla di paragonabile alle attività e alle competenze del corpo e della mente.

Solitamente non si presta attenzione alla possibile suddivisione delle proprie competenze personali e si finisce per confondere la propria identità reale con la forma del corpo o con le emozioni e i condizionamenti proprie della mente. Tuttavia, per definire compiutamente ciò che si intende per coscienza è necessario attuare la sua distinzione fra le tre specifiche competenze dei tre piani esperienziali.

Del resto, solamente la coscienza sembra essere in grado di percepire la natura del reale che è posta al di là del tempo e dello spazio.

In proposito possiamo citare come su questa base esistano credenze tradizionali presso i Popoli naturali che vogliono che l’identità cosciente, o spirituale, possa viaggiare addirittura attraverso il tempo nell’esperienza della meditazione.


La coscienza e il tempo

Spesso si usa il riferimento ai fenomeni della dimensione dello spazio per sviluppare una qualsiasi speculazione filosofica. Un cielo stellato, ad esempio, apre a molte riflessioni e la stessa presenza della materia ci pone interrogativi che portano alla sua origine e oltre ancora.

Solamente la coscienza sembra essere in grado di percepire la natura del reale che è posta al di là del tempo e dello spazio. - G. Barbadoro
“Solamente la coscienza sembra essere in grado di percepire la natura del reale che è posta al di là del tempo e dello spazio” G. Barbadoro

Dal canto suo la natura del tempo mostra un ulteriore elemento di confronto esperienziale con cui poter sviluppare una più approfondita speculazione filosofica. Infatti, a mezzo della ricerca sui fenomeni del tempo possiamo focalizzare maggiormente la natura e l’identità della nostra coscienza.

Mettere in relazione la dimensione della coscienza al fenomeno del tempo significa accorgersi di quanto sia complessa la realtà della stessa.

La riflessione sulla coscienza in relazione ai fenomeni legati alle proprietà del tempo ci porta a intravvedere una natura intima della coscienza che non è da intendere solamente come una proprietà riferibile alla consapevolezza e alla volontà, ma che possiede una sua qualità che si lega al concetto mistico del Mistero. Lo stesso mistero da cui ha avuto origine il nostro universo e in cui adesso trova significato.

Solitamente leghiamo il nostro stato di coscienza all’esperienza del presente come atto temporale che precede l’esperienza del futuro e che segue quella del passato.

Ma il presente non esiste come tale e la nostra coscienza coglie una percezione di una realtà di eterno presente che il nostro cervello trasforma nella percezione di passato e di futuro.

Lo scorrere del tempo è una condizione che non interessa alle competenze della coscienza, essa si forma e poi trova la sua dimensione sul piano della natura reale dell’esistenza.

La coscienza si pone fuori dal tempo e dallo spazio come un ente che rileva e partecipa allo stato di realtà che è in atto con l’esistenza della stessa esistenza. Per la coscienza l’esistenza non è rappresentabile dal presente, dal futuro o dal passato, ma solamente da un quieto ed eterno essere.

Il confronto con il tema dei viaggi nel tempo porterà sicuramente a definire meglio il problema del rapporto della coscienza con la natura dell’esistenza.


La percezione della caverna del tempo

Sul piano della percezione della mente il tempo è percepito nell’interpretazione erronea della freccia del tempo, in cui viene confusa l’azione del forming evolutivo che approfitta della dimensione fluida del tempo per poter operare. La mente percepisce il tempo come una qualità fenomenica che si muove trascinando con sé l’individuo, le cose e il pianeta.

Il libro Viandanti del Tempo di Giancarlo Barbadoro, opera postuma presentata al Salone Internazionale del Libro di Torino 2022
Il libro “Viandanti del Tempo” di Giancarlo Barbadoro, opera postuma presentata al Salone Internazionale del Libro di Torino 2022

Solo sul piano della coscienza il passato, il presente e il futuro sembrano invece coesistere tutti e tre nella stessa dimensione del tempo. Così come accade che le posizioni di varie città sono presenti e coesistenti nella stessa dimensione dello spazio.

In una dimensione di questo genere nasce il paradosso: se il passato e il futuro coesistono assieme al mio presente, significa che io come sono nato e sono qui, in realtà sono già nel futuro e sono già morto.

Questo paradosso può essere confermato dalla stessa potenzialità fenomenica che è propria del mio atto di esistenza in questo momento: non posso sottrarmi alla morte, poiché potenzialmente sono già morto. Un morto che sta prendendo una vacanza di vita fittizia nel grande “parco giochi” del druidico mondo di Abred.

Ma come può essere vissuta questa mia condizione di morto in vacanza? Che cosa si può fare? Qual è il nostro vero libero arbitrio?

Possiamo divenire un viandante in cerca di conoscenza in questo lembo di esistenza. Un viandante che si lascia trasportare dal suo forming evolutivo per esplorare e capire l’universo in cui vive.

Per curiosare in questo immenso parco giochi, per collaborare e cooperare all’occorrenza in uno scambio di esperienza con le altre creature senzienti con cui conviviamo e, perché no, per realizzare una mutua fratellanza basata sull’amore che si scopre in comune tra chi sta vivendo una grande e meravigliosa avventura…

Gli antichi druidi raffiguravano l’esistenza come una grande caverna che si chiudeva in un cerchio, all’infinito, su stessa.

Gli uomini potevano scorgere solo poche cose dietro di loro, trattenendole in memoria, dopo che si erano scontrati per vivere l’istante del loro presente, con altri che vagavano come loro nella caverna. E il “testimone” di ogni uomo sarebbe passato a quello davanti a lui sino a perdersi in una catena di uomini che avrebbero vissuto dopo di lui.

C’era anche chi la percorreva, generazione dopo generazione, cercando una precisa verità nella sua penombra, ma non trovava altro che illusione.

Solo chi avrebbe avuto consapevolezza di trovarsi nella caverna si sarebbe accorto della debole luce che la illuminava e che rappresentava la via per uscirne e scoprire e vivere la realtà del mondo in cui si trovava la caverna stessa.

 

Tratto dal libro “Viandanti del Tempo” di Giancarlo Barbadoro, Edizioni Triskel

www.giancarlobarbadoro.net

 

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