Scienze |
Volare nello spazio per studiare i mari e i deserti |
23 Luglio 2021 | |||||
Boom dei piani Nasa e Esa
Investiamo sulla Terra. Con questo spirito la politica spaziale internazionale sta delineando la strategia dell’immediato futuro. L’esplorazione e l’osservazione terrestre sono le due vie principali su cui si stanno incamminando scelte e programmi assieme alle risorse per realizzarli. A tal fine Stati Uniti e Unione Europea hanno precise cornici d’azione nelle quali si inquadrano gli obiettivi in un’ottica di collaborazione sempre più stretta, nella consapevolezza che non ci sono confini guardando l’ambiente dallo spazio e che il “pianeta blu” è un unico a cui guardare per preservarne il futuro, la sua vivibilità e quindi la nostra sopravvivenza. L’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca ha segnato un cambiamento radicale nella visione , e non a caso il “Climate Change” è diventato subito uno dei quattro punti fondamentali della sua politica assieme a Covid-19, Economy e Racial equity. Con l’arrivo di Biden, la Casa Bianca ha guardato all’osservazione della Terra come alla nuova frontiera, aumentando del 12 per cento i fondi, con una disponibilità di 2,3 miliardi di dollari: un aumento per consentire approfondite indagini sul Climate Change. E anche l’Agenzia spaziale europea vara un’Agenda 2025 ambiziosa. Se il punto di partenza è stato il ripristino da parte americana degli Accordi di Parigi cancellati da Trump e l’apertura ad investimenti infrastrutturali per affrontare le necessità, lo strumento di indagine ritenuto indispensabile da rafforzare è stato subito un piano adeguato della Nasa rivolto alla nuova frontiera dell’osservazione della Terra, assieme appunto a quella dell’esplorazione; due sfide ardue che possono tuttavia trovare preziosi punti di contatto nello sviluppo delle tecnologie, capaci di garantire un necessario balzo nelle possibilità e nei risultati. Nel budget richiesto dalla Nasa per il 2022 da approvare in autunno, la voce Earth Science registra un aumento dei fondi del 12 per cento con una disponibilità di 2,3 miliardi di dollari, un aumento per consentire approfondite indagini sul Climate Change come previsto dalla Casa Bianca.
Sputnik ed Explorer Volare nello spazio per studiare la Terra, i suoi cicli naturali in parte ancora enigmatici e l’impatto prodotto dall’attività di una popolazione in continuo aumento (solo in Europa in un secolo siamo passati dai 422 milioni di abitanti del 1900 ai 729 del 2000) è indispensabile per cogliere il pianeta nella sua globalità. Se ne erano resi conto gli scienziati già negli anni Cinquanta quando vararono l’Anno geofisico internazionale lanciando l’idea della costruzione di un satellite artificiale. E così arrivava il primo Sputnik nel 1957. Basta poi ricordare due fatti per rendersi conto dell’importanza di volare oltre il cielo. Il primo satellite americano Explorer-1 nel 1958 scopriva che la Terra era avvolta dalle fasce di van Allen. Queste, generate dal campo magnetico, bloccavano le radiazioni provenienti dal cosmo e l’esistenza dello scudo permetteva la nascita della vita evitando che la superficie fosse sterile, come accade oggi su Marte che ne è privo. Il buco nell’ozono scoperto dai Nimbus Nella prima metà degli anni Ottanta, inoltre, furono le osservazioni dei satelliti Nimbus della Nasa a confermare l’esistenza del famoso buco di ozono sull’Antartide dando il via alle politiche di contenimento dei gas serra che non solo distruggevano l’ozono ai poli ma erano fonte del riscaldamento dell’atmosfera e del cambiamento climatico. Un satellite da solo non risolve certo l’immane problema e quindi è necessario tenere sotto controllo il pianeta con continuità e in modi e con tecnologie diverse. Per questo negli ultimi decenni i veicoli spaziali lanciati a tal fine dalle varie nazioni si sono moltiplicati per cercare di identificare i cambiamenti anche lievi nei mari, nei venti, sulla terraferma, nei deserti, nelle foreste e nei centri urbani diventati progressivamente delle megalopoli. Per costruire adeguate politiche ambientali, gestire i traffici di ogni genere, lo sviluppo abitato dei territori e delle aree rurali con le loro coltivazioni da cui dipende l’alimentazione mondiale bisogna disporre di informazioni sempre più sofisticate e capacità di elaborazione di grandi quantità di dati; due aspetti che legano in maniera ferrea lo spazio alla terra. Copernicus e gli altri L’Unione Europea con il piano Copernicus ha realizzato la costellazione dei sei satelliti Sentinel le cui rilevazioni integrano quelle dei satelliti dell’Esa più specificatamente dedicati agli scandagli scientifici connessi alla diffusione dei ghiacci, alla desertificazione e alle correnti oceaniche o atmosferiche. Con Copernicus si è costruito un sistema che coordina anche le informazioni raccolte da trenta satelliti di vari enti e nazioni.
Compresi quelli dell’Asi italiana: da Prisma lanciato nel 2019, oggi il satellite internazionalmente più avanzato nell’esaminare le variazioni dello spettro elettromagnetico riflesse da vegetazione, suoli e acque; alla costellazione dei quattro satelliti CosmoSkymed, che con il radar rileva le condizioni della superficie ininterrottamente. Il neo-direttore generale dell’Agenzia spaziale europea Esa Josef Aschbacher, ha varato l’“Agenda 2025” ora in definizione con i partner delle agenzie nazionali, nella quale l’osservazione della Terra (di cui è stato direttore alla guida del centro Esrin di Frascati) è uno dei cardini prevedendo sia costellazioni commerciali per missioni medio-piccole da sommare alle informazioni raccolte dai grandi satelliti Copernicus, sia uno sforzo nello sviluppo di nuove tecnologie di intelligenza artificiale e quantum computing per trasformare le montagne di dati in servizi. Con la previsione di aumentare l’investimento dedicato all’osservazione della Terra che già oggi con il 22 per cento del budget di 6,49 miliardi di euro rappresenta la voce più “pensante” dell’Agenzia. Il futuro della Terra si gioca anche nello spazio. (Dal Corriere della Sera del 28 giugno 2021 – Per gentile concessione dell’Autore)
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