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Cortesia ESO/M. Kornmesser
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Le nuove ricerche sulle onde gravitazionali
di Nola Taylor Redd
Una nuova analisi delle onde gravitazionali rilevate nell’aprile scorso da LIGO e Virgo - attribuite finora alla fusione di due stelle di neutroni - suggerisce invece che la loro origine sia la fusione di due buchi neri primordiali, previsti finora solo teoricamente, la cui formazione risalirebbe a un periodo di poco successivo alla nascita dell'universo. Servono però nuovi dati per confermare questa ipotesi.
Nei quasi cinque anni trascorsi dalla loro prima rilevazione diretta, le onde gravitazionali sono diventate uno degli argomenti più appassionanti dell'astronomia. Grazie a strutture come il Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory (LIGO), i ricercatori hanno usato queste increspature nello spazio-tempo soprattutto per studiare il funzionamento delle fusioni fra buchi neri, ma LIGO ha anche rilevato onde gravitazionali da altri tipi di eventi celesti, come le collisioni dei resti stellari ultradensi chiamati stelle di neutroni. A volte, tuttavia, LIGO scopre onde gravitazionali che lasciano perplessi gli astronomi, come nel caso di GW190425, un evento rilevato lo scorso aprile che è stato attribuito di recente a una fusione di stelle di neutroni.
Il sospetto Il problema è che i dati di LIGO fanno ritenere che questa coppia di stelle di neutroni fosse in "sovrappeso": insieme, avrebbero una massa pari a circa 3,4 volte quella del Sole, il che supera di mezza massa solare i sistemi binari di stelle di neutroni più massicci mai visti. “È il sistema più pesante che sia noto, e anche di un bel po'”, afferma Chad Hanna, astrofisico della Pennsylvania State University che va a caccia di onde gravitazionali. Questa massa in eccesso ha fatto sospettare ad alcuni teorici che GW190425 non sia dovuto a una collisione di stelle di neutroni, ma a qualcosa di molto più esotico: una fusione di due buchi neri primordiali, (PBH, primordial black holes), oggetti mai osservati finora, che sono considerati candidati outsider come componenti della materia oscura, quel qualcosa invisibile e non identificato che costituisce la maggior parte della materia dell'universo.
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La fusione di due stelle di neutroni in una simulazione numerica: le stelle sono "stirate" dalle forze di marea appena prima della collisione (© CoRe/Jena FSU)
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Questi antichissimi buchi neri, che secondo la teoria si sarebbero formati dalle fluttuazioni di densità nell'universo delle origini, potrebbero esistere ancora oggi e spiegare la discrepanza di massa identificata nelle recenti osservazioni di LIGO. Quasi mezzo secolo fa, il cosmologo Stephen Hawking propose che i PBH fossero apparsi, già completamente formati, nelle regioni dell'universo neonato in cui la materia era particolarmente densa. Da allora, la popolarità di questa idea presso gli astrofisici e i cosmologi ha conosciuto ampie fluttuazioni. Oggi, in assenza di prove dirette della loro esistenza, molti ricercatori considerano i PBH un'ipotesi da prendere in considerazione solo se nessun altro scenario si adatta agevolmente alle osservazioni. La possibilità che i PBH siano reali e diffusi nell'universo non si può però respingere, soprattutto perché la ricerca di altri candidati per la materia oscura ha finora lasciato a mani vuote. I PBH sono candidati interessanti come componenti della materia oscura per vari motivi, il più importante dei quali è che, essendo buchi neri, sono appunto oscuri e al contempo esercitano una forte attrazione gravitazionale. Tuttaiva, Hanna dice che se i PBH fossero tanto frequenti da spiegare tutta la materia oscura dell'universo, le osservazioni astronomiche che li hanno cercati non sarebbero rimaste infruttuose. Di conseguenza, aggiunge, i PBH, se pure esistono, possono costituire solo una piccola parte della materia oscura.
I dubbi Non tutti sono d'accordo. “I buchi neri primordiali possono benissimo formare tutta la materia oscura”, afferma Juan García-Bellido, cosmologo teorico dell'Università Autonoma di Madrid. Il trucco, aggiunge, è che questi antichi oggetti dovrebbero mostrare una varietà di masse diverse anziché avere una singola dimensione ben precisa. Se ci sono PBH di masse che vanno da mille volte meno del Sole a un miliardo di volte tanto, potrebbero costituire tutta la materia oscura dell'universo. “Finora gli studi per escludere la possibilità che i buchi neri primordiali costituiscano la materia oscura danno per scontato che rientrino in uno spettro ‘monocromatico’, cioè con una singola massa, e siano distribuiti in modo uniforme nello spazio“, afferma García-Bellido. Perché appaia questo tipo di differenze di massa, i PBH dovrebbero riunirsi in gruppi compatti in cui potrebbero a volte scontrarsi, fondersi e ingrandirsi. Dato che questi buchi neri primordiali sarebbero apparsi poco dopo il big bang, all’inizio avrebbero potuto aggregarsi facilmente. L'universo delle origini era un posto molto più piccolo di oggi, dopo quasi 14 miliardi di anni di espansione significativa, il che rendeva più facile ai PBH trovarne altri e accoppiarsi. Via via che l'universo continuava a espandersi ed emergevano le prime stelle e galassie, questi abbinamenti sarebbero diventati sempre più rari. Quindi, pur essendo possibile che LIGO abbia osservato una fusione tra PBH, è improbabile che sia davvero così, sostiene Katerina Chatziioannou, astronoma del team LIGO al Flatiron Institute di New York e coautrice di uno studio che apparirà sulle “Astrophysical Journal Letters” e che classifica GW190425 come prodotto di una collisione di stelle di neutroni. Lo scorso aprile, allertati dalla rilevazione da parte di LIGO dell'evento GW190425, i telescopi di tutto il mondo hanno cercato il corrispondente segnale elettromagnetico che ci si aspetterebbe dalla collisione esplosiva di due stelle di neutroni. I cieli sono rimasti però bui, come se a schiantarsi uno contro l’altro fossero stati due buchi neri primordiali. “Dalla fusione di due buchi neri primordiali non ci aspettiamo che sia emessa luce”, dice Chatziioannou.
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Le irregolarità nella radiazione cosmica di fondo a infrarossi potrebbero aver avuto origine sia dalle prime stelle che dai buchi neri primordiali (© NASA/JPL-Caltech/A. Kashlinsky/Goddard)
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Alla ricerca di un segnale più chiaro In ogni caso, aggiunge Chatziioannou, l'assenza di luce non esclude le stelle di neutroni. Ci sono stati casi in cui questi massicci corpi celesti si sono fusi in modo abbastanza tranquillo, collassando direttamente in un buco nero prima di innescare eventuali fuochi d'artificio celesti. È anche possibile che la posizione dell'evento sia tale che i telescopi terrestri non riescano a coglierlo, per esempio in una regione dietro al Sole. “Ci sono buone spiegazioni per cui, se pure luce c'è stata, può esserci sfuggita”, aggiunge. Le osservazioni più recenti offrono solo allettanti accenni della presenza di PBH che di tanto in tanto si uniscono nell'oscurità cosmica. Un segnale più chiaro arriverebbe da una coppia di buchi neri in cui ognuno pesasse meno del Sole.
“Se trovassimo un buco nero al di sotto di una massa solare, dovrebbe quanto meno derivare da un meccanismo che nessuno ha previsto, in astrofisica, a eccezione dei buchi neri primordiali”, dice Hanna. García-Bellido concorda: “Una prova netta sarebbe la scoperta di un buco nero con meno di una massa solare o di uno con una massa maggiore di 50 [volte quella del Sole]!” Sebbene le osservazioni di LIGO possano essere il primo rilevamento di PBH, sia Chatziioannou che Hanna concordano che è più probabile che queste onde gravitazionali provengano semplicemente da stelle di neutroni con massa maggiore del solito. Esistono già teorie per la formazione di stelle di neutroni così ingombranti, e non richiedono scenari ipotetici sui primordi dell'universo. “È decisamente molto meno probabile che [le fonti di questi eventi] siano buchi neri primordiali rispetto a semplici stelle di neutroni più pesanti di ciò che osserviamo nella nostra galassia”, afferma Chatziioannou. “Non è impossibile; è solo meno probabile.” Hanna considera l'evento GW190425 “debole” come prova dell’esistenza di buchi neri primordiali binari, mentre García-Bellido rimane più ottimista. “Tutti gli eventi LIGO potrebbero essere dovuti a buchi neri primordiali”, afferma. Solo il tempo, e maggiori dati, ci daranno la risposta.
L'originale di questo articolo è stato pubblicato su “Scientific American” il 13 gennaio 2020. Traduzione di Daniele A. Gewurz, editing a cura di Le Scienze. |