Scienze

L’uomo che ci porterà nello spazio con i razzi della Virgin

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03 Luglio 2019
Il pilota spaziale Nicola Pencile
Il pilota spaziale Nicola Pencile

Intervista a Nicola Pecile, uno dei piloti che stanno preparandosi nel deserto californiano per l’inaugurazione di una nuova era, quella del turismo spaziale (per ora solo per ricchi, però)


Chi è

“È un periodo entusiasmante, si sente di appartenere a un momento rivoluzionario per l’accesso allo spazio”. Con entusiasmo Nicola Pecile ci risponde da Mojave, ai bordi del deserto californiano dove ha sede la base sperimentale di Edwards dell’aviazione americana ma anche la Space Ship Company, la società di Virgin Galactic di Richard Branson, che costruisce l’aereo a razzo Space Ship Two per il turismo spaziale. Nicola, 46 anni appena compiuti, è il più giovane e unico italiano del gruppo di sette piloti che si stanno preparando per aprire una nuova era del volo.


Che effetto fa sedersi ai comandi di un velivolo capace di portati alle soglie del cosmo?

“Solo pensarci è un’emozione e c’è la percezione di essere all’avanguardia. Ora sono responsabile degli addestramenti con il simulatore e all’inizio dell’anno prossimo piloterò l’aereo a razzo nei suoi ultimi collaudi per dare il via ai voli commerciali. Nelle ultime due missioni avvenute in dicembre e febbraio ho pilotato il grande aereo madre White Knight Two, a due fusoliere e quattro reattori, sotto il quale è agganciato l’aereo a razzo portandolo a 15 chilometri di altezza”.


E poi che cosa succede?

“Si sgancia, accende il suo motore a razzo ibrido che bruciando per un minuto lo lancia in una salita ripidissima. Nei due ultimi test è arrivato a 83 e 89,9 chilometri di altezza: oltre la soglia dello spazio secondo lo standard della Nasa e dell’aviazione militare Usaf che ha per riferimento gli 80 chilometri. Quando il propulsore si spegne, si sale ancora per inerzia e al culmine del grande balzo, iniziando la discesa lungo la parabola, si manifesta l’assenza di peso per i passeggeri che possono slacciarsi le cinture, staccarsi dalle poltrone e galleggiare per sei minuti godendosi il panorama”.


La presentazione della foto del buco nero fatta dai ricercatori che hanno partecipato alla sua realizzazione (Immagine EPA)
Virgin Galactic Spaceship

A bordo, in un’operazione tanto concitata, che cosa si percepisce?

“Si arriva a una velocità di oltre tre Mach, cioè tre volte quella del suono, e si avverte un disorientamento spaziale, un senso di vertigine per la forte accelerazione. Sono momenti impossibili da simulare a terra, ma il pilota ha sempre il controllo del velivolo dall’inizio alla fine della missione. Non c’è alcun autopilota che governa la macchina”.


Come mai questa scelta mentre gli aerei diventano sempre più robotizzati?

“Per renderla più semplice, più controllabile: il pilota sente direttamente e fisicamente le reazioni dei suoi comandi. E poi l’installazione dell’autopilota avrebbe rubato peso prezioso”.


C’è ancora molto lavoro da fare perché diventi un mezzo sicuro come un jet di linea?

“Dopo il grave incidente nel 2014 causato da un errore nel pilotaggio e che provocò una vittima oltre alla distruzione dell’aereo, tutto è cambiato nell’organizzazione e adesso sotto la gestione totale di Branson ci sono piloti con esperienze di collaudo molto più ampie. Ora stiamo effettuando l’ultima fase delle prove di volo seguiti dalla Federal Aviation Administration per dimostrare che lo SpaceShipTwo è sicuro e all’inizio del nuovo anno il rivoluzionario aereo concepito dal grande ingegnere Burt Rutan sarà pronto”.


Come sei arrivato in California, alla Virgin Galactic?

“Ero pilota collaudatore nel Gruppo Sperimentale di Volo dell’Aeronautica Militare a Pratica di Mare, e avevo accumulato esperienze su 147 tipi di aeroplani e elicotteri diversi. Nell’evoluzione della mia carriera sarei dovuto scendere dall’aereo. Ma collaudare jet è la mia vita. Durante un convegno in Europa incontrai il direttore della National Test Pilot School americana a Mojave, la più importante al mondo per la formazione dei piloti collaudatori e mi invitò a farne parte. Accettai. Era il 2011 e una volta entrato diventai il responsabile di tutte le operazioni. Passati quattro anni Virgin Galactic nel 2015 bandì un concorso per nuovi piloti: la sfida mi apparve subito interessante e partecipai senza, però, grandi speranze. Invece venni selezionato assieme a Kelly Latimer con un passato alla Nasa e alla Boeing e unica donna del gruppo”.


Un altro balzo e sempre alla frontiera del volo…


“Certo, ma non è stato facile lasciare l’Italia, dove avevo avuto esperienze eccezionali. Mia moglie è friulana come me, cresciuti non lontano da San Daniele. Vivevo a Fagnana, ho frequentato l’Istituto Malignani di Udine e ogni giorno vedevo volare i jet delle Frecce Tricolori. Mio padre era un grande appassionato di aviazione e costruiva aeromodelli. Sono cresciuto con le ali che poi ho messo davvero all’Accademia Aeronautica e continuo la passione che respiravo nella mia casa”.


L'aereo madre White Knight Two
L'aereo madre White Knight Two

Volare per te che cosa significa?

“È una grande liberazione, staccati da terra, tra le nuvole, c’è un senso di libertà incredibile. E una realizzazione personale ogni volta che salgo su un mezzo volante, indipendentemente che sia un jet, un elicottero o un aliante. Non posso proprio farne a meno”.


Far parte di un gruppo che prepara il primo aereo a razzo civile capace di salire tanto in alto provando sensazioni spaziali come ci si sente?

“Come dei pionieri ed è stimolante condividere i progetti dove si confrontano innovatori come Elon Musk, Jeff Bezos e Richard Branson. Sembra di essere alla fine degli anni Venti quando Charles Lindbergh attraversava per la prima volta l’Atlantico. Anche allora c’era il coraggio di affrontare iniziative che sembravano impossibili, quasi folli. Se non avessero avuto il coraggio di andare avanti oggi non avremmo l’aviazione commerciale. Così si aprivano nuove strade che cambiavano la vita sulla Terra. Quindi, si vive una sensazione umana e professionale straordinaria”.


Nel governare una macchina tanto innovativa non c’è preoccupazione, magari paura?

“Analizziamo i rischi, piloti e ingegneri sono tutti molto motivati. Inoltre si compie un passo alla volta, conquistando di volta in volta maggior sicurezza. Certo, può esserci un filo di apprensione, una certa tensione per gli imprevisti che possono presentarsi, ma ci aiutano la meticolosa preparazione e l’esperienza. Comunque non c’è mai paura”.


E anche l’Italia si prepara a volare alto…

“Spero che si continui con gli investimenti accordati, consapevoli della nuova opportunità che dall’anno prossimo si apre. Bisogna guardare al futuro”.

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(Dal Corriere della Sera del 9 maggio 2019 – Per gentile concessione dell’Autore)


Giovanni Caprara, giornalista e scrittore, è responsabile della redazione scientifica del Corriere della Sera

 

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