Scienze

La ricerca della Terra 2

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11 Settembre 2014

Ricostruzione artistica di Kepler-186f (Image: Nasa)

L’ansia di trovare tracce di vita: prosegue la caccia al «pianeta gemello». Per ora scoperto solo il «cugino» Kepler-186f, il più simile al nostro pianeta azzurro.


La caccia al gemello della Terra attorno a un’altra stella della nostra galassia ha raggiunto una tappa importante con la scoperta del «cugino» Kepler-186f nella costellazione del Cigno. La sua taglia è come quella della Terra ed è in zona abitabile: ed è la prima volta che si trova una combinazione del genere. Inoltre si ritiene che altre sue caratteristiche lo rendano simile al nostro pianeta azzurro. Quindi ci siamo avvicinati a un corpo celeste forse in grado di ospitare la vita.

Questa è la vera ragione che anima la ricerca di pianeti attorno ad altre stelle e che rientra nella ricerca delle tracce della vita più in generale nel sistema solare e nell’universo, diventata il motivo prevalente e più dibattuto dell’astronomia attuale. Anche perché si è capito che oltre a essere più stimolante culturalmente, può essere da traino della scienza del cielo nella sua globalità di studio. Come conseguenza sia la Nasa che l’Esa (Agenzia spaziale europea) hanno mirato le loro impostazioni di esplorazione cosmica, cioè i loro programmi, prevalentemente con questo spirito che avvicina anche il cittadino oltre a stimolare lo scienziato. Trovare un gemello della Terra con caratteristiche di abitabilità (dose di radiazione solare adeguata e presenza di acqua) significherebbe aumentare le possibilità di scoprire pure qualche forma di vita il cui rilevamento andrebbe a rivoluzionare non solo la nostra conoscenza, ma anche la nostra visione del mondo.

La convinzione che potessero esserci pianeti extrasolari risale nel pensiero addirittura a Giordano Bruno e a Newton. Ma è agli inizi degli anni Ottanta che con il satellite all’infrarosso Iras si intravedeva la presenza di materiale intorno ad alcune stelle. Non era ancora un pianeta, del quale si confermava invece la prima esistenza nel 1995 grazie alle osservazioni di Michel Mayor e Dider Queloz dell’Università di Ginevra attorno alla stella Pegasi 51. Da allora è stato un crescendo, sia per il sempre più rilevante numero di astronomi impegnati sull’affascinante frontiera, sia per l’affinamento delle tecniche di rilevamento.

Queste diventavano rapidamente evolute e consentivano di registrare la presenza di un corpo celeste attorno a un astro lontano con metodi indiretti. I principali erano: la misura dell’attenuazione della luce della stella quando il corpo celeste le passava davanti, oppure la registrazione di anomalie di comportamento delle stessa stella indotte dall’esistenza di un corpo circostante. Tali osservazioni venivano compiute con i telescopi terrestri dotati di particolari strumenti che ne accrescevano la sensibilità e via via, sempre di più, con i satelliti astronomici i quali scrutando al di fuori dell’atmosfera terrestre avevano maggiori opportunità di cogliere le deboli anomalie di radiazione legate ai potenziali pianeti.


Il campione in assoluto per la tecnologia adottata è il satellite Kepler della Nasa che è arrivato a identificare 3.845 candidati e 966 pianeti extrasolari certi ai quali bisogna aggiungere altri 2.165 candidati orbitanti attorno a stelle doppie. Complessivamente i pianeti solari accertati dai telescopi terrestri e spaziali sono circa 1.100. Ma il risultato più clamoroso che ha regalato Kepler è quello di aver dimostrato come la presenza di questi corpi celesti sia normale, e non eccezionale come si credeva fino a poco tempo fa. Così sono state avviate indagini teoriche, le quali hanno valutato la presenza di almeno cento miliardi di pianeti extraterrestri nella nostra galassia. Inoltre ogni cinque stelle ce ne sarebbe almeno una che intorno ha un pianeta della taglia della Terra nella zona abitabile come Kepler-186f appena scoperto.

Simili deduzioni sono state favorite dal fatto che con Kepler si è giunti a cogliere la presenza di pianeti più piccoli delle dimensioni di Nettuno o analoghe al nostro mentre, prima non si andava oltre i grandi pianeti simili a Giove o addirittura più massivi e quindi in genere più gassosi. Negli ultimi anni si è raccolta anche qualche prima embrionale immagine con il telescopio spaziale Hubble senza permettere tuttavia approfondite esplorazioni. Per queste bisogna aspettare satelliti come Plato dell’Esa e Webb Telescope della Nasa. Intanto si è comunque riusciti a studiare in modo rocambolesco qualche atmosfera dei pianeti extrasolari trovando la presenza di molecole d’acqua. Ciò ha accesso ancor di più il sogno della vita presente fuori dalla Terra, vista ormai come una realtà possibile e ragionevole. Nell’universo non possiamo dire con arroganza di essere soli.


(Dal Corriere della Sera del 18 aprile 2014 – Per gentile concessione dell’Autore)


Giovanni Caprara, giornalista e scrittore, è responsabile della redazione scientifica del Corriere della Sera

 

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