Scienze di Madre Terra |
I Cristalli tra Storia e Leggenda |
12 Febbraio 2013 | ||||||||||||||
Tracciare una storia delle gemme non è facile poiché i dati della storia ufficiale sull’argomento sono scarsi e frammentari. La gemmologia non ci aiuta non solo perché è una scienza recente, ma anche perché non indaga sulle straordinarie proprietà sconosciute delle pietre preziose. Inoltrandosi in questo tipo di ricerca ci si accorge che il confine tra dati storici, leggende, superstizioni e folklore è molto labile, tuttavia pur rimanendo nell’ambito di una ricerca pragmatica non si può non tener conto delle tracce e dei ritrovamenti che possono generare ipotesi anche azzardate. Come nasce la cultura delle gemme? Qual è la sua origine? Perché tutti i popoli del pianeta conservano leggende che narrano di poteri straordinari legati alle pietre? Sembrano domande destinate a rimanere senza risposta. In questa indagine, quasi da “detective dell’impossibile”, ci vengono in aiuto una volta di più quelle culture antiche rimaste indenni dall’opera di disintegrazione delle grandi religioni: i Popoli naturali. Sono loro che ci possono fornire preziose indicazioni sui misteriosi poteri delle gemme e sul ruolo che hanno avuto, e hanno, nella storia dell’umanità. L’esperienza vissuta con le culture Hopi e Apache, con gli Aborigeni australiani e i Nativi africani, ha permesso di tracciare una storia delle gemme e di penetrarne il loro significato. Nell’ambito dei Popoli naturali, all’interno delle tradizioni dei Nativi europei, a contatto con quelle culture autoctone tuttora vive e vitali che conservano e trasmettono le conoscenze ancestrali druidiche, abbiamo incontrato la cultura shan, un’antica conoscenza che ha fornito una preziosa chiave interpretativa per comprendere l’argomento nei suoi vari aspetti, sia storici che filosofici, fino ad addentrarci nei poteri più nascosti dei cristalli. Per quanto riguarda l’aspetto storico delle gemme, la scienza attuale ci fornisce un quadro scarno e frammentario. Tuttavia, anche da quei pochi dati che si possono reperire, emerge il fatto che le pietre erano diffusissime già ai primordi della storia dell’uomo, ed erano usate in molti modi, ad esempio a scopo divinatorio e terapeutico.
Già i nostri lontani antenati della preistoria facevano di ogni pietra un oggetto di ricerca perché esse, con la loro solidità, permettevano di fabbricare strumenti e armi indispensabili alla loro vita quotidiana. La lavorazione della pietra risale ai primordi della storia umana e questo può forse far capire quanto sia sempre stato significativo il rapporto uomo-pietra. I più antichi segni risalgono a 75 000 anni fa: sono state trovate tracce di pietre lavorate in caverne di età aurignaziana, un periodo dell’era glaciale. All’alba del Neolitico gli uomini distinguevano alcune pietre brillanti e colorate alle quali attribuivano poteri soprannaturali che potenziavano incidendovi segni magici. Presso i Sumeri le pietre incise furono usate come sigilli, ritenendo che la pietra potesse comunicare il suo potere magico. Più tardi il sigillo verrà usato come firma. L’uso dell’amuleto era molto diffuso in Egitto e anche presso i Sumeri. Pietre ornamentali come il lapislazzuli dell’Afghanistan erano già sfruttate seimila anni fa, e visto che in quel tempo pare fosse noto solo il giacimento dell’Afghanistan, ci si sorprese molto quando questa pietra fu ritrovata nelle tombe del Baltico (dove si trova l’ambra) e della Mauritania. L’inalterabilità e la bellezza di questi oggetti stimolò l’estensione del commercio delle gemme, la cui ricerca in terre lontane fu uno dei più importanti fattori di diffusione della civiltà. In Cina la lavorazione della giada risale a quattromila anni fa, mentre nel Messico giada e turchese erano più apprezzate dell’oro da parte dei Maya. La corniola è stata usata da tutti i popoli antichi: è stata ritrovata sotto forma di sfere e ovoidi perforati in moltissime località archeologiche, compresa la Siberia dove fu lavorata nel Mesolitico con altri calcedoni e diaspri, ottenendone lamine finissime. È difficile dare una collocazione in ordine di apparizione delle gemme nella storia dell’uomo. Possiamo indicare che le giade e i quarzi erano già usati per la fabbricazione di utensili preistorici; il lapislazzuli, l’ossidiana, la corniola, le agate e i diaspri erano usati presso i Sumeri tagliati o incisi. In Egitto nelle sepolture si trovò prima la malachite, poi il lapislazzuli e l’ossidiana, in seguito la corniola, i diaspri, l’ametista, il turchese e l’amazzonite e più tardi lo smeraldo, l’acquamarina, l’ematite, i granati, l’ambra, il corallo e le perle. La Bibbia riporta frequenti allusioni alle gemme e lascia intendere che il loro riferimento non è casuale ma contiene simbolismi esoterici. Con il crollo dell’impero romano il commercio delle pietre e l’arte dell’incisione conobbero un periodo di decadenza, durante il quale Bisanzio, sola in Europa, conserverà per circa dieci secoli i segreti dell’incisione su gemme. In quest’epoca tale arte rimaneva fiorente in Persia, nelle Indie e in Cina, mentre i navigatori arabi si dedicarono alla ricerca febbrile di ogni sorta di gemme. Nel IX secolo arrivarono sino al Madagascar per sfruttarvi il quarzo che rivendevano in Oriente.
Le pietre preziose più belle e più rare venivano dallo Sri Lanka, allora Ceylon, e dall’India, ma fu in Europa che si iniziò a tagliare le gemme in modo regolare e si perfezionò la tecnica del taglio dei diamanti. Nel XV secolo l’Italia vide la ripresa della lavorazione delle gemme e fu Vincenzo Peruzzi a perfezionare il taglio del diamante a 57 faccette, detto a “brillante”. In quest’epoca avevano grande seguito le credenze popolari che attribuivano poteri occulti alle gemme, il cui uso più diffuso era quello a scopo terapeutico o magico. Tra il XV il XVIII secolo tre avvenimenti incisero fortemente sulla storia della gemmologia: la colonizzazione dell’America Latina da parte degli Spagnoli, con conseguente depredazione di tutte le risorse dei Nativi e con importazione di numerosissimi e bellissimi smeraldi; la scoperta dei diamanti in Brasile nel 1723, che fece perdere all’India il monopolio della sua produzione, e la scoperta dei giacimenti diamantiferi del Sudafrica nel 1867, che ha reso il diamante accessibile a un maggior numero di persone. Storicamente, i dati più antichi sono forse quelli che possiamo trovare nella cultura egizia, soprattutto nel Libro dei Morti egiziano in cui le gemme sono spesso citate. Ad esempio si narra di un “amuleto del cuore” fatto di lapislazzuli che si credeva possedesse proprietà benefiche per coloro che lo portavano addosso: il cuore presso gli Egizi era inteso come la sede della coscienza. Secondo antiche usanze egizie, il cuore veniva custodito dopo la morte con particolare attenzione, mummificato e conservato in apposito vaso. Il defunto, una volta ottenuto il dominio del suo cuore con particolari formule magiche, poteva avere accesso alle porte dell’aldilà e procedere in pace. Tuttavia il defunto doveva impedire a un mostro di portargli via il cuore: di qui la necessità di conoscere le formule magiche e l’uso degli amuleti quali il lapislazzuli. Un altro amuleto citato nel Libro dei Morti era lo “scettro di papiro”, destinato a dare al defunto vigore e nuova giovinezza. Era costituito da uno smeraldo e veniva posato nelle mani del defunto dal dio Thot che diceva: “È in buono stato ed io sono in buono stato; non è danneggiato ed io non sono danneggiato; non è consumato ed io non sono consumato”. Citiamo poi l’amuleto “delle due dita”, rappresentante l’indice e il medio, che il dio Horus usò nell’aiutare suo padre Osiride sulla scala del paradiso. Si trova all’interno delle mummie ed è usualmente fatto di ossidiana e ematite. Gli Egizi credevano che il pavimento del paradiso, che era anche il cielo di questo mondo, fosse costituito da una immensa lastra di ferro, di forma rettangolare, i cui quattro angoli poggiavano su quattro pilastri e servivano a indicare i punti cardinali. Su questa lastra di ferro vivevano gli dei e i beati, e ogni buon Egizio mirava a raggiungerli dopo la morte. In certi punti sacri la sponda della lastra era così vicina alla cima delle montagne che il defunto poteva facilmente arrampicarsi su di essa e avere così accesso al paradiso, mentre in altri punti la distanza tra la terra e la lastra era così grande che si aveva bisogno di aiuto per raggiungerla.
Esisteva una leggenda secondo la quale lo stesso Osiride aveva incontrato qualche difficoltà nel salire sulla lastra di ferro e fu soltanto per mezzo della scala fornitagli da suo padre Ra e delle due dita di ossidiana ed ematite offertegli dal figlio Horus che alla fine Osiride poté ascendere in paradiso. In altri testi e ritrovamenti dell’antico Egitto scopriamo che l’ametista era una delle pietre più note e più usate sia come monili che nei lavori di intarsio degli artigiani egizi. L’ametista proveniva dalla Nubia. La corniola, sempre proveniente dalla Nubia, era anch’essa largamente usata in gioielleria, così pure il lapislazzuli al quale veniva attribuito soprattutto un significato sacro, e il turchese, di cui abbiamo vaste tracce nei ritrovamenti. In epoca più recente (23-79 d.C.) troviamo invece il primo trattato di gemmologia che la storia ufficiale ricordi, a cura del naturalista dell’antica Roma, Plinio il Vecchio. Gaio Plinio Secondo, conosciuto come Plinio il Vecchio, naturalista, scrittore e cronista romano, scrisse l’opera più importante del periodo greco-romano sulle scienze naturali, la Naturalis Historia, in 37 volumi, da cui hanno attinto tutti gli studiosi fino al XVIII secolo. Plinio dedicò un intero volume alle proprietà delle gemme e delle pietre preziose, facendosi così precursore di una materia che nella storia contemporanea fu scoperta solo nel XIX secolo. La Naturalis Historia può essere considerata una delle poche opere tramandate dalla storia della nostra epoca in cui è contenuta parte del sapere druidico: infatti Plinio il Vecchio traeva le sue conoscenze sulle gemme, per sua stessa ammissione, dal suo rapporto con i druidi dell’epoca. Nel suo esauriente trattato, una vera miniera per gli storici e i gemmologi, Plinio parla soprattutto degli aspetti meno noti delle gemme, oggi decisamente in disuso: l’aspetto terapeutico, il loro possibile uso magico e le loro origini leggendarie.
Numerosissime sono le gemme citate da Plinio e suggestive le leggende narrate. Egli racconta ad esempio che secondo una leggenda greca le gemme di ambra sono le lacrime delle sorelle di Fetonte che piangono il fratello morto “di saetta dal cielo”. Dice Plinio del diamante: “Grandissimo pregio ha il diamante non solamente nelle cose umane, ma tra le gioie ancora …”, “… il diamante fa che i veleni non nuocciano, caccia i mali spiriti e scaccia ancora le vane paure dalla mente …”. E degli smeraldi: “… essi soli sono tra le gioie, i quali empiono gli occhi, e non li saziano. Ma quand’anche la vista fosse stracca per aver guardato altrove, la veduta dello smeraldo la ricrea. Negli occhi di coloro, che intagliano le gioie, hanno ristoro più grato, perché con quella verde vaghezza mitigano la stanchezza”. Plinio inoltre afferma che “Nerone vedeva le battaglie dei gladiatori attraverso uno smeraldo”. L’ametista era invece consigliata per l’ubriachezza, per essere accettati dai re, per scacciare le tempeste e le locuste. Le proprietà dei cristalli non fanno parte dei libri di testo e non esiste un serio studio sul tema da parte degli enti di ricerca. Reperire dati sull’argomento è difficile e fortuito. In tutti i popoli esiste tuttavia una trasmissione orale di antiche usanze terapeutiche e magiche, che si trasmettono attraverso le generazioni, così come esistono testi antichi che sono stati miracolosamente conservati, nonostante la polverizzazione culturale avvenuta ai danni delle culture precristiane. Nelle valli piemontesi si parla di un leggendario “Libro del Comando”, un libro strettamente legato al fenomeno delle “masche”, cioè quelle figure che sono state identificate come streghe. In realtà le masche erano sciamane legate alla tradizione precristiana di origine druidica. Queste figure emblematiche, nell’epoca buia della repressione religiosa, furono oggetto di cruente persecuzioni e nel medioevo furono tristemente protagoniste dei roghi dell’Inquisizione, dove furono bruciate vive a migliaia in tutte le zone in cui si era insediata la nuova religione. Il “Libro del Comando” è una leggenda viva ancora oggi, e c’è chi afferma che nelle valli di Lanzo ci sia chi ancora lo conserva accuratamente. Si tratta di una sorta di formulario magico, un libro di evocazioni e di ricette per incantesimi di ogni tipo, per praticare quella che viene definita non magia, ma “la fisica”.
“La fisica”, secondo le tradizioni valligiane, è una vera e propria scienza dell’occulto, un metodo pragmatico per usare gli elementi naturali allo scopo di provocare dei fenomeni fisici, come il cambiamento del tempo meteorologico o la guarigione di un malato terminale, e addirittura c’è chi sostiene di aver visto, attraverso “la fisica”, apparire degli oggetti concreti dal nulla. Una scienza che era prerogativa di chi la sapeva usare, cioè gli sciamani e le sciamane dell’Antica Religione. Nelle formule del “Libro del Comando” le gemme e i cristalli sarebbero tra gli elementi principali. Le tradizioni della cosiddetta Antica Religione conservano un vastissimo bagaglio di conoscenze, costumi, rimedi, riti, che vengono ancora oggi trasmessi in maniera diretta. È a queste tradizioni che possiamo rivolgere la nostra attenzione per reperire dati non filtrati dalla religione che le ha soppiantate. Esiste poi il folklore, cioè il bagaglio di conoscenze riportate e reinterpretate a seconda della cultura e della religione che ne fanno uso. Spesso quest’ultimo elemento è inquinato da interpretazioni che travisano il significato originale del mito, leggenda o usanza. Ne abbiamo un esempio nell’interpretazione della figura della “masca”, anticamente considerata la figura della sciamana e poi diventata la “strega”, oppure nell’interpretazione di leggende legate ai luoghi megalitici a cui si associa spesso il demonio, come in molti casi di templi antichi dove le “coppelle” sono state trasformate da elemento sacro in opera del demonio. Gli antichi testi che trattano di credenze legate alle gemme danno a volte informazioni circa il possibile uso magico. I sortilegi si effettuavano di solito polverizzando la pietra scelta e facendola bere all’interessato, oppure facendo indossare la pietra in modo che fosse a contatto con il petto, o portata (sempre sul petto) in una sacca apposita, appesa al collo. Le magie fatte su se stessi e a scopo benefico (per esempio per correggere parti negative del proprio animo) erano attuate senza mistero per alcuno, e infatti in molte culture era d’uso una speciale sacca di piccole dimensioni, in pelle sottilissima o stoffa leggera, appesa al collo con una sottile striscia di pelle, che conteneva una o più pietre a seconda delle necessità. Era anche d’uso rivolgersi a persone esperte nel campo della terapeutica delle gemme per avere una “ricetta” personalizzata. I sortilegi rivolti a terze persone il più delle volte ignare, e questi non a sfondo benefico, erano ovviamente effettuati in grande segreto e con mille precauzioni.
Oltre alla polverizzazione della pietra era d’uso anche far indossare inconsapevolmente la pietra scelta alla persona a cui era indirizzato il sortilegio, oppure nasconderla nelle coltri. Sortilegi complicatissimi erano quelli a sfondo amoroso, e sembra fossero anche i più riusciti. Per questo motivo era d’uso portare addosso, in forma cautelativa, delle pietre protettive come l’ametista. Per quanto riguarda l’uso medicinale delle gemme, questo era largamente diffuso presso quasi tutti i popoli antichi, tanto che esistevano vere e proprie specializzazioni mediche indirizzate a quel settore della medicina. Le ricette erano composte di solito da una o più pietre, usate grezze o burattate, e applicate o sulla parte malata o nella sacca già citata, a seconda dei casi. Le pietre venivano portate per il tempo della cura, tutte insieme o alternate. Tra le leggende più significative che trattano delle gemme nelle varie culture, citiamo la leggenda di Tah-ai della cultura shan che narra di una giovinetta che in epoche preistoriche venne in contatto con esseri misteriosi, detti “Immortali”. Questi le fecero dono di 22 pietre magiche che le diedero poteri soprannaturali, con le quali Tah-ai poteva “parlare con gli animali e con le cose, cambiare i colori del mondo e fare cose mai viste”. Le 22 “pietre magiche” simboleggiano nella cultura shan l’intima conoscenza del messaggio esoterico che ne è alla base. Esistono storie molto suggestive sulle gemme, come ad esempio la leggenda di Ametista che narra di una principessa angustiata dal potere che aveva di far innamorare tutti gli uomini che la guardavano, fino a far perdere loro la ragione. Anche il principe che essa amava segretamente non era immune da tale malia, e Ametista se ne disperava perché lo avrebbe voluto forte e saggio. Ma una maga venne in suo aiuto consegnandole una pietra viola e lucente che avrebbe compiuto il miracolo. E così fu: a contatto con la bella pietra il principe rinsavì e diventò l’uomo forte e saggio che lei desiderava al suo fianco. La pietra era naturalmente l’ametista. Secondo la leggenda, l’ametista fu conosciuta da allora come la pietra che preservava dall’ubriachezza di ogni genere: dall’ebbrezza provocata dal troppo vino a quella dell’amore. Sono molte le credenze secondo cui l’ametista è usata come antidoto contro l’ebbrezza provocata dall’alcol, così come sono numerose quelle riferite alle proprietà malefiche del diamante. Se per alcune fonti il diamante ha virtù terapeutiche come guarire dalla pazzia, per altre è considerato un potentissimo veleno: si dice che i nemici di Benvenuto Cellini complottassero per ucciderlo, mescolandogli nel cibo polvere di diamante, e che ciò che invece lo salvò fu il fatto che all’ultimo momento (forse per senso del risparmio) gli assassini usarono del berillo. |