Sciamanesimo

L’universo dello Sciamano

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11 Ottobre 2021
Il viaggio sciamanico delle 'masche' secondo una litografia ottocentesca
Il viaggio sciamanico delle “masche” secondo una litografia ottocentesca

Il Libro della Natura dell’antico sciamanesimo druidico


Per lo sciamanesimo druidico, la Natura non era intesa solo come la manifestazione poetica dei boschi, del cielo e delle acque, ma contemplava anche il suo aspetto invisibile e mistico dove si rendeva manifesto il Mistero immanente a tutte le cose che porta ad una ricerca spirituale sul senso dell’esistenza umana e alla ricerca di una Causa Prima. Una qualità immateriale di esistenza che veniva concepita nel concetto cosmologico di “Shan”, di cui si intravedeva solo una percezione parziale, l’immediato quotidiano, attraverso la limitazione dei sensi.

Il druidismo esprimeva la sua filosofia in una maniera semplice e immediata che nasceva dal rapporto pragmatico con la Natura e la manifestava attraverso il preciso postulato del Tai Shan, il Libro della Natura. Un libro di natura archetipale basato sull’esperienza diretta dei fenomeni e della qualità fenomenica dello Shan che non risultava quindi come il prodotto di una qualche ideologia, ma era basato sull’esperienza osservativa della Natura. Un testo, trasmesso, secondo la consuetudine della cultura druidica, in forma orale perché rimanesse impresso nel cuore e nelle azioni.

Il Tai Shan era incentrato sul concetto di esistenza dello Shan inteso come una qualità invisibile e mistica dell’esistenza, paragonabile ad una identità di Vuoto, ovvero una dimensione priva di concetti descrittivi e accessibile alla sola esperienza diretta dell’individuo.

Una qualità di esistenza considerata fonte di armonia e conoscenza, occasione di benessere per l’individuo, a cui era possibile accedere entrando in sintonia con la sua natura.

Una natura percepibile e accessibile nel Silenzio interiore vissuto nella meditazione.

Nel simbolismo dello sciamanesimo esiste il concetto di “Kemò-vad”, ovvero “danzare nel vento per entrare in sintonia con la natura invisibile dello Shan”. Invisibile come il vento che ci avvolge e che, per quanto non lo si possa vedere e descrivere, ci coinvolge con la sua forza e il suo messaggio di vita.

Il 'Tai Shan', l’arcaico 'Libro della Natura' dello sciamanesimo druidico
Il “Tai Shan”, l’arcaico “Libro della Natura” dello sciamanesimo druidico

Un simbolismo che invita l’individuo a divenire parte della Natura. Per divenire vento nel vento dei vortici cosmici dell’universo, assumendo la trasparenza del silenzio, entrando in sintonia con l’armonia del tutto.

Oggi è proprio la pratica della Kemò-vad, la meditazione dinamica dell’antico sciamanesimo druidico, che può consentire una continuità tra le antiche radici della storia dell’umanità e l’epoca moderna, sperimentando direttamente la conoscenza di una esperienza ancestrale che non è mai andata perduta e che può contribuire a realizzare un effettivo rapporto con la Natura. Una Natura che rappresenta il senso mistico dell’esistenza dell’individuo e di tutto l’universo, vissuta dentro un Mistero inteso come il vero senso delle cose, che può portare al benessere e alla gioia di vita basata sulla conoscenza acquisita per esperienza personale. Una conoscenza che non può essere appresa attraverso la lettura di testi filosofici o sulla parola dei tanti “maitres à penser” che si possono incontrare. Ma che può essere realizzata, al di fuori di qualsiasi ipoteca ideologica, da ciascun individuo nella più completa libertà interiore.

Così come ci viene tramandato dal Libro della Natura dell’antica Tradizione sciamanica.


L’esperienza dello Sciamano

Lo sciamanesimo è la più antica forma di rapporto tra l’individuo e il senso dell’esistenza. Da quando l’uomo ha guardato per la prima volta verso il cielo stellato ed è rimasto rapito dalla grandiosità del suo spettacolo è nato in lui il desiderio di conoscere il Mistero che vi ha scorto e di entrare in sintonia con esso, in maniera consapevole, per capire il senso della propria esistenza.

Una esperienza che, nonostante le sovrapposizioni culturali e storiche avvenute nel tempo, è sempre vitale e presente nell’animo di ogni individuo.

Oggi esistono varie forme di sciamanesimo, soprattutto presso i popoli della Mongolia, del nordamerica, delle terre artiche e in Africa centrale. Senza contare quelle sorte nei vari movimenti della New Age.

Ma queste manifestazioni, a parte l’interesse che possono suscitare per uno studio antropologico, molte volte non hanno nulla a che fare con il vero sciamanesimo, poiché contaminate dalla cultura patriarcale che si è sostituita all’antica cultura primigenia dei “primi uomini”, come li cita Dante nella Divina Commedia.

Lo sciamanesimo non può essere confuso con pratiche di religione a supporto di vari clan, né con una esperienza ereditabile dinasticamente. Questi sono chiaramente adattamenti storici di popoli che hanno perduto la loro memoria storica, cancellata spesso ad arte dalla società maggioritaria per distruggere culture che celebrano la libertà dell’individuo e vanno contro la superstizione.

Gli Egunguns, sciamani africani del Benin
Gli Egunguns, sciamani africani del Benin

Lo sciamanesimo potrebbe essere definito come la religione naturale dell’uomo, nata spontaneamente nella specie umana milioni di anni orsono; una religione o filosofia di vita legata alla Natura in cui ogni individuo può realizzare in totale libertà la propria identità spirituale. L’esperienza senza nome che la distingue scaturisce spontaneamente dall’individuo che si rapporta alla dimensione fisica e mistica dell’universo prendendo a riferimento pragmatico la Natura senza inutili sovrastrutture culturali e ideologiche.

Si potrebbe dire che lo sciamanesimo è paragonabile alla scienza che studia l’universo e abbatte con la sua conoscenza la distinzione tra filosofia e ricerca, avvicinando l’individuo al senso del trascendente che è immanente ad ogni cosa.

Ciascun individuo, se si sente coinvolto dal mistero della vita e sente il richiamo imperante del trascendente che si impone su ogni altra cosa, è uno Sciamano in potenza, pronto e disponibile a intraprendere il suo personale cammino per ritornare alla sua vera casa cosmica.

Lo Sciamano non ha nulla di speciale. È un ricercatore curioso che si rivolge ai fenomeni della materia e dell’invisibile, un filosofo che si relaziona con il significato dell’esistenza, disponibile a sviluppare la sua conoscenza attraverso la sua creatività, in armonia con la Natura, per se stesso e per gli altri.

È l’Alchimista che opera alla realizzazione della “pietra filosofale” interiore e riesce ad operare la trasformazione della materia inerte in oro partecipando disinteressatamente, per il benessere degli altri, all’evoluzione del cosmo.

Lo Sciamano si rapporta alle forze della Natura e da questa ricava le energie ancestrali che essa esprime su piani non sempre convenzionali, ma che rappresentano le radici profonde della presenza umana nell’esistenza.

Dall’antica esperienza sciamanica, per via della presuntuosa interpretazione umana e per interessi di potere, hanno preso spunto nel tempo moltitudini di profeti, filosofie di vita e religioni di ogni genere che hanno promosso, in seguito, propri specifici paradigmi di verità, riuscendo a suggestionare gli individui, colpendoli nei loro bisogni di trascendenza.


Danza sciamanica dei Taino People, nativi dei Caraibi
Danza sciamanica dei Taino People, nativi dei Caraibi

Lo Shan dei Nativi europei

L’individuo di ogni tempo si trova ad essere calato suo malgrado nell’esistenza, al di là di ogni sua aspettativa. Una dimensione indefinibile e che non è facile focalizzare, ma che rappresenta l’ambiente fenomenico in cui è nato e a cui si rapporta inevitabilmente in ogni istante, traendone piacere o disagio a seconda della qualità del suo rapporto con essa.

Nell’esistenza ogni individuo cerca a modo suo di migliorare la propria condizione personale, spesso adeguandosi alle imposizioni del mondo degli altri oppure, quando ci riesce, cercando esperienze che possano concedergli quanto gli è più confacente.

Tra le tante esperienze possibili, quella più profonda e gratificante a cui si ritiene possa giungere un individuo nella sua vita risulta essere, al di sopra di ogni altra cosa, la conoscenza della natura intima e reale del senso dell’esistenza, che appaghi il personale bisogno di curiosità consentendogli di ottenere strumenti concreti per trovare benessere e armonia nel proprio quotidiano.

Da millenni l’umanità si dedica a questa ricerca su tutti i piani possibili: dalla scienza alla filosofia ermeneutica, dalle pratiche della magia e della superstizione alle religioni.

Nel nostro tempo, l’individuo che vive nella società maggioritaria, per intendersi quella ordinaria, dominata dalle religioni e dalle varie filosofie di vita, si trova solitamente a mediare le sue intime curiosità attraverso proposte preconfezionate che non gli danno la possibilità di una verifica e di una sperimentazione diretta di quanto gli viene fatto acquisire. In questo caso l’individuo non può fare altro che adeguarsi ai vari paradigmi filosofici e religiosi con la sua passiva partecipazione morale e accettare le relative sovrastrutture mentali.

Al contrario di questa situazione impietosa propria della società maggioritaria, non avviene fortunatamente la stessa cosa per una buona altra parte dell’umanità, ravvisando questa nelle culture dei cosiddetti Popoli naturali, o Nativi. Culture che non si rapportano in alcun modo alle modalità della società maggioritaria e consentono pertanto la possibilità di dare occasione all’individuo di vivere una esperienza che è totalmente libera e diretta, senza intermediari di alcun genere che si frappongano tra lui e l’esistenza.

I Nativi prendono a riferimento pragmatico la Natura, come occasione di esperienza al di sopra delle parti, che dà la possibilità di stabilire una conoscenza sostanziale dell’esistenza. Una Natura che non viene intesa solamente come l’estensione degli spazi della terra e del cielo, ma anche come la manifestazione del Mistero mistico immanente a tutta l’esistenza.

I Nativi europei, da tempi immemori dimoranti sul continente omonimo, appartenevano, e appartengono ancora, alla dimensione culturale primigenia che ha dato origine allo sciamanesimo e come tutti gli altri Nativi del pianeta hanno sviluppato uno loro esperienza specifica sul rapporto tra l’individuo e il senso dell’esistenza, vivendo anch’essi i principi archetipali di questa religione naturale.

Il Bodhran, il tamburo sciamanico dei Nativi europei
Il Bodhran, il tamburo sciamanico dei Nativi europei

Per l’antico sciamanesimo druidico la Natura era concepita attraverso il concetto di “Shan” che indicava la qualità immateriale e totalizzante dell’esistenza, comprendendo tutto quanto potesse esistere. Un concetto che si esprimeva nel significato di Vuoto, ovvero una identità a cui era impossibile attribuire dei concetti per poterla definire.

Una dimensione invisibile ma che tuttavia non era lontana dall’esperienza dell’individuo che poteva entrare in sintonia con essa per trarne benessere e conoscenza.

Sulla base di questa concezione cosmologica, l’antico sciamanesimo druidico sviluppò l’esperienza propria di una religione naturale in cui si esprimeva il rapporto diretto tra l’individuo e il Mistero dell’esistenza, in una continua pratica di ricerca e di esperienza mistica.

Per comprendere più approfonditamente il concetto di esistenza dello Shan occorre valutare che lo sciamanesimo druidico suddivideva l’esperienza umana nell’esistenza attraverso tre competenze dimensionali.

La prima era quella del “mondo virtuale”, ravvisando in questa la dimensione interiore vissuta dall’individuo quale la dimensione onirica, quella dell’immaginazione e quella proposta dalle sovrastrutture socio-comportamentali.

La seconda si riferiva al “mondo primario”, inteso come l’aspetto materiale dell’universo percepito sul piano della Natura rilevata dai sensi, punto di riferimento in comune tra tutte le creature viventi che consente la loro reciproca interazione. Lo sciamanesimo druidico identificava il mondo primario con il “Mondo di Abred”, una dimensione di esistenza intesa come fonte e occasione di libere esperienze. Simboleggiava questa dimensione l’Hatmar, la ruota dei 22 hat che mostrava gli archetipi delle esperienze possibili.

Infine, la terza dimensione era quella del “mondo invisibile”, inteso come l’aspetto reale dell’esistenza sul suo piano fenomenico immateriale e trascendente il mondo sensibile, conosciuto dai Nativi europei con il termine di Shan. Una dimensione di esistenza che comprendeva anche il mondo primario, sotteso alle sue leggi inderogabili.

La partecipazione al mondo reale e trascendente dello Shan rappresentava il solo e vero atto concreto di partecipazione all’esistenza che potesse portare benessere e conoscenza.


La natura spirituale dello Sciamano

L’antico sciamanesimo druidico concepiva la manifestazione di due tipologie di esseri umani: quelli che percepivano il trascendente e che orientavano la propria vita alla sua realtà immateriale e quelli che non lo percepivano affatto, ignorandolo e coinvolgendosi prioritariamente nelle vicende ordinarie a cui davano riferimento e importanza. Tutt’al più rispondendo a questo attraverso la dimensione della superstizione e delle religioni.

Tuttavia, alle volte l’attenzione alla manifestazione del trascendente scaturisce anche da situazioni particolari della vita dell’individuo, ponendolo inaspettatamente di fronte alla percezione dell’immanenza del Mistero e sollecitandogli l’esigenza di una via spirituale.

Il libro “Il Tamburo dello Sciamano” di Giancarlo Barbadoro, Edizioni Triskel
Il libro “Il Tamburo dello Sciamano” di Giancarlo Barbadoro, Edizioni Triskel

Lo sciamanesimo druidico identificava nella proprietà esperienziale dello “Sciamano” l’individuo che cercava di rispondere al richiamo interiore del trascendente. L’attributo derivava da “Shan-a-man”, termine dello “shannar” l’antica lingua dello sciamanesimo druidico, che significa “lo Shan vissuto dallo spirito” oppure ancora “la sintonia dell’Io vuoto con la natura invisibile e immateriale dello Shan”.

La risposta dello Sciamano al richiamo interiore del trascendente lo portava a voler stabilire una sintonia, il “Mà-hasba”, diretta e senza intermediari tra sé e la natura invisibile dello Shan, andando oltre le apparenze sensoriali per realizzare lo Shan sul piano della sua individualità, il “Nah”, una esperienza sostanziale traducibile come “Potere interiore”. Questa veniva valutata in una scala gerarchica di esperienze che portavano nel tempo lo Sciamano dalle sue potenzialità interiori alla pratica effettiva della sua esperienza finale.

Lo scopo dell’esperienza sciamanica è del tutto particolare e non ha riscontro nei valori del mondo maggioritario, senza effettivi paragoni possibili con le esperienze proposte dalle varie filosofie e religioni.

Lo Sciamano si pone il compito di penetrare l’Invisibile per colmare il bisogno di trascendenza che lo coinvolge in tutto il suo essere come in un innamoramento di portata cosmica. Va oltre il visibile e il suo “Tai-tah”, ovvero le leggi e le morali costruite dagli uomini, per vivere la logica esperienziale della reale natura immateriale dello Shan, con cui avere riferimento per realizzare una condizione di vita migliore, basata sul concetto di “shali”, “atabi” e “sharka”. Questi tre principi hanno illuminato la società iniziatica dell’antico sciamanesimo druidico e si traducevano in “fratellanza e pace tra le genti”, “rispetto per la libertà dell’individuo” e “accesso alla gioia di vita che nasce dalla conoscenza della reale qualità della Natura”.

Lo Sciamano attua la sua risposta al richiamo del trascendente attraverso una personale esperienza della meditazione sciamanica, che gli consente di attuare la dimensione del silenzio interiore, vera porta di accesso sulla natura del Vuoto, in cui realizzare i suoi poteri spirituali, l’armonia e il benessere da destinare a sé e agli altri.


La cosmologia dello sciamanesimo druidico

L’esperienza sviluppata dallo Sciamano si svolge all’interno di una precisa cosmologia che mostra i termini del teatro cosmico in cui viviamo.

Lo sciamanesimo druidico concepiva l’esistenza nel concetto dello Shan, un ente immateriale e invisibile che globalizzava ogni cosa. L’uomo era quindi parte integrante della sua natura e non ne era disgiunto come invece accade nella cosmologia concepita dalla società maggioritaria dove troviamo un universo separato dall’individuo.

Nella concezione di un ente fenomenico globale l’individuo non rimaneva separato dal Mistero che dava significato al tutto, e quindi poteva giungere alla sua conoscenza attuando una sintonia esperienziale.

In questa prospettiva cosmologica l’uomo era inteso come la manifestazione di un “ente transitorio” dello Shan che usciva dal nulla con la sua nascita e finiva nel nulla con la sua morte. Un ente in evoluzione in cui la materia primigenia si trasformava progressivamente da uno stato potenziale a stati percettivi di coscienza superiori.

Uno sciamano in meditazione in un graffito del deserto del Tassili
Uno sciamano in meditazione in un graffito del deserto del Tassili

L’osservazione del processo evolutivo di questo “ente transitorio” portava a identificare quattro piani fenomenici dello Shan che erano messi in relazione alle tappe vissute dallo stesso “ente transitorio” durante la sua evoluzione.

Per prima c’era la dimensione dell’“Annwin”, una qualità di esistenza in cui si manifestava la potenzialità causale da cui partiva il processo evolutivo che portava alla nascita dell’individuo.

Seguiva il “Mondo di Abred”, il mondo ordinario vissuto dall’umanità, l’universo che era uscito dall’Annwin, oggi diremmo attraverso il Big Bang primordiale. La dimensione fisica basata sulla materia in cui vive l’umanità.

Lo sciamanesimo druidico suddivideva il mondo di Abred in due competenze: una conosciuta come il “Nara” che si riferiva all’aspetto ordinario dell’esistenza rivelato dai sensi, l’altra come la “Matchka” che si riferiva all’aspetto sottile, ma ancora sensibile sebbene invisibile ai sensi ordinari dell’individuo.

Dopo la morte, l’individuo, senza più impedimenti sensoriali, aveva accesso al “Mondo di Gwenved” dove poteva realizzare la sua completa sintonia spirituale con la natura dello Shan. Al centro del Mondo di Gwenved c’era il “Cerchio vuoto di Keugant”, misteriosa manifestazione dell’“OIW”, ovvero la Causa Prima che dava esaustività allo Shan.

Lo sciamanesimo druidico esprimeva figurativamente l’aspetto evolutivo dello Shan attraverso il simbolismo poetico dell’“Yggdrasil”, l’albero cosmico della vita che era rappresentato nell’atto di dispiegarsi tra i quattro mondi dello Shan. L’Yggdrasil veniva a rappresentare così la potenzialità evolutiva e le prerogative esperienziali dello Sciamano che aveva la facoltà di viaggiare tra i vari mondi.

Dall’osservazione del sentiero esperienziale che è vissuto da ogni individuo nella sua vita lo sciamanesimo druidico ha concepito la “Inuta-sat”, la “via della morte e della rinascita”. Un cammino che inizia con la nascita dell’individuo nel Mondo di Abred e prosegue nella sua crescita biologica sino alla sua morte fisica.

Per poter dare una spiegazione alle apparizioni delle entità disincarnate che avvenivano, in cui si identificavano persone precedentemente vissute, lo sciamanesimo druidico convenne che la vita cosciente dell’individuo continuava anche dopo la morte, avvenuta nel Nara, per proseguire ancora, sebbene in forma diversa, nella dimensione della Matchka.

A fronte della diversa qualità degli esseri disincarnati che venivano incontrati dai viventi, alle volte anche dotati di saggezza e di infinito amore, lo sciamanesimo druidico stimò che dopo la morte l’individuo continuava il suo cammino attraverso la Matchka per uscire definitivamente dal mondo di Abred sino a giungere a realizzare la saggezza conseguente alla conoscenza dello Shan nella dimensione del Mondo di Gwenved, al cospetto della Causa Prima, nella sua enigmatica simbologia del Cerchio vuoto di Keugant.

L’Yggdrasil, l’ “Albero celtico della Via dalle tre braccia”, sul tamburo di uno sciamano nepalese
L’Yggdrasil, l’ “Albero celtico della Via dalle tre braccia”, sul tamburo di uno sciamano nepalese

Da questa struttura culturale nacque una cosmologia dell’Aldilà che sviluppava con precisi enti e ambiti esperienziali la “via della morte e della rinascita”.

Il mondo della Matchka, o dell’Aldilà, era visto innanzitutto popolato da spiriti inferiori, gli “Erkad”, manifestazione dei defunti che non riuscivano a distaccarsi dal ricordo della vita vissuta nel Nara e che non evolvevano. Sempre pronti a manifestarsi, anche in maniera terrificante, ai viventi. C’erano poi i “Mnaascé”, gli spiriti dei defunti che invece avevano intrapreso il loro cammino attraverso il mondo della Matchka alla ricerca della “Porta di Luce” che avrebbe dato accesso al Mondo di Gwenved.

Lo sciamanesimo druidico concepiva il mondo della Matchka come un riflesso fisico del Mondo del Nara, sebbene basato su altre leggi che consentivano uno spazio-tempo diverso e meno immobile del mondo dei viventi. In questa prospettiva concepiva che il mondo della Matchka fosse abitato da creature autoctone come i “Kuri”, una sorta di folletti che dimoravano in coincidenza di fiumi, radure e montagne del mondo visibile. Era concepita anche la presenza dei “Mnaaku”, una forma di Kuri che si erano evoluti e che rappresentavano dei Maestri di scienze e di arti del loro mondo.

Alle volte quando gli incauti viventi si avvicinavano troppo, e senza protezioni, al mondo della Matchka poteva capitare che venissero posseduti inconsapevolmente dai Mnaaku e divenivano dei “Koltan”. Veri e propri automi inconsapevoli che agivano pilotati dai Mnaaku per i loro esperimenti nel Nara. Secondo le convinzioni dello sciamanesimo druidico i Mnaaku disprezzavano il Nara per via della sua dimensione statica, tanto da definirla come “il mondo di pietra” e usavano i viventi come cavie per ogni genere di azioni. Solitamente distruttive.

Nella cosmologia dell’Aldilà erano concepiti anche gli “Ardra”, creature che dimoravano nel Mondo di Gwenved, il mondo della Luce Bianca, e che rappresentavano la tappa finale della “via della morte e della rinascita”. Defunti che finalmente avevano concluso il loro cammino spirituale giungendo al cospetto della “Causa Prima”. Tra di loro c’erano le manifestazioni di tutte le possibili forme di vita che l’universo del Mondo di Abred poteva aver ospitato. Dagli umani agli animali e altre forme di vita, oltre ancora il nostro mondo.

Divisi in gerarchie, gli Ardra avevano la facoltà di ripercorrere a ritroso il cammino della via della morte e della rinascita per giungere ad aiutare nella Matchka e nel Nara i viventi che erano in transito nel loro cammino cosmico.

Era facoltà degli Sciamani sviluppare un rapporto con le creature del mondo della Matchka, soprattutto un rapporto privilegiato con gli Ardra che si rivelavano come preziose guide per la loro esperienza nel viaggio sciamanico tra i mondi toccati dall’Yggdrasil.

La comunicazione dello Sciamano con gli “spiriti guida” lo portava a ricavare vari utilizzi: dall’ottenimento di suggerimenti per la soluzione di varie problematiche di vita ordinaria, all’attuazione delle guarigioni per sé e per gli altri, alle previsioni sul futuro e soprattutto per l’apprendimento spirituale personale.

Nel tempo lo sciamanesimo druidico ha sviluppato la concezione dell’Inuta-sat nell’ulteriore concetto evolutivo del “Sentiero d’Oro”, il “Nor-sat”, che rappresenta la base dell’archetipo esperienziale della meditazione, applicabile sia nella pratica individuale che nelle modalità di attuazione della società iniziatica, la dimensione comunitaria in cui si riuniscono i meditanti, gli Sciamani di sempre.


www.giancarlobarbadoro.net

 

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