Personaggi |
Un uomo senza radici |
12 Gennaio 2012 | ||||||||||
Conversazione con Björn Larsson, lo scrittore che naviga tra i generi letterari
Björn Larsson è solito passare gran parte delle sue estati su una barca in mezzo al mare. Ammette di non avere radici, ma lo considera una risorsa. Nato a Jönköping (Svezia), insegna francese all’Università di Lund. Ha pubblicato varie opere di critica filologica e ha tradotto dal danese, dall’inglese e dal francese. Appassionato navigatore, a bordo della sua barca a vela ha scritto vari romanzi tra cui La vera storia del pirata Long John Silver. Ha esordito nel 1980 con la raccolta di racconti Splitter (Frammenti), e nel 1992 ha raggiunto la fama internazionale con Il Cerchio Celtico, Premio Boccaccio Europa 2000, un thriller ispirato da un suo viaggio nelle acque della Scozia e dell’Inghilterra. Con Il porto dei sogni incrociati si è aggiudicato in Francia il Prix Médicis. Nel 2011 è uscito il suo primo libro giallo: I poeti morti non scrivono gialli, edito in Italia da Iperborea. Parlare con Björn significa navigare in acque tumultuose tra Celti e letteratura svedese, tra la ricerca delle radici e il confronto con la morte, tra la libertà e l’amore. Björn, da che parte cominciamo? Sono tante le cose di cui possiamo parlare... Dal tuo ultimo libro? Forse dal mio ultimo libro, sì. Considero un privilegio il fatto che tutti i miei libri continuino ad avere un seguito, quindi possiamo parlare di tutti quanti. Sai benissimo qual è il mio preferito: “Il cerchio celtico” ovviamente. Ovviamente sì, deve esserlo!
Però leggo tutti i tuoi libri perché mi appassionano e mi coinvolgono. L’ultimo, “I poeti morti non scrivono gialli”, mi ha stupito perché, come lo definisci anche tu, è “una specie di giallo”. In che senso è una specie di giallo? E’ una specie di giallo perché ho voluto litigare un po' con un genere che ha preso, secondo me, troppo peso sul mercato del libro, come si dice oggi. La vita non è soltanto criminalità. Per via dell’aumento della narrativa gialla in Svezia, mi è capitato di ricevere moltissime domande, sia in Italia che in Francia, riguardanti la Svezia: mi chiedevano se la Svezia fosse diventata una città sul genere di Napoli. Ma non è così. Le statistiche sono chiarissime, la criminalità in Svezia, infatti, non aumenta, anzi diminuisce. Ma forse è il genere che più ha preso piede in Svezia. Esattamente, e non soltanto in Svezia, ma nel mondo intero. Piuttosto che letteratura è diventato un prodotto, un'immagine, qualcosa che vende bene, però dà un'immagine falsa o almeno parziale della società svedese. È anche un genere che ora si scrive quasi su ordinazione, per questo ho voluto essere provocatorio e interrogare su questo genere, rinnovarlo. In questo senso è un falso giallo.
Però in realtà “I poeti morti non scrivono gialli” è appassionante. Sarà un “falso” giallo, ma ti cattura e ti appassiona come un “vero” giallo. Pur con la sua vena ironica e un po’ polemica. E’ un genere diverso, un genere non-genere, che ho trovato molto diverso dagli altri libri che hai scritto. Sì, perché contiene in sé gli elementi di base. Normalmente quando scrivo un libro parto da qualcosa che io chiamo “urgenza esistenziale”, una parola forse un po' altisonante... ma di solito inizio un romanzo spinto da un tema in quel momento per me molto importante esistenzialmente. Questa volta c'era già qualche elemento: un assassinio, un omicidio, un commissario, un'inchiesta, quelle cose che fanno parte del giallo. Per questo all'inizio ho giocato, è stato un po' un gioco, per una volta ho scritto con un po' di leggerezza. ...e con molta ironia. Mi sono anche preso gioco, a un certo punto, della morte. L'omicidio è qualcosa di serio, non può essere un pretesto soltanto per raccontare una storia. Così sono stato anch’io preso dal mio stesso gioco, e mi sono lanciato nella sfida di fare leggere un po' di poesia ai lettori di gialli. C'è molta poesia in effetti in questo libro. Sì, questo libro credo sia unico nel suo genere: non penso che esista un altro giallo con tante pagine dedicate alla poesia. E’ verissimo, ma è pur vero che tutti i tuoi libri non sono catalogabili, è difficile inserirli in un genere preciso. Mi auguro di no, nel senso che io penso che la forma deve seguire la sostanza. Per esempio, “Il cerchio celtico” è un romanzo sull'identità, sul mare, sulla storia... un romanzo così non può avere la stessa forma di un romanzo sui sogni, come “Il porto dei sogni incrociati”. Quest’ultimo è un romanzo sulla letteratura, sulla poesia, sulla bellezza. Ogni libro ha la sua forma, e io ho paura di ripetermi, non voglio che succeda. Non credo che tu corra questo rischio.
Tra i tuoi tanti appassionati lettori c'è un tema che ricorre spesso, ed è il celtismo, se si può definire così. Shan Newspaper ha pubblicato un tuo saggio sui Celti in tre puntate, intitolato “Sulla scia di Celti e Druidi”, che ha suscitato un notevole interesse fra i lettori. E’ veramente appassionante il modo che hai di definire questa cultura. Cito due frasi che mi hanno colpito: “come si può sostenere di sapere in che cosa consiste il celtismo, quando le fonti di conoscenza dei Celti originari sono così infinitamente poche”; e l'altra frase è “forse la dottrina e lo spirito dei druidi sono sopravvissuti in segreto, fino al giorno in cui sarà arrivato il tempo di rianimare il druidismo”. Mi hanno colpito queste due frasi, perché rivelano una forma di pensiero che non è comune e che io condivido pienamente. Bisogna rendersi conto che se si fanno ricerche sui Celti, si trovano solo fonti sui Celti classici. Oggi c'è forse più possibilità di sapere che cosa è, per esempio, la musica celtica, perché la musica celtica esiste ancora ai giorni nostri. Esiste anche una certa cultura celtica, ma non possiamo sapere se questa mentalità, questo atteggiamento, questa attenzione al mondo celtico che esiste oggi sia la stessa che è esistita all'epoca, diciamo 800 anni prima di Gesù Cristo. Ma per uno scrittore è un fattore estremamente affascinante, perché c'è un buco dove si può inserire la fantasia, l'immaginazione.
Oltretutto, come hai descritto nei tuoi articoli, questa identità, che cosa mai la può tenere viva? E che cosa lega popoli tanto diversi tra loro? È un mistero! Ci sono tre popoli che, a mio parere, hanno avuto questa capacità di mantenere una identità senza avere uno Stato: i Celti, gli Ebrei e i Rom. Questo è qualcosa mi affascina. Per me, che sono piuttosto vagabondo, che ho vissuto in molti paesi, che sono sradicato, questa idea di poter avere un'identità che attraversa il tempo e la Storia, senza frontiere, senza nazione, è oltremodo affascinante. Purtroppo questa identità, quando si parla del viaggiatore nel mondo, non viene riconosciuta. Si parla di migranti, di clandestini, di immigrati. Ma questi tre popoli nomadi, che sono sopravvissuti alla Storia, rivestono per me un grande fascino ed anche una speranza. L’identità dei Celti è forse la più misteriosa, perché pur provenendo da varie Nazioni, etnie e Paesi lontani tra loro, mantengono lo stesso spirito, la stessa cultura... Penso di sì. Bisognerebbe fare più studi scientifici, andare più a fondo di questo fenomeno storico. Ho vissuto in Scozia, in Bretagna, in Galizia, e in quei luoghi mi sento molto bene, sento qualcosa che unisce questi paesi. Ma se qualcuno mi domanda qual è l’elemento che li unisce, non saprei dirlo. Ti capisco. Anche noi del LabGraal, per via della nostra musica, siamo un po' dei vagabondi. E come te, viaggiando per le terre celtiche abbiamo trovato lo stesso spirito, la stessa cultura. Sì, ed è veramente strano e interessante, anche per il mondo di oggi. Quando si parla della globalizzazione, si crea la paura della perdita d'identità. Però questi tre popoli dimostrano che non c'è niente da temere, perchè se si possiede un'identità è un legame verso qualcosa che attraversa il tempo. Un tema che bisognerebbe approfondire di più, e questo è forse un po' il messaggio che ho voluto lasciare nel mio libro. Non c’è bisogno di inventarsi dei misteri su questo tema, perchè la cultura dei Celti è già abbastanza misteriosa. Non c'è bisogno di ammantare di mistero un qualcosa che è già un mistero di per sé. Certamente, e anche il fatto che i Celti non abbiano lasciato fonti scritte, per uno scrittore è una provocazione totale! Un popolo con una grande civilizzazione, arte raffinata e quant’altro, e questo è un dato di fatto, ma nel contempo un popolo che ha deciso di non lasciare niente di scritto, che non ha voluto lasciare tracce... per uno scrittore è una vera provocazione! Occorre valutare però che c'è stato un tale annientamento, prima da parte dell'Impero romano e poi del cristianesimo, da non poter essere sicuri nemmeno di questo fatto: come possiamo sapere se ci fossero o meno dei documenti scritti? E’ vero, ci sono fonti che affermano proprio questo. Però è anche vero che non ci sono tracce di scritti.
Nel tuo saggio pubblicato da Shan Newspaper affermi: “mi è stato affidato l'incarico onorifico, per il centenario dell'Antico Ordine dei Druidi Uniti di Svezia, di dare la mia visione sulla cultura e sui principali rappresentanti, i druidi”. Qual era esattamente il tuo ruolo in quell'occasione? Dopo la pubblicazione del “Cerchio celtico” sono stato invitato parecchie volte a parlare con i druidi svedesi. In Svezia esiste un movimento druidico con cinquemila membri. Non è una setta, è piuttosto un'associazione, non segreta però iniziatica, nel senso che esiste una discrezione sui loro gradi e la loro attività rituale. Sono stato invitato ad andare a parlare delle mie conoscenze del mondo celtico alla loro associazione, e successivamente mi hanno chiesto di riassumere i miei scritti sulla storia dei Celti e dei Druidi, che avevo scritto in francese, in quanto loro non conoscono la lingua. In Francia esistono molti studi sul druidismo, e per questo forse ho potuto portare loro qualche dato che non conoscevano. E’ stata un'esperienza interessante, immagino. Sì, ma anche un po' strana. Una volta ho fatto una conferenza e ci sono state delle incomprensioni. Come capita un po’ in tutti gli ambienti, si possono verificare dei conflitti di interpretazione, ed avevo parlato proprio di questo, dei Celti che vogliono essere più fondamentalisti... ...dei “Celti” più “Celti” degli altri... Esattamente. E a un certo punto della conferenza, un “fratello” (loro si chiamano “fratelli” fra di loro) si è alzato e ha detto agli altri “fate attenzione, perchè lui cerca di fare indottrinamento”, ma io non sapevo niente su di loro. Però dopo la conferenza l'Arcidruido, che è il leader di questo gruppo, mi ha preso da parte e mi ha comunicato che il giorno dopo quel fratello non sarebbe più stato membro dell’ordine, e mi ha anche mostrato quella che per loro era la loro “Bibbia” e si chiamava “Il libro di Merlin”. Sono così venuto a conoscenza delle origini celtiche dei druidi della Svezia. Quando si affronta questa realtà si incontrano tante sorprese. Ci sono persone o gruppi che non cercano pubblicità a tutti i costi, e in quei casi si scoprono delle cose molto interessanti. Anche in Italia, ad esempio nelle valli piemontesi ci sono quelle che si definiscono le Famiglie Celtiche. Ci sono dei popoli autoctoni di origini celtiche che non cercano nessun tipo di pubblicità, però esistono ancora. Sì, i Celti erano anche nel Nord Italia, e hanno dominato per secoli questa parte del mondo. Cambiando discorso, in questo momento non stai navigando, mi sembra di capire. Ti sei fermato un po’? Diciamo che è anche per via dell'inverno. Io ora navigo soprattutto d'estate. Da un po’ di tempo sto facendo il pendolare, vengo spesso anche in Italia.
Sì, mi hai raccontato, so che ci sono stati dei cambiamenti nella tua vita. E mi sorge spontanea una domanda: secondo te, la coppia e l'amore possono essere un impedimento per uno spirito libero come sei tu? Dipende. Devi avere un sacco di fortuna per trovare la persona giusta e io penso di averla trovata. Non è facile, però sì, si può fare. Il problema con l'amore è che non è una scelta, è qualcosa che... ... ti arriva sulla testa quando meno te lo aspetti! E’ proprio così! Non avrebbe senso andare in giro per il mondo a cercare la persona giusta. Si ama veramente solo una volta nella vita, o al massimo due... ma bisogna affrontare il rischio e andare fino in fondo, perché altrimenti non ha senso. Su cosa stai lavorando adesso? Ho quasi finito un piccolo libro: l'anno prossimo sarà il compleanno di Iperborea, la mia casa editrice, e abbiamo deciso di pubblicare un libro che parla della mia avventura italiana. Ho venduto tanti di libri dappertutto, ma, non so spiegare perchè, i miei lettori in Italia sono fantastici. In che senso “fantastici”? Nel senso che leggono con il cuore e insieme con la testa, prendono la letteratura sul serio, come un modo di vivere, non per cultura generale. Per questo ho scritto questo piccolo libretto, 100 pagine, su come ho scritto i miei romanzi. Non è “spiegare il risultato”, non è il “mistero del libro”, ma è “il cantiere”, cioè come sono arrivato a scrivere questo libro o quell'altro. La gestazione. Sì, la gestazione, esattamente. E sto anche scrivendo un altro romanzo, però è un segreto assoluto! Questo mi intriga molto. E’ per questo che lo dico, così si crea la curiosità.
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