Personaggi |
Una vita dedicata ai diritti dei Popoli indigeni |
01 Settembre 2011 | ||||||||
Intervista a Kenneth Deer
“Uno dei maggiori problemi delle società moderne è la mancanza di un legame con la Terra e con l’ambiente, con le piante e con tutte le creature” Kenneth Deer è il rappresentante della comunità Mohawk Kahnawake del Canada. E’ giornalista e redattore capo della rivista The Eastern Door, organo ufficiale della comunità. Da molti anni è impegnato attivamente nel campo dell’istruzione e dei diritti dei Popoli indigeni. In questo campo ha rivestito un ruolo di consigliere e co-presidente del National Indian Education Council in Canada. E’ stato eletto presidente del Workshop on Indigenous Media dell’ONU di New York, una delle prime persone indigene ad aver mai ricoperto quel ruolo. Negli ultimi 25 anni si è dedicato ai diritti dei Popoli indigeni nell’ambito dell’ONU di New York come coordinatore dell’Indigenous Caucus ed ha partecipato attivamente alla stesura della Dichiarazione sui Diritti dei Popoli Indigeni approvata dall’ONU nel 2007. Abbiamo incontrato Kenneth Deer all’ONU di Ginevra in occasione della quarta sessione dell’Expert Mechanism on the Rights of Indigenous Peoples, l’organismo che il Consiglio per i Diritti Umani ha promosso come ulteriore strumento di tutela dei diritti degli Indigeni. Nel nostro incontro, Kenneth ci ha parlato del lavoro svolto, dei progetti futuri e della sua esperienza personale nell’ambito della lotta per i diritti dei Popoli indigeni. Qual è la relazione fra il “Meccanismo di Esperti” e il “Forum permanente sulle questioni indigene”? Il Forum permanente ha sede a New York ed è composto da 16 membri esperti in diritti umani. Il mandato del Forum è più ampio, riguarda una gamma più vasta di argomenti legati ai Popoli indigeni, fra cui ambiente, istruzione, salute, oltre a tutti i temi sociali, quelli riguardanti il territorio ecc. Il compito dei membri del Forum è raccogliere tutte le informazioni possibili su questi argomenti e redigere relazioni.
Il ruolo del Forum è differente rispetto a quello del Meccanismo di Esperti, che conduce studi specifici su determinati diritti, e offre consulenza alle Nazioni Unite e ai relativi enti sugli argomenti che coinvolgono i Popoli indigeni. I due meccanismi hanno un mandato differente; inoltre il Forum è un ente di dimensioni maggiori, ai cui incontri partecipano generalmente più di 2.400 persone. In seguito all’adozione della Dichiarazione sui Diritti, che cosa è davvero cambiato per i Popoli indigeni? Penso che il cambiamento sostanziale consista nel fatto che prima i Popoli indigeni non disponevano di uno strumento legale che li sostenesse nell'affermazione dei propri diritti. Prima della Dichiarazione, i Popoli indigeni non avevano un documento di riferimento che li aiutasse ad articolare i propri diritti. Ora, grazie alla Dichiarazione, pubblicata in diverse lingue, i Popoli indigeni possono finalmente comprendere i propri diritti, il che è utile in fase di negoziazione con gli Stati, con le multinazionali e con altri soggetti, come le comunità e le autorità locali. Si tratta di uno strumento che li aiuta ad avere le idee chiare in fase di discussione, e ritengo che sia utile per la comprensione dei diritti di molti, non solo degli indigeni. La Dichiarazione non ha un carattere vincolante, non si tratta di una legge internazionale ma di una semplice dichiarazione morale; tuttavia, i diritti in essa articolati hanno un carattere vincolante con riferimento ad altri strumenti. Ad esempio, il diritto all'autodeterminazione, menzionato all'articolo 3 della Dichiarazione, stabilisce che gli Indigeni sono individui aventi diritto all'autodeterminazione. Questo articolo è compreso anche nella Convenzione sui diritti civili e politici, e sui diritti sociali e culturali, all'articolo 1. Questi strumenti sono di natura vincolante, e la Dichiarazione fa proprio riferimento a leggi internazionali: è questo a conferirle importanza e autorevolezza. I governi sono infatti tenuti a rispettare queste leggi, benché in passato fossero riluttanti. Ritieni che il Meccanismo di Esperti possa favorire l’applicazione della Dichiarazione da parte dei governi? Sì. Offre consulenza su diversi argomenti. Non fornisce conclusioni e raccomandazioni, ma consulenza al Consiglio per i Diritti Umani, composto da 54 Stati, e tutti gli Stati devono attenersi a queste indicazioni, che vengono pubblicate e presentate ad ogni singolo Stato. Indicazioni, ad esempio, sull'applicazione del diritto all'istruzione, o del diritto di partecipazione, da parte dei Popoli indigeni, elaborate da esperti. Quindi il Meccanismo gioca un ruolo importante nella definizione delle modalità di applicazione della Dichiarazione per gli Stati. Da molti anni sei impegnato in questo processo. Sei soddisfatto delle azioni intraprese dalle Nazioni Unite a favore dei Popoli indigeni? Non esattamente “soddisfatto”; direi piuttosto che le cose stanno migliorando. Quando ho iniziato a venire qui, 25 anni fa, nel 1987, esisteva soltanto un gruppo, il Working Group on Indigenous Populations, e la Dichiarazione non esisteva ancora. Esisteva solo una bozza di Dichiarazione, composta da 12 o 13 articoli.
Molte cose sono cambiate da quando abbiamo la Dichiarazione nella sua versione finale, composta da 46 articoli: esiste il Meccanismo di Esperti, esiste il Forum permanente sulle questioni indigene, e non solo: anche altri enti dell'ONU si occupano delle tematiche indigene, come il WIPO, l'IGU e altre convenzioni in materia di diversità. I Popoli indigeni hanno ottenuto una maggior visibilità, sono maggiormente coinvolti nel sistema delle Nazioni Unite. Gradualmente, le Nazioni Unite stanno assumendo persone indigene, alcuni indigeni lavorano qui, occupandosi dei temi riguardanti i Popoli indigeni: si tratta di un segnale davvero importante. Molte cose sono cambiate nell'arco di 25 anni. Si tratta di un processo lento, ci vuole molto tempo, oserei dire che le Nazioni Unite si muovono alla velocità di un ghiacciaio, ma di fatto agiscono, e i cambiamenti sono evidenti. Abbiamo ancora molta strada da fare, non siamo ancora arrivati alla fine, e questo è soltanto un altro passo, sul quale dovremo continuare a costruire. Quindi, posso dirmi soddisfatto? Sono soddisfatto del fatto che ci siamo dati da fare, ma non lo sarò davvero finché non avremo ottenuto tutto ciò di cui abbiamo bisogno per sopravvivere. Quali saranno le prossime iniziative? Il prossimo passo, quello più importante, sarà l’implementazione della Dichiarazione. I diritti enunciati dalla Dichiarazione devono essere applicati, e c’è ancora una certa resistenza da parte degli Stati e del settore privato. Dobbiamo diffondere l'informazione sulla Dichiarazione, sia a livello statale che individuale, e dobbiamo trovare il modo di far sì che i diritti sanciti dalla Dichiarazione siano rispettati. Ci vorrà molto tempo, non sono cose che si realizzano dall'oggi al domani, ma credo proprio che fra vent'anni ripenserò alla Dichiarazione e penserò che sia stata una vera fortuna ottenerla, per i cambiamenti che è stata in grado di favorire. Sarà una cosa lunga. Ora siamo in attesa della conclusione di alcuni casi giudiziari all'interno dei quali la Dichiarazione è stata utilizzata per influenzare il giudizio in maniera positiva, per difendere i diritti dei Popoli indigeni. Si tratta di un evento significativo, che costituirà un precedente giuridico. Ecco ciò che sta succedendo: i Popoli indigeni stanno affermando i propri diritti, sanciti dalla Dichiarazione. La Dichiarazione è il punto di partenza; ora siamo al passo successivo. A proposito della tua esperienza personale in tutti questi anni a contatto con i Popoli indigeni, puoi raccontarci qualcosa? Quando ho cominciato a venire qui, a contatto con una tale varietà di Popoli indigeni provenienti da tutto il mondo, certo, sapevo che esistevano Popoli indigeni in America del Nord, Centrale e Latina, altri in Australia e in Nuova Zelanda, ma non sapevo che alcuni Popoli indigeni vivessero in Scandinavia, in Africa, in Asia... ed è così che li ho scoperti. Ho avuto occasione di imparare molto, e c'è molta solidarietà fra di essi: siamo tutti impegnati nella stessa lotta, siamo stati privati dei nostri diritti, di ciò che ci apparteneva e stiamo combattendo per essere riconosciuti e per il diritto all'autodeterminazione. È stata davvero un'esperienza istruttiva per me. Sapevo di essere un Indigeno, sapevo di essere un Mohawk, sapevo chi ero, ma non capivo fino in fondo quali fossero i miei diritti; inoltre, non sapevo come funzionassero le Nazioni Unite o il sistema internazionale, quindi ho dovuto imparare. Tutti abbiamo dovuto imparare ad essere diplomatici, ad esprimere la nostra posizione in maniera più formale e articolata.
È stato un processo di apprendimento davvero importante per me, e ho imparato molto, non solo dagli Indigeni, ma anche dalle persone non indigene che ci hanno offerto il loro aiuto e sostegno, con grande compartecipazione. Allo stesso tempo, ho incontrato una grande resistenza da parte degli Stati, rappresentata da affermazioni assolutamente insensate, come "Nel nostro paese non esistono popoli indigeni", oppure "Gli indigeni valgono meno delle altre persone". Continuiamo a percepire questo tipo di discriminazione e continuiamo a combatterla, ma è fortemente radicata. Io la chiamo "razzismo istituzionale". Il razzismo istituzionale nei confronti dei Popoli indigeni è ancora molto forte, non solo nei nostri paesi ma anche a livello internazionale. Stiamo ancora lottando per sconfiggerlo, continuo a viverlo in prima persona e, anche se stiamo cercando di abbatterlo, di ridurlo, c'è ancora molto da fare. Mi sento ottimista, e una delle cose più importanti che ho imparato è che dovremo continuare a combattere finché saremo considerati minoranze. Se smettiamo di farlo, rischiamo di sparire, ed è esattamente ciò che gli Stati vogliono. Per loro sarebbe un bene che i Popoli indigeni sparissero, così potrebbero dire "Ci siamo liberati del problema degli indigeni, non ci sono più". Non possiamo lasciare che questo succeda. Io non lo farò, non lascerò che la mia gente sparisca. Insegneremo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli come avvalersi della Dichiarazione e delle Nazioni Unite per garantire la sopravvivenza alle generazioni future. Penso che nonostante le differenze che esistono fra i Popoli indigeni, la spiritualità sia un denominatore comune. Non è così? Sì, penso che abbia a che fare col legame dei Popoli indigeni con la Terra: noi tutti viviamo sulla Terra, nessuno escluso. A mio avviso, uno dei maggiori problemi delle società moderne è la mancanza di un legame con la Terra e con l’ambiente, con le piante e con tutte le creature. Queste persone perdono loro stesse e non lasceremo che accada anche a noi. Abbiamo un patrimonio, che ci è stato donato dal Creatore e che ci consente di vivere, e dobbiamo mantenere un legame forte con ciò che ci dà sostentamento: senza questo legame con la Terra finiremo col mancarle di rispetto, la inquineremo e la danneggeremo, come sta succedendo in moltissime parti del mondo. |