Personaggi |
Incontro con Björn Larsson |
16 Giugno 2014 | |||||||||
Alla ricerca dell’identità celtica
“Il mio sogno da realizzare è ripetere la navigazione nei paesi celtici, ma questa volta con uno scopo: provare a capire cosa c’è dietro questa identità sfuggente” Abbiamo incontrato lo scrittore Björn Larsson in occasione del Salone Internazionale del Libro di Torino dove presentava i suoi romanzi allo stand della casa editrice Iperborea. Una lunga conversazione in cui lo scrittore svedese di fama internazionale ha parlato dei suoi libri, di navigazione, della sua Svezia, della letteratura nordica, di paganesimo e dei suoi viaggi alla ricerca dell’identità celtica. Björn Larsson, nato a Jönköping (Svezia) nel 1953, è uno degli autori svedesi più noti anche in Italia, dove può contare su un numero sempre maggiore di lettori affezionati. Ha insegnato francese all’Università di Lund e ha pubblicato varie opere di critica filologica tradotte dal danese, dall’inglese e dal francese. Appassionato navigatore sulla sua barca a vela Rustica, a bordo della quale ha scritto La vera storia del pirata Long John Silver, ha esordito nel 1980 con la raccolta di racconti Splitter (Frammenti) e nel 1992 ha raggiunto la fama internazionale con il romanzo Il Cerchio Celtico, Premio Boccaccio Europa 2000, un thriller ispirato da un suo viaggio nelle acque dei Paesi celtici in cui ha iniziato ad appassionarsi alla misteriosa “identità celtica” che lega paesi apparentemente lontani tra di loro. Con Il porto dei sogni incrociati si è aggiudicato in Francia il Prix Médicis. Nel 2013 Iperborea ha pubblicato L’ultima avventura di Long John Silver in cui resuscita un personaggio in realtà mai morto. Ora sta per uscire il suo nuovo libro Diario di Bordo che l’autore ha scritto espressamente per i suoi lettori italiani per celebrare i 25 anni della casa editrice.
Ripercorriamo con Björn tutti i temi che ci legano a questo scrittore, dalla ricerca dell’identità celtica al fascino delle terre nordiche, lasciandoci guidare nella moderna Svezia con tutte le sue contraddizioni storiche e sociali. Siamo al Salone del Libro di Torino con Björn Larsson, ormai una presenza fissa a questo evento. Björn, sono molti i libri che hai presentato a questo salone. Sì, è vero. Ma più che un salone, questa è una fiera. Quello di Göteborg è un salone, così come quello di Parigi, un salone dove ci sono soltanto le novità. Qui invece c’è un po’ di tutto, i piccoli e i grandi editori, e pure editori che non esistono, esistono solo qui. Per questo mi piace. Sta per uscire il tuo nuovo libro, Diario di bordo. Di cosa parla? È un libro che ho scritto per i miei lettori italiani ed è un omaggio a Iperborea che ha festeggiato i 25 anni l’anno scorso. Rappresenta un po’ il cantiere di ogni libro, il percorso, gli ostacoli, le ricerche che ho fatto. Non il risultato, perché questa valutazione tocca ai lettori. Non propone una interpretazione dei miei libri, ma vuole spiegare un po’ il mestiere di uno scrittore in modo che il lettore possa seguire come si è svolto il percorso della stesura di un libro. Invece l’anno scorso è uscito l’ultimo capitolo del pirata, L’ultima avventura di Long John Silver. È una storia divertente. Quando ho scritto Diario di bordo, Emilia Lodigiani di Iperborea mi ha chiesto se non avevo un inedito della storia del pirata. Ma io di solito finito un libro brucio tutto, butto via tutti i manoscritti. Però mi sono ricordato che quando ho finito Long John Silver ero in Irlanda. La prima versione era troppo lunga, arrivava a 600 pagine, e mi ricordavo vagamente (all’epoca non c’era la chiave usb, non c’era neanche il computer) di aver spedito una copia a mia sorella di questo manoscritto enorme, quindi ho chiesto a mia sorella se ce l’aveva ancora, e in effetti lei lo aveva conservato! E dunque quel capitolo che avevo tolto faceva veramente parte della vita di Silver. Magari qualcuno ha pensato che sia stato un espediente commerciale, o che fosse un seguito, ma non è così. Ho scritto una prefazione dove si spiega che questo capitolo era stato dimenticato. E quindi sarà l’ultimo capitolo di questa saga o prevedi che ci sarà ancora qualcos’altro da raccontare su questo pirata? No, non ci sarà altro. La cosa divertente è che un giorno, alla presentazione del mio libro, un lettore che è venuto ad assistere al racconto della vita di Silver dall’inizio alla fine (o almeno io pensavo che fosse la fine), mi ha chiesto “Lei è sicuro che alla fine sia morto?”. Perché in effetti nel libro non c’è il cadavere, non c’è la prova che lui sia effettivamente morto… Io in ogni caso non potrei mai più scrivere sui pirati.
In Italia ti conoscono soprattutto per Il cerchio celtico (che sai quanto io amo) e per la saga del pirata, quindi la navigazione. La navigazione è molto importante nella tua vita. Sì, anche se ora un po’ meno: ho avuto la figlia, ma adesso lei è grande e posso riprendere a navigare. Infatti sto progettando… un sogno da realizzare. Vorrei ripetere la navigazione nei paesi celtici per provare a capire cosa c’è veramente dietro questa identità sfuggente. Vorrei farlo sulla barca, dunque Scozia, Irlanda, Galles e Bretagna, però con un piano, non come ho fatto la prima volta il cui scopo essenziale era navigare. E questo un giorno lo farò. Spesso hai detto che non hai una vera casa, una vera dimora, non c’è una terra di cui ti senti cittadino. Ma c’è un posto dove ti senti veramente a casa quando ci vai? Io dico sempre che sono a casa dove sono i miei amici. Però adesso ho amici in Italia, in Bretagna, anche in Svezia ovviamente… a Parigi è un po’ finito quel tempo. Ci sono invece paesi dove non mi sento per niente a casa, ad esempio la Danimarca, nonostante ci abbia vissuto per 15 anni. Non so perché. Il mio sogno sarebbe che in Scozia si parlasse italiano e francese, questo sarebbe l’ideale, oppure anche in Irlanda. Ma non è cosi perché l’inglese detiene ogni monopolio e questo non mi piace. L’inglese è troppo, è troppo e dappertutto: nella musica, nella letteratura, nelle traduzioni. E non c’è la reciprocità. Cambiando argomento: sono molto di moda i gialli svedesi o nordici in genere. Come mai secondo te da un po’ di anni è esplosa questa moda? Abbiamo una tradizione di giallisti, ma oltre a questo ci sono due o tre cose da dire: la prima è che sanno raccontare storie, la seconda è che noi altri scrittori, diciamo senza genere, per non dire il romanzo serio, abbiamo trascurato un po’ la società. Non c’era più un romanzo che racconta (come facevano Balzac o Zola) le grandi cose della società, per esempio la politica italiana sarebbe ideale per raccontare storie... Lasciamo perdere… Ma anche la grande finanza e tutto questo. Noi non abbiamo (e dico “noi” perché io appartengo a questo mondo) sfruttato l’occasione. La cosa che mi dà fastidio ad esempio è che i giallisti raccontano la società sempre tramite il filtro della criminalità, ma non è tutto lì. L’ultima cosa che penso è che in quei romanzi emerge la posizione e la situazione della donna. È vero che noi non siamo arrivati ancora alla perfetta uguaglianza tra i sessi, dire questo sarebbe esagerare, però c’è molta più uguaglianza, c’è molta più possibilità per le donne di vivere una vita indipendente anche con bimbi, rispetto agli altri paesi. Molto più che da noi. Sì molto di più, e questo è un fascino un po’ speciale perché si sente che lì c’è qualcosa di diverso. Confesso che anch’io sono caduta in questa moda, trovo che i gialli nordici siano ironici e ben raccontati. Ma si nota anche uno sfondo di tristezza, di angoscia, di depressione nei personaggi, che probabilmente rivela anche qualcosa dell’autore. Cosa che non si percepisce nei tuoi romanzi. Io sono un uomo del Sud… (ridendo) Forse il motivo sta nel fatto che noi abbiamo il protestantesimo. Nel protestantesimo non c’è il perdono, per cui se abbiamo peccato non c’è più speranza, non andremo in paradiso. Non mi dire che è meglio essere cattolici... Beh, lì almeno si può comprare il perdono… Balzac ha detto una volta che non puoi avere un protestante come personaggio principale perché una volta che lui ha peccato la storia è finita. No, io penso che il calvinismo sia veramente l’inferno sulla terra, nel senso che crea questa idea di incertezza, l’idea che dobbiamo essere virtuosi, lavorare, fare tutto bene, e si sa che questo in assoluto è impossibile. Quindi c’è una specie di sanzione già sulla terra, in questa vita, che fa sì che sia più complicato vivere. È una interpretazione interessante a cui non avevo mai pensato, anche perché io vedevo le culture nordiche ancora permeate dal paganesimo. Credo sia rimasta una impronta pagana, sicuramente molto più che nell’Europa centrale. Ma il paganesimo non è così cupo come il protestantesimo. No, infatti io penso che il paganesimo non abbia niente di angosciante… in effetti questo non quadra. Ma penso che una eco sia rimasta per qualcosa che ha a che fare con il protestantesimo, e forse anche con questa idea che al Nord (e questo vale anche per la Russia e in parte per la Scozia) l’inverno è duro. Nell’ottocento abbiamo avuto un milione di svedesi che sono emigrati in America perché non c’era da mangiare, e questo ricordo anche se oggi è un po’ vago ha un’importanza. Forse proprio il contatto con questa terra nordica, bellissima e selvaggia, ma anche dura da affrontare, con una natura così indomita, lascia un segno perché non è facilissima da viverci. Sì, è durissima. Nel Sud dell’Italia, nel Salento, in Sicilia, anche d’inverno se c’è da mangiare e un po’ d’acqua puoi cavartela. Da noi c’è il freddo e dunque si muore. È anche interessante il fatto che il nostro “paganesimo”, i vichinghi e tutto questo mondo, non è stato mai stato scritto e quindi non abbiamo un ricordo, almeno nella storia della Svezia. In Islanda è un po’ diverso, perché loro hanno le saghe, così come per la Danimarca dove hanno la cronaca di Saxus. In Svezia non abbiamo niente, c’è un vuoto storico tremendo. Per questo si dice a volte che la Svezia è il paese più moderno al mondo perché non c’è il peso della storia, nel bene e nel male. La famosa identità celtica: l’hai trovata o stai ancora cercando il legame, il fil rouge? La sto ancora cercando. So che scriverò un altro libro su questo, forse un trilogia... Questo annuncio è bellissimo! Mi sto preparando, per questo sto leggendo tutti i libri sui Celti. Ma da una certa epoca in poi c’è stata la loro decisione di non scrivere, anche se è vero che è Cesare a dirlo, tuttavia è anche vero che non ci sono testi. C’è da dire che tante testimonianze sono state distrutte dai loro detrattori. Forse anche questo è vero, però non è rimasto niente. Ipotizziamo che ci sia stata una decisione comune dei Druidi, degli intellettuali o come si possano chiamare, di non scrivere: questo è uno schiaffo totale per uno scrittore! Io penso che i Druidi per molti anni, forse fino al ‘300 avanti Cristo, siano stati gli intellettuali, i sacerdoti, i dottori. Una sorta di qualità particolare. Ma sembra che a un certo punto, come spesso succede per gli intellettuali all’Università o in qualsiasi altro posto, ci sia stata una degradazione. Si vede dalla storia che non sanno più creare il legame fra il popolo e dunque i Celti spariscono. C’è stata anche una grossa contaminazione da parte del cattolicesimo, forse una pianificazione prima dall’Impero Romano e poi dal cattolicesimo per farli scomparire. Sì però io penso che la pianificazione sia andata parallela con una certa perdita del ruolo che i Druidi avevano. Tuttavia mi piacerebbe raccontare questa storia, magari in tre volumi, dall’ ‘800 avanti Cristo in poi. Fantastico, allora aspettiamo con ansia! Bisognerà aspettare un po’ di tempo. Ma noi siamo pazienti.
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