Megalitismo |
I discendenti di Atlantide sono tra noi |
21 Aprile 2024 | ||||||||||||||||
Le vere radici della cultura europea. Le sorprendenti analogie tra i Popoli Baschi, Guanci e Berberi. Gli indizi che rivelano una possibile relazione di questi popoli con il mito di Atlantide
Lo studio della storia della civiltà umana e dell’antropologia portato avanti dal mainstream ci hanno indotto a riconoscere le radici culturali del continente europeo e del bacino mediterraneo nella civiltà egizia e greco-romana. Secondo questo filone di pensiero accademico le basi della civiltà dei nostri tempi in questa parte del mondo provengono inequivocabilmente dall’evoluzione di quel background culturale. Prima di quest’era possiamo parlare solo di protostoria. Tuttavia studi approfonditi intrapresi per fare luce su cosa esistesse realmente in Europa prima dell’avvento delle civiltà classiche, condotti dalla cosiddetta storia alternativa e dall’archeologia non convenzionale, insieme alla moderna genetica delle popolazioni, della linguistica e dell’antropologia, stanno rivelando con grande sorpresa un quadro protostorico dell’Europa occidentale e del Mediterraneo molto complesso e civilizzato. Uno scenario da cui emerge in modo evidente che questa estesa area geografica è stata calpestata a partire dal Paleolitico Medio e fino al Neolitico da una vera e propria civiltà, quella dell’uomo di Cro-Magnon, la specie moderna di Homo Sapiens. Una comparsa che seguì di una manciata di millenni quella dell’uomo di Combe-Capelle, dalla località francese in cui ne furono rinvenute le prime tracce, avvenuta nel resto dell’Europa e che introdusse la maggior parte del corredo genetico della popolazione mediterranea ed europea. Gli studi condotti sul Cro-Magnon hanno sorprendentemente messo in luce che la cultura dei cromagnoidi era molto sviluppata, articolata e raffinata (basti vedere l’esempio della pregiatissima qualità artistica delle pitture rupestri nelle grotte di Altamira, in Spagna e di Lascaux in Francia, attribuite al Cro-Magnon). Nonostante si siano fatti passi da gigante sulla comprensione delle sue caratteristiche e della sua cultura, rimangono ancora moltissimi enigmi da decifrare, primo fra tutti la provenienza, poiché è piuttosto incomprensibile la sua comparsa improvvisa sulla scena europea e altrettanto misteriosa appare la diffusione verso oriente dal punto d’origine individuato nella regione basca, segnando aree con una presenza ad altissima densità lungo una direttrice che segue sempre la zona costiera.
Tratti salienti dell’uomo di Cro-Magnon sono stati riconosciuti, con grande sorpresa, in diversi popoli del nostro tempo, come i Guanci, gli abitanti delle Isole Canarie, i Baschi della regione spagnola compresa tra la costa atlantica del nord, l’area interna di Pamplona e l’angolo sud-occidentale della Francia, negli insediamenti presso la costa atlantica dell’Europa Nord-occidentale, comprendente l’Inghilterra, Irlanda, l’Islanda, la Scozia, e tratti della costa meridionale della penisola scandinava, e infine nei Berberi della regione maghrebina. Questa interessante ricerca ha permesso di identificare questi popoli come eredi culturali, ma soprattutto genetici, dell’uomo di Cro-Magnon. Le comunità basche, guance e berbere, nonostante siano conosciute per lo più come sacche culturali fossili in via di lenta estinzione e apparentemente scollegate tra loro, sembrano invece custodire una cultura comune la cui origine è talmente antica da sconfinare nel mito. Vista la distribuzione geografica di queste “sacche cromagnoidi” è facilmente intuibile l’allusione al mito del continente perduto di Atlantide. Prima di incamminarci su questo sentiero spinoso e controverso è però opportuno introdurre per ognuno di questi popoli alcuni aspetti enigmatici che condividono tra loro. Partiamo dai Baschi, la cui criptica origine, ufficialmente sconosciuta, è avvolta da un vero e proprio mistero: esistono diverse teorie, accompagnate da numerose leggende, ma nessuna è riuscita a stabilire con certezza la reale provenienza del gruppo etnico. Questo fatto, già di per sé, ha da sempre contribuito ad alimentare il fascino e la curiosità per questa popolazione, che appare veramente come una realtà “altra” non solo all’interno del contesto iberico, ma anche nel panorama continentale. Diversi studi sostengono che i baschi siano i più diretti discendenti dell’Uomo di Cro-Magnon, che si stabilì nel nord della penisola iberica circa 35.000 anni fa e si sarebbe evoluto in loco nel corso di migliaia di anni. Un altro grande mistero avvolge il popolo dei Baschi, quello riferito alla sua lingua, su cui torneremo. Lo studio delle migrazioni dei Cro-Magnon ha evidenziato che furono loro a dare i natali anche alla stirpe dei Guanci nelle Isole Canarie, come anche ai Berberi nell’Atlante e, più in generale, alla sotto razza detta degli Atlantidi-mediterranei. Rimane tuttavia irrisolto il quesito di come i cromagnoidi siano giunti su queste isole: infatti, come già detto, i resti più antichi di Cro-Magnon sono datati intorno al 35.000 a.C. e dunque dobbiamo supporre che l’arrivo dell’uomo nelle Isole Canarie si sia verificato più o meno in quell’epoca. Se così fosse, si dovrebbe dedurre che l’uomo di Cro-Magnon era in possesso di insospettate conoscenze geografiche e nautiche, il che infittirebbe il mistero che lo circonda anziché risolverlo, perché i Guanci dell’epoca della conquista spagnola, quindi assai più tarda, mostrarono di aver totalmente dimenticato, in modo inspiegabile, l’arte della nautica, tanto da non essere in grado di costruire neanche la più semplice delle imbarcazioni. Quale era allora il livello di civiltà raggiunto dai Guanci? Di questo popolo in realtà non si sa molto perché i Guanci non ci hanno lasciato testimonianze scritte delle loro conoscenze (tranne alcune iscrizioni tuttora indecifrate all’interno di alcune caverne), pertanto le uniche informazioni vennero raccolte da cronisti e storici spagnoli dopo la loro conquista. Tuttavia apparve evidente che erano dotati di una cultura estremamente complessa ed evoluta soprattutto dal punto di vista sociale, fatto alquanto insolito e sorprendente.
È noto, infatti, che le società considerate dalla cultura del mainstream ‘primitive’ non hanno classi né gerarchie; i Guanci, al contrario, sembra avessero re, principi, nobili, dinastie, una classe sacerdotale ben organizzata e una casta di guerrieri, come se fosse una società urbana evoluta. La trasmissione ereditaria della regalità avveniva per via matrilineare, e risulterebbe che le donne godessero degli stessi diritti degli uomini facendo così supporre che forse in passato la società guance si basasse su una struttura matriarcale. I misteri legati al popolo dei Guanci non sono finiti qui perché non si può certo trascurare la presenza sulla loro terra delle enigmatiche strutture megalitiche piramidali famose in tutte il mondo. Vengono in mente le sei piramidi a cinque gradoni di forma rettangolare situate nella località di Guimar, sulla costa orientale dell’isola di Tenerife, somiglianti in modo impressionante a quelle realizzate da Maya e Aztechi in Messico, il che ci riporta per un momento alla già citata e curiosa assonanza che è stata notata tra la cultura guance e quella mesoandina. Le strutture ciclopiche presenti nelle Isole sono davvero un bel rompicapo per gli archeologi e antropologi perché sembra che i Guanci, al momento della conquista spagnola, non sapessero edificare abitazioni con la pietra, tanto che si ritenne non fossero stati i primi abitanti dell’isola. Se così fosse chi costruì allora le piramidi? E perché? Esiste una teoria, cara ai fautori di Atlantide e su cui torneremo, che prova a dare una spiegazione a questo strano fenomeno, ipotizzando che le Canarie siano ciò che rimane del continente perduto dopo la catastrofe che lo fece inabissare; secondo questa narrazione, le antiche popolazioni si rifugiarono presso le cime montuose più elevate dove appunto sopravvissero, in declino, gruppi sporadici dell’antico popolo atlantico. Tornando all’ ipotesi della migrazione cromagnoide si riuscì in questo modo a spiegare anche l’arte rupestre dei Guanci, e come questa mostri straordinarie somiglianze con quella dei Cro-Magnon, dotate entrambe di un simbolismo che si incontra spesso tra i popoli nordici europei, tra le popolazioni del Mediterraneo arcaico e, ancora una volta, tra i nativi Americani. Il primo dei diversi elementi che appaiono condivisi tra queste etnie è rappresentato da una specifica architettura megalitica, il dolmen, una struttura a camera composta da tre megaliti verticali e da un lastrone di copertura. Appare molto interessante notare che i dolmen sono presenti in concentrazione massiccia prevalentemente lungo le direttrici costiere che hanno segnato l’espansione del Cro-Magnon. Sono note a tutti le meravigliose strutture megalitiche dell’Irlanda, della Scozia e dell’Inghilterra, della Bretagna e della Spagna atlantica, ma non tutti conoscono quelli altrettanto straordinari della regione maghrebina.
Tuttavia c’è un aspetto piuttosto significativo quanto misterioso nella diffusione dei dolmen: parte dall’Europa occidentale e dal Nord-ovest africano, e nel dirigersi verso oriente raggiunge le grandi isole del Mediterraneo occidentale ma poi inizia a ridursi notevolmente fino ad annullarsi e ricomparire improvvisamente e di nuovo in modo consistente nell’area del bacino del Mar Nero e del Caucaso. Un vero e proprio rompicapo per gli antropologi. I dolmen, insieme a tutte le altre strutture del megalitismo, cromlech, menhir, tumuli, per la loro ignota e misteriosa funzione, per la complessa tecnologia esecutiva che richiedono, per i sorprendenti allineamenti astronomici che presentano, sono da moltissimo tempo oggetto di studio. Le antiche tradizioni del pianeta che ne conservano gelosamente i segreti, ci svelano l’aspetto magico-religioso che rivestivano, in quanto strumenti che incanalavano l’energia della Madre Terra e venivano usati per la celebrazione del rapporto sacro, centrale per la sua sopravvivenza, che l’uomo megalitico aveva con la Natura. Attraverso l’architettura megalitica possiamo quindi avere un’idea del pensiero e della cultura dell’uomo del tempo, il che è un aspetto importante perché rappresenta il tratto distintivo di una civiltà che si è manifestata quasi contemporaneamente in quelle aree a partire, secondo l’archeologia accademica, dall’inizio del V millennio a.C. A tale datazione vengono fatti risalire i dolmen più antichi. Alcuni studi hanno individuato quale zona di origine del fenomeno, quindi quella con i dolmen più antichi, l’area della regione basca, da cui successivamente, ma in un intervallo di tempo relativamente breve, si sarebbe poi diffuso a nord verso la Francia occidentale e i paesi anglosassoni, a ovest interessando la Galizia, il Portogallo e, scendendo a sud e sud-est verso lo stretto di Gibilterra, la regione africana del Maghreb, inclusa la catena montuosa dell’Atlante, nome fortemente evocativo e forse, vedremo, non casuale. Bisogna tuttavia precisare, quando si affronta il tema della datazione dei megaliti, che non esiste un metodo certo per ottenerla perché l’indagine è applicabile solo ed esclusivamente alle sostanze organiche presenti sulla pietra e quindi questo metodo risulta sempre approssimativo perché non ci può dire esattamente l’età in cui sono stati eretti. Ne consegue, come molti studiosi sostengono, che il megalitismo possa essere un fenomeno molto ma molto più antico di quanto stabilito finora. Un altro denominatore comune, di centrale importanza, a cui si è fatto riferimento è quello genetico. È stato scoperto a seguito di una lunga ed approfondita ricerca che le etnie dei Guanci, dei Baschi e dei Berberi, le genti anglosassoni della costa nord occidentale atlantica, con particolare incidenza in Irlanda e nella Scozia, i Bretoni e gli abitanti della Sardegna hanno in comune tra loro una altissima e anomala concentrazione del gruppo sanguigno “0” con il fattore RH negativo che, al di fuori di queste nicchie genetiche, nel resto dell’Europa, dell’Asia e dell’Africa è invece ridottissimo o quasi del tutto assente.
All’interno di questa vasta area geografica spiccano tre picchi di concentrazione del gruppo sanguigno “0” associato alla presenza di una popolazione cromagnoide: nella parte occidentale dell’Irlanda, nelle Isole Canarie e nell’Atlante berbero. Questo riscontro conferma indirettamente lo stretto legame esistente tra il Cro-Magnon e il gruppo sanguigno “0”. Si tratta di un fenomeno davvero particolare che riveste un’importanza notevole perché mette in luce una enigmatica similitudine nel corredo genetico di questi popoli, segno evidente dell’appartenenza ad una matrice comune. Ad infittire ancor di più il mistero aggiungiamo che etnie con lo stesso gruppo sanguigno sono presenti, oltre ai luoghi già indicati, esclusivamente nelle Isole del Mediterraneo Occidentale, in Sardegna, in Corsica e nelle Isole Baleari e nell’area circoscritta della Puglia, sull’area del Mar Nero e nella regione caucasica, terre guarda caso con una altissima presenza di dolmen. A questo punto è importante ricordare che è ormai appurato, senza ombra di dubbio, che tutte queste regioni da un punto di vista genetico sono da considerare cromagnoidi; infatti, pur distanti fra loro, condividono in modo evidente i tratti morfologici dell’uomo di Cro-Magnon: statura alta, pelle bianca, capelli rossastri, occhi azzurri, tutti attributi che normalmente vengono ricondotti alle popolazioni celtiche del Nord Europa. Una prima considerazione che scaturisce da questa analisi è che possiamo affermare con un buon grado di certezza che il popolo dei dolmen sembra essere un ceppo portatore del gene “0”. Abbiamo visto quindi che alcune popolazioni dell’Europa occidentale e nordafricane che noi oggi consideriamo culturalmente diverse e molto distanti fra loro hanno in realtà un patrimonio comune sia genetico che culturale. Ma non solo, perché un altro denominatore comune, che non sarà sfuggito al lettore, è costituito dal fatto che la sovrapposizione della presenza del gene Cro-Magnon, del gruppo sanguigno “0” e quella dei dolmen si concentra sempre in zone costiere. Sarà una coincidenza o un elemento che può dirci qualcosa sulle origini e sulla diffusione del fenomeno? Se non bastasse tutto ciò a sollevare una quantità di domande sull’origine di questa serie di anomalie e sul come si siano potute preservare in aree così ben circoscritte e in un arco temporale lunghissimo, aggiungiamo un ulteriore fattore, quello linguistico, a sostegno dell’ipotesi dell’esistenza di un ceppo originario tra queste etnie. Prendiamo a riferimento gli interessanti studi condotti dallo storico ed etnologo austriaco Dominik Wölfel, (Vienna, 25 maggio 1888 – Vienna, 27 aprile 1963) sulle possibili parentele linguistiche tra il basco e le lingue delle penisole europee che si affacciano sul Mediterraneo, nonché con il libico antico e con la lingua delle popolazioni antiche delle Canarie. Secondo i risultati a cui pervenne, Wölfel si convinse dell’esistenza nella penisola iberica di un ceppo bascoide preceltico ben radicalizzato, associabile al substrato libico-basco che individuò nelle lingue italiche e greche e nelle lingue celtiche e germaniche.
Wölfel fornì una nuova spiegazione delle coincidenze linguistiche italo-celtico-germaniche e spostò l’attenzione sulla relazione tra la lingua atlanto-libica (berbera) e l’Europa pre-indoeuropea, affermando che tale substrato linguistico si limita all’Europa delle Penisole. Stabilisce inoltre che tra lo strato linguistico atlanto-libico e la cultura megalitica esiste una coincidenza nello spazio e nel tempo, a conferma di quanto già analizzato in precedenza, cosicché l’atlanto-libico può essere considerato a tutti gli effetti la lingua dei megalitici. I popoli megalitici, quindi, erano popoli produttori di cultura e influenzarono notevolmente quella europea che all’epoca era in via di formazione. Oltre ai monumenti megalitici, alla lingua e a fattori genetici, esistono anche altri significativi elementi di natura più culturale in comune tra Baschi, Guanci e Berberi. Ci sono ad esempio profonde analogie nelle concezioni religiose dei tre popoli: in contrasto con le tendenze animistiche delle popolazioni primitive, tutti riconoscevano l’esistenza di un unico dio, o quantomeno di un dio più grande e potente degli altri che collocavano in Cielo e di cui non riproducevano alcuna raffigurazione iconografica, nel senso che non si servivano di idoli – tanto meno antropomorfi – da adorare in rappresentazione di quel dio. Inoltre avevano in comune una visione della morte come tappa di rinascita ad altra vita, come momento di transizione da una condizione ad un’altra, un passaggio in una dimensione in cui dopo l’abbandono del corpo e della sfera mentale l’anima mantiene la sua vitalità e continua a fare esperienza per ricongiungersi con il principio assoluto che li ha generati. Praticavano, come accadde e accade ancor oggi in tutti i popoli naturali del pianeta, un culto pagano dedicato alla Grande Dea Madre, riconosciuta come la loro vera genitrice e denominata la ‘Madre del Sole’ o “Colei che governa il mondo”. La tradizione dei Guanci manifesta anche avanzate conoscenze astronomiche evidenti, ad esempio, nel santuario rupestre del Risco Caído, il loro sito sacro usato per cerimonie e come osservatorio. Una grotta che contiene un’apertura naturale nella volta che permette alla luce solare e al chiaro di luna di infiltrarsi proiettando nel solstizio d'estate un magico raggio di luce che percorre le pareti da un lato all'altro illuminando le incisioni rupestri raffiguranti spirali ed altri simboli legati alla fertilità. Insomma per essere popoli del Neolitico, la loro concezione religiosa era sicuramente piuttosto evoluta. Anche la gestione della dimensione religiosa in tutte le etnie trova un denominatore comune: la presenza di una classe sacerdotale femminile preposta alla pratica della ritualità delle comunità, elemento molto interessante che evidenzia una forte analogia con la figura delle druidesse della cultura preceltica. A questo punto è importante riprendere in considerazione quell’elemento di grande importanza introdotto precedentemente, la presenza molto concentrata di ceppi baschi cromagnoidi nell’area caucasica, soprattutto nella Georgia e nella costa russa che si affaccia sul Mar Nero. Secondo questa teoria questo fenomeno fu dovuto ad un periodo di forte siccità causata dall’intensa attività vulcanica nell’area dell’attuale Provincia di Girona, nella regione basca, che mise in fuga le popolazioni del luogo spingendole a migrare verso oriente fino al Caucaso, dove fondarono diverse città e diedero il nome di Iberia alla regione, toponimo che effettivamente esiste ancora.
Dopo la fine del periodo di siccità alcuni gruppi avrebbero fatto ritorno ai luoghi di origine, mentre la maggioranza sarebbe rimasta nella nuova terra. Questa ipotesi sarebbe plausibile con l’esistenza di toponimi baschi nel Caucaso e l’apparente provenienza caucasica – citata anche in altre teorie – dei baschi. Non dimentichiamo però gli altri due elementi centrali che ci accompagnano sempre e abbiamo imparato ad individuare quando seguiamo le linee migratorie dei gruppi di origini cromagnoide nel loro avanzamento da Occidente verso Oriente, ovvero la presenza di dolmen e del gruppo sanguigno “0”. Non a caso proprio le due regioni caucasiche indicate sono caratterizzate da una fortissima incidenza dei due fattori. In particolare è davvero straordinaria la concentrazione dei dolmen, tutti di dimensioni colossali e incredibilmente simili a quelli presenti nella regione ispanica. Accanto a questa teoria ve ne è anche un’altra altrettanto intrigante che riscuote un certo credito e che vede il Caucaso come assoluto protagonista. Per spiegare la notevole presenza di toponimi baschi nell’area caucasica, si parte da un assunto decisamente controcorrente: i baschi sarebbero emigrati raggiungendo l’Europa occidentale trentamila anni fa diffondendosi su buona parte del territorio continentale e vivendo isolati in piccoli gruppi. Un’ipotesi suffragata dalla stretta relazione individuata tra il basco e le lingue caucasiche grazie a studi che risalgono al 1925. Questa seconda possibilità che può sembrare meno credibile ha però un suo fondamento. Per individuarlo bisogna di nuovo immergerci nel mito di Atlantide e prendere in considerazione la tradizione dell’antico druidismo europeo che narra l’esistenza nel bacino del Mar Nero in tempi molto antecedenti il diluvio di una civiltà fertile e progredita, che esprimeva l’armonia della sua filosofia di vita attraverso gli archetipi della Natura che riproduceva nell’architettura megalitica di cui fu la prima artefice. Fu modello di riferimento sociale per il mondo di allora, che può essere accostato al mitico Eden o all’Età dell’Oro. Ebbene, secondo tale antichissima tradizione questa civiltà attraversò una crisi profondissima che la costrinse a abbandonare quelle fertili terre ed emigrare verso diverse direttrici, tra le quali una la condusse verso occidente interessando tutta l’area mediterranea e oltre, e la portò ad insediarsi anche nelle terre che si trovavano al di la dello stretto di Gibilterra. Se questa narrazione ha un fondamento di verità verrebbe accreditata l’ipotesi della migrazione del popolo del Mar Nero (la cui matrice sarebbe il primo ceppo atlantideo-cromagnoide) dalla regione caucasica verso i lidi occidentali. Questi eventi si riferirebbero ad un’epoca ancor precedente a quella della storia dell’Atlantide atlantica a cui si riferisce Platone nei suoi racconti. E a questo proposito abbiamo ora raccolto diversi elementi per mettere alla prova il controverso quadro delle vicende storiche dell’Atlantide platonica.
Ricapitolando, sappiamo che Platone colloca, in tempi antidiluviani, al di là delle Colonne d’Ercole, un continente composto da un gigantesco arcipelago di isole, l’Atlantide, che esprimeva una potenza navale che avrebbe esteso la sua influenza su molte parti dell’Europa occidentale e dell’Africa nord-occidentale. A seguito dell’immane catastrofe che la fece inabissare, riconducibile al mitico diluvio, sempre secondo il racconto che ci è giunto da Platone, i superstiti in fuga trovarono rifugio sulle terre emerse più vicine che sembravano più sicure, cioè lungo le coste occidentali dell’Europa e dell’Africa: i Paesi Baschi e la penisola iberica occidentale, la Bretagna e la Francia occidentale, l’Irlanda e l’Inghilterra, la Sardegna e la Corsica, l’Africa occidentale con le Isole Canarie (probabili terre residue dopo il cataclisma) e quella costiera del Marocco, portando con se, oltre al grande bagaglio di conoscenza che avevano sviluppato sul loro continente, la scienza dell’architettura megalitica, ma aggiungiamo anche la lingua e il gruppo sanguigno ”0”. Siamo in un’epoca risalente a circa 12.000 anni fa, il periodo in cui la ricerca antropologica che abbiamo visto colloca nell’area basca la comparsa, abbastanza repentina e massiccia, dell’uomo di Cro-Magnon che inizia a diffondersi verso oriente; un evento che ricorda molto da vicino l’espansione descritta da Platone. La tentazione e la suggestione di collegare i due fatti è quindi forte e chissà se esiste una effettiva relazione, fatto è che ancora oggi i baschi che vivono nelle montagne dei Pirenei fra la Francia e la Spagna, sono fortemente convinti che i loro antenati siano venuti da Atlantide. Forse non fu per caso che nel 1978 il poeta basco Jacint Verdaguer pubblicò una bellissima poesia, “L'Atlàntida”, che conserva il rispetto del suo popolo per la loro antica patria Atlantide. Anche i Guanci delle Canarie conservano una storia analoga, dissero infatti agli spagnoli conquistatori che si erano salvati salendo in cima a dei monti che una volta erano stati vette di monti di una terra sommersa. In questo ipotetico scenario le civiltà dolmeniche e megalitiche che abbiamo incontrato non rappresenterebbero quindi l’avvento di una nuova civiltà che si affaccia improvvisamente sul Mediterraneo, ma forse non sono altro che la testimonianza e l’eredità di ciò che rimase dell’antica e splendente civiltà atlantidea. Alla luce degli eventi descritti da questo ipotetico scenario potremmo quindi sottrare la storia al mito, come è già accaduto a dire il vero più volte nel corso della storia dell’umanità, e concludere questo percorso tornando al punto da cui siamo partiti confermando che non è poi così corretto affermare che le basi della nostra civiltà provengono dall’età classica, mentre si fa largo l’affascinante idea che i discendenti di Atlantide siano ancora tra noi. Marco Pulieri, ricercatore della Ecospirituality Foundation, conduce la trasmissione “Archeomistery World” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it |