Megalitismo |
Sulle tracce della città di Rama |
03 Luglio 2019 | ||||||||||||||||||||||
Per tanto tempo è stata nascosta. Ora tutti sembrano sapere dov’è. Ma è proprio così?
Una leggenda. Un mito. Una storia Secondo le Famiglie Celtiche del Nord del Piemonte, in tempi arcaici esisteva Rama, un’antica città megalitica, che si estendeva per tutta la Valle di Susa e anche Oltralpe. Le tracce di questa leggenda sono visibilissime per chiunque voglia andare appena un po’ oltre la miopia degli archeologi “skeptics” che bollano questi ritrovamenti come cose poco interessanti ai fini di una ricerca archeologica. Miopia o qualcos’altro? Sta di fatto che la mitica città di Rama per molto tempo è stata oggetto di cover-up. Eppure il mito della città di Rama è sopravvissuto ai secoli per via delle tradizioni orali del druidismo locale e grazie ai ricercatori dell’800 che hanno raccolto dati di prima mano e conferme documentate della sua esistenza, prima che scomparissero nell’oblio come le pietre delle mura demolite e confiscate dai romani. Possiamo ricordare soprattutto il prezioso lavoro di Matilde Dell'Oro Hermil e la sua opera “Storia di Mompantero e del Roc Maol”, pubblicato a Torino nel 1897, dove cita e descrive la città di Rama secondo le leggende raccolte nella Valle di Susa. Secondo Matilde dell’Oro Hermil, oltre alla vastità del corpus di leggende riferite all’antica città ciclopica, in tutta l’area piemontese si può reperire una vasta presenza di opere megalitiche di ogni genere riconducibili all’antica cultura di Rama. Ma poi, il nulla. Fino agli anni ’70 del secolo scorso, quando il ricercatore Giancarlo Barbadoro e il compianto archeologo Mario Salomone non si sono messi sulle tracce dell’antico mito. Nella Torino-dormitorio per dopolavoristi di fine anni ’70, inizio anni ’80, Giancarlo Barbadoro dà il via ad una iniziativa destinata a dare una svolta alla cultura della città e ad ispirare innumerevoli filoni culturali.
Fonda in quegli anni il Centro Culturale Spazio 4 che si occupa di archeologia, astronomia, esobiologia, parapsicologia, meditazione, spiritualità. Lo scopo è quello di proporre una ricerca tra scienza e spiritualità, senza confini o barriere ideologiche. L’iniziativa si collega a una corrente europea di rinascimento spirituale che in quegli anni ha visto nascere un movimento culturale che è sfociato in quella che attualmente è conosciuta come New Age. L’iniziativa Spazio 4 suscita un enorme interesse soprattutto tra i giovani ed è una fucina che ispirerà molti movimenti spiritualisti della Torino degli anni ’80, nonché un nuovo modo di fare cultura che influenzerà anche la musica. Un crogiuolo di esperienze che ha ispirato molteplici realtà culturali e musicali presenti ancora oggi nella città di Torino. È in quegli anni che Barbadoro, insieme all’amico Mario Salomone, inizia il suo percorso sulle tracce del mito di Rama. E insieme fanno una scoperta straordinaria. Il libro d’oro di Rama Il modo in cui Barbadoro e Salomone sono giunti al Libro d’oro di Rama è singolare e puramente occasionale, sebbene significativo nei particolari della vicenda. La Valle di Susa è stata da sempre oggetto di attento studio da parte di ricercatori e di scopritori di tesori dell’antichità. Purtroppo, molte volte gli organi ufficiali hanno compiuto azioni che hanno portato alla distruzione di elementi archeologici preziosissimi, come è accaduto con la scomparsa del prezioso e antichissimo complesso “La Maddalena” di Chiomonte, in Valle di Susa, raso al suolo per far transitare il tanto discusso tracciato ferroviario della linea ad alta velocità. Anche il museo che ospitava preziosi reperti della nostra storia di più di 5.000 anni fa è stato requisito trasformando le stanze in una caserma per il controllo dei lavori. Per fortuna esiste una preziosa testimonianza (l’unica) di questa antica necropoli in un video realizzato da Shan Newspaper. E senza contare lo smantellamento sistematico di monumenti megalitici avvenuto ad opera di “ignoti”. Assieme al compianto archeologo Mario Salomone, negli anni ‘70 Barbadoro attuò moltissime esplorazioni in tutta la Valle di Susa, giungendo alla scoperta di “ripari sotto roccia” e alla serie dei famosi “mascheroni” definiti di “fattura tolteca” rinvenuti nei pressi della cittadina valligiana di Villar Focchiardo.
I contadini della Valle, anch’essi curiosi sulla storia della loro terra e raccoglitori dei reperti antichi rinvenuti occasionalmente nei loro campi durante le arature, sono sempre stati gelosi custodi delle loro conoscenze e diffidando degli enti ufficiali e dei “ricercatori della domenica” sono sempre stati riservati sui loro segreti, rilasciando tutt’al più all’occorrenza indicazioni sempre fuorvianti. Tuttavia i contadini della Valle, divenuti fiduciosi dell’integrità dei due ricercatori, non lesinarono mai nel mostrare le loro scoperte che non erano assolutamente attribuibili ai Celti pre-romani né tantomeno all’Impero romano. Oggetti che gli enti ufficiali dell’epoca non presero mai in vera considerazione. Fu così che un giorno dei primi di ottobre del ‘74 due contadini della Valle di Susa portarono a vedere ai due ricercatori un cofanetto di pietra. Dissero di averlo trovato casualmente in una delle stanze sotterranee del complesso megalitico della città di Rama che di tanto in tanto esploravano alla ricerca di possibili tesori. Approfondendo in seguito la conoscenza di queste due persone compresero che era stato un aiuto giunto da parte delle Famiglie Celtiche della zona valligiana per dare un supporto concreto su cui lavorare nella ricerca sulla città di Rama e sul mito di Fetonte. Il cofanetto era in pietra grigia scura a forma di parallelepipedo con un coperchio che si apriva su uno dei lati più lunghi lasciando intravedere una serie di lamine di metallo rettangolari che i contadini definirono come un libro dalle pagine d’oro. Le lamine sembravano essere effettivamente d’oro, però inscurito e dai riflessi vagamente verdastri. Erano tutte incise su ambo i lati con caratteri delicatamente impressi. Barbadoro e Salomone proposero ai due contadini di trattenere il tutto per qualche giorno ma questi rifiutarono con fermezza. Permisero tuttavia di ricavare dei calchi usando il metodo del ricalco, o “frottage”, ottenuto ponendo della carta leggera su ciascuna delle lamine e strofinando sui caratteri incuneati la punta morbida di una matita. Il delicato lavoro di “copiatura” prese tutto un giorno e una notte, ma alla fine i due ricercatori ebbero la copia fedele e numerata di tutte le pagine del misterioso Libro d’oro di Rama. Esaminando più tardi le iscrizioni rilevate, non avendo idea di che lingua si trattasse, i due ricercatori pensarono di trovarsi di fronte alla scrittura di qualche antica civiltà perduta che aveva edificato la città di Rama. Ma Salomone riconobbe che i caratteri sembravano essere in greco antico. Nella settimana successiva, portò una copia fotografica dei fogli ad un esperto di linguistica di Torino per fargli tradurre qualcosa che illuminasse sul contenuto delle lamine. Ma questi si dichiarò incapace di fare una vera traduzione essendo il testo scritto in un greco piuttosto arcaico e indicando un suo conoscente, che abitava a Saint-André-de-la-Roche in Francia, anche lui esperto linguista che avrebbe potuto tradurre compiutamente il contenuto delle lamine.
La traduzione richiese parecchi mesi, ma alla fine, uno dopo l’altro, uscirono tesori inattesi costituiti da leggende, conoscenze storiche, trattati sciamanici dell’antico druidismo, e molto altro. Il Libro d’oro era una sorta di enciclopedia, una raccolta sistematica di varie leggende e di cronache di eventi storici riguardanti la città di Rama e il mito di Fetonte. Documentazione che nel suo insieme narrativo risultava di poco dissimile da quella conservata ancora nel nostro tempo dalle Famiglie Celtiche e dalle comunità druidiche del Piemonte. Le leggende L’antica leggenda greca di Fetonte riprende il tema del mito del Graal con un riferimento diretto alle vicende del Piemonte. Nelle Metamorfosi di Ovidio, il testo narra di Fetonte, figlio di Zeus, il dio Sole, che salì sul carro del padre per provare a guidarlo pur essendone incapace, e finì per perderne il controllo avvicinandosi troppo alla Terra e incendiandola. Zeus per salvare la Terra fulminò il figlio, e Fetonte precipitò al suolo cadendo nel fiume Eridano, l’antico nome del Po. Secondo le antiche leggende della tradizione druidica Fetonte cadde in un luogo posto all’incontro di due fiumi, dove si uniscono la Dora e il Po. Una zona dove secoli più tardi sarebbe sorta la città di Torino. Molti autori hanno associato la figura di Fetonte a quella della leggenda di Lucifero: la somiglianza con il mito medievale del Graal è più che mai evidente. Proprio al mito di Fetonte è associata la leggenda della città di Rama. Platone, il filosofo ateniese del 400 a.C., interpreta la leggenda di Fetonte come un simbolismo esoterico la cui esegesi rivela un significato ben concreto, riferito ad un evento reale. Il filosofo, in merito alla leggenda di Fetonte, sostiene che essa, come tutte le leggende, non era altro che una favola per bambini che nascondeva un vero significato, ovvero la narrazione della caduta di uno dei tanti oggetti che navigano attorno alla Terra e che ogni tanto, a caso, cadono su di essa provocando morti e distruzioni. In effetti, se si osservano le foto satellitari eseguite sul Nord Europa, si può scorgere sul suolo piemontese l’impronta livellata dal tempo di un antico impatto avvenuto presumibilmente milioni di anni fa. In un’epoca in cui probabilmente vivevano ancora i dinosauri, prima della loro inspiegabile scomparsa. Ma come valutare questo dato? Secondo la scienza a quel tempo non doveva ancora esistere la specie umana. Come ha fatto a sopravvivere il ricordo dell’accaduto? Chi ha perpetuato la narrazione di quello straordinario evento? Esistevano forse altre forme di vita intelligente che poi trasmisero le loro conoscenze alla successiva umanità?
C’è anche da chiedersi per quale motivo, se si fosse trattato solo della caduta di un asteroide, l’antica tradizione abbia attribuito a quell’oggetto un significato riferito a una fonte di conoscenza, come viene riportato dall’acronimo “Gnosis Recepita Ab Antiqua Luce”, ovvero “conoscenza ricevuta da una luce antica”. Il mito di Fetonte e la città di Rama Le antiche tradizioni druidiche del Piemonte interpretano la venuta del dio Fetonte in maniera diversa e con molti più particolari di quanto viene citato nelle Metamorfosi di Ovidio. Secondo le leggende druidiche Fetonte non sarebbe caduto al suolo come vuole il mito greco, bensì sarebbe disceso dal cielo sul suo carro celeste costruito interamente in oro massiccio. E inoltre non avrebbe prodotto un terribile incendio come nel mito di Ovidio, a meno che non si intenda questo evento come un riferimento simbolico al culto del fuoco o alla diffusione di una nuova conoscenza venuta dal cielo che avrebbe coinvolto tutto il continente europeo. Il dio sarebbe disceso con il suo carro di metallo dorato nella Valle di Susa, alle pendici del Monte Roc Maol, l’attuale Rocciamelone, dove esisteva un’antica e mitica caverna sacra che si apriva sul fianco della montagna per inoltrarsi nelle sue viscere di roccia sino a raggiungere l’altro versante dell’area piemontese identificabile nelle Valli di Lanzo. Nel luogo della sua discesa dal cielo, Fetonte avrebbe incontrato gli uomini che vivevano nei tempi antichi. Uomini che secondo la tradizione druidica erano ben diversi da quelli attuali, molto più alti, tanto da essere descritti come dei giganti con fattezze mostruose. Descritti alle volte anche come piccoli sauri e serpenti antropomorfi, ricoperti di piume variopinte e dal sangue caldo. Secondo le leggende, il dio sceso nella Valle di Susa, dopo la sua venuta avrebbe incontrato una confraternita di uomini di quel tempo che praticava il culto del fuoco, ritenuto come una emanazione del Sole, la manifestazione della divinità che regnava sull’universo.
Fetonte aveva scelto una radura in una foresta della valle e per sacralizzarla si era fatto costruire dai suoi due assistenti di metallo dorato un grande cerchio di dodici enormi pietre erette. Da questo memorabile evento la originaria confraternita del fuoco che operava in lavori di metallurgica si trasformò in una Scuola iniziatica. La Scuola del Fuoco iniziò il suo operato formando i primi druidi, gli Ard-Rì, che avrebbero in seguito civilizzato tutto il continente europeo. Personaggi che più tardi, nel mito medievale del Graal, sarebbero stati identificati nelle creature semidivine che avevano raccolto la gemma verde per trasformarla in una coppa di conoscenza. Fetonte, sempre secondo la leggenda, ampliò la sua Scuola iniziatica dando vita all’Ordine monastico-guerriero dello Za-basta che prendeva nome dal pettorale che ciascuno dei suoi appartenenti indossava. Un Ordine che per certi versi preannunciava quello che molti millenni dopo sarebbe stato l’Ordine dei Cavalieri del Tempio. E così come fece l’Ordine dei Templari in una Europa imbarbarita, anche lo Za-basta si impegnò ad una immane civilizzazione di un pianeta che, dopo la fine dell’era dei grandi sauri, era tutto da ricostruire e che avrebbe portato dopo peripezie di ogni genere su tutto il pianeta all’umanità del nostro tempo. Secondo la tradizione druidica, Fetonte avrebbe portato in dono agli uomini un albero dai poteri particolari, l’Yggdrasil, l’Albero della Vita che si estende tra i mondi, in grado di donare benessere e conoscenza a chi lo seminava e lo coltivava. Un simbolismo che porta l’Yggdrasil a fondersi con l’esperienza introspettiva e creativa della meditazione, considerata la base fondamentale della Scuola iniziatica di Fetonte. Attorno al grande cerchio di pietre fatto erigere da Fetonte sorse la città di Rama. Intorno ad esso sarebbe sorto il primo nucleo urbano della città di Rama che raccoglieva i pellegrini giunti dalle varie parti del continente per incontrare il dio. In breve tempo le abitazioni fatiscenti del primo borgo si trasformarono in dimore più solide e il borgo prese ad ospitare commerci, mense di ristoro e strutture ospedaliere. Nei secoli successivi comparvero mura di protezione in pietra che si svilupparono, progressivamente alla crescita dei residenti, in una vera e propria città-fortezza. Successivamente, dopo il congedo di Fetonte dagli uomini, la città-fortezza si trasformò in una immensa città megalitica che si espanse per tutta la valle. Una città che poi nei millenni a venire verrà ricordata come la città di Rama. Il suo nome faceva riferimento alla “roccia”, in un antico termine gaelico, alla pietra con cui era stata costruita la città e sembra che fosse anche la contrazione del significato di “Città dei tre draghi”, riferendosi ai periodi di ricostruzione della città che ospitava il “Drago” che sarebbe avvenuta nel tempo.
Il nucleo più antico della città di Rama si ergeva sulle falde del Monte Rocciamelone, la cui vetta sarebbe stata poi in epoca romana la sede di culti antichi tra cui per ultimo il culto di Giove. La città antica era stata costruita con l’uso di grandi blocchi di pietra che dalla stima delle loro dimensioni dovevano pesare mediamente dalle quattro alle cinque tonnellate ciascuno. Le mura ciclopiche di Rama si snodavano per circa 27 chilometri e i suoi immensi portici in pietra si sviluppavano, per tutta la lunghezza della valle, sulla direttrice delle cittadine di Bruzolo, Chianocco e Foresto, sulle rive del fiume Dora. Sulla sommità del Roc Maol, la montagna su cui si appoggiavano le mura della città, era posto l’osservatorio da cui i druidi del tempo esploravano il cielo. La città antica giunse ad essere il centro di un immenso agglomerato urbano di costruzioni minori che si estendeva dal suo centro alla città di Susa sino alle porte dell’attuale città di Torino, raggiungendo il versante transalpino dell’odierna Francia. Nei tempi antichi, ancora legati al mito del Graal, Rama era la vera e sola città esistente allora su tutto il continente europeo, la sede pacifica e intellettuale di un popolo misterioso che diceva di aver avuto origine dalla conoscenza giunta dalle stelle. Prima di lasciare gli uomini Fetonte avrebbe fatto costruire una grande ruota d’oro, di circa due metri di diametro, forata al centro, in cui era racchiusa tutta la conoscenza trasmessa agli umani. La leggenda di Fetonte sembra riportare un evento che viene ricordato nei miti di tutti i Popoli del pianeta: una conoscenza ricevuta da una fonte antica, proveniente dallo spazio, come ricordano i miti degli aborigeni australiani o le figure degli Elohim, gli dei che crearono l’umanità. Del resto, lo stesso nome del GRAAL, simbolo accomunato a quello di Fetonte, è costituito dall’acronimo Gnosis Recepta Ab Antiqua Luce (conoscenza ricevuta da una antica luce), concepito dagli alchimisti medievali. Fetonte non è quindi da intendersi come una figura singola, ma come un evento di una consorteria venuta dallo spazio che ha donato una immensa conoscenza agli uomini del tempo. Il ritrovamento delle mura di Rama La ricerca sull’esistenza della città di Rama premiava i due ricercatori con una scoperta senza precedenti. Purtroppo questo accadeva molto tempo dopo che Mario Salomone era scomparso. Come accadde per la scoperta di Troia, a cura dell’archeologo tedesco Heinrich Schliemann che inseguì il mito del Tesoro di Priamo fino a trovare l’antica città ritenuta dagli studiosi solo frutto della fantasia, anche la scoperta delle mura di Rama estrasse Rama dalla leggenda per inserirla nella storia.
Successe che, nonostante il clima di indifferenza esistente intorno al mito di Rama e di Fetonte da parte della ricerca ufficiale, nell’estate del 2007 sia avvenuto il ritrovamento, in piena Valle di Susa, di una parte dei bastioni di mura in pietra che, per via del luogo del ritrovamento e della loro architettura megalitica, possono essere considerate come parte delle grandi mura della città di Rama. Il ritrovamento rappresenta una importante testimonianza sulla possibilità della reale esistenza di Rama, trasportando l’evento al di fuori della narrazione del mito e delle leggende popolari. Le mura che sono state rinvenute sembrano emergere dalla montagna. Il che lascia dedurre che il restante della struttura sia ancora sepolto dalle valanghe naturali avvenute nei millenni. Le pietre che costituiscono le mura risultano squadrate e quindi chiaramente prodotte da opera umana. E sono anche di grandi dimensioni, tanto che si può parlare di veri e propri macigni. I massi sono posati gli uni sugli altri, con blocchi di pietra che mostrano misure mediamente di almeno 1 metro e 80 di altezza per 1 metro e 60 di larghezza, e altrettanto di profondità. Si può stimare che ogni pietra delle mura pesi dalle 4 alle 5 tonnellate. Le gigantesche pietre appaiono sistemate a secco tra di loro con sagomature che rivelano come gli antichi architetti abbiano voluto dare la massima coesione tra le stesse e quindi compattezza alle mura. In alcuni casi si può notare come le pietre siano accostate tra di loro senza che ci sia la possibilità di far penetrare nelle fessure la lama sottile di un coltellino. L’aspetto di queste mura, per loro forma e lavorazione, può ricordare quello delle fortezze andine o le pietre a più angoli di Cuzco. Ricordano senza dubbio le mura delle fortezze megalitiche del centro Italia, come quelle dell’area del Circeo laziale, vicino a Roma, realizzate si presume dai Pelasgi e poi riutilizzate in epoche successive dai romani. Possono essere accostate per la loro struttura anche ad alcune opere megalitiche della Sardegna. C’è da aggiungere che sul versante francese delle Alpi si stanno svolgendo scavi in un sito archeologico attribuito all’antica Rama. Nel sito archeologico di Champcella, nei pressi del comune che guarda caso si chiama “La Roche de Rame”, tra Embrun e Briançon, sono in corso da alcuni anni scavi archeologici che hanno portato alla luce strutture in stile megalitico del tutto simili a quelle delle mura di Rama rinvenute in Valle di Susa.
I Tre Doni di Fetonte Un altro elemento che rende viva la leggenda, a supporto della concretezza di una Tradizione che ha lasciato tracce nella storia, è ravvisabile nei “Tre Doni di Fetonte”. Secondo l'antica tradizione narrata nel "Tai Saar i Mnai" (Il Libro del Cielo e della Terra), l’antico libro dello sciamanesimo druidico, Fetonte avrebbe lasciato agli uomini del tempo tre doni che rappresentano tre modalità di esperienza concatenate in sequenza tra di loro. Doni che possono contribuire a cambiare il mondo in un nuovo Eden, dove non esistano più sofferenza, violenza e guerre. Ma la comparsa di Fetonte sulla Terra non rappresenta solo un mito. Ci sono evidenti certezze della sua apparizione nella storia di questo pianeta. E queste certezze risiedono in precisi elementi che si evidenziano nei tre doni che avrebbe lasciato all'umanità del tempo e poi trasmessi dalla tradizione dell'antico sciamanesimo druidico dei nativi europei. Il primo è la Ruota Forata, simbolo della via mistica del Vuoto. Rappresenta l’oggetto che Fetonte avrebbe donato all'umanità del tempo nel momento del suo congedo dal pianeta come prova e ricordo della sua venuta sulla Terra. È il simbolo della sua conoscenza, interpretabile nella sua esegesi: una dottrina mistica e una cosmologia dello Shan, la natura nella sua concezione immateriale. Il simbolo della ruota forata si trova presso tutte le culture antiche e moderne di tutto il pianeta, con i suoi numerosi nomi, lasciando senza spiegazioni gli archeologi del mondo maggioritario che sono avulsi dalla storia effettiva di questo mondo. Un simbolo che si trova soprattutto diffuso in tutta la Valle di Susa dove sarebbe avvenuto l'antico evento della venuta di Fetonte. Il secondo dono è la Nah-sinnar, la Musica del Vuoto. Uno straordinario strumento di terapeutica dello spirito che attraverso il potere del suono si esprime con una musica in grado di agire sull'inconscio e liberare l'individuo dalla prigionia soggettiva della mente. Il terzo dono è la Kemò-vad, una disciplina che deriva dall’antico sciamanesimo druidico che si attua con una forma di meditazione sia dinamica sia statica ed è basata sull' "Arte del gesto consapevole". Questa disciplina è in grado di risanare il corpo e la mente portando a intuizioni mistiche, risultato che nessun’altra tecnica similare permette di ottenere con la stessa rapidità. Nel tempo la Kemò-vad è giunta nei giorni nostri anche trasformandosi nelle discipline di cultura orientale dove sarebbe stata portata dagli Ard-rì, gli Allievi di Fetonte. I tre doni di Fetonte rendono concreto il mito in quanto attualizzano un insegnamento nato in ere arcaiche, quando forse l’umanità non aveva ancora l’aspetto che ha oggi, e tuttavia sono in grado di provocare cambiamenti significativi nell’individuo di ogni tempo, portandolo ad una qualità di vita migliore.
Cosa rimane della città di Rama? Oggi apparentemente della leggendaria città di Rama non vi è più traccia. Eppure, dal materiale raccolto, leggende, miti, racconti, dai reperti megalitici e dalle ricerche effettuate da appassionati del settore, tutto può far pensare ad un passato epico di cui le Valli del Piemonte sono state testimoni dirette. Il mito della città di Rama evoca un’epoca eroica e leggendaria, una vera e propria saga che avrebbe avuto come epicentro le valli del Piemonte, la cui influenza si sarebbe estesa in tutta Europa. Ai nostri giorni, della ciclopica città di Rama rimangono le tradizioni conservate da quello che è rimasto della cultura druidica dell’area piemontese e che probabilmente hanno alimentato la cultura laica dei salotti illuministi di Torino fino ai giorni nostri. Nella Valle di Susa e nelle Valli di Lanzo si tramandano ancora oggi leggende locali che narrano in maniera molto viva eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa. Nell’area di Mompantero, in Val di Susa, esistono leggende locali che narrano in maniera molto esplicita eventi relativi alla città di Rama e alla sua scomparsa. Secondo le leggende, non tutti i suoi abitanti scomparvero a causa della catastrofe che distrusse l’antica città, ma una parte di loro si salvò e costruì una città segreta nelle viscere rocciose del Roc Maol, il Rocciamelone, dove i sopravvissuti si rifugiarono mantenendo nascosta la loro esistenza. Altre leggende asseriscono che all'interno del Roc Maol vi sarebbe un mago benevolo che veglia su un immenso tesoro fatto di monili preziosi e di strumenti magici. Secondo alcune credenze, in posti segreti, conosciuti solo a pochi valligiani, sono rimasti strumenti di scavo e varie strane macchine che furono usate dagli abitanti di Rama con le quali è possibile fare ancora oggi delle cose straordinarie. Altre credenze ancora affermano che il Dio disceso tra gli uomini avrebbe lasciato uno dei suoi aiutanti di metallo dorato a proteggere la grande Ruota d’Oro e tutti i segreti della sua conoscenza. L’aiutante del Dio sarebbe stato in grado di mutare a piacimento le sue sembianze” e si sarebbe trasformato in un “grande drago d’oro” che custodirebbe il Graal, o un smeraldo di intensa luce verde, nascosto in una grotta celata all’interno di una montagna della Valle di Susa. L’influenza delle leggende legate al Rocciamelone e alla Città di Rama hanno una eco anche nelle Alte Valli di Lanzo, dove ancora oggi si possono trovare numerosissimi reperti megalitici: coppelle, incisioni, dolmen e menhir, ma anche usanze, tradizioni locali e leggende riferibili al mito di Rama. Le tracce della città di Rama rimangono vive non solo nelle molteplici leggende locali ma anche nei nomi di vari luoghi dell’area su cui sorgeva Rama. In Val di Susa esiste ad esempio un’area che porta il nome di “bosco di Rama”; a Chianocco, sempre in Valle di Susa, c’è una frazione denominata “Ramats”. Ancora più specifico è il nome di una via di Caprie: Via Città di Rama. Moltissimi sono i cognomi riferiti a Rama, così come le insegne dei negozi, segno evidente che nella gente del posto il nome è rimasto a significare ancora qualche cosa.
Il Cerchio di Pietre di Dreamland Rama continua a far parlare di sé, a volte anche a sproposito. Sono molti gli pseudo-ricercatori o druidi improvvisati che vantano certezze su Rama e sul luogo dove sarebbe sorta, organizzando meeting, escursioni, improbabili riti druidici e quant’altro, ovviamente a pagamento. In realtà le Famiglie Celtiche delle Valli di Susa e di Lanzo custodiscono gelosamente il segreto delle sue mura e dei suoi reperti, affidandoli esclusivamente a persone di loro fiducia. Nel rispetto dei principi costruttivi delle antiche tradizioni e ispirandosi al mito della città di Rama, Giancarlo Barbadoro ha voluto progettare un grande Cerchio di Pietre che risiede nell’antica terra sacra di Rama in un preciso luogo indicatogli da esponenti delle Famiglie Celtiche. Oggi questo anfiteatro antico assume il ruolo di palco e tribuna di un teatro immerso nell'ambiente dove avvengono eventi musicali e culturali che richiamano lo spirito della natura e della grande avventura della vita vissuta dall'individuo. Lo Stone Circle assolve anche a funzioni didattiche poiché rappresenta un elemento di archeoastronomia in grado di illustrare le antiche scienze dei Celti e di avvicinare il pubblico ai fenomeni della volta celeste. Il cerchio di pietre di Dreamland, nell’intenzione del suo promotore, è stato costruito per dare visibilità alla cultura celtica, una cultura che si è sempre riferita alla natura. Nel riferirsi alla natura la cultura celtica ha sviluppato tutti i valori che dalla natura si possono trarre. Essenzialmente l’esperienza del silenzio, fondamentale per tutte quelle culture che si ispirano alla natura. Il cerchio si trova ad essere posizionato in modo tale da poter segnalare l’inizio dei solstizi e degli equinozi; vi sono delle pietre che indicano l’inizio del solstizio d’estate e l’inizio del solstizio d’inverno e presentano l’arco percorso dal sole nel cielo, dando così la proporzione della durata delle stagioni. Il cerchio è orientato esattamente sulla stella polare e serve pertanto anche come strumento notturno per l’osservazione del cielo stellato. Presso i Celti l’astronomia rivestiva una scienza sacra perché riuniva praticamente tutte le discipline ed era vista come un modo di rapportarsi al mistero dell’esistenza. Secondo queste culture un cielo stellato rappresentava una realtà che trascende sia l’individuo che le cose terrene e pertanto studiare l’astronomia assumeva un valore di sacralità. Il Cerchio di Pietre di Dreamland, così come è la natura dei cromlech, ha anche una funzione simbolica in quanto la struttura manifesta il principio della ruota forata di Fetonte , un ente mistico che rappresenta l’evolversi dell’individuo nella natura: dal suo ingresso nel cerchio, che simboleggia l’affacciarsi nella vita dell’universo materiale attraverso l’esperienza della nascita, fino al raggiungimento del centro del cerchio, che simboleggia l’unione con la natura immateriale dell’esistenza. Il luogo dove sorge il cerchio di pietre è stato indicato dalle Famiglie Celtiche per la valenza simbolica che rappresenta: qui infatti sorgeva anticamente un grande albero, come l’Yggdrasil che Fetonte regalò agli uomini del tempo, che in occasioni particolari veniva addobbato con nastri multicolori e attorno al quale si creavano grandi cerchi di danze collettive, rito che è stato poi adottato da tutti i Paesi celtici. |