Meditazione |
L’altra realtà dell’esperienza transpersonale della meditazione |
28 Dicembre 2024 | ||||||||||||||
Cosa rappresenta il fenomeno che chiamiamo esistenza e in cui viviamo la vita di ogni giorno? – I nostri sensi e la nostra cultura ci mostrano un universo soggettivo e limitato – L’uomo vive l’esistenza mediando il suo rapporto diretto attraverso la percezione fisica e la definizione dei ruoli sociali - È possibile sperimentare un’altra natura dell’esistenza? – Attraverso l’esperienza transpersonale della meditazione è possibile uscire dalla prigione dell’apparenza soggettiva per affacciarsi al senso di una esistenza più reale ed essere in grado di costruire un mondo migliore per se stessi e per tutta l’umanità
Certamente ci può sembrare ovvio che esista l’esistenza così come la vediamo e come siamo abituati a viverla. Da sempre siamo abituati a muoverci nell’immenso scenario che abbiamo intorno a noi. Da sempre conviviamo senza stupirci più di tanto con i nostri sentimenti e le nostre vicende quotidiane di ogni giorno. Questa ci sembra la vita, la sola che sia possibile, convinti che sia tutto ciò che possiamo fare o che siamo riusciti a fare. In effetti, vista la cosa dall’interno dei suoi fenomeni apparenti, depistati dall’abitudine di esistere che abbiamo contratto poco alla volta dalla nostra nascita, solitamente siamo dell’idea che non possa esistere altro che ciò che viviamo. I primi popoli che abitarono la Terra pensavano che la superficie del nostro pianeta fosse una landa che si estendeva all’infinito immersa nel più profondo mistero. Mistero a cui davano attenzione e che, anche se con molta superstizione, cercavano di comprendere per stabilire un qualche rapporto con esso. Oggi la scienza moderna mostra all’uomo un universo di galassie, di buchi neri e di altri misteri relativistici che identificano e allargano la nostra percezione dell’esistenza in uno scenario definito. Uno scenario che sembra
confermare un quadro d’insieme fatto di materia e di fenomeni fisici. Un quadro immenso e ovvio contemporaneamente, come se fosse tutto lì da poter scoprire con telescopi e formule algebriche. Una definizione presuntuosa che ha fatto perdere all’esistenza ogni connotato di mistero. Per lo meno i primi popoli avvertivano il senso di mistero che aleggiava nella loro modalità di vivere. Oggi invece, storditi dalla dimensione materialistica che ci offre la scienza, cadiamo nell’equivoco di consolidare maggiormente la nostra abitudine ad esistere in una manifestazione di ovvietà addirittura stupida. E così ci interroghiamo su quali confini delimitano l’esistenza interpretata dalle galassie, o su che forma possa avere l’universo… Ma non ci chiediamo nulla circa il mistero che stiamo vivendo. Il mistero che è intorno e dentro di noi e che è rappresentato dallo stesso fatto che esiste l’esistenza. Non facciamo neppure più caso al fenomeno della morte e a ciò che può significare, se mai ha un significato. Viviamo l’esistenza in un falso pragmatismo che rimanda i grandi interrogativi dell’uomo con la scusa che ci sono cose più importanti a cui pensare. Non ci chiediamo neppure dove ci troviamo, che cosa rappresenti il fenomeno dell’esistenza che noi stessi viviamo. E soprattutto non ci chiediamo chi siamo in relazione a questo fenomeno. Potremmo essere l’equivalente di un personaggio di un videogame creato dal software di un computer, immedesimati nel nostro ruolo senza renderci conto di esserlo e senza immaginare cosa ci possa essere al di là del gioco di scambio di elettroni che ci tiene in vita. Di solito accade così. Accettiamo regole etiche rivelate da questo o da quello, ci adeguiamo a ruoli sociali inventati da qualcuno che persegue un suo qualche segreto gioco di potere o di ignoranza…
L’esistenza come fenomeno giunge ad essere banalizzata in una ovvietà apparente. Come se fosse normale che essa si manifesti nella sua grande rappresentazione e che noi siamo vivi. Come se fosse impossibile che essa potesse non esserci. Non ci rendiamo concretamente conto di essere vivi, di esistere, e come questo evento rappresenti una problematica determinante nella nostra vita. La nostra esistenza la consideriamo ovvia nel dolore dei nostri guai personali, nei nostri sentimenti, nella bellezza di un tramonto. Nei nostri disegni per il futuro e nelle nostre aspettative di vita, nel nostro rancore verso l’uno o l’altro, nelle nostre frustrazioni… Ma l’esistenza non è riducibile all’interpretazione personale che ne può fare un individuo. L’esistenza è la base comune di tutti gli esseri viventi che nella loro esperienza personale vivono unicamente la soggettività della loro ignoranza. Cosa sia l’esistenza è un mistero che rappresenta una sfida al desiderio di conoscenza dell’uomo. Un mistero che è la natura reale del suo senso di vita al quale non può sottrarsi poiché anche lui appartiene a questo mistero. Anzi lui stesso è l’esistenza e il segreto che essa nasconde. Un segreto che può essere svelato e capito. Ma per poterlo penetrare è necessario andare oltre la percezione ordinaria che viviamo per nostra ignoranza e per imposizione di altri ignoranti. Ci deve essere chiaro che noi siamo dentro alla piena manifestazione di un fenomeno unico e straordinario che non può essere circoscritto da qualsiasi filosofia umana. Noi esistiamo in una percezione di esistenza che ci sembra assolutamente naturale. Esistere significa essere vivi, cioè respirare, mangiare, bere, ecc. Noi non ci stupiamo di esistere poiché esistiamo di fatto. È difficile persino porsi il problema poiché percepiamo il nostro esistere come un’ovvietà al di fuori della quale sembra non esserci nulla. Anzi, interrogarci in proposito ci può sembrare inutile e stupido e in effetti può infastidire i più e farci dare da costoro l’epiteto di stupidi…
Ma il problema non si allontana poiché possiamo sempre chiederci che cosa rappresenti a livello fenomenico questa immensa ovvietà in cui stiamo vivendo. L’esistenza non è una cosa amorfa in cui navigare senza problemi, al contrario essa ci coinvolge nostro malgrado in eventi e fenomeni che il più delle volte sfuggono alla nostra possibilità di intervenire e ci mostrano di essere dentro a un ente fenomenico assolutamente non prevedibile nonostante le apparenze e le abitudini. Il fatto che siamo immersi in una esistenza che è apparentemente fine a se stessa non sembra proprio impedirci di andare al di là della sua stessa apparenza. È inevitabile che ci venga da chiederci cosa sia questa ovvietà in cui siamo capitati ad esistere o se mai abbia un posto in qualche dimensione a noi sconosciuta. Oppure è inevitabile domandarci quale significato possa avere il senso stesso di questa ovvietà cosmica e quindi del nostro esistere. Valutando che la maggior parte degli individui vive dentro alla percezione di questa ovvietà nelle vicende del proprio quotidiano ci rendiamo conto che non è facile porci le domande e darci delle risposte. Possiamo provare a riflettere sul fatto che, sebbene tutto sembri scontato, in una ovvietà quotidiana dai confini illimitati, noi possiamo comunque porci il problema al di sopra della scontatezza degli eventi e che facendolo dimostriamo che esiste la possibilità di andare oltre l’apparente monolitismo dell’ovvio. E ciò può rappresentare una speranza che non siamo prigionieri di questo ovvio. Il fatto stesso che possiamo essere in grado di porci il quesito ci porta a pensare già fuori dall’ovvietà poiché essa non potrebbe analizzare se stessa, impedita dalla sua stessa natura di scontatezza percettiva. Uno specchio non può riflettere se stesso ma allora noi non siamo lo specchio in questione… Ma ecco che ci poniamo un’altra domanda: se usciamo fuori dall’ovvietà in cui identifichiamo la nostra esistenza, allora dove ci troviamo ad essere? Chi siamo veramente? Con quale realtà ci poniamo in relazione uscendo dall’ovvietà quotidiana? La nostra esperienza è una fuga dalla realtà o andiamo incontro alla vera realtà?
Se rinunciamo alla scontatezza dell’ovvio, la natura dell’esistenza che si rende manifesta è ben altra cosa di quella che solitamente percepiamo. Il mondo dell’ovvio si rivela essere null’altro che un sogno, inutile e irreale che non porta da nessuna parte. Ci rendiamo conto che questa esperienza può essere difficile da capire per chi vive l’ovvietà del quotidiano. Vivere in questa ovvietà è come essere degli attori che sono dentro ad una parte scenica: sintanto che la si interpreta si è concentrati nel ruolo e non si può pensare ad altro che non sia questo, ovvero non si può essere altro. Ma allora se esiste uno scenario ci siamo mai chiesti come possa essere il retro dello stesso, o il teatro che l’ospita, il pubblico che vi assiste, la città e il paese in cui recitiamo? E perché no, ci siamo mai chiesti chi siamo noi al di là della parte di attori ora impegnati a recitare con tanta bravura il nostro copione? Per poterlo capire dovremmo innanzitutto uscire dalla parte scenica che stiamo interpretando. Cioè dovremmo accorgerci di essere degli attori che stanno recitando, portando in luce la nostra identità interiore, identità che non corrisponde certamente alla parte interpretata nell’ovvietà quotidiana. Una identità che è di portata cosmica e che non ha riferimento né con la storia né con la cultura del proprio tempo. Non è impossibile esprimere questa identità nascosta, ma certamente non è facile… Come è possibile infatti dire ad una persona di svegliarsi quando questa si sente già sveglia? Come può essere possibile dire ad una persona di focalizzare il senso della sua esistenza se questa persona vive l’ovvietà della sua parte di attore interpretandola e identificandola come esistenza? Uscire fuori dalla nostra parte scenica significa realizzare una esperienza che non è più riferibile alla dimensione soggettiva in cui identifichiamo la nostra personalità, ovvero quell’identità conosciuta di noi stessi e dell’ambiente che ci circonda.
L’esoterismo dell’antico sciamanesimo solare definisce questa esperienza reale di sé e dell’ambiente vissuto come una qualità conoscitiva di natura transpersonale, cioè una identità che non risponde più a quella della personalità psicologica che conosciamo di noi e che gli altri ci attribuiscono. Una identità che non è più riferibile all’universo fenomenico con cui solitamente interagiamo. Non siamo più solamente un nome e un cognome, non possediamo più un’identità riferita alla nostra memoria personale né tanto meno alle funzioni del nostro sesso o agli attributi culturali della nostra età, ma esistiamo in un atto di esperienza reale con maggiore lucidità e consapevolezza. L’esperienza transpersonale non è un’impresa facile a descrivere né da attuare, occorre provare a sperimentarla con curiosità e coraggio spinti dal bisogno di capire e di utilizzare meglio la propria esistenza per giungere a migliorare in ogni possibile caso la propria condizione di vita. Anche se non è facile realizzare l’esperienza transpersonale esistono comunque strumenti specifici con cui operare. Il più importante di essi è rappresentato dalla meditazione. Essa può essere identificata come un vero e proprio laboratorio di esperienza dell’interiore, insostituibile, a mezzo del quale è possibile realizzare la prassi evolutiva che porta all’esperienza transpersonale. Attraverso la meditazione è possibile attuare stati percettivi di coscienza che non sono visualizzazioni mentali concepite sulla base di una cultura ispiratrice, ma rappresentano una reale scoperta interiore della vera natura dell’universo che si svela alla coscienza dell’individuo.
Precise tecniche interiorizzanti, proprie della meditazione, possono consentire l’acquisizione progressiva dell’esperienza transpersonale che consente di realizzare un processo di evoluzione interiore in grado di portare alla percezione della realtà che esiste al di fuori dell’ovvio quotidiano. Ed è grazie a questa acquisizione esperienziale che diventa possibile sviluppare una nuova e più concreta creatività personale che sia in sintonia con il significato del cosmo intero. L’esperienza transpersonale si rivela in tal modo come una condizione accessibile e di portata illimitata, in grado di rivoluzionare l’esistenza umana verso una condizione migliore di vita sia essa intesa sul piano del sensibile quanto su quello del metafisico. Infatti sulla base dello stato percettivo di coscienza transpersonale è possibile avanzare una serie di ipotesi di lavoro che sono in grado di modificare l’apparente inviolabilità dell’ovvio quotidiano. Nell’esperienza della condizione transpersonale si evidenzia la possibilità della realizzazione di una più completa e armonica modalità di partecipazione all’esistenza che risponde al nostro bisogno di integrazione con il trascendente. Si percepisce la possibilità di poter finalmente affrontare e risolvere i propri conflitti interiori per realizzare una vita più sana e in grado di realizzare le nostre reali necessità. Si coglie la certezza che possiamo finalmente risolvere i problemi di conflittualità che abbiamo con gli altri riuscendo a capirli e prevenirli nelle loro azioni per realizzare un mondo migliore in cui amore, libertà e conoscenza non siano solo parole vane, ma la nostra qualità di vita ordinaria. Da “MEDITAZIONE OGGI” – 1° Settembre 1993 |