Leggende e Tradizioni |
La città celtica di Rama tra storia e mito |
07 Dicembre 2023 | ||||||||||||
La Valle di Susa leggendaria
I Celti in Val di Susa I primi insediamenti dei Celti in Val di Susa risalgono circa al quinto millennio a.C. come dimostrano le coppelle scavate nella roccia, le incisioni e iscrizioni rupestri presenti in gran numero in tutta la vallata, attribuibili ai Celti. I ricercatori ritengono che qui sia avvenuto l'incontro fra tribù celtiche transalpine e celto-liguri locali. Sappiamo dagli storici che gli abitanti celto-liguri della valle erano divisi in tre gruppi (Belaci, Segovii e Segusini) definiti genericamente Taurini. I Celti furono sottoposti all’annientamento da parte prima dall’Impero romano e poi dalla Chiesa, annientamento che tuttavia non è riuscito in quanto vediamo tracce ancora oggi lasciate da questa civiltà. I Paesi celtici come Scozia, Bretagna, Galizia, Irlanda, Galles, sono uniti da tradizioni, usanze e miti comuni, tanto che gli studiosi si interrogano su come sia possibile che questa tradizione resista a una Storia che la vuole cancellare. In realtà i Celti erano divisi a clan o etnie, come dimostrato dal Calderone di Gundestrup, un reperto del III secolo a.C. conservato al Museo Nazionale di Copenhagen, un'enorme coppa in argento formata da 13 placche corrispondenti ad altrettante etnie, una sorta di Europa unita ante litteram. Ma nonostante ci sia stato un tentativo di annientamento da parte della Chiesa, con l’Inquisizione o le colonizzazioni ai danni dei popoli indigeni che non volevano convertirsi, i miti e le usanze celtiche e native continuano ancora oggi. Ancora non molti anni fa ci fu la messa al bando nelle scuole della lingua bretone così come quella occitana, discriminando chi la praticava.
Così come nell’anno 452 d.C. ci fu il Concilio di Arles, che decretò la condanna a morte di tutti gli alberi secolari presenti sul territorio, nonché tutti i boschi ritenuti sacri dalle popolazioni che ancora non erano convertite al cattolicesimo. Le piante andavano eradicate, arse e al loro posto in molti casi veniva eretta una chiesa. L’accanimento contro gli alberi e i boschi sacri durò per gran parte del Medioevo. In effetti chiedetevi come sia possibile che in Europa non esistano alberi secolari (salvo alcune eccezioni) come quelli descritti da Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia. Stessa sorte la subirono le pietre, o i menhir: dallo stesso Concilio leggiamo “Che siano distrutte dalle fondamenta e che siano gettate in luoghi dove non potranno mai più essere ritrovate!” Però la cultura celtica continua nei miti e nelle leggende. Evidentemente c’è chi se ne prende cura. Esistono delle comunità autoctone come gli Escartons o le cosiddette Famiglie Celtiche, o i Paesi occitani dove la cultura celtica è usanza comune. La leggenda di Rama A proposito di miti, vi voglio raccontare una storia, la storia di un mito che si è poi rivelato come un fatto reale. Parliamo del mito di Rama, una antica città celtica che periodicamente suscita l’interesse dei ricercatori. In Val di Susa, secondo la leggenda, sarebbe esistita migliaia di anni orsono una immensa città megalitica che avrebbe dato vita a gran parte delle scuole filosofiche d’Europa. A questa misteriosa città sono legati il mito del Graal e quello di Fetonte. Un mito che ha lasciato profonde tracce nelle tradizioni europee. Una città che sarebbe scomparsa a seguito di un cataclisma naturale. Rama compare nelle mappe romane medievali come una stazione di posta, se ne è parlato fino alla fine dell’800, e poi il buio. Fino a quando negli anni ’70 Giancarlo Barbadoro, sul filo di una intuizione e anche sulle indicazioni degli anziani di comunità piemontesi autoctone, ha ripreso la ricerca di Rama.
Il ricercatore e studioso Giancarlo Barbadoro, purtroppo scomparso nel 2019, ha avuto il merito, già negli anni ’70, di aver divulgato questa leggenda e di averla storicizzata mediante il ritrovamento delle sue mura ciclopiche, rinvenute secondo le indicazioni delle “Famiglie celtiche” con cui era in contatto. Giancarlo Barbadoro ci ha lasciato un’eredità intellettuale immensa che viene portata avanti nel Centro Studi intitolato a suo nome. Rama ha un posto privilegiato tra i temi portati avanti dal Centro Studi. Intanto perché questo mito getta una luce particolare sul nostro vero passato e sulle nostre origini. I Celti, così come i Vikinghi, vengono collocati nel calderone della preistoria insieme ai Popoli antichi di altri continenti, come se prima dei romani e dei greci non fossero esistite civiltà degne di nota e di ricerche approfondite. I Celti nei libri di scuola occupano poche righe, definiti col generico nome di “barbari” o “pagani”. Questo ultimo termine è usato in modo dispregiativo, quando invece vuol dire “abitante della campagna”, e queste antiche tradizioni si sono conservate proprio in campagna, come dimostrato dal “paradosso alpino”, un termine usato dagli antropologi per descrivere il fenomeno per il quale, nel basso Medioevo, il livello di istruzione e di apertura culturale di una comunità di alta montagna era superiore a quello degli abitanti della bassa valle. Queste culture, con il loro bagaglio di conoscenze antiche, sopravvivono nel mito. Il mito della città celtica di Rama continua ad affiorare dai racconti dei valligiani e nella vita quotidiana. Una tradizione che sembra collegata agli imponenti megaliti delle valli Piemontesi. Ancora oggi in Piemonte proseguono tradizioni e usanze apparentemente inspiegate. Tradizioni antiche che si mescolano a quelle attuali. Ne abbiamo un esempio nelle Madonne nere presenti un po’ ovunque in Piemonte, e non solo in Piemonte, o nelle sagre spesso di sapore pagano che riecheggiano di antichi miti. Come la sagra dei ceci protagonista in settembre a San Didero. Il mito di Fetonte, riportato nella tradizione ellenica, è legato alla città di Rama in quanto il mito riporta la caduta di un oggetto di natura divina. Fetonte, figlio del Sole, non sapendo guidare il carro celeste del padre, sarebbe precipitato al suolo. Gli uomini, rinvenuti i resti del carro celeste, avrebbero tratto da essi la conoscenza divina che conteneva. Tuttavia la narrazione dello sciamanesimo druidico parla non di una caduta ma di una discesa, e Fetonte rappresenterebbe un dio (o degli dei) civilizzatore. Mito che ha un grande riscontro in tutte le tradizioni della Terra, anche oltreoceano. Possiamo parlare del mito irlandese dei Tuatha De Danann, ma anche dei Katchina degli indiani Hopi.
Un mito che riecheggia in quello del Graal, caposaldo della cultura celtica. Secondo la leggenda, la città megalitica di Rama si ergeva sulle falde della montagna del Roc Maol, l’antico nome celtico del Monte Rocciamelone, la cui vetta era stata sede di culti antichi tra cui per ultimo il culto di Giove. Platone diceva che i miti e le leggende spesso nascondono eventi reali che possono essere trasmessi proprio attraverso il mito, passando tra le maglie del tempo e della storia che, come si sa, è scritta dai vincitori. Il mito della città di Rama è sopravvissuto ai secoli per via delle tradizioni orali e grazie ai ricercatori dell’800 che hanno raccolto dati di prima mano con le conferme documentate della sua esistenza, prima che scomparissero nell’oblio. Va ricordato soprattutto il prezioso lavoro della ricercatrice Matilde Dell'Oro Hermil che nella sua opera “Storia di Mompantero e del Roc Maol”, pubblicato a Torino nel 1897, cita e descrive la città di Rama sulla base delle leggende raccolte nella Valle di Susa. Rama si estendeva anche Oltralpe L’epicentro della città di Rama d’oltralpe era situato in una zona tra Briançon e Embrun. La zona è ricca di tradizioni e tracce lasciate dai Catari, l’antica cultura di origine celtica che abitava in quelle zone e che subì feroci persecuzioni, fino allo sterminio quasi totale, da parte della chiesa dell’epoca. La tradizione dei Catari ha avuto una continuità nella cultura occitana, tuttora presente in zona. In effetti già da parecchi anni a Champcella, tra Briançon ed Embrun, sono in corso degli scavi archeologici a cura dell’istituzione francese CNRS (Centre national de la recherche scientifique) per studiare i ritrovamenti della città di Rama sulla base delle testimonianze lasciate dai Romani. Tuttavia ci sono elementi allo studio degli archeologi che fanno pensare che la Rama romana sorgesse sopra una città molto più antica, di origini celtiche. Rama era anche citata nelle coppe di Vicarello, quattro coppe ritrovate nella frazione Vicarello del comune di Bracciano (Roma), datate alla fine del I secolo a.C. Tra le scoperte che confermerebbero la tesi di una città gallica ci sono anche i ritrovamenti di alcuni torque, tipici ornamenti celtici. Forse il documento più interessante ed emblematico è l’affermazione di Camille Jullian, storico e archeologo francese. In uno dei suoi trattati ha affermato che “la stazione romana di Rama era sorta su una antica città celtica”.
I reperti megalitici sparsi in tutto il Piemonte sembrano trovare conferma in questo mito: le ruote solari I numerosi ritrovamenti delle ruote solari in tutte le valli piemontesi, sia la Valle di Susa e sia la Valle di Lanzo e non solo, sarebbero da attribuire al mito di Fetonte. Nella leggenda di Fetonte infatti si narra che quando il dio (o la consorteria degli dei) si accomiatò dagli uomini, lasciò loro una grande ruota d’oro forata, simbolo della conoscenza che aveva dispensato. In effetti la ruota forata ha una simbologia che ricorre in molte tradizioni e che stranamente viene ritrovata come reperto megalitico, o come monile, in moltissimi posti su tutto il pianeta. Ma di solito questo simbolo non viene spiegato. Sembra che non interessi fare una seria ricerca in merito. Così come non vengono spiegate quelle che sono definite “macine”, grandi ruote forate in pietra, presenti in grandi quantità nella Valle di Susa ma anche nel resto del mondo. Ebbene, queste cosiddette macine, si trovano a volte nella verticale di una roccia, o sul soffitto di una grotta. Difficile che possano essere macine per fare il pane. A Mompantero, che secondo la ricercatrice Matilde Dell’Oro Hermil era l’epicentro di Rama, esiste una grande ruota forata scolpita in verticale in alto su una roccia. Ebbene, ogni anno si celebra la Fora l’Ours, il Ballo dell’Orso, una celebrazione di tre giorni il cui culmine avviene proprio sotto la ruota forata, come una sorta di celebrazione.
Sono tante le cose inspiegate attorno a noi. Eppure sembra che prima degli Egizi, dei Greci o dei Romani, ci fosse il nulla. In realtà abbiamo i reperti e le testimonianze di una cultura elevatissima, sia spiritualmente che tecnologicamente, in grado di aver eretto i grandi megaliti su tutto il pianeta. Una stessa cultura. Dimostrando intanto che era in grado di viaggiare percorrendo tutto il pianeta, e inoltre che possedeva i mezzi per farlo, innalzando installazioni che ancora oggi noi avremmo difficoltà a erigere. Inoltre possiamo parlare dell’arte raffinata dei Celti, che vengono definiti “pagani” con tutta l’accezione negativa del termine. Un’arte raffinatissima che si è espressa nella gioielleria, nei poemi, nelle sculture. Sono tanti i misteri e le lacune della Storia. Tuttavia i Popoli naturali, quei Popoli definiti così perché hanno riferimento nella Natura, in pratica i Popoli indigeni, i Nativi di tutti i continenti, sono forse gli unici depositari della storia vera. Hanno conservato il ricordo, attraverso gli Antenati, della loro tradizione e delle vicende storiche. Sono quei Popoli invisibili ai margini delle vicende umane, e proprio per questo forse possono conservare la vera storia dell’umanità. Tra questi Popoli ci siamo anche noi, i Nativi europei. Con un nostro passato glorioso tutto da riscoprire. Forse il futuro che ci attende non è dei più rosei, l’umanità sta attraversando un momento tra i più difficili della nostra storia recente. Ma non siamo lasciati a noi stessi. Abbiamo gli strumenti per affrontare il futuro che ci attende. E la Conoscenza, con la C maiuscola, è il bene più prezioso che abbiamo. |