Leggende e Tradizioni

Fiabe… cose da bambini?

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02 Maggio 2011


Ve le ricordate le fiabe? Ne avete mai lette da bambini? Qualcuno ve le raccontava? O le avete sempre considerate qualcosa di troppo infantile per poter essere preso in seria considerazione? Magari vi siete ritrovati a pensare che sono storie assurde, piene di cose senza senso e soprattutto irreali ed illusorie, con quel loro finale “… e vissero tutti felici e contenti”…

Forse ha ragione chi le considera così e perdiamo il nostro tempo ad occuparcene.

E se invece ci avessero imbrogliato? Se invece il fascino che provavamo da bambini per queste storie fosse la prova che contengono un messaggio nascosto che allora ci colpiva perché eravamo più puri e innamorati della vita, alla ricerca di risposte per le mille domande che ci venivano in mente?

Da tempo si può riscontrare una precisa azione volta ad interrompere l’antica abitudine del “raccontare”: i bambini di oggi conoscono poco le fiabe, semmai hanno visto i cartoons di Disney, che con le fiabe autentiche hanno ben poco a che fare; i nonni non le raccontano più, i genitori manco le sanno e comunque non ne hanno il tempo. I ragazzini a scuola non sanno bene che cosa siano e spesso le considerano letture “da sfigati”: meglio l’ultimo videogioco dove si cerca di ammazzare il più possibile… Eppure quando ne leggono una scoprono che è affascinante e, senza troppo parere, confessano che gli è piaciuta.

Qualche anno fa comparve una nuova attenzione, anche se non troppo evidente, nei confronti delle fiabe.

“La Stampa” del 12 novembre 2005 pubblicò un articolo di Mina (sì, la cantante) che ricordava con grande tenerezza il tempo in cui raccontava le fiabe ai suoi figli e concludeva con queste parole: ”E lì, in quel luogo dell’infanzia amata, tornare a raccontare i simboli, ingenui ma penetranti, del bene e del male, gli archetipi della saggezza, le trame che sono lo specchio magico in cui il bambino riflette paure e desideri. E, senza saperlo, cresce. E con lui, il mondo.”

Prima ancora, il 26 ottobre 2005, il giornale torinese “Leggo” riportò in un articolo pareri di neurologi e psicoterapeuti i quali affermavano che “Leggere una fiaba, ad alta voce, ai propri figli prima di metterli a dormire, li aiuta a crescere sani e felici.” “Favorisce inoltre lo sviluppo intellettivo e il linguaggio dei più piccoli – spiegava Federico Bianchi di Castelbianco, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Ortofonologia di Roma …”

In un’antologia scolastica per la  Scuola Media si trovava scritto: “Gli psicologi e gli insegnanti dicono che i ragazzi che hanno avuto la fortuna di crescere con le fiabe sono fortunati e destinati a vivere in modo più equilibrato e sereno degli altri.” (da  R. Bissaca - M. Paolella, “L’altra biblioteca”, vol. I°, Lattes).

Nel dicembre 2005, con il sostegno della Commissione Europea, il “Centro in Europa” di Genova bandì il concorso “L’Europa in una favola”. Il concorso aveva lo scopo di promuovere i valori fondamentali dell’Unione Europea – libertà, uguaglianza, rispetto dei diritti umani, democrazia, pace, solidarietà – avvalendosi dello stile proprio della letteratura per l’infanzia. L’iniziativa aveva partners internazionali quali ad esempio il Festival della Fiaba di Berlino.

Ma cos’è una fiaba? Lo stesso concorso europeo compiva una fusione tra due generi che in letteratura vengono distinti con precisione: la favola è quella, per intenderci, di Fedro, di Esopo, quella in cui gli animali parlano, traducendo vizi e virtù degli uomini; la fiaba, meglio definita come fiaba popolare, è un’altra cosa. La fiaba è quella storia fantastica che comincia con le famose parole “C’era una volta…”, “Once upon a time...” dicono gli inglesi, e termina spesso con “…e vissero per sempre felici e contenti”: è quella storia in cui fate benevole e streghe cattive intervengono nella vita degli esseri umani, dove la magia ha una parte importante, dove si parla con gli animali e con gli elementi della natura, dove regni lontani devono essere raggiunti, difficili prove devono essere superate e chi ha coraggio, costanza e animo disinteressato ottiene il suo premio.

Pensiamo a Cenerentola, pensiamo alla Bella addormentata nel bosco, alla Bella e la Bestia, o a Pelle d’asino, alle storie russe dell’Uccello di fuoco e della Principessa Vassjlissa o della Baba Jaga. E queste, diciamo, sono tra le più famose, ma tantissime sono le meno note che però sono state raccontate per anni, per secoli, e tramandate così, a voce, di generazione in generazione nei vari paesi europei con impressionanti somiglianze.

Solo nel 1800 qualche studioso di folklore ha cominciato a raccogliere e scrivere questi racconti popolari tradizionali e a catalogarli in raccolte che li hanno fatti arrivare fino ad oggi: rinomate sono le antologie dei Fratelli Jakob e Wilhelm Grimm in Germania e di Aleksandr N. Afanasjev in Russia, importante quella più recente (1956) di Italo Calvino per quanto riguarda le fiabe italiane. Altri autori famosi, come il danese Hans Christian Andersen o il francese Charles Perrault o ancora l’italiano Giambattista Basile, si sono profondamente ispirati alle fiabe tradizionali per scrivere le loro altrettanto famose raccolte.

Le fiabe sono state studiate a fondo nel corso del 1900: celebre è la ricerca fatta dallo studioso russo Vladimir Propp (1895-1970) con la catalogazione di quelli che lui chiamò i “ruoli” (sette) dei personaggi e delle “funzioni” della fiaba, vale a dire le figure ricorrenti e le azioni fondamentali che si ripetevano nel racconto. Importanti sono state anche le ricerche che hanno collegato le fiabe ai riti di iniziazione delle antiche tribù del Pianeta.

Ma ora entriamo davvero nella fiaba, vediamo da vicino il magico mondo che racconta.

E’ ovvio che ogni fiaba è diversa e, spesso, della stessa storia ci sono più versioni con particolari leggermente modificati, ma la struttura-tipo è singolarmente unitaria e molto uguale a se stessa anche se cambiano paese, narratore o situazione.

In ogni fiaba c’è un protagonista: può essere maschio o femmina, non importa, ricco o povero, umile o potente; spesso è giovane e sempre è diverso dagli altri per qualche motivo: è uno che non si accontenta e vuole conoscere il mondo, oppure ha sentito dire che da qualche parte esiste qualcosa di straordinario e lui vuole trovarlo; oppure è uno che decide di risolvere un problema, una situazione che si è bloccata e nessuno riesce a modificare. Talora si mette in viaggio perché la sua situazione personale è improvvisamente cambiata (è morto il padre o la madre, lui non ha più risorse, qualcosa è accaduto nel luogo in cui vive, ecc.). Può essere furbo, ma sempre è intelligente e disposto ad imparare, non è presuntuoso, è coraggioso, costante, tenace, umile, intraprendente, altruista; si concede senza risparmio, non accetta compromessi, non si fa ingannare dalle apparenze.

In ogni fiaba c’è un viaggio, un percorso da compiere, lungo il quale si incontrano ostacoli e difficoltà. Si parte dopo che qualcosa ha rotto l’immobilismo della vita quotidiana. Lungo il percorso si fanno incontri con esseri che spesso non sono ciò che sembrano, si dà aiuto e se ne riceve, ma solo se si è disponibili a dare e non si è egoisti. L’aiuto giunge spesso da animali magici o da esseri magici, come fate, maghi, gnomi, folletti. Bisogna sempre sostenere delle prove, a volte molto difficili, anzi impossibili se non ci fosse l’aiuto magico di qualche oggetto o di qualche essere. E le prove sono quasi sempre tre. Dopo le prove spesso bisogna sostenere una battaglia finale contro il Male, ma si vince sempre ...  Il protagonista ottiene il suo premio: può essere la mano della Principessa o il governo del Regno, può essere la ricchezza, la bellezza o un castello, ma comunque sempre si vince. Nelle fiabe non c’è posto per il “pessimismo cosmico” o per una sofferenza che renda “vere e interessanti” le esperienze umane. Come già detto, non che nelle fiabe non si affrontino difficoltà, anzi, talora le difficoltà sono veramente enormi e sembra che siano impossibili da superare: addirittura si rischia la vita o si viene colpiti, feriti, ci si ammala, si arriva lì lì per dover rinunciare. A volte ci si dispera e sembra che non ci sia proprio scampo né speranza alcuna, ma sempre, proprio sempre, qualcosa accade che permette di superare tutto e di arrivare alla meta.

Da dove arriva un messaggio così chiaro e soprattutto incredibilmente comune a tutte le tradizioni europee? La spiegazione potrebbe essere la grande cultura unitaria europea dei Celti, la cultura conservata e tramandata dai Druidi che trovarono il modo, quando l’Europa fu conquistata dall’Impero Romano e poi uniformata sotto il dominio della Cristianesimo, di trasmettere le loro conoscenze.

La cultura celtica fu una cultura di libertà, conoscenza e amore e nelle fiabe si parla di questo. Le fiabe, dunque, potrebbero essere state un modo per trasmettere ai bambini di ogni generazione conoscenze cui altrimenti non avrebbero potuto accedere, un modo per assicurare la continuità di una cultura che garantiva, a chiunque volesse, il raggiungimento della propria felicità.

Ogni bambino che ha ascoltato le fiabe ha potuto pensare che fosse possibile dare corpo ai propri sogni, che fosse possibile cercare risposte alle proprie domande, ha saputo fin dall’inizio che ce l’avrebbe potuta fare, è stato preparato alle difficoltà che lo attendevano. Gli è stato detto che nulla avrebbe potuto infrangere la sua volontà se questa fosse stata determinata, gli è stato insegnato che un cuore puro avrebbe avuto la sua ricompensa, che il contatto con il  mistero dell’esistenza è fondamentale nel suo cammino, che gli altri esseri del Pianeta sono come noi, che la realtà non è quella che sembra.

Insomma, un bambino che ascolta le fiabe è un essere cui è già stato detto molto perché possa non perdere la speranza e possa dare corpo a qualcosa che sente dentro di sé, andando al di là della realtà come gliel’hanno presentata. Altro che insegnamento morale come ci hanno fatto credere (“le fiabe insegnano ciò che è bene e ciò che è male”), altro che sogni stupidi, altro che illusioni: l’illusione è quella che un bambino è costretto a vivere quando gli dicono che niente può essere cambiato o che si deve adeguare a ciò che gli impongono gli altri… e questo bambino poi diventerà un uomo e allora non può essere lecito chiederci se hanno cercato di impedire che si raccontassero ancora le fiabe proprio perché ci si dimenticasse più facilmente che il mondo può essere cambiato?


Bene, forse adesso siete pronti per ascoltare una fiaba…

Ve ne voglio raccontare una che mi piace molto: è una fiaba piemontese dal titolo “Re Crin”.


“C’era una volta, in un regno lontano, un Re il cui figlio era un maiale. Il re e sua moglie tuttavia lo amavano profondamente e lo accontentavano in tutto, così, quando volle una moglie, il re gli presentò le figlie del fornaio. Re Crin scelse la più grande, ma la sera delle nozze, quando lui entrò nella camera nuziale tutto sporco e volle salirle in braccio, la sposa si ritrasse e lo scacciò. Il giorno dopo la sposa venne messa a morte. Dopo qualche tempo il giovane Re Crin volle di nuovo una moglie e il padre lo accontentò dandogli la seconda figlia del fornaio.

Purtroppo anche questa fece la stessa fine della sorella. Così, quando il giovane principe chiese di nuovo una moglie, il re era disperato. Per fortuna la terza figlia del fornaio si offrì spontaneamente e la sera delle nozze, invece di scacciare lo sposo sporco e puzzolente, lo accolse coprendolo di attenzioni, lo lavò, lo accarezzò e poi si mise a letto con lui. Nella notte la sposa si svegliò e scoprì che il marito di notte si spogliava del corpo del maiale per diventare un bel giovane: felice si incantò a guardarlo, ma lui si svegliò e, disperato, le rivelò che era un maiale per colpa di un incantesimo che poteva essere tolto solo da chi lo avesse amato per quello che era. Purtroppo, però, ora che lei lo aveva visto, lui era costretto a scomparire e solo se lei fosse stata disposta a viaggiare per sette anni consumando sette paia di scarpe di ferro, sette mantelli di ferro, sette cappelli di ferro e a riempire sette fiaschi di lacrime avrebbe potuto ritrovarlo. La ragazza non si scoraggiò, si fece costruire ciò che le serviva e partì per il viaggio. Nel viaggio incontrò il Vento, il Fulmine e il Tuono e, con l’aiuto delle loro madri, ottenne una castagna, una noce e una nocciola, tutte e tre magiche. Infine arrivò in una città dove si stavano festeggiando le nozze della Regina con un principe straniero. La giovane riconobbe in lui il suo sposo, ma lui si era scordato di lei e così lei cercò di ottenere l’accesso alla sua camera utilizzando i suoi frutti magici. Per tre volte ottenne di stare sola con lui, in cambio di oggetti preziosi scaturiti per magia dai frutti, ma sempre la Regina diede al suo promesso sposo un sonnifero e così la giovane non potè farsi riconoscere dal suo sposo se non la terza sera quando lui, stufo di bere la bevanda prima di andare a dormire, non la bevve e così rimase sveglio. I due poterono così rincontrarsi, riconoscersi e tornare a casa insieme.”


Io credo che questa sia una storia bellissima, e non è certo una storia d’amore, anche se così può sembrare, perché, se si guarda bene, non si parla di innamoramenti, ma proprio della ricerca determinata della propria felicità.

E volete dire che sono “solo” fiabe?


 

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