Indigenous Peoples |
Il lungo cammino dei Figli di Madre Terra |
06 Ottobre 2011 | |||||||||||
Dalla schiavitù in nome della Discovery Doctrine all’ingresso nelle Nazioni Unite
Kill the indian, save the man E’ un lungo cammino, quello che ha portato i Popoli indigeni ad essere ammessi alla tribuna internazionale dell’ONU fino a rappresentare la più vasta assemblea delle Nazioni Unite. Dall’epoca buia delle colonizzazioni, in cui l’unico futuro possibile per loro sembrava essere l’assimilazione o la completa estinzione, i Popoli naturali si sono organizzati segretamente e sono riusciti a riemergere dalle tenebre. Invece di rimanere sopraffatti da un’azione che tendeva alla loro completa polverizzazione, si sono rialzati ed hanno avuto il coraggio di proseguire incessantemente nella loro volontà di mantenersi integri e di salvaguardare i propri valori spirituali. E’ tristemente nota l’azione delle colonizzazioni, giustificata dalla famigerata bolla papale del 1400, denominata “Discovery Doctrine”, che autorizzava i coloni ad impossessarsi delle terre scoperte, con tutto quello che vi era sopra, compresi i popoli che vi abitavano. Questa bolla è stata presa a riferimento per giustificare, in virtù di una “legge divina”, ogni genere di nefandezze ai danni dei Nativi. Il problema della “stolen generation” (generazione rubata) è venuto alla luce dopo l’indagine del National Inquiry commissionata dal Governo australiano nel 1995 in risposta alla campagna da parte dei movimenti indigeni. L’indagine ha affrontato e analizzato una delle pratiche coloniali più sistematiche e crudeli dello stato australiano all'interno di un'ideologia politica e religiosa di assimilazione. L'inchiesta ha stimato che dal 1911 al 1970 circa 100.000 bambini aborigeni, la maggior parte di discendenza mista e sotto i cinque anni, furono allontanati dai genitori e familiari e rinchiusi in istituzioni religiose, a migliaia di chilometri dalle loro terre.
I bambini venivano usati come schiavi, spesso abusati sessualmente; veniva loro proibito, attraverso severe punizioni corporali, di usare la loro lingua e i loro usi e costumi. Un raffinato genocidio, apparentemente incruento, con il quale si obbligava una civiltà a lavare il suo sangue, mischiandosi obbligatoriamente con i bianchi fino a scomparire. Migliaia di questi bambini morirono per maltrattamenti o suicidi. Nella maggior parte dei casi, le conseguenze furono depressioni o problemi psicologici permanenti. Negli anni ’90 la Commissione australiana per i Diritti Umani ha spinto il governo australiano a porre rimedio a questa situazione. Furono attivati una serie di progetti e iniziative, come il Progetto di Riconciliazione, il Sorry Day e il Bringing Them Home. Ma in moltissimi casi, gli aborigeni della Stolen Generation sopravvissuti non sono riusciti a ricostruire il loro passato e a ritrovare i loro famigliari. Il caso ha fatto scalpore perchè succedeva in Australia solo poche decine di anni fa, ma i casi di generazioni rubate si sono verificati anche presso altri Popoli indigeni. In America migliaia di bambini indigeni sono spariti o morti, altre migliaia hanno riportato danni psicologici irreparabili a causa dell’integrazione forzata nelle strutture religiose, secondo il tristemente famoso motto “kill the indian, save the man” coniato da Richard H. Pratt, fondatore della Carlisle Indian School, il cui motto è diventato la parola d’ordine del genocidio.
All’inizio del ‘900 il governo americano decide una strategia per estirpare la cultura dei Nativi americani, puntando sui bambini: allontanati dalle famiglie, anche grazie al fatto che nelle riserve scarseggiano le scuole, potranno essere educati alla vita dei bianchi, e si avrà allora una nuova generazione di Indiani finalmente integrati. Le scuole sono laiche o religiose, ma tutte impongono ai piccoli di dimenticare la lingua, le usanze, i vestiti, il modo di acconciare i capelli, il cibo, tutto ciò che è indiano. Le pene sono severissime. Molti bambini scappano per ritornare nelle riserve, altri si trovano “sdoppiati”: pregano un dio a scuola e celebrano gli antichi riti quando tornano in famiglia per le vacanze, parlano inglese pensando nella lingua nativa, studiano la storia degli Stati Uniti su libri che li dipingono come selvaggi, imparano il Giuramento alla Bandiera, senza sapere veramente cosa sia quel pezzo di stoffa. Sia il governo degli Stati Uniti, sia il Canada emanano leggi che vietano espressamente riti e cerimonie indiane, e questa situazione si protrae fino a poche decine di anni fa. Ma i riti e le cerimonie continuano ad essere celebrati nella clandestinità. Gli Indiani, soprattutto i vecchi e gli adulti, non riescono a rinunciare alla loro identità, che viene costantemente soffocata dalla povertà, dalla mancanza di spazio, dalla repressione di leggi, assolutamente estranee a loro. Fra la popolazione indiana sono molto comuni epidemie dovute alla mancanza di igiene e di cure mediche, alla sottoalimentazione e alla promiscuità. Molti vecchi guerrieri si suicidano, altri si lasciano morire di inedia, la piaga dell’alcolismo dilaga. Un fatto nascosto dalla storia è stata la forzata sterilizzazione delle donne Indiane. E’ stato documentato che fra il 1972 e il 1976, gli Stati Uniti hanno forzatamente sterilizzato il 42% delle donne indiane. A Portorico gli U.S. hanno sterilizzato con la forza il 35% delle donne Portoricane.
Negli anni ‘50 il governo americano fa firmare al congresso un decreto, il Termination Act, con l’intento di tagliare ogni forma di assistenza agli indiani, quindi smantella le tribù, iniziando da quelle che hanno le terre più ricche: gli Indiani sono costretti a lasciare il territorio e vengono relegati nelle riserve. L’elevato numero di suicidi e l’abuso di alcolici indicano che l’integrazione, auspicata dal governo, non è riuscita. Anche in Europa In Europa non è andata diversamente. Anche se il luogo comune vuole che gli europei siano i responsabili delle colonizzazioni, in realtà sono stati a loro volta colonizzati. Si potrebbe dire che la Discovery Doctrine sia stata sperimentata innanzitutto in Europa, poiché gli effetti sono stati gli stessi. Anticamente l’Europa era abitata da popolazioni autoctone. Alcune originarie di questo continente, altre giunte dall'Africa almeno 50-60 000 anni orsono. La loro presenza ha consentito di edificare una grande civiltà che nulla ha da invidiare all’Antico Egitto o alle antiche culture del Medio Oriente. Tuttavia questa civiltà pacifica e evoluta venne aggredita e distrutta, prima dall’Impero romano e successivamente dal cristianesimo. Entrambe queste forze politiche e religiose utilizzarono le tecnologie dell'antica civiltà europea nascondendo e distruggendo le sue vestigia e integrando forzatamente milioni di individui o sterminandoli, come nel caso dei Catari, quando resistevano. Dopo aver concluso la cristianizzazione del continente europeo, mettendo al bando la cultura dei Nativi europei, la chiesa cattolica del tempo, senza avere più antagonisti militarmente organizzati in Europa, si preparò all’evangelizzazione colonizzatrice degli altri continenti, supportata dal potere militare delle nazioni europee, ormai legate al potere del Papato. Oggi in Europa sopravvivono molte comunità tradizionali, culture native che, memori della lezione del passato, nascondono la loro presenza agli stati europei temendo possibili persecuzioni. Il caso Carnac è emblematico: in Bretagna l’imponente sito megalitico, riferimento spirituale e sociale per le comunità autoctone del posto, è stato recintato impedendone l’accesso a chi lo usava da tempi immemorabili per cerimonie sacre o sociali.
Nelle valli del Piemonte, dove risiedono antiche culture autoctone, il potere religioso ha operato nel tempo lo sradicamento delle tradizioni locali trasformandole in folklore. I megaliti, numerosi in tutto il Piemonte, riferimento culturale e spirituale di queste culture, spesso senza motivo apparente sono distrutti o occultati. Eppure sopravvivono Nonostante le persecuzioni, le culture dei Popoli naturali sono sopravvissute pervicacemente a tutti i tentativi di soppressione. C’è da chiedersi come questo sia potuto accadere: quando a un popolo togli la lingua, la terra, i luoghi sacri, le usanze, le tradizioni, i riferimenti spirituali, che cosa mai può farlo sopravvivere? I Forum delle Nazioni Unite dedicati ai Popoli indigeni dimostrano che le culture native sono sempre più forti e determinate, come non succedeva da mezzo secolo. E’ evidente che, tra questi popoli, c’è stato chi, protetto dalla discrezione, si è curato di mantenere e trasmettere le conoscenze ancestrali. Sia in Europa che negli altri continenti, i Popoli naturali, nel segreto delle loro istituzioni più tradizionali, hanno resistito alla furia devastatrice degli invasori. Oggi l’umanità vive una dicotomia: da una parte la "società maggioritaria" costituita dalla multivariegata società dei colonizzatori, disegnata dall’ideologia religiosa delle varie chiese, che tende ad assimilare alla sua cultura i popoli più deboli e elimina i resistenti; dall’altra, la società dei Popoli naturali, costituita da quelle culture che mantengono i propri riferimenti tradizionali e rimangono i soli continuatori delle antiche tradizioni della storia del pianeta. Nelle assemblee dell’ONU dedicate ai Popoli indigeni l’atmosfera che regna è fatta di libertà, di speranza e di determinazione. I Popoli naturali non si piangono addosso. Avrebbero tutti i motivi per essere dominati dal risentimento, e invece sono stati in grado di superare la conflittualità per guardare a un futuro migliore.
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