Indigenous Peoples |
I Popoli indigeni, gli esseri umani meno tutelati |
16 Ottobre 2020 | ||||||||||
“Stiamo vivendo l’era della profezia e questo conseguente tempo di disagio, malattia, difficoltà, testimoniano che l’umanità continua a maltrattare e distruggere Madre Terra.” Confederazione Irochese delle Six Nations
La comunità Wet'suwet'en e i loro sostenitori da mesi stanno bloccando i binari della ferrovia per fermare la costruzione del gasdotto Coastal GasLink, un’opera dal valore di 4,6 miliardi che dovrebbe trasportare gas naturale dalla Columbia Britannica al Pacifico attraversando pertanto il territorio delle First Nations. I Wet'suwet'en rappresentano il 5 per cento della popolazione canadese e, come molte comunità di nativi, vivono tutt'oggi ai margini della società, con un basso livello di istruzione e addirittura con problemi di accesso all'acqua potabile. La protesta dei Nativi canadesi si aggiunge alle tante reazioni nei confronti degli Stati che non riconoscono ai Nativi i minimi diritti all’autodeterminazione e alla tutela, nonostante la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti degli Indigenous Peoples approvata nel 2007. Un caso analogo si era verificato già nel 2016 con la grande rivolta pacifica dei Lakota Sioux di Standing Rock, che aveva dato vita al più grande raduno indigeno del secolo contro la costruzione del mega-oleodotto Dapl (Dakota Access Pipeline). Protesta che continua tuttora poiché il progetto non è stato fermato.
I Nativi canadesi sono tra i più attivi, infatti nel 2013 sempre in Canada è nato il movimento di protesta “Idle No More” (Mai più passivi) contro le politiche colonialiste, e prima ancora, nel 2008, l’allora primo ministro Stephen Harper ha dovuto chiedere ufficialmente scusa ai Nativi a nome del governo canadese per gli abusi inflitti alle popolazioni indigene. Abusi pesantissimi che videro coinvolti attivamente il governo, gli istituti religiosi e gli apparati militari. Migliaia di bambini nativi strappati alle loro famiglie, abusati, costretti a schiavitù, e da grandi, molti di loro si sono suicidati. E non parliamo di secoli fa: in alcuni luoghi questa situazione si è protratta fino agli anni ‘80 del secolo scorso. Ma non è tutto: il Nwac (Native Women’s Association of Canada) ha denunciato la scomparsa e gli omicidi di circa 5.000 donne indigene dal 1980 ad oggi, fenomeno che i nativi vedono legato all’insediamento dell’industria petrolifera ed energetica che ha visto un enorme afflusso di operai maschi non nativi all’interno dei territori delle comunità indigene. Lo stesso problema è emerso anche negli USA: secondo un rapporto del Center for Disease Control quasi l’ottanta per cento delle donne indigene ha subito violenze e abusi sessuali da parte di maschi non nativi. Le donne indigene sarebbero quindi facili prede di caccia poiché non tutelate da un sistema giudiziario inadeguato e spesso connivente. Indubbiamente i Popoli indigeni sono la fascia del genere umano meno tutelata dalle leggi. E tutto questo ha una spiegazione. Esistono, tra il genere umano, società che sono assolutamente invisibili. Mi riferisco alle realtà dei Popoli naturali, quelle culture che hanno mantenuto integre le loro tradizioni e non si sono lasciate contaminare dalle grandi religioni storiche. Nella comunità planetaria esistono due realtà in contrapposizione tra di loro: la società maggioritaria e la società dei Popoli naturali. La prima la conosciamo bene, perché ci siamo nati e cresciuti, la seconda è invisibile perché fa parte di quelle sacche storiche che la Storia ha cercato di cancellare con ogni mezzo. Eppure in ogni continente esistono comunità autoctone, culture resilienti che non solo mantengono vive le loro tradizioni, ma crescono, al di là di ogni previsione. Possiamo parlare dei Nativi americani, degli aborigeni australiani, dei Nativi africani, ma possiamo anche parlare dei Nativi europei.
Cosa unisce questi Popoli, che sembrano intendersi perfettamente al di là della lingua, al di là dei loro usi e costumi? Qual è l’elemento che li unisce? Alle Nazioni Unite, le più vaste assemblee ONU sia a New York sia a Ginevra sono formate dalle delegazioni degli Indigenous Peoples. Assemblee a volte formate da migliaia di delegati, rappresentanti di altrettante etnie, riuniti insieme per discutere su come mantenere vive la loro identità e le loro tradizioni. Molti studiosi della società maggioritaria hanno cercato di capire che cosa li unisse, quale elemento fondamentale permettesse loro di trovare sempre soluzioni comuni ai problemi, che, come possiamo immaginare, sono tanti e complessi. Quando ho posto questa domanda ai vari Capi di Consigli Tribali, la risposta è stata sempre la stessa: “Mother Earth”. Madre Terra. Madre Terra intesa come l’unica vera grande madre, l’unico riferimento possibile. Madre Terra, depositaria di un grande Segreto cosmico. Sì, poiché queste realtà basano la loro espressione sociale sul rispetto per la Natura e per tutti i suoi figli, umani e non. Nella Natura vedono il loro massimo riferimento. Non il profitto, non l’accumulo dei beni, non la sopraffazione del più forte sul più debole. Società basate sul concetto di “ecospiritualità”, termine coniato da Giancarlo Barbadoro insieme ai vari Capi nativi con cui si confrontava e con i quali aveva definito così l’elemento che poteva meglio descrivere la loro esperienza comune. È facile immaginare che questi sistemi sociali possano costituire un pericoloso confronto per lo status quo della società maggioritaria. Il piano di annientamento di queste culture parte da lontano.
Le grandi colonizzazioni avevano un obiettivo preciso: impossessarsi delle terre scoperte e spazzare via i Popoli nativi, e questo in virtù di una Bolla Papale del 1400, la “Discovery Doctrine”, che autorizzava i coloni per “diritto divino” ad impossessarsi di tutte le terre e di tutti gli abitanti di quelle stesse terre. In pratica, i coloni si impossessavano delle terre che scoprivano (cosa incomprensibile per i Nativi: come si fa a possedere la terra? La terra non ci appartiene, appartiene a Madre Terra!) e sottomettevano i residenti facendoli schiavi. È purtroppo storia il genocidio dei Nativi americani che iniziò con Cristoforo Colombo e proseguì dopo la sua morte, ma ebbe le sue basi nel trattamento riservato agli indigeni dall’esploratore genovese nelle sue spedizioni. Oltre a fare centinaia di schiavi, ordinò a tutti quelli sopra ai 14 anni di cercare oro per gli spagnoli. Per sopprimere le ribellioni, ordinò una repressione brutale, che comprese torture e l’esposizione pubblica di pezzi di cadaveri per spaventare la popolazione. In una lettera, raccontò l’efficacia e la convenienza economica della vendita di bambine di 9 e 10 anni come schiave sessuali. Moltissimi nativi si suicidarono in massa per sfuggire a queste catastrofi. Come non capire l’attuale trattamento riservato alle statue di Colombo negli USA, o alla campagna dei Nativi per abolire il Columbus Day? Purtroppo, questo processo è avvenuto in tutto il mondo. Tristemente famoso è il fenomeno della “Stolen generation”, la generazione rubata, che si riferisce a quei bambini aborigeni allontanati dalle loro famiglie in modo forzato da parte dei governi federali australiani e da missioni religiose con l’obiettivo di rieducarli secondo la cultura dei bianchi. La stessa cosa è avvenuta negli USA e in Canada. Ma quello che spesso non viene considerato è che anche in Europa è avvenuta la stessa cosa, solo che è successo molti secoli prima. Le prove generali delle colonizzazioni sono state fatte proprio in Europa, con il massacro delle culture considerate “pagane”. Parliamo del massacro dei Catari, dei Templari, e possiamo anche parlare della Santa Inquisizione che ha torturato a morte centinaia di persone, sia maschi che femmine, che praticavano culti pagani. Le repressioni sono proseguite ancora fino al secolo scorso, con la messa al bando delle lingue celtiche, dal bretone all’occitano, o degli usi e costumi considerati “pericolosi” come gli strumenti musicali tipici della musica celtica: la cornamusa, l’arpa. Tanto che in Irlanda per proseguire la tradizione musicale, a cui era legata anche la loro cultura, si è diffuso il fenomeno della Mouth Music, la musica solo cantata.
E non stiamo parlando di millenni fa, ma di pochi decenni. Eppure i Nativi proseguono il loro cammino, portando avanti le loro tradizioni e i loro riti. Ma ora ci si mette pure la pandemia. I nativi americani conoscono bene le epidemie, in particolar modo quelle “importate”. Ma oggi le comunità native sono l’anello più debole dell’insieme delle etnie americane, trovando terreno fertile nell’inefficiente sistema delle riserve. Le cure sanitarie inadeguate, il tasso elevato di povertà, generano patologie croniche. In una situazione del genere l’arrivo del coronavirus può essere un ulteriore problema per la sopravvivenza di queste culture. Eppure lo spirito con cui affrontano questa ulteriore prova è ben diverso da quello a cui ci hanno abituato ormai da mesi i provvedimenti, le raccomandazioni e i decreti emanati dalle consuete fonti di informazione. Lo esprime benissimo il comunicato della Confederazione Irochese delle Six Nation: “Stiamo assistendo alla pandemia del virus covid 19 e del suo impatto devastante nel mondo intero. Stiamo vivendo l’era della profezia e questo conseguente tempo di disagio, malattia, difficoltà, testimoniano che l’umanità continua a maltrattare e distruggere Madre Terra. Noi vogliamo incoraggiare ognuno a seguire gli insegnamenti tradizionali e prendersi cura di sé stesso, della propria famiglia, dei propri cari e della comunità. Il Creatore ha dato agli esseri umani le leggi per aderire a questo. Se stiamo vicini a queste leggi naturali, proseguiremo a vivere in pace. Siamo testimoni di come l’umanità ha disatteso queste leggi naturali, disconnettendosi con Madre Terra. Raccomandiamo di rimanere connessi con Madre Terra per creare energie positive. Raccomandiamo di praticare la nostra lingua e di cantare le nostre canzoni per creare positive vibrazioni. Seguite le antiche conoscenze della Tradizione. In Pace e Amicizia, La Confederazione Irochese delle Six Nations”. |