Il blog di Roberto Cazzolla Gatti

Storia di Kira, di un fucile funesto e del cane Salvo che l’aiutò

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30 Maggio 2014


Molte storie iniziano con “C’era una volta…” e la maggior parte terminano con un lieto fine. Di solito si tratta di fiabe ed è difficile nel cinico mondo reale che le cose vadano davvero così. Ma gli animali non umani, si sa, sono da sempre protagonisti delle favole. Questo racconto narra le vicende di Kira, una cagnolina meticcia di pochi anni ritrovata spaurita e ferita in un campo abbandonato. Il giorno del suo rinvenimento Kira era accucciata al suolo. Tremava e guaiva. Era evidente che avesse qualcosa che non andava. Il suo sguardo spento e le orecchie basse invocavano l’aiuto di chiunque l’avesse notata.

Una signora di passaggio lungo l’isolata strada di campagna in cui giaceva da ore, avendo visto un’insolita sagoma tra l’erba, si era affacciata subito a controllare lo strano comportamento di quella piccola palla di pelo. Pochi passi verso di lei ed il problema diventava sempre più chiaro.

Un morso alla spalla la rendeva dolorante ed incapace di muoversi. Uno strano morso alla spalla. Carne, brandelli d’ossa e molto sangue s’intravedevano da quella strana ferita. La signora che non sapeva proprio come aiutarla, impietosita dalla triste immagine di Kira in quello stato, l’aveva caricata in macchina per portarla da qualche parte, affinché qualcuno potesse prendersi cura di lei. Giunta nel vicino canile aveva raccontato dove avesse trovato la cagnolina e l’aveva consegnata alle amorevoli cure del personale della struttura. Questi, compresa la gravità della situazione, avevano subito cercato di tranquillizzarla. Kira era molto spaventata. La nottata trascorsa al freddo di quel campo, il dolore di quella lacerazione e tutta questa gente che la prendeva e trasportava da una parte all’altra la rendevano irrequieta. Ma le forze sempre più ridotte dalla sofferenza non le permettevano neanche un’abbaio. Guaiva, piangeva. Era l’unica cosa che poteva fare in quello stato.

Ritrovatasi in un’altra auto in poche ore, Kira aveva scoperto presto di esser giunta nel posto più terribile che potesse immaginare. Un tavolo freddo e dal chimico tanfo si ergeva al centro di una stanza piena di poster dei suoi simili affissi al muro. La mano di chi la visitava era, però, gentile seppur invadente. Scivolava e tremava Kira, sul freddo di quella pista d’accaio veterinaria. Trattenuta con decisione per evitare che cadesse, la cagnetta osservava implorando pietà i visi delle ragazze che l’avevano condotta in quel patibolo. Per lei era difficile comprendere come quel posto, così diverso da qualunque campagna vista sino ad allora, potesse rappresentare la sua unica possibilità di guarigione.

La diagnosi, dopo un’istantanea radiografia, era ben diversa dalle aspettative: nessun morso, ma un bel buco… da fucile! I pallini di una calibro 12 erano ancora infissi nei suoi teneri muscoli. A pochi centimetri dal cuore e dai polmoni. Decine il veterinario era riuscito a rimuoverne, ma tanti altri insaccati in profondità sarebbero rimasti lì per sempre. Crivellata di piombini su tutto il corpo, un pezzo di spalla le era stato completamente divelto da quel fucile funesto. L’omero esposto, la scapola frammentata. Niente più muscoli e tendini. Un buco che quasi lasciava intravedere l’anima violata.

Un cacciatore, di sicuro. Di quelli che dicono di andare a far sport. Di quelli che amano passeggiare nella Natura. Di quelli che portano il cane “a fare due passi”. Di quelli che girano armati, ma amano la vita. Di quelli che sparano a caso “per far bene all’ambiente”. Un ambientalista col fucile, come ce ne sono tanti. Ma quel mattino di dicembre, a qualche giorno dal Natale, il colpo gli era partito al primo fruscio di cespugli. Allo scuoter di foglia… buuum. “E chissà che ho preso!?! Un cinghiale, un leprotto, una volpe, il mio amico venuto a caccia con me, mio figlio minorenne che voleva provare l’ebrezza della battuta… ah no, un cane. Vabbè poteva andare peggio”. Quattro passi, voltata la schiena e tutto era dimenticato. Un fringuello appostato più in là aveva già spostato l’attenzione della carabina sulla prossima vittima. Dietro quell’insensibile incedere, osservava penante la piccola Kira. Non riusciva a comprendere come potesse lasciarla lì quell’uomo cinico e crudele. Proprio lei che, appena l’aveva sentito arrivare col suo passo meschino, era uscita di corsa allo scoperto dal suo rifugio notturno di randagio in cerca di una carezza. Proprio lei che credeva che gli uomini fossero i migliori amici dei cani e non solo il contrario. Un colpo, improvviso. “Che male. Abbaio? Dolore, non ce la faccio. Mi accascio, lo guardo. Ci sono, mi vedi? Mi hai preso, aiutami. Aiutami, non lasciarmi qui. Mi fa male. Perché mi hai ferito? Mi vedi, mi guardi lo sai che ci sono. Hai sparato. Mi vedi? Ti giri, tornerai. E’ buio. E’ notte. Non torni. Fa freddo. E’ notte. Non torni. Aiuto. Fa male, ho sonno, ho freddo. Tornerai…”.

Ma dopo poche ore quell’uomo era già nel suo letto di casa, con qualche tortora nel surgelatore ed un colpo sparato in più che aveva scelto di dimenticare.

Dopo la visita dal suo dottore, Kira era ritornata insieme alle operatrici in una stanza di un canile pieno di sfortunati randagi come lei. Un posto tirato su a fatica, con sacrifici. Un posto dove le sbarre, i cancelli, le gabbie sono solo stereotipate immagini d’odio agli antipodi del vero sentimento che lì si respirava. Al contrario di tanti altri canili, lì il cane aveva sempre ragione. Un cliente in cerca di riscatto. Un ospite da coccolare. Kira se n’era subito accorta. Un pasto al mattino ed uno la sera. Sempre pulita, sempre accarezzata. Una ricovero da sogno, nonostante il dolore. Ed un amico inaspettato accucciato nell’angolo della stanza a lei destinata. Bianco, alto e longilineo, con una zampa fasciata. Gli occhi neri, curiosi, profondi. Lei lì, appena deposta su un morbido materasso, ad osservarlo. Fulva e pure timida, pensava lui… ‘na noia sarà ‘sta coinquilina! Ma Salvo, era questo il suo nome, era buono. Talmente buono che tutti là dentro l’avrebbero voluto chiamare Zucchero. Così, delicatamente, aveva deciso di avvicinarsi a quell’inattesa compagna di stanza. Un’annusatina rapida gli era bastata per capire che Kira aveva bisogno d’amore. Un giretto intorno a lei per guardala in tutta la sua grazia e subito, senza pensarci, gli era partito un bacio. Una leccatina che lei aveva gradito. Dopo qualche giorno, infatti, gli operatori del canile si erano accorti della straordinaria amicizia stabilitasi tra i due. Ora anche lei lo leccava. E lui, con più insistenza la ricambiava.

Kira era più felice, ma il dolore le toglieva l’appetito.

Un giorno, sotto lo sguardo esterefatto di coloro che gli avevano portato da mangiare, a Salvo venne in mente un’idea: “forse Kira ha paura degli uomini e non mangia nulla che le venga consegnato dalle loro mani, perché ricorda ancora colui che le ha fatto tutto questo male”, pensava tra sé.

D’impovviso col suo lungo naso candido le aveva avvicinato la ciotola appena riempita per lui. Di centimetro in centimetro la spostava sul pavimento sino a raggiungere quel corpicino smagrito. Kira colpita, come gli umani che le stavano intorno, da quel gesto insolito e vedendo negli occhi del compagno l’amore che solo un cane è in grado di trasmettere con uno sguardo, aveva iniziato a mangiare. Gli altri occhi nella stanza si erano fatti umidi dalla magia di quella scena. Dalla delicatezza di quell’impacciato tontolone, dalla fiducia estrema di quella timida convalescente.

Salvo aveva persino iniziato a leccare l’enorme ferita di Kira e di quello stesso zucchero, che non a caso era il suo secondo nome, posto ogni giorno sulla ferita per stimolarne la guarigione non vi era stata più necessità. Salvo e Kira avevano mostrato all’uomo la forza guaritrice dell’amore.

Questa appena narrata non è una storia inventata. E’ una storia vera. Salvo e Kira sono ospiti del Canile di Castellaneta (TA).

Salvo, recuperato con una grave ferita sulla zampa ed ospitato presso la struttura, ha accolto la piccola Kira come se la conoscesse da sempre e l’ha accompagnata passo dopo passo verso la guarigione, ridonandole la voglia di mangiare e di vivere. Kira è stata ritrovata ferita poco prima di Natale nelle campagne tarantine, dov’era già accudita da una signora ed è stata curata presso un centro veterinario di Altamura. La sua profonda ferita si sta rimarginando. La persona che se ne stava occupando già prima del colpo che le lacerasse una spalla ha deciso di adottarla e tenerla con sé.  Salvo e tanti altri randagi accuditi con passione e dedizione dal personale del canile attendono con ansia di essere adottati da qualcuno che gli faccia loro riacquisire la fiducia perduta nel genere umano.

Il cacciatore che ha sparato a Kira non è mai stato identificato. I suoi pallini scaricati con sufficienza e crudeltà resteranno tracce indelebili nel corpo di Kira. In lui, se ha ancora un briciolo di coscienza, che probabilmente si imbatterà in questa storia leggendola per caso, s’insinuerà quel senso di colpa che lacera pian piano l’anima, come ha fatto il suo colpo. Non ci sarà per quell’uomo, però, un altro Salvo a leccargli le ferite… o forse sì. Il suo cane da caccia, sfruttato come una macchina da recupero, continuerà a leccare la sua mano che lo spinge controvoglia al recupero delle prede, cogliendo nel suo amico-padrone tutta la miseria di un uomo incapace di amare gli esseri che lo circondano. Come lui, tanti altri, che uccidono l’emblema più estemo della libertà: il volo. Ma Salvo e Kira, senza necessità alcuna della parola, insegnano a tutti loro, a tutti noi che non puoi abbattere con invidia la libertà di volare, perché non sono indispensabili le ali quando si è capaci di amare.

 

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