Mamuthones non ha scelto il suo destino. Mamuthones ha avuto un guizzo di ribellione verso i suoi aguzzini e l’ha pagato con la vita. Stiamo parlando del cavallo purosangue morto nell’ultimo Palio di Asti, il tredicesimo in questi anni. Mamuthones si è ribellato alle nerbate che il fantino gli assegnava senza alcun motivo (come si vede dai filmati) e per sfuggire alle percosse si è impennato ed è caduto rompendosi l’osso del collo.
Del resto la sorte di queste magnifiche e intelligentissime creature è di essere macellate o di essere spremute fino all’esaurimento di tutte le loro energie per la gioia di quei trogloditi che si esaltano per una coseddetta”tradizione” incivile che andrebbe dimenticata e di cui bisognerebbe vergognarsi. Ma il business del Palii non lo permette. I trogloditi si esaltano e chi specula sullo sfruttamento dei cavalli si arricchisce. Non vedo nobili princìpi in questo: è una storia di sfruttatori e di sfruttati. Tradizioni? ma quali tradizioni! C’è solo un valore che domina: il denaro. Il Palio di Asti porta turismo e quindi denaro. Questo è il motivo per cui si tiene viva questa tradizione. Questo è ciò che sta dietro alle deliranti affermazioni tipo: “chi segue il Palio ama i cavalli”... certo, così come i gladiatori che morivano nell’arena erano amati dai romani! C’è stato anche chi ha tentato di difendere il fantino affermando che le nerbate sono necessarie e non sono state poi così forti... ma disquisire su quanto facciano male le nerbate non sposta il vero problema. Il cavallo è morto. MORTO. Non ha scelto lui il suo destino e non potremo mai sapere quanto quelle nerbate possano essere state dolorose sia fisicamente che psicologicamente. Di certo umilianti sì. Ma questo lo può intuire solo chi dà dignità vera agli animali, e non chi pensa di amarli solo perchè li ha a cuore come mezzi di trasporto o come strumenti per lo "sport" (se così si può chiamare). Parlare del dolore del fantino equivale a parlare del dolore di un boia nell'esercizio delle sue funzioni. La morte di Mamuthones ci mette una volta di più di fronte all’utilizzo degli animali come “merce”. Mezzi da trasporto, strumenti per gli “sport” degli uomini, per competizioni, per esposizioni. Possiamo fare l’esempio delle botticelle romane, le carrozze trainate da cavalli considerate il simbolo della città di Roma, più che altro un esempio di sofferenza e di violenza nei confronti degli animali. Possiamo parlare degli sleddog, oggi tanto di moda, le corse con i cani da slitta. Le tante scuole di sleddog fanno passare questo divertimento (divertimento per gli uomini, ovviamente) come uno “sport” a contatto con la natura, e ci vogliono convincere che anche i cani si divertono un mondo. Ma approfondendo l’argomento si viene a sapere che i cani sono solo uno strumento, anche in questo caso una merce da usarsi a piacimento. E purtroppo in molti casi non vengono usati cani di razza nordica, quindi abituati a rigide temperature, ma cani a pelo corto. Spesso legati giorno e notte per tutta la settimana, per poi permettere loro di “sfogarsi” la domenica facendo divertire le persone trainate su una slitta. Il comune denominatore per tutte queste manifestazioni di strumentalizzazione degli animali è uno solo: il commercio. Un business fiorente, basato sulla schiavitù degli animali. Coloro che portano avanti queste forme di business spesso hanno anche il coraggio di affermare che amano gli animali. Si sentono anche affermazioni del tipo: “gli Husky sono nati per trainare le slitte”! E’ lo stesso principio per cui gli uomini di colore, forti, possenti, resistenti, sono stati per secoli ridotti in schiavitù... Gli esempi si moltiplicano, possiamo parlare dei circhi, dei combattimenti tra cani, fino ad arrivare alla parte più estrema di questa carrellata: la caccia, considerata uno sport, una tradizione da tutelare e da rispettare. Non è solo la selvaggina a farne le spese, ma anche i cani, strumento indispensabile per la carneficina. Vengono tenuti spesso in gabbie buie, con pochissimo cibo per tutta la settimana, per poi liberarli la domenica in modo che siano affamati in cerca di prede. Ma è solo l’esempio più estremo. In realtà tutte queste attività, dai Palii alle sleddog, si basano su una stessa identica mentalità: gli animali visti come schiavi da usarsi a piacimento. Di certo non sono gli animali a scegliere il loro destino. Non mi si venga a parlare di tradizione, di amore per gli animali, di tutela degli animali usati per lo sport degli uomini. Non c’è sport che possa giustificare la tortura o l’uccisione delle altre specie, non c’è tradizione che possa rendere accettabile la sottomissione di altre creature non umane. Sottomissione che spesso, come nel caso di Mamuthones, conduce questi schiavi alla morte.
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