Il blog di Guido Barosio

Londra, capitale dai mille volti

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10 Marzo 2014


Un antico dove il nuovo è sempre di casa. Solo Londra è così. Non c’è niente come Lei; il suo mix di storia, grandezza ed energia la rende unica a livello globale, come quella irresistibile capacità di ricrearsi, senza perdere un appeal classico e tradizionale che resterà sempre nel suo dna. Se la osservi dall’alto è immensa, se la misuri i  numeri confermano lo sguardo: 1732 mq di superficie (per 8 milioni di abitanti), più di Mosca, New York e Roma (circa 1200), infinitamente più di Parigi (solo 105). La vastità rivela il suo segreto nelle forme e nelle architetture: Londra è essenzialmente orizzontale: una skyline scintillante ed eclettica (la city), alcune meraviglie verticali a graffiare le nuvole in perenne movimento – lo Shard di Renzo Piano e il ‘cetriolo’ di Foster – poi infinite sequenze di palazzi, magioni, dimore, casette in mattoni rossi, parchi e giardinetti: una mappa astratta ma ordinatissima di quartieri ognuno col proprio centro, il proprio mercato, i propri negozi, e ancora pub, luoghi di aggregazione, infiniti centri bastanti al proprio mondo che gli vive intorno. Un vecchio (e un antico) perennemente rifatto, riaggiustato, reinventato, rattoppato, vitale, ricchissimo o plebeo, british o pakistano, turco o giamaicano, dissimile per ricchezza ma comune per mood, spleen, atmosfera indefinibile ma riconoscibilissima all’olfatto e ad ogni colpo d’occhio, per quanto frettoloso. Ma Londra è anche ‘fenice’: si incendia e va in rovina per ricomparire sempre mostrando i propri muscoli. I grandi incendi di epoche antiche, le bombe del secondo conflitto mondiale, almeno tre vigorose crisi economiche negli ultimi anni, qualche rivolta razziale sulle barricate dei quartieri più caldi, ma poi tutto riprende con un balzo veloce di orgoglio urbano, politico ed economico; come nel caso dei recenti Giochi Olimpici. Se Berlino è la capitale economica d’Europa, Londra è la capitale europea dell’economia mondiale: un’atra cosa. L’Inghilterra è campagna e paese (con Liverpool e Manchester a reggere lo strascico) Londra è la Regina; fa storia a se e confina solo con se stessa. Per noi – torinesi addicted– si raggiunge con un battito di ciglia. Un’ora e mezza di volo ed è già lì, lo Stansted Express e infine le tettoie di ferro di Liverpool Station, con nell’aria quell’odore di burro e di salsa agrodolce che è Inghilterra. Anzi l’Inghilterra urbana, da sempre nobile e proletaria. E la sensazione di essere in uno dei luoghi dove accadono le vere cose. Sempre meglio, partendo per Londra, ricordarsi dell’ammonimento proprio del vecchio (eternamente giovane) Oscar Wilde: “Attenzione a ciò che desideri, potrebbe avverarsi”.

Qualunque sia l’itinerario prescelto si finisce sempre con lo sbucare – da un tube o da un bus – lungo il Tamigi, per assistere allo spettacolo scenografico che i migliori architetti al mondo hanno messo in scena su entrambe le rive. Non c’è un ‘senso d’insieme’ come nelle metropoli americane, ma neanche l’omogeneità elegante dell’aristocratico lungo Senna Parigino. Ogni opera si specchia nelle acque seguendo il proprio corso, la propria forma, il proprio stile e la propria epoca: il London Eye e la Casa del Parlamento, il Big Ben e il nuovo National Theatre, il London Bridge e la Torre di Londra, lo Shard e la Cattedrale di San Paolo, i grattacieli della city tutti uno diverso dall’altro e l’esile arco del Millennium Bridge… un manuale d’architettura che racconta quattro secoli di ricerca dello stupefacente, un british pride con visioni imperiali vecchie e nuove. In una giornata di cielo contrastato, col sole che fora le nubi di pece, lo scenario è perfetto per raccontare ogni storia, ogni libro, ogni film, dalla Rowling (magari versione Galbraith, che bel giallo…) a Carpenter, da Dylan Dog alla serie di successo ‘Luther’. E la sera, che si fa? Quel che volete, magari con una puntatina a Soho,  per un musical. Noi abbiamo visto, tra gli altri, Once e The Commitments, e vi assicuriamo che ne vale la pena. E dopo non dimenticatevi i pub. Già, i pub… potete provare il Blackfriars, proprio a due passi dalla stazione del Tube e dal famigerato ponte sotto il quale Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, nel 1982 si suicidò o fu suicidato. Blackfriars, Frati Neri, neri come i frati della Confraternita della Misericordia, che a Torino confortavano e conducevano i condannati a morire impiccati, al Rondò della Forca. Neri come i possibili protagonisti di un romanzo di Umberto Eco o di Valerio Evangelisti. Il Blackfriars è un locale singolare, cupo, incastonato in un paesaggio urbano poco attraente. Ma che fascino, signori. Un bell’ambiente per un’impresa di Mr. Hyde, o per la comparsa del fantasma di qualche monaco decapitato o dello stesso sciagurato Calvi, magari ancora inseguito dalla mafia o dalla P2. Punti luce, arredi scuri, come tutti i pub che si rispettino, legno, pietra, qualche marmo. Gremito di giovani e di signori in cravatta fervorosamente dediti (come noi, d’altronde) alla loro seconda pinta. A proposito, naturalmente i luoghi più frequentati dei pub sono i bagni, vista la quantità di liquidi che vi si trangugia. In genere angusti ma abbastanza puliti, una specie di appendice sociale dei pub stessi, dato l’affollamento. Sono gli unici luoghi al mondo in cui si possono vedere code di fronte alla toilette maschile. E nei pub, per definizione: fragore, chiacchiere, voci alte in un modo quasi mediterraneo. Ed è questo che rende perfetta l’atmosfera. Puoi parlare di quel che vuoi, di Wittgenstgein o di un lutto recente o della cugina bionda che insidia i tuoi sogni, la notte. E sai che nessun indiscreto ti ascolterà, perché tutti sono devoti, in quel momento, al loro tempo, ai loro amici, alla loro vita. Rule, England! Forever London!



 

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