Da troppo tempo, i segnali che provengono dalla continua erosione dei servizi di carattere pubblico, uniti all’impoverimento del tessuto sociale e produttivo, stanno aggravando la situazione delle aree più marginali che, per una parte consistente dei cittadini che vi gravitano, sta diventando inammissibile.
A tutto questo la politica, sia essa generata a livello nazionale, regionale, provinciale, non sta dando, da tempo, risposte proporzionate alla gravità della situazione. Spesso proprio chi dovrebbe esservi preposto, sembra non comprendere, non affrontare e non avere alcun modello rispetto alle esigenze reali di questo territorio e dei cittadini che lo abitano.
L’azione di smembramento della sanità, l’indebolimento della scuola, dei piccoli comuni e delle istituzioni locali, l’abbandono di qualsiasi iniziativa di miglioramento della viabilità e di cura verso il territorio, l’assenza di idee che favoriscano l’occupazione e l’insediamento produttivo, non sono che alcuni esempi di aspetti per i quali si sono intrapresi percorsi errati o su cui, forse peggio, non si è fatto nulla e che, nel breve periodo avranno conseguenze negative ed effetti imprevedibili.
Dall’analisi delle attuali circostanze, non sembra che la politica possa dare risposte adeguate nel breve o medio termine. La concezione accentratrice che essa esprime ad ogni livello, fa sì che tutte le decisioni riguardanti il territorio periferico, siano concepite e attuate attraverso una visione urbano-centrica che mai potrà generare sviluppi positivi. Senza eccezione invece, ravviserà nel territorio ad essa esterno un qualcosa da accorpare, riunire, centralizzare per poterlo controllare in base alle esigenze e possibilmente per poterne disporre a proprio uso e consumo.
La classe dirigente così strutturata, avrà sempre la percezione che tutto ciò che sta all’esterno ed è dislocato su un territorio vasto, che non conosce e non comprende, debba essere ricondotto all’interno di logiche che facciano riferimento ad un potere concentrato, che mantenga la capacità di individuare politiche che siano, innanzitutto, ad esso confacenti e con logiche che prevedano rapporti di forza basati su valutazioni di carattere prevalentemente numerico.
Sarà la crescente burocratizzazione a rendere i piccoli centri e le residue attività che vi operano, inadeguati a quella che è definita un’azione cosiddetta modernizzatrice, ma che di fatto non sarà altro che un metodo subdolo per concentrare altrove le leve economiche e decisionali. Il proliferare di inutili incombenze e indecifrabile burocrazia, sposta il potere verso i grandi centri dove la continua crescita di cavilli e pretesti, nutre lo sviluppo di strutture e organi di controllo il cui fine nascosto è soprattutto quello di autoalimentarsi, in un insieme di pachidermici carrozzoni dai quali non si vedrà via d’uscita.
Da tali sintetiche valutazioni, si evince come solo un’azione più pregnante e partecipata, improntata ad una rinnovata responsabilità locale, possa offrire un disegno di più ampio respiro e soprattutto possa garantire l’attenzione verso le reali esigenze extra- metropolitane.
Solo quanti vivono nel territorio e del territorio, possono rappresentare l’estrema speranza capace, forse, di capovolgere la devastante concezione urbano-centrica che tanti danni ha prodotto e produrrà, riportando al centro del dibattito, gli indiscussi diritti di ogni cittadino. Diritti che – e ripeterlo sembra quasi una banalità, ma vi assicuro che non lo è - devono avere, come del resto i doveri, l’identico significato e la medesima importanza in ogni luogo e per tutti, siano essi abitanti della città, della campagna o della più lontana borgata di montagna. |