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A cura di Donatella Devona DICEMBRE 2020 A proposito del destino Nella scorsa puntata ci siamo chiesti se il futuro possa essere letto in anticipo e abbiamo visto che non è assurdo ammettere la possibilità di guardare oltre il presente. Ma allora che cos’è il futuro? Esiste già? La nostra vita si sviluppa su un percorso già segnato o si costruisce sulla base delle nostre scelte? Sono domande che si sono posti e si pongono filosofi e scienziati, uomini di fede, studiosi e gente comune. Il dibattito è aperto e ognuno può cercare le sue risposte nella fede, nella ragione o nella sua esperienza diretta. A proposito del futuro ci piace comunque citare un passaggio tratto da MEDITAZIONE ED ECOSPIRITUALITÀ di Giancarlo Barbadoro, che ci ha particolarmente colpiti perché destabilizza l’idea un po’ ovvia che abbiamo del tempo. Scrive l’autore: E che dire del fatto che da quando avete iniziato a leggere questo testo è passato del tempo ovvero vi siete trovati in un futuro continuo che non si è materializzato davanti a voi, ma vi siete entrati come se il futuro esistesse già. Che cos’è questo continuum spazio temporale se non una illusione che il cervello non riesce a comprendere completamente?
A proposito del destino un concetto molto interessante, che deriva dalla cultura dei popoli naturali, è quello di Mà-hasba. Ne ha parlato Rosalba Nattero in una puntata di Oltre la mente, trasmissione di Radio Dreamland: Il Mà-hasba è il divenire ultimo dell’individuo secondo tutte le sue potenzialità individuali, cioè le potenzialità che ognuno di noi ha, espresse al massimo nella propria personale natura. C’è una forza che anima l’universo nel suo insieme rendendolo vivo, una forza che tende a trasformare le strutture da un piano di pura materia ad un piano di conoscenza e che si manifesta in ogni sua singola parte, in ogni essere. Ognuno, seguendo questo archetipo evolutivo, può sviluppare le sue potenzialità, in parte o completamente, realizzando così il suo Mà-hasba. Infine vi lasciamo con le considerazioni sul tema del destino di dodici personaggi, uno per ogni Segno dello Zodiaco, a testimonianza di quanto questo tema sia presente nel cuore di ognuno. Sagittario: Sono arrivato con la cometa di Halley nel 1835. Tornerà l'anno prossimo e io me ne andrò con lei. Mark Twain, scrittore statunitense, nato il 30 novembre 1835, al passaggio della famosa cometa, scrisse questa affermazione nel 1909. E la sua previsione si avverò: il 21 aprile 1910, il giorno successivo al passaggio della cometa, morì stroncato da un infarto cardiaco, all'età di 74 anni. Una coincidenza? Forse, però fa riflettere. Capricorno: Ho notato che anche le persone che affermano che tutto è già scritto e che non possiamo far nulla per cambiare il destino, si guardano intorno prima di attraversare la strada. L’affermazione di Stephen Hawking, astrofisico britannico, nato l’8 gennaio 1942 fa sorridere ma contemporaneamente pone una domanda: secondo quale logica muoviamo i nostri passi nella vita? Acquario: Alcune strade portano più ad un destino che a una destinazione. Jules Verne, scrittore francese nato l’8 febbraio 1828, con questa semplice frase suggerisce che le nostre scelte portino a conseguenze più ampie di quanto superficialmente si consideri. Pesci: Tutto è determinato da forze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Vale per l’insetto come per gli astri. Esseri umani, vegetali o polvere cosmica, tutti danziamo al ritmo di una musica misteriosa, suonata in lontananza da un pifferaio invisibile.
Ariete: Che cosa so del destino dell’uomo? Potrei dirvi di più a proposito dei ravanelli. Samuel Beckett, drammaturgo e poeta irlandese nato il 13 aprile 1906, con una battuta di spirito confessa la sua ignoranza su questo tema così sfuggente eppure così fondamentale. Toro: Non è nelle stelle che è conservato il nostro destino, ma in noi stessi. Gemelli: Le vie del destino sono davvero difficili a comprendersi. Se non ci fosse una qualche compensazione nell’aldilà, allora questo mondo sarebbe davvero una beffa crudele. Cancro: La forza che si oppone al destino è in realtà una debolezza. Franz Kafka, scrittore boemo nato il 3 luglio 1883, sembra accennare all’assurdità di un’opposizione egocentrica all’esistenza di cui siamo parte. Leone: Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino. L’affermazione di Carl Gustav Jung, psichiatra e psicoanalista svizzero nato il 26 luglio 1875, può essere intesa come un invito a non restare prigionieri del proprio passato e a trovare la propria libertà nella consapevolezza.
Vergine: La vita è l’infanzia della nostra immortalità. Johann Wolfgang Goethe, poeta e filosofo tedesco nato il 28 agosto 1749, ci porta a inserire la nostra vita in una dimensione molto più ampia di quella data dall’abitudine del quotidiano.
Il nostro destino esercita la sua influenza su di noi anche quando non ne abbiamo ancora appresa la natura: il nostro futuro detta le leggi del nostro oggi. Friedrich Nietzsche, filosofo tedesco nato il 15 ottobre 1844, capovolge l’apparente scorrere del tempo e ci porta a guardare la nostra vita da un’altra prospettiva . Scorpione: Nel dare forma alla nostra vita, siamo la stecca da biliardo, il giocatore o la palla? Siamo noi a giocare, o è con noi che si gioca? Zygmunt Bauman, filosofo polacco nato il 19 novembre 1925, ci lascia una bella domanda e ognuno potrà, se vuole, cercare la sua risposta. Per approfondire:
Giancarlo Barbadoro - MEDITAZIONE ED ECOSPIRITUALITÀ, Alle origini dello sciamanesimo - Edizioni Triskel - pag 109
RADIO DREAMLAND - OLTRE LA MENTE - Esiste il destino? Youtube: youtu.be/jBAhdSyblH8
Un personaggio del Sagittario: Jonathan Swift May you live all the days of your life. Jonathan Swift è considerato uno dei più grandi scrittori di lingua inglese. È noto soprattutto come autore del romanzo Gulliver’s travels, in cui racconta le incredibili avventure di Lemuel Gulliver in terre sconosciute, a contatto con esseri che gli fanno vedere secondo prospettive completamente diverse il mondo a cui è abituato. Swift scrive questo romanzo come libro di viaggio, forse perché in quel momento questo tipo di pubblicazione andava per la maggiore, ma viene da notare come questo sia in carattere con il suo Segno zodiacale, il Sagittario, identificato proprio come il Segno dei viaggi, dall’andare lontano, del guardare oltre i confini. Jonathan Swift nasce a Dublino il 30 novembre 1667 da genitori inglesi. Perde il padre ancor prima di nascere e passa la sua prima infanzia in parte nella casa di uno zio e in parte con la balia a Whitehaven, cittadina inglese sulla costa nord-occidentale. Studia al College di Kilkenny prima e poi al Trinity College di Dublino. A ventun anni trova lavoro a Londra come segretario di sir William Temple, così si trasferisce in Inghilterra. Nel 1694 prende gli ordini religiosi probabilmente più per avere una sua indipendenza che per fede, dato che sulla religione sarà sempre molto critico e ne condannerà le incongruenze (Abbiamo fin troppe religioni per odiarci, ma non abbastanza per amarci l'un l'altro). Gli viene affidata la sede di Kilroot in Irlanda e quindi torna nella sua terra natale. Resta comunque legato a Londra e al suo mondo culturale e politico a cui partecipa attivamente ed è a Londra che conosce Esther Johnson, da lui soprannominata Stella, che gli resterà accanto tutta la vita. Nel 1704, pubblica, anonime, le sue prime opere. La battaglia dei libri, un poema satirico sulle velleità degli scrittori a lui contemporanei, il Discorso sulla produzione meccanica dello spirito, con parole dure sul il misticismo fine a se stesso, e la Favola della botte, una parodia delle varie Chiese cristiane. Con quest’ultima opera mette la parola fine alla sua carriera ecclesiastica.
Sempre a Londra milita in un primo tempo nel partito dei Whigs, per passare successivamente a quello dei tradizionalisti Tories. Nel 1714 ottiene l’incarico di decano alla chiesa di St. Patrick di Dublino e qui, lui che tende sempre alla difesa dei più poveri, si schiera apertamente in favore degli irlandesi contro il governo inglese. Spesso, parlando di Swift, si calca la mano sul suo pessimismo nei confronti del genere umano e sulla sua misantropia, in realtà la sua ironia sferzante è una critica alla società del tempo e ai suoi valori fittizi. Una critica che resta attuale perché a conti fatti la cultura dominante continua a proporre gli stessi valori di riferimento, basati sul denaro, sullo sfruttamento, sulla diseguaglianza, sulla falsità. Swift è un personaggio che si pone al di fuori del suo tempo. È uno spirito libero che non ha paura di dire quel che pensa, e che con i suoi scritti cerca di svegliare i suoi contemporanei, a volte provocandoli apertamente come nel libello Una modesta proposta, in cui avanza l’ipotesi di usare i bambini poveri come cibo per i ricchi. Ma Swift è soprattutto il “padre” di Gulliver. Il romanzo Gulliver's travels viene pubblicato per la prima volta anonimo nel 1726. Scritto secondo la formula del libro di viaggio, racconta le quattro avventure di Lemuel Gulliver, nelle quattro fantastiche terre di Lilliput, Brobdingnag, Laputa e Houyhnhnm, abitate rispettivamente dai minuscoli lillipuziani, dai giganti, dagli immortali dell’isola volante e dai cavalli saggi. La storia è da un lato una dura satira della società umana e dall’altra un percorso di esperienza del protagonista che si trova a relativizzare il suo mondo, la sua cultura e se stesso. Gulliver parte per quattro volte dall’Inghilterra su una nave e per quattro volte riuscirà a tornare in patria ma in ogni viaggio gli imprevisti lo porteranno in luoghi che non avrebbe mai pensato di raggiungere, dove vive situazioni che non avrebbe mai immaginato e che lo costringono a mettere in crisi le sue certezze. Gulliver’s travels inizia quasi come un racconto buffo e fantastico ma poi l’ironia si fa sempre più profonda e sferzante nel colpire i luoghi comuni, l’ipocrisia, la presunzione, l’etnocentrismo e, diciamo pure, lo specismo. Curiosamente i primi due capitoli sono stati pubblicati spessissimo nelle collane di letteratura dedicata all’infanzia, esaltandone gli aspetti bizzarri e comici e sottovalutandone, forse volutamente, il significato più profondo. A Lilliput i piccoli abitanti vivono conflitti assurdi come la guerra dovuta alla controversia sul modo più corretto di rompere le uova, se dalla parte più grossa o da quella più piccola. “Largapuntisti” e “strettapuntisti” se le danno di santa ragione e, volendo, si può anche ridere senza notare la pungente ironia dell’autore.
Sembra che questa gente sia tanto immersa nei suoi profondi pensieri da trovarsi in uno stato di perpetua distrazione, dimodoché nessuno può parlare né udire i discorsi altrui se qualche impressione esterna non viene a scuotere i suoi organi vocali o uditivi. Perciò le persone benestanti hanno sempre seco un domestico battitore (o climénole, come essi lo chiamano) il quale ne risveglia l'attenzione: né escono mai di casa senza di lui. Infine Gulliver visita Houyhnhnm, il paese dei cavalli saggi che vivono sullo stesso territorio degli Yahoos, umani che per contrasto sono rozzi e ottusi. Quando Gulliver racconta ai cavalli come vivono gli umani nel suo paese uno di essi commenta: Odio, sì, gli Yahoos di questo paese, ma non li biasimo per i loro abominevoli difetti più di un gnnayh (uccello rapace) per la sua crudeltà, o d'una pietra acuminata per la sua qualità di ferirmi lo zoccolo. Ma quando un essere che si vanta ragionevole può essere capace di tutte le atrocità cui avete accennato, comincio allora a temere che la ragione male adoperata sia qualche cosa di peggio della stessa naturale bestialità. Voglio, dunque, credere che voi siate dotati, non già di ragione, ma d'una facoltà atta ad accrescere i vostri difetti naturali; quale un torbido ruscello che riflette l'immagine d'un corpo deforme, non soltanto ingrandita, ma più stravolta che mai. Jonathan Swift muore a Dublino il 19 ottobre 1745. Escono postumi ancora due suoi libri: le Istruzioni ai servi e il Diario a Stella, raccolta di lettere scritte a Stella durante il periodo in cui aveva collaborato con i tories, da cui esce uno straordinario ritratto della vita nella Londra di quegli anni.
NOVEMBRE 2020 Leggere il futuro: si può?
Alcuni lettori hanno chiesto come si fa a fare le previsioni del mese per i vari Segni. Prendiamo spunto da questa domanda per riprendere un argomento in parte già trattato nelle prime puntate di questa rubrica, argomento però sempre affascinante e attuale e che apre a molte considerazioni, sulla natura del tempo, sul destino, sulla libertà… Partiamo dalla tecnica astrologica. Per poter “leggere” che cosa caratterizzerà questo mese per ognuno dei dodici Segni dobbiamo avere a disposizione una tavola che riporti il cerchio dello Zodiaco e le posizioni degli astri in questo periodo dell’anno. Le posizioni degli astri si ricavano dalle tabelle delle Effemeridi che si possono consultare in rete. Attualmente sul web possiamo trovare siti che forniscono il grafico pronto da interpretare, con i simboli degli astri già posizionati e gli aspetti (le distanze di 30, 60, 90, 120 e 180 gradi) calcolati e segnati. Proponiamo nella figura 1 una tavola semplificata che mostra i pianeti nelle loro posizioni attuali. Conoscendo il significato dei simboli, ovvero le caratteristiche che l’Astrologia assegna ad ogni pianeta, si può leggere che cosa dovrebbe succedere. Facciamo un esempio con il Segno del mese, lo Scorpione. Nel Segno dello Scorpione si trova il Sole (vitalità, energia) che è in aspetto positivo (60° sestile) sia con il gruppo di pianeti formato da Giove (ottimismo, espansione), Saturno (introspezione, sintesi) e Plutone (creatività, profondità) sia con Nettuno (emotività, sogno) a 120°. È invece in contrasto con Urano (imprevisti) e la Luna (situazioni mutevoli). Tenendo conto del carattere dello Scorpione, di questi dati e affidandoci all’intuito abbiamo letto: Hai conquistato delle certezze, delle cose a cui tenevi molto e ora le difendi con forza. Temi però un po’ troppo l’incerto e l’inaspettato e questo ti rende un po’ rigido. Può essere un azzardo, un’assurdità affidarsi all’intuito presupponendo di poter guardare oltre il presente? E se non lo è, che bisogno c’è di supportarsi con la simbologia astrologica per ricavarne un responso?
Per trovare le risposte a queste domande dobbiamo accettare di uscire fuori dai limiti culturali che lo scientismo ha imposto alla ricerca sulla reale natura del mondo in cui ci troviamo a vivere insieme ad una moltitudine di altri esseri e fenomeni. È quello che fanno Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero con il loro libro IL GUARITORE SPIRITUALE – La scienza segreta dell’antico sciamanesimo druidico delle edizioni Triskel. Questo libro non parla specificatamente di astrologia ma affronta il tema delle scienze maledette che indagano sull’ignoto nel loro insieme e l’astrologia può rientrare a buon diritto in questa categoria. Gli autori ci parlano di una visione del mondo propria della società maggioritaria, ipotecata dai dogmi delle grandi religioni e dello scientismo, e di un’altra visione, quella dei popoli naturali, cioè dei popoli che trovano riferimento filosofico e pratico nella natura. Per i popoli naturali, non contaminati dalle grandi religioni storiche ed eredi dell’esperienza arcaica dell’umanità, l’uomo non è il signore incontrastato della Terra ma parte, insieme a tutti gli altri esseri, della natura, inscindibilmente legato ad essa, alla sua evoluzione e al mistero da cui ha avuto origine. Se per i popoli naturali il senso magico della vita, le percezioni extrasensoriali, la possibilità di contatto con gli esseri dell’autremonde sono esperienze naturali l’individuo del mondo maggioritario non può fidarsi empiricamente del suo istinto. Nella dimensione culturale ipotecata da ideologie e dalle varie religioni, egli non è facilitato alla riscoperta delle facoltà interiori del suo Profondo tanto da fidarsi ciecamente delle sue intuizioni né tanto meno è capace di dare una corretta interpretazione alla pulsione intuitiva profonda del suo sesto senso che si mescola con altre pulsioni emotive o di matrice culturale. Viene allora in aiuto l’utilizzo di particolari tecniche strumentali basate sull’affinamento della percezione inconscia che sono in grado di rivelare in tutta la sua purezza il messaggio della pulsione intuitiva. Guardare oltre il presente non è impossibile ma per poterlo fare servono degli strumenti che aiutino a bypassare quelle ipoteche culturali che impediscono all’intuizione di emergere naturalmente. Questi strumenti possono essere il pendolino radiestesico, il mazzo dei Tarocchi, le gemme o, nel nostro caso, le stelle e i pianeti.
Questi strumenti sono in pratica dei mediatori che portano alla luce l’attività profonda della psiche umana. Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero riferiscono come i popoli naturali analizzino l’attività della mente: la mente è una istanza complessa che si struttura in un sistema articolato di elementi interdipendenti tra loro. Uno di questi è il cosiddetto “Immediato”, una finestra aperta sul torrente di pulsioni che giunge dal Profondo. Da parte sua il Profondo alimenta l’Immediato di varie pulsioni che giungono dall’oscurità più segreta e irraggiungibile della matrice dell’universo. La struttura di questa istanza che agisce nel sistema mentale è complessa. In parte è costituita da una sorta di memoria genetica personale e in parte da una porta di accesso alla matrice più intima dell’universo, in uno stato, si potrebbe dire, di “entanglement” quantistico con il tutto. Nell’attività del Profondo si accalcano antichi ricordi di infanzia e altri di pochi giorni orsono, assieme a bagagli di archetipi di comportamento e di riconoscimento delle esperienze primordiali del genere umano. Il profondo è una sorta di “buco nero” della psiche. Qui dentro avvengono processi e percezioni inimmaginabili che portano dal mondo ordinario a frontiere sconosciute di esistenza. Ed è la sua attività a consentire l’esperienza che viene definita come “sesto senso”. La sua attività dimostra che esiste l’equivalente di altri organi di senso da quelli ordinari che sono tesi alla percezione di un aspetto “diverso” della materia. Probabilmente in grado di percepire dimensioni ulteriori dell’architettura del cosmo, come quella di “vedere” il passato e il futuro allo stesso modo con cui si recepisce il presente. Organi di senso del genere erano probabilmente necessari quando la vita sviluppò i suoi primi passi sulla terra, in un mondo pieno di insidie di ogni genere e che proprio al loro funzionamento doveva la sopravvivenza delle creature primordiali. L’avvicinarsi di un pericolo mortale, costituito tanto da nemici di specie che da incendi e terremoti, dovevano essere percepiti prima che si verificassero poiché erano le situazioni determinanti per la sopravvivenza e che i soli sensi fisici non bastavano a rilevare. A quel tempo l’individuo era in grado di ascoltare e di vedere nelle radici opposte alla materia sensibile per identificare il pericolo e la sua natura e di prevederne l’azione. Era stato appena tratto dal biblico fango ed era ancora in grado di vedere ed operare attraverso di esso in quello che poi si sarebbe identificato come il Profondo. Oggi sembra che sia una qualità andata perduta da parte degli esseri umani della società maggioritaria, ma ancora viva presso la cultura dei Popoli naturali e le varie specie animali. Leggere nel futuro non è quindi una cosa impossibile come l’attuale impostazione culturale vorrebbe far credere e ha delle implicazioni tutt’altro che campate in aria. Inoltre questa capacità appartiene naturalmente alla nostra specie. Il legame quantistico con il tutto attraverso l’attività profonda della nostra mente ricorda le radici dell’Yggdrasil, l’albero della vita, che si estende tra i mondi e simboleggia il cammino evolutivo dell’uomo, che si sviluppa verso l’alto in stati percettivi di coscienza sempre più lucidi.
Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero - Il Guaritore Spirituale: La Scienza segreta dell’antico Sciamanesimo druidico - Edizioni Triskel è disponibile anche nella versione e.book www.triskeledition.com
Un personaggio dello Scorpione: Paracelso L’uomo ha in sé il firmamento tutto, il quale riproduce le costellazioni e gli consente di integrarsi nel ritmo e nel soffio eterno del cosmo Paracelso, medico, alchimista, filosofo, astronomo e astrologo, è una delle figure più rappresentative del Rinascimento europeo. La sua vita è una continua avventura in cui studi, viaggi, scoperte e misteri si intrecciano per rivelare una figura complessa e attualissima, nonostante siano passati più di 400 anni dalla sua scomparsa. Dal suo Segno di nascita, lo Scorpione, eredita la curiosità e l’anticonformismo, la spinta a sovvertire le regole e un carattere forte. Philippus Aureolus Theophrastu Bombastus von Hohenheim, noto come Paracelso, nasce a Einsiedeln, in Svizzera, il 14 novembre 1493, figlio del medico Wilhelm von Hohenheim. Sarà proprio il padre ad insegnargli le basi della chimica e della medicina. Sui suoi primi anni di vita, passati in una delle case vicine al monastero di Unsere Liebe Frau, una delle stazioni di sosta per i pellegrini diretti a Santiago de Compostela, le notizie sono scarse e spesso in contraddizione tra loro. Si sa che la madre muore quando Paralelso è ancora bambino e che nella sua formazione avranno importanza l’incontro con Giovanni Tritemio, abate studioso di chimica e quabbalismo, e la frequenza a diverse università, da Parigi a Tubingen, a Vienna, a Monaco fino a Ferrara dove si laureerà in medicina. È proprio a Ferrara che conia per se stesso il nome Paracelsus, probabilmente riferendosi a Celso, famoso medico del primo secolo dopo Cristo. A ventidue anni diventa medico militare nell’esercito di Carlo I re di Spagna ma ben presto lascia l’incarico e comincia a viaggiare in giro per il mondo.
Appassionato di mineralogia, si reca nelle miniere del Tirolo per uno studio comparato tra le caratteristiche dei minerali e le malattie contratte dai minatori. Sarà nelle Fiandre, in Danimarca, dove il re lo nomina medico di corte, in Inghilterra, in Francia, in Russia dove viene fatto prigioniero dai Tartari dai quali impara le tecniche sciamaniche, in Grecia e in Etiopia sempre spinto da un’insaziabile curiosità e desiderio di ricerca. Si dice, ma non è certo, che si sia spinto fino in India e in Cina e forse abbia viaggiato fino al Polo. Nel 1524 apre uno studio medico a Salisburgo ma finisce in carcere con l’accusa di essere un ciarlatano e forse anche di diffondere idee vicine all’eresia. La sua passione, la sua irruenza, la sua simpatia per le taverne e per chi le frequenta, la stima per le pratiche della medicina popolare e al contrario il suo discredito per le prassi mediche accreditate e gli autori di riferimento gli alienano facilmente le simpatie dei colleghi che non si fanno scrupoli a denigrarlo anche pesantemente. Per Paracelso il medico deve essere vicino al paziente ed è dall’esperienza diretta che può trarre le conoscenze utili a curare i malati. Nel 1527 riesce a guarire Erasmo da Rotterdam e questo importante risultato gli permette di conseguire l’incarico di medico municipale di Basilea e di insegnare all’università del posto ma già l’anno dopo lascia la città e riprende a viaggiare, peregrinando per l’Europa. Proprio a Basilea brucia in un falò i libri classici di Galeno e Averroè per affermare l’importanza di una nuova medicina. Nel 1930 lo troviamo a Regensburg dal barone von Stauff poi a San Gallo in Svizzera e infine a Salisburgo dove muore il 24 settembre del 1554, probabilmente assassinato da alcuni ladri che tentano di derubarlo ma, si dice, senza poter prendere nulla perché Paracelso ha regalato ogni suo avere ai poveri della città.
L’approccio di Paracelso alla scienza medica, e più in generale alla ricerca, è ad un tempo pragmatico e mistico. La malattia, secondo lui, è invisibile ma si manifesta attraverso i sintomi che sono visibili. La cura consiste nel trovare nella natura un rimedio corrispondente ad essi, sulla base del principio dei simili, principio derivato dalle culture più antiche e più vicine alla natura, che sarà poi ripreso da Hahnemann, il fondatore dell’omeopatia. La natura è, per Paracelso, una sorta di farmacia che non possiede tetto, perché in natura si possono trovare tutti i rimedi per i mali dell’uomo. La natura è un’entità con cui l’umo ha un rapporto strettissimo e non è intesa solo in senso prettamente materiale ma come fonte di equilibrio e armonia. L’origine di ogni patologia è infatti una mancanza di equilibrio tra l’uomo e la natura. Chi si limita a studiare e trattare gli effetti della malattia è come chi pensa di poter scacciare l’inverno spazzando la neve sulla soglia della sua porta. Non è la neve ad essere causa dell’inverno, ma l’inverno ad essere causa della neve. Rifacendosi ai concetti alchemici, Paracelso parla della cura come di un processo di purificazione dalle scorie che creano lo squilibrio per arrivare all’identità più pura che può ristabilire l’armonia con la natura. Scendendo nel pratico Paracelso formula anche sette regole che aiutano a mantenere la sintonia con la natura:
1) Avere cura del proprio corpo 2) Non seguire i pensieri negativi 3) Fare tutto il bene possibile 4) Dimenticare le offese 5) Praticare la meditazione 6) Non raccontare tutto a tutti 7) Non aver paura del domani
OTTOBRE 2020 Alla ricerca di intelligenze diverse
Questo mese proponiamo ai nostri lettori un argomento non specificamente astrologico ma legato comunque al cielo, la dimensione in cui si disegna lo Zodiaco, e con cui l’uomo ha stabilito da sempre un rapporto profondo, contemporaneamente scientifico e mistico. La cupola scura del cielo cosparsa di stelle che noi osserviamo con occhi pieni di meraviglia nelle notti serene e l’universo immenso in cui si sviluppano la vita e l’intelligenza sono per noi fonte continua di curiosità e stupore. “Alla ricerca di intelligenze diverse” è il titolo del libro di Giancarlo Barbadoro, pubblicato per la prima volta nel 2006 e ripubblicato recentemente in una nuova edizione ampliata con gli ultimi studi dell’autore su questo affascinante argomento. Presentato domenica 27 settembre, durante l’inaugurazione del Centro Studi Giancarlo Barbadoro, all’Ecovillaggio di Dreamland, e giovedì 8 ottobre in diretta Facebook sulla pagina dello stesso Centro Studi e su quella di Shan Newspaper, quest’opera si presenta unica nel suo genere per l’approccio particolare al fenomeno della vita e dell’intelligenza nell’universo. Il libro infatti non parla soltanto di oggetti volanti non identificati e dei possibili incontri con esseri provenienti da altri mondi. Pur presentando un’amplissima casistica sul fenomeno, dagli avvenimenti più recenti ai documenti del lontano passato, fornisce anche una prospettiva che rende la ricerca sulle intelligenze diverse un’indagine sul nostro mondo, sullo spazio immenso, sulla vita e sulla realtà invisibile da cui tutto trae origine. È naturale essere curiosi. È per via di quest’innata facoltà che ci guardiamo intorno alla ricerca di esperienze che ci aiutino a capire meglio noi stessi e lo scenario dell’universo in cui viviamo, dal nostro quotidiano al mistero che sembra animarlo. Così Giancarlo Barbadoro introduce l’argomento trattato nel suo libro, e questa prospettiva globale accompagna il lettore in un vero e proprio viaggio tra testimonianze, documenti antichi e attuali, notizie, oggetti, racconti e perfino leggende che insieme delineano una tematica complessa e coinvolgente, offrendo dati e disegnando prospettive per una propria ricerca personale, sia sulle possibilità di incontro con intelligenze aliene sia, ampliando ancora l’orizzonte, sulla natura stessa dell’universo e dell’esistenza.
“Alla ricerca di intelligenze diverse” ci porta fuori dall’ovvietà in cui, a volte, ci si adagia, bombardati da necessità spesso indotte, idee e teorie che ci coinvolgono come in un eterno scontro fazioso quanto inutile. Il libro ci pone di fronte al mistero della nascita della vita e della manifestazione dell’intelligenza, che può apparire sotto varie forme, a volte invisibili anche se palesi e vicine, ma nascoste da definizioni e idee mai messe in discussione. Il nostro attuale tempo sembra essere un vero e proprio pianeta chiuso, bloccato in una dimensione spazio-temporale che ci rende disgraziatamente unici, senza poter vantare legami diretti con altre civiltà che ci hanno preceduto, anch’esse sacche storiche divenute veri e propri mondi alieni, lontani da noi nella storia nell’equivalente di migliaia di anni luce. Siamo alieni ai nostri antenati, ad altre forme di pensiero appartenenti a popoli che convivono con noi nello stesso tempo, agli altri esseri che con noi convivono su questo pianeta, come lo siamo nei confronti di chi è nato in un altro mondo. Proprio questa considerazione rende appassionante la ricerca e fa del libro di Giancarlo un’opera unica nel suo genere, con un approccio alla tematica assolutamente originale. È evidente che esiste una realtà fenomenica che va al là delle interpretazioni umane a cui possiamo accedere strumentalmente e quando superiamo la barriera dei condizionamenti culturali del gruppo sociale in cui siamo cresciuti. L’apporto dell’esobiologia in questo senso è molto importante perché può portare l’individuo a relativizzare le proprie convinzioni ed a considerare la possibilità di pariteticità con le altre qualità di vita che sono al di fuori del suo habitat, e pur tuttavia parallele e antitetiche. Tanto da spingerlo a trovare la forza morale di relativizzare i propri condizionamenti culturali, per realizzare un’esperienza di osservatore obiettivo dei fenomeni della vita, e quindi comprendere anche se stesso, nella sua vera natura interiore, senza più vetri colorati che si frappongano a fuorviarlo. E magari sviluppare un’inevitabile fratellanza con altre forme di vita. La ricerca condotta da Giancarlo, e proposta come ipotesi di lavoro ai lettori, a questo punto si sviluppa in più direzioni che vanno dall’intelligenza animale a quella degli altri abitanti dello spazio, dal fenomeno UFO, all’intelligenza artificiale, dalle testimonianze riportate da miti e leggende ai fenomeni extradimensionali.
Questo libro è straordinario anche nella sua conclusione, infatti la ricchezza dei dati che contiene non viene comunque considerata esaustiva dall’autore e la frase finale è un’esortazione a continuare la libera ricerca perché: Non possiamo che continuare a indagare per soddisfare la nostra curiosità… Giancarlo Barbadoro - ALLA RICERCA DI INTELLIGENZE DIVERSE - Edizioni Triskel è disponibile presso la Grotta di Merlino in piazza Statuto 15 a Torino
Il video dell’inaugurazione del Centro Studi Giancarlo Barbadoro Sono intervenuti all’evento: Guido Barosio (Direttore Torino Magazine), Massimo Centini (Scrittore), Antonello Micali (Direttore Il Risveglio), Annamaria Bonavoglia (Scrittrice), Enrico Moriconi (Garante Diritti Animali Regione Piemonte),Gino Steiner Strippoli (Giornalista) Durante l’evento Gianluca Roggero ha presentato il libro Alla Ricerca di Intelligenze Diverse
Il video della conferenza Alla Ricerca di Intelligenze Diverse con Antonello Micali, Direttore de Il Risveglio, e Gianluca Roggero, ricercatore e musicista Condotta da Rosalba Nattero Presidente del Centro Studi Giancarlo Barbadoro
Un personaggio della Vergine: Gianni Rodari
Il cielo è di tutti Qualcuno che la sa lunga mi spieghi questo mistero: il cielo è di tutti gli occhi di ogni occhio è il cielo intero.
È mio, quando lo guardo. È del vecchio, del bambino, del re, dell'ortolano, del poeta, dello spazzino.
Non c'è povero tanto povero che non ne sia il padrone. Il coniglio spaurito ne ha quanto il leone.
Il cielo è di tutti gli occhi, ed ogni occhio, se vuole, si prende la luna intera, le stelle comete, il sole.
Ogni occhio si prende ogni cosa e non manca mai niente: chi guarda il cielo per ultimo non lo trova meno splendente.
Spiegatemi voi dunque, in prosa od in versetti, perché il cielo è uno solo e la terra è tutta a pezzetti. Gianni Rodari, scrittore, pedagogista, giornalista e poeta, specializzato in letteratura per l’infanzia e tradotto in molte lingue, unico vincitore italiano del prestigioso Premio Hans Christian Andersen, quest’anno compirebbe 100 anni. Gianni Rodari nasce infatti il 23 ottobre 1920 a Omegna sul Lago d’Orta. Nasce in cuspide tra Bilancia e Scorpione e dai due Segni eredita la leggerezza e la profondità, il senso della giustizia e la capacità di cogliere il punto essenziale delle questioni.
Gianni bambino è timido e minuto. Ha due fratelli, Mario, il maggiore, molto più grande di lui e Cesare, a cui è legatissimo. Quando ha soltanto dieci anni il padre muore e la madre preferisce trasferirsi con i figli a Gavirate, suo paese d’origine, ed è qui che Gianni completa la scuola elementare. Nel 1931 entra in seminario a Seveso, per frequentare il ginnasio e qui si mostra fin da subito uno degli allievi migliori. Nonostante questo, dopo solo due anni si ritira e finisce l’anno scolastico a Varese, senza proseguire con il liceo classico e continuando gli studi alle magistrali. Nel 1936 pubblica i suoi primi otto racconti sul settimanale cattolico L’azione giovanile. A diciassette anni si diploma e a partire da questo periodo i suoi rapporti con il mondo cattolico si allentano mentre diventano sempre più importanti altri interessi come la musica e la lettura. Studia violino e legge Schopenhauer, Stirner, Nietzsche, Lenin e Trotzkij. Nel 1939 si iscrive alla facoltà di Lingue dell’Università Cattolica di Milano ma poco tempo dopo abbandona gli studi senza arrivare alla laurea. Quando scoppia la guerra lui, dichiarato in precedenza “rivedibile”, non viene chiamato alle armi ma la guerra entrerà ugualmente nella sua vita, perché causerà la morte di alcuni dei suoi pochi amici e gli porterà via anche Cesare, suo fratello, che viene internato in un campo di concentramento. Nel 1941 vince il concorso per diventare maestro ed comincia ad insegnare come supplente. Sono anni duri ma forse già da subito Gianni rivela la sua anima di maestro un po’ speciale, un maestro che si chiede se vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo, o che afferma che la fiaba è il luogo di tutte le ipotesi: essa ci può dare delle chiavi per entrare nella realtà per strade nuove, può aiutare un bambino a conoscere il mondo. Dal 1944 partecipa alla resistenza. Alla fine della guerra è prima direttore del giornale Ordine Nuovo, poi giornalista a L’Unità, a Milano e, nel 1950, direttore del settimanale per bambini Il Pioniere. In seguito tornerà a lavorare per L’Unità e poi per Paese Sera. Intanto scrive i primi racconti e filastrocche per bambini delineando così la sua futura carriera che lo vede da un lato giornalista e dall’altro scrittore per i più piccoli. Sarà soprattutto questo secondo filone a dargli la notorietà e a fare di Gianni Rodari lo scrittore che conosciamo. Nel 1970 vince il Premio Andersen, il più importante concorso internazionale per la letteratura dell’infanzia, e così la sua fama si estende anche all’estero e viene tradotto in varie lingue. Quello che colpisce delle sue opere è come si intreccino sempre il sorriso e la riflessione su argomenti “da grandi”.
È difficile fare le cose difficili: parlare al sordo mostrare la rosa al cieco. Bambini, imparate a fare le cose difficili: dare la mano al cieco, cantare per il sordo, liberare gli schiavi che si credono liberi. La creatività di Gianni sembra inesauribile: gioca con le parole e con la grammatica, smonta e rimonta le fiabe, fa arrivare dal cielo un’astronave torta, snocciola rime semplici ma sempre divertenti e profonde. Se un bambino scrive nel suo quaderno «l'ago di Garda», ho la scelta tra correggere l'errore con un segnaccio rosso o blu, o seguirne l'ardito suggerimento e scrivere la storia e la geografia di questo «ago» importantissimo, segnato anche nella carta d'Italia. La Luna si specchierà sulla punta o nella cruna? Si pungerà il naso?... Un «libbro» con due b sarà soltanto un libro più pesante degli altri, o un libro sbagliato, o un libro specialissimo? Ancora oggi sono tanti i libri di Gianni Rodari sugli scaffali delle aule scolastiche. Sono libri giocosi e divertenti che aiutano ad imparare le regole della lingua o a riflettere sull’avventura della vita, sempre con grande leggerezza e uno sguardo tenero verso i piccoli lettori… e forse anche quelli grandi. Dalla seconda metà degli anni settanta, pian piano, la sua condizione fisica comincia a dare i primi segni di cedimento e la sua vulcanica creatività diminuisce. Morirà il 14 aprile del 1980. Tanti bambini sono cresciuti con le sue filastrocche e forse si portano in cuore un po’ della poesia di Gianni. In cuore abbiamo tutti un cavaliere pieno di coraggio, pronto a rimettersi sempre in viaggio.
SETTEMBRE 2020 La Ruota d’Oro, il Cromlech e lo Zodiaco
Anche se viviamo in un’epoca in cui scienza e magia sembrano contrapporsi e apparire addirittura nemiche, molti antichi simboli continuano ad influenzare l’immaginario collettivo, il linguaggio e la cultura di questo tempo, come se racchiudessero archetipi fondamentali per la nostra esperienza e la nostra vita. Fra questi lo Zodiaco occupa un posto di primo piano. E che cos’ha da dire oggi questo cerchio tracciato nel cielo intorno a noi, diviso in dodici settori, ognuno contrassegnato da un animale, un essere mitico o un oggetto che la fantasia dei nostri progenitori ha disegnato, unendo con dei tratti immaginari quei puntini luminosi che chiamiamo stelle? È un quesito a cui abbiamo tentato di rispondere partendo dal bagaglio di conoscenza dello sciamanesimo druidico, la cultura dei nativi europei che affonda le sue radici in tempi lontanissimi. Lo Zodiaco è un cerchio e questa figura sembra essere un simbolo molto significativo per tutte le culture dei popoli naturali, cioè quei popoli che hanno mantenuta intatta la loro tradizione senza cedere all’opera di conversione forzata attuata dalle grandi religioni storiche. L’antica cultura dei Nativi europei, scrivono Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero nel loro testo “Il Guaritore Spirituale, La Scienza segreta dell’antico Sciamanesimo druidico” - aveva come riferimento la Natura e la logica fenomenica del trascendente. Una dimensione di esistenza che travalicava, nella loro concezione, quella ordinaria e riferibile alla materia. Una dimensione considerata come un valore assoluto che aveva dato origine all’universo e lo ospitava nella sua qualità fenomenica reale, posta al di sopra dalla soggettività dei sensi.
Per rappresentare l’invisibile, in ogni caso determinante per l’esistenza dell’universo e dell’uomo, veniva utilizzato il simbolismo del cerchio e del suo centro. Un centro invisibile come l’OIW, il piano reale dell’esistenza, ma purtuttavia necessario perché il cerchio potesse manifestarsi nel suo disegno geometrico. Il “centro” divenne pertanto un simbolo intuitivo e percettivo per chi sapeva vedere al di là del mondo materiale offerto dai sensi. Il “centro” rappresentava quella qualità essenziale e reale dell’esistenza che dava corpo alla manifestazione della vita. Un ente che, data la sua capacità di generare l’universo, era considerato fonte di energia invisibile e conoscenza di ogni cosa possibile. Simbolo per eccellenza della sacralità del cerchio è la ruota d’oro di Fetonte, riprodotta in mille modi diversi da tutte le culture del pianeta, dal Pi cinese alla medicine weel dei nativi americani, dai monili da portare al collo alle grandi ruote di pietra della Valle di Susa. Fetonte, misterioso essere giunto dalle stelle, la lasciò in dono ai suoi allievi quando lasciò la Terra, assicurando che in essa fosse contenuta tutta la conoscenza di cui avevano bisogno. Già altre volte abbiamo citato il mito di Fetonte, nella versione tramandata dalle famiglie celtiche, ben diversa da quanto racconta Ovidio. Secondo questa versione, questo essere venuto dalle stelle, su un carro dorato, scese, e non cadde, sulla Terra, ai piedi del monte che ora chiamiamo Rocciamelone, e non portò distruzione ma conoscenza agli esseri che in quel tempo vivevano in quei luoghi.
Fetonte, sempre secondo questo mito, fece costruire dai suoi aiutanti di metallo, un cerchio di dodici pietre erette, delimitando così il terreno in cui avvenne l’incontro con gli sciamani di quel popolo e in cui fece dono del suo sapere e della sua esperienza. Fu quello il primo tempio, il primo contatto del Cielo con la Terra, la prima scuola, il primo osservatorio astronomico, il primo centro di cultura e arte. I cromlech (cerchi di pietre erette) realizzati successivamente, in epoche diverse e più o meno vicine a noi, mantengono un legame con quello di Fetonte e oltre ad essere utilizzati per gli stessi scopi simboleggiano un percorso spirituale che esprime il transito dell’individuo dalla nascita alla morte, verso una dimensione cosmica da esplorare e da capire. Lo Stone Circle dell’Ecovillaggio di Dreamland, costruito su progetto di Giancarlo Barbadoro, proprio con lo scopo di dare evidenza alla cultura dei nativi europei, riproduce l’antica struttura che, procedendo dal centro verso l’esterno vuole un primo anello di pietre basse, un secondo cerchio di dodici pietre erette e quattro pietre a indicare le quattro direzioni. Non a caso le dodici pietre erette sono dedicate ognuna ad un Segno dello Zodiaco. Il cielo che vedevano i nostri lontani antenati non era lo stesso che vediamo noi oggi, le stelle che loro osservavano erano altre o erano in posizioni diverse, ma il contatto con la volta celeste avrà suscitato la stessa meraviglia e lo stesso senso di mistero. Probabilmente le costellazioni formavano altri disegni e avevano altri nomi ma l’immagine del cerchio suddiviso in settori ognuno dei quali rappresenta una tappa di un cammino di crescita è rimasto. Così come è rimasta l’idea che ogni settore sia una finestra simbolica che guarda da una particolare angolatura verso l’infinito. Giancarlo Barbadoro, Rosalba Nattero - "Il Guaritore Spirituale: La Scienza segreta dell’antico Sciamanesimo druidico".
Un personaggio della Vergine: Caspar David Friedrich
Sublime è per me un principio immenso, Caspar David Friedrich è considerato il più grande pittore tedesco dell’ottocento, nonostante sia stato trascurato e dimenticato per lungo tempo e riscoperto solo negli ultimi anni. Di lui si parla come del pittore che dipingeva l’infinito e un suo dipinto, il Viandante sul mare di nebbia, è ora riconosciuto come il manifesto del movimento romantico. Nel quadro si vede un uomo in piedi su una roccia che guarda nel mare di nuvole di fronte a lui. La figura, ritratta di spalle, è probabilmente il pittore stesso, immerso nella contemplazione dell’infinito di cui si sente parte.
Devo stare da solo e sapere che sono solo per contemplare e sentire la natura in pieno - afferma Friederich - Devo arrendermi a ciò che mi circonda, devo fondermi con le mie nuvole e rocce per essere quello che sono. La solitudine è indispensabile per il mio dialogo con la natura. Ospite di questa puntata, in rappresentanza del Segno della Vergine, ne evidenzia la precisione, l’attenzione al particolare, l’astrazione e il bisogno di un rapporto metafisico con la realtà. Caspar David Friedrich nasce a Greifswald, in Germania, sul mar Baltico, il 5 settembre 1774, da una famiglia nobile. Cresce in un ambiente segnato dalla morte della madre, avvenuta quando lui ha soltanto sette anni e dalla rigidità del padre, un severo luterano. Nel 1794 lo troviamo a Copenaghen dove frequenta l'Accademia, e viene a contatto con due elementi che avranno su di lui un’importante influenza: i miti di Ossian e gli scritti di Goethe sulle nuvole. Se I Canti di Ossian che James MacPherson scrisse ispirandosi al leggendario bardo celtico, avranno grande importanza nella formazione dell’humus da cui nascerà il movimento romantico, le nuvole ne interpretano la natura. Esse, secondo Goethe, sono l’eterno simbolo di ogni peregrinazione, di ogni ricerca, esigenza e desiderio di patria. E così, come esse stanno sospese tra Terra e cielo, timide, nostalgiche e spavalde, allo stesso modo sono sospese tra tempo ed eternità, timide, nostalgiche e spavalde, le anime degli uomini. Oh le nuvole, belle, ondeggianti, sempre in movimento! Ero un bambino ignaro e le amavo, le guardavo senza sapere che sarei andato attraverso la vita anch’io come una nuvola - peregrinando, dovunque straniero, librato tra tempo ed eternità.
Lo stesso desiderio d’infinito vive nel cuore di Friederich: Attraverso le nuvole tenebrose si infrangono Cielo blu, sole, Sulle alture e nella valle Canta l'allodola e l'usignolo Dio, ti ringrazio che vivo Non per sempre in questo mondo Rafforzami che la mia anima si alzi Verso l'alto verso il tuo firmamento. Nel 1798 Friederich sceglie di vivere a Dresda. Disegna ad inchiostro, dipinge acquerelli, realizza acqueforti e intarsi. I suoi soggetti preferiti sono i paesaggi, illuminati da una luce intensa e particolare. Sono luoghi reali, visti durante i suoi viaggi, a volte all’interno della composizione compaiono una o più figure umane, quasi sempre viste di spalle e intente a guardare verso l’infinito.
Poverissimo all’inizio raggiunge la fama vincendo, nel 1805, un concorso a Weimar e da quel momento le sue opere diventano apprezzate e vendute. Cambia anche tecnica passando dagli acquerelli all’olio su tela ma non cambiano i soggetti dei suoi quadri in cui nuvole e nebbie sembrano far naufragare il mondo concreto per far emergere invece una realtà impalpabile e misteriosa. I luoghi che ritrae sono riconoscibili e la loro ricostruzione sulla tela è attenta e precisa, ma sono sempre dipinti in studio sulla base del ricordo e dell’impressione che ne ha tratto guardandoli. L'unica vera sorgente dell'arte è il nostro cuore, il linguaggio di un animo infallibilmente puro. Un'opera che non sia sgorgata da questa sorgente può essere soltanto artificio. Ogni autentica opera d'arte viene concepita in un'ora santa e partorita in un'ora felice, spesso senza che lo stesso artista ne sia consapevole, per l'impulso interiore del cuore. Nel 1818 si sposa con Caroline Bommer, una ragazza molto più giovane di lui, con cui ha tre figli. Questi anni sono trai più produttivi dal punto di vista artistico e sono anche i più ricchi di riconoscimenti e di rapporti di amicizia. Però poi pian piano la sua fama comincia a diminuire. Da interprete degli ideali romantici si trasforma in figura malinconica, strana, solitaria. Torna lo spettro della povertà e la salute si fa sempre più precaria. Nel 1935 viene colpito da un malore, probabilmente un ictus, e comincia a sviluppare anche delle ossessioni mentali. Muore il 7 maggio 1840 lasciandoci il messaggio racchiuso nelle sue opere: L'uomo non dovrebbe essere considerato uno standard assoluto per l'umanità, il Divino, l'infinito è il suo obiettivo ...
AGOSTO 2020 Di fronte al Mistero
INCONTRO CON IL MISTERO di Giancarlo Barbadoro (1) Nella limpidezza dell’alba si ritagliano i profili netti delle montagne. Immense e immobili. La loro fissità nell’aria trasparente dà evidenza al silenzio con cui si mostra la realtà del mondo. Guardo perdendomi nell’infinito e mi chiedo perché ci sia qualcosa invece del niente… Sarebbe stato più semplice che non ci fosse mai stato nulla. Niente sarebbe stato detto vissuto e pensato. Non ci sarebbero state le avventure dell’uomo e dei suoi schiavi. Invece c’è qualcosa al posto del nulla. Ma che cos’è questo qualcosa che mi appare nel silenzio? Che nome posso dargli? E chi sono io che ne sono parte? Mi perdo in una vertigine nell’intuizione di un Mistero che dà vita alla mia esistenza.
Ma chi può aver voluto tutto questo? Il caso? O c’è sta una sorte che ha posto che ci fosse qualcosa invece del niente? O c’è un’eternità che non ha mai permesso che ci fosse il niente? È solo l’intuizione di un istante. Una vertigine passeggera nel silenzio trasparente. Ma sento che adesso nulla potrà mai essere più come prima. È passato un anno da quando Giancarlo Barbadoro se n’è andato, passando in una dimensione che i nostri occhi non possono vedere. Per questo nella puntata di agosto proponiamo una sua poesia, uno dei suoi “sassi lanciati nello stagno delle ovvietà”, per ricordare lui e il messaggio di conoscenza libertà e amore che animava la sua vita e il suo lavoro incessante per rendere concreto il sogno di un mondo migliore per tutti. Giancarlo è stato tante cose, ricercatore, giornalista, scrittore, filosofo, teorico dell’ecospiritualità, delegato ONU, difensore dei diritti degli animali, artista, guerriero, sciamano, sognatore… oggi qui lo celebriamo come poeta capace di farci vivere un istante di eternità. Con questa poesia Giancarlo ci sollecita ad una sorta di “visione”. Comincia con le montagne maestose e immobili nell’aria cristallina per arrivare alla percezione di un qualcosa in cui la loro massa prende forma e sostanza, un qualcosa che comprende anche l’osservatore e l’universo intero con tutte le vite e le vicende che contiene… Con questa poesia Giancarlo ci fa vivere un attimo di Mistero, ci fa sentire che oltre l’apparenza del mondo c’è qualcos’altro, un qualcosa che vibra insieme alle corde del nostro cuore, e che il rapporto con il Mistero che anima il mondo è davvero l’unica cosa davvero essenziale per noi. Percepire il Mistero è il primo passo su un sentiero che può portare lontano. L’attuale cultura maggioritaria, con il suo esasperato scientismo, tende a negare tutto quanto esuli dai dati forniti dai nostri sensi, magari ampliati dall’uso di sofisticati strumenti tecnologici. Ma non è sempre stato così. Ci sono tempi e luoghi in cui la percezione del Mistero era ed è considerata naturale e chi la provava, o la prova, non era, e non è, considerato un folle. Per i Popoli naturali, cioè quei popoli che non si sono lasciati cooptare dalla cultura imposta dalle grandi religioni storiche e che trovano riferimento nella Tradizione ancestrale dell’umanità, il Mistero rappresenta la vera realtà del fenomeno esistenziale in cui viviamo, ma che non percepiamo ordinariamente per via dell’illusione perpetrata a nostro danno dall’inadeguatezza e specificità dei sensi – diceva Giancarlo Barbadoro - Secondo i Popoli naturali, il Mistero è il fondamento dell’universo e della nostra stessa esistenza.
Giancarlo la Tradizione l’aveva incontrata quando era ragazzino, un incontro che potremmo definire “magico” con una comunità tradizionale autoctona delle valli piemontesi, una delle famiglie celtiche che mantengono vivo lo sciamanesimo druidico, erede dell’esperienza ancestrale dell’umanità, un incontro che avrebbe segnato in modo indelebile la sua vita, facendo di lui un ricercatore d’infinito, un difensore dei più deboli indipendentemente dalla razza o dalla specie di appartenenza, un divulgatore di quella filosofia che ha origini leggendarie e che può parlare ai viventi di qualunque tempo per donare conoscenza, libertà e amore. Vero sciamano che vive in sintonia con il Mistero, Giancarlo aveva un coraggio ed un’energia inesauribili. Ha lavorato a tante iniziative per allargare i confini culturali e dare nuovo impulso alla libera ricerca, che lui intendeva posta tra scienza e metafisica, dal gruppo Spazio4 degli anni settanta a questa rivista on line Shan Newspaper all’ideazione di Radio Dreamland, la web radio che ha iniziato a trasmettere quest’anno, per citarne solo alcune. Ha dato il suo sostegno ai Popoli naturali, portando all’ONU le loro istanze, per la salvaguardia dei loro luoghi sacri e della loro spiritualità. È stato l’anima intima di Artist United for Animals che raccoglie quegli artisti che vogliono dedicare le loro capacità a dare voce agli ultimi degli ultimi, gli animali e del LabGraal, il gruppo musicale che propone, in chiave rock, la musica dei popoli nativi, due iniziative di Rosalba Nattero, sempre al suo fianco in questa grande lotta di liberazione. Ha creato enti, dal Cerchio di Nuova Terra, alla Scuola di Kemò-vad “Sole Nero”, dalla Ecospirituality Foundation all’Ecovillaggio di Dreamland, per dar modo a tutti coloro che si sentono ricercatori d’infinito di non essere soli, di trovare riferimento e aiuto, di poter vivere da subito una vita migliore. La presenza di Giancarlo era di per se stessa un sasso lanciato nello stagno dell’immobilismo e creava intorno a lui cerchi sempre più grandi che davano modo ad altri di venire in contatto con l’esperienza senza tempo di cui dava testimonianza con la sua vita. Lavorava con chi condivideva i suoi intenti, al grande progetto ecospirituale, con uno spirito di fratellanza che accomunava chi gli stava fisicamente accanto e chi era in terre lontane, nel grande Nord o nell’altro emisfero, oltre l’oceano o oltre il deserto. Ogni individuo può rapportarsi al Mistero e da questo trarre conoscenza e benessere, può farlo fin da subito con la meditazione intesa come un viaggio che lo porterà via via fuori dal suo piccolo mondo egocentrico, fuori dal suo sogno personalizzato verso piani percettivi sempre più lucidi e in armonia con la Natura. L’esperienza ecospirituale di un individuo può quindi moltiplicarsi nel contributo spontaneo di quella di altri, ottenendo il risultato inevitabile di costruire uno spazio ambientale condiviso e vissuto in totale armonia. Creando un mondo migliore per tutti, umani e non umani, che si aprirà a macchia d’olio su tutto il pianeta.(2) Tutto parte dal Mistero e nel Mistero vive. Ognuno può accorgersi, magari in particolari momenti della vita fatti di silenzio, che dall’apparente normalità del quotidiano, con le sue certezze e le sue problematiche, il Mistero affiora. Ci sono momenti cioè in cui traspare l’esistenza di un piano di realtà che trascende l’ordinarietà degli eventi che ci coinvolgono ogni giorno e dei pensieri, delle gioie e delle preoccupazioni che ci provocano. Sono per alcuni solo istanti presto dimenticati, per altri invece rappresentano l’inizio di una ricerca sulla vera natura del nostro mondo e di noi stessi, seguendo un cammino misterioso, sulle orme di altri che ci hanno preceduto e lasciando orme per altri che verranno.
… Compagni di un’avventura ai confini del buio abisso che accoglie la frontiera delle stelle. In nome di ideali che ci danno libertà e amore. Per una conoscenza che ci renda tutti liberi.(3) A testimoniare quanto il Mistero si affacci alla percezione dei viventi riportiamo qui dodici frasi di dodici autori in rappresentanza dei dodici Segni dello Zodiaco, frasi “spulciate” qua e là che però possono diventare spunto di riflessione: Leone Sapersi muovere nel mondo non basta più quando ci si accorge che: La cosa più insignificante racchiude un po’ d’ignoto. (Guy de Maupassant, scrittore - 5 agosto 1850) Vergine Anche la logica si arrende di fronte al Mistero: Un senso di mistero mi invase il cuore e la mente, quella percezione del mondo come una pelle sottile su organi e ossa sconosciuti. Bilancia Cercare l’equilibrio per trovare il Silenzio: Colui il cui cuore puro è divenuto privo d’immagini è lo specchio per le tracce dell’Invisibile. (Jalal ad-din Rumi, mistico - 30 settembre 1207)
Scorpione Le domande metafisiche si frantumano davanti ad un’intuizione: Quel che io porto d’ignoto a me mi rende me stesso.
Sagittario Guardare lontano per accorgersi che: Non c’è niente di misterioso per un marinaio se non il mare stesso, che è padrone della sua esistenza e imperscrutabile come il destino. Capricorno Cercare il senso unitario della vita ti porta ad ammettere che: La massima conoscenza è sapere che siamo circondati dal mistero. Acquario Dalla trama colorata della vita filtra il Mistero: ETERNO Tra un fiore colto e (Giuseppe Ungaretti, poeta - 8 febbraio 1888) Pesci Tuffarsi nell’esistenza come nel mare profondo per affermare: La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero; sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. (Albert Einstein, fisico - 14 marzo 1879)
Ariete Agire, muoversi, affrontare situazioni nuove e alla fine: Noi ci sediamo in cerchio e supponiamo, ma il Segreto si siede in mezzo e sa. Toro Guardare in faccia la realtà per constatare pragmaticamente che: La scienza non può svelare il mistero fondamentale della natura. E questo perché, in ultima analisi, noi stessi siamo parte dell’enigma che stiamo cercando di risolvere. (Max Planck, fisico - 23 aprile 1858) Gemelli Cogliere nel gioco dinamico degli eventi uno spazio di silenzio: Ho sempre pensato che la musica dovrebbe essere soltanto silenzio, il mistero del silenzio che cerca di esprimersi. (Marguerite Yourcenar, scrittrice - 8 giugno 1903) Cancro Oltre le proprie speranze, richieste e aspettative si arriva ad una soglia: L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che ci sono un’infinità di cose che la sorpassano.
(2) da: G.Barbadoro – MEDITAZIONE E ECOSPIRITUALITÀ
Un personaggio del Leone: Charles Fort
Io non respingo nulla del reale perché una scienza futura scoprirà relazioni sconosciute tra i fatti che appaiono oggi senza rapporto. La scienza ha bisogno di essere scossa da uno spirito avido, benché non credulo, nuovo, selvaggio. Il mondo ha bisogno di un’enciclopedia di fatti esclusi, di realtà oggi condannate al clamore del silenzio.
Charles Fort, scrittore e ricercatore americano vissuto tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, animato da un’insaziabile curiosità, criticava aspramente la scienza esclusionista, cioè quel tipo di scienza che considera soltanto i dati conformi alle teorie accettate e rifiuta tutto ciò che le mette in crisi. Per questo dedicò la sua vita a raccogliere tutte le notizie sui fatti strani, consultando riviste di attualità e testi conservati nelle biblioteche. Annotò e poi pubblicò migliaia di eventi improbabili o incredibili, fatti che definiva dannati, cioè condannati all’oblio. La sua opera rimane fondamentale per tutti coloro che si interessano di approfondire quegli aspetti della realtà che sconfinano dall’evidente e dall’ovvio, ponendo interrogativi sulla vera natura del nostro mondo.
Charles Fort è ospite di questa puntata dedicata al Mistero proprio perché destinò la sua vita a cercare notizie di fatti strani capaci di scardinare l’apparente linearità del quotidiano in cui l’ovvietà fa da padrona. Ed è qui in rappresentanza del Segno del Leone di cui evidenzia alcuni tratti salienti. Charles è intransigente e non discute le tesi a cui perviene sulla base delle sue ricerche ed è anche poco incline ad accettare l’insuccesso, vedremo che addirittura distrugge i suoi lavori che non vengono tenuti in considerazione. Rapido nelle decisioni si sforza di trovare il suo giusto posto nel mondo. Charles Fort nasce il 6 agosto 1874 ad Albany, nello stato di New York. Perde la madre quando è ancora bambino e viene educato dal padre, uomo molto severo e autoritario. Secondo alcuni suoi biografi è proprio questa educazione eccessivamente rigida a far nascere in lui una profonda ribellione agli atteggiamenti autoritari e rigidi ovunque si manifestino. Il piccolo Charles è curioso nei confronti dell’ambiente intorno a lui, ama leggere di qualsiasi argomento ma non ama la scuola. Da adolescente comincia a scrivere e scopre che gli riesce bene, per questo decide di diventare scrittore. A diciotto anni parte, deciso a girare il mondo alla ricerca di spunti interessanti su cui scrivere, e per un paio d’anni viaggia in America, Europa e Africa, fin a quando, in Sud Africa, lo ferma la malaria, costringendolo a tornare a casa. Nel 1896 si sposa con Anna Filing, sua compagna d’infanzia. Sono anni duri per la giovane coppia perché il successo che Charles sperava di ottenere come scrittore non arriva. Vivono nel Bronx, così poveri che, sembra, durante l’inverno sono costretti a bruciare alcuni mobili della loro casa per riscaldarsi. Charles scrive racconti umoristici e romanzi in uno stile che alcuni critici apprezzano ma i lettori non molto. Riesce a vendere e far pubblicare alcuni racconti ed un romanzo The Outcast Manufacturers ma i suoi lavori si rivelano purtroppo un insuccesso.
Mentre la sua casa si trasforma in una specie di museo pieno di schedari e reperti, guidato dall’intuizione che la via per la conoscenza passi attraverso lo studio delle anomalie scrive due libri, che intitola X e Y. Anche questi due libri vengono rifiutati dagli editori e così Charles brucia entrambi i manoscritti. Notizie sul loro contenuto sono deducibili da alcune lettere scritte proprio da Charles: nel primo libro si ipotizza che qualcosa di misterioso influenzi gli avvenimenti del nostro mondo, e nel secondo che al Polo Sud si nasconda una misteriosa civiltà che cospira contro quella attuale. A regalargli un po’ di fama, e se non la fortuna almeno la sopravvivenza, sarà finalmente Il Libro dei dannati del 1919. Ma nonostante il discreto successo del libro, Charles, in preda ad una crisi depressiva parte con la moglie per Inghilterra. Qui passa le sue giornate al British Museum ancora alla ricerca di altri “fatti dannati” tra vecchi e nuovi libri, riviste scientifiche e bollettini.
Nel 1923, pubblica New Lands, con i risultati delle sue ricerche e la formulazione di ipotesi sulla presenza di un altrove, origine dei fenomeni misteriosi. Nel 1929 Fort e la moglie ritornano a New York nella loro casa-museo piena di appunti e reperti. Nel 1931 Charles pubblica ancora Lo! (Guarda!) libro sui fenomeni aerei non identificati, ma le sue condizioni di salute stanno progressivamente peggiorando. Muore il 3 Maggio 1932. Il lavoro di Charles Fort, le sue ricerche, i suoi scritti, il suo stile in cui si mescolano scetticismo, ironia e meraviglia, rimangono tutt’ora un riferimento tra quanti non si accontentano dei confini precisi tracciati dalla scienza ufficiale e dal suo Rasoio di Occam. I ricercatori che non ritengono sufficiente risolvere un problema limitandosi all’ipotesi più semplice, tagliando via tutte le altre possibilità, magari ricche di interessanti implicazioni ulteriori, trovano ancora nei suoi scritti stimoli per porsi nuove domande sulla reale natura del nostro mondo.
Non credo a nulla. Mi sono allontanato dalle rocce e dalle saggezze di secoli, e dai cosiddetti grandi maestri di tutti i tempi, e forse a causa di quell'isolamento mi sono dato a bizzarre ospitalità. Chiusi la porta principale su Cristo ed Einstein, e alla porta posteriore tendevo una mano accogliente a piccole rane e pervinche. Non credo a nulla che io abbia mai scritto. Non posso accettare che i prodotti delle menti siano oggetto di credenze. Ma accetto, con riserve che mi danno la libertà di ridicolizzare l'affermazione in qualsiasi altro momento, che le docce di una sostanza commestibile la cui origine non è stata rintracciata su questa terra, sono cadute dal cielo, in Asia Minore.
LUGLIO 2020 Città stellari
L’idea di parlare di città stellari è nata ascoltando una trasmissione di Radio Dreamland, la web radio ideata da Giancarlo Barbadoro e diretta da Rosalba Nattero. Il 26 aprile di quest’anno, nella puntata di “Archeomistery world” dedicata alle mura megalitiche, Marco Pulieri ci ha accompagnato in un viaggio affasciante nella mitica Età dell’Oro del regno di Saturno. Secondo le antiche leggende ci fu un tempo in cui il popolo dei Pelasgi, proveniente dal Mar Nero, si stabilì nelle terre che ora chiamiamo Lazio e, in parte, Toscana, e qui fondarono una vera e propria rete di città, caratterizzate da gigantesche mura di pietra. Il regno di Saturno fu un tempo di prosperità, arte, scienza e integrazione dove i Pelasgi e le genti che da prima vivevano in quelle terre diventarono un unico pacifico popolo felice. La cultura dei Pelasgi si basava su esperienze e princìpi che venivano da lontano e che trovavano riferimento nel rapporto con la Natura e il cosmo e questo rapporto si esprimeva anche nel loro modo di costruire le città. Incredibilmente, ad esempio, se si uniscono con delle linee immaginarie queste città si disegnano le costellazioni del cielo. I monumenti costruiti davano al paesaggio carattere di sacralità divenendo di fatto un simbolo e, nel caso di un riferimento al cielo, diventavano una replica del riferimento celeste a cui erano ispirati. Così Alatri era chiamata la “città stellare” perché la sua pianta era stata progettata per riprodurre la forma perfetta di una stella e costruita secondo la regola della sezione aurea, un rapporto matematico che riproduce l’archetipo dell’armonia delle forme più diverse della natura. Al termine del viaggio nelle terre di Saturno, tornando ai giorni nostri, è stato spontaneo considerare l’esistenza di una città famosa per la sua pianta a forma di stella. È Palmanova, la città friulana riconosciuta dall’UNESCO come patrimonio dell'umanità. Viene da chiedersi se la sua costruzione sia avvenuta riproducendo antichi riferimenti simbolici, magari rifacendosi alla stessa antica matrice culturale tradizionale delle megalitiche città laziali o magari traendone in qualche modo ispirazione. Accanto alla storia riconosciuta dalla cultura maggioritaria esiste infatti un’altra storia, spesso invisibile, come invisibili rimangono le culture dei popoli naturali, presenti su tutti i continenti, che ne custodiscono il bagaglio di esperienza e ne testimoniano la vitalità. In Europa, sopravvissuta a tutte le persecuzioni, la Tradizione dello sciamanesimo druidico, l’insieme delle conoscenze ancestrali dei nativi europei, nel corso del tempo, si è a volte manifestata parzialmente nella storia per dare il suo contributo di conoscenza, libertà e fratellanza tra le genti. Palmanova nasce dalla cultura rinascimentale in cui possiamo riconoscere un apporto tradizionale nella rinascita dopo i “secoli bui” del Medioevo. Vediamo di conoscere meglio Palmanova e di scoprire, nella sua costruzione, eventuali tracce dell’antica cultura tradizionale, che vede l’uomo parte integrante dell’universo e celebra il suo legame con il cielo stellato.
Palmanova si trova a circa venti chilometri da Udine. È stata fondata nel 1593 dai veneziani per difendere i confini della repubblica dalle invasioni dei turchi e dalle mire espansionistiche dell’Austria. È circondata da mura e fossati per circa 7 chilometri con 9 baluardi che formano una perfetta stella a nove punte. Il centro è costituito da una piazza esagonale, verso la quale convergono le strade che partono dalle mura. La città è costruita su basi numerologiche con riferimento al tre e ai suoi multipli: nove le punte della stella, nove i baluardi, tre le porte di accesso, diciotto strade radiali, sei i lati della piazza centrale… Sembra che il progetto per la costruzione di Palmanova fosse stato chiesto, in un primo tempo, a Leonardo da Vinci che non accettò a causa di altri impegni già presi. Se ne occuparono Giulio Savorgnan, già progettista e sovraintendente alla fortificazione di Nicosia a Cipro, e Marcantonio Martinengo, che probabilmente ricevettero alcuni consigli da Leonardo.
La prima pietra di Palmanova fu posizionata il 7 ottobre 1593, data scelta dai veneziani in onore di Santa Giustina, protettrice della città, e anniversario della vittoria di Lepanto sui Turchi, avvenuta il 7 ottobre 1571. Era una città “invisibile”: costruita più in basso della linea d’orizzonte spariva agli occhi nemici che non potevano mai vederla completamente, presentando sempre angoli sconosciuti. Non c’erano monti vicini per vederla dall’alto e le sue mura esterne erano ricoperte di terra e vegetazione per farla risultare ancor più mimetica. Celebrata come la più inespugnabile città europea ispirò molte altre fortezze come quelle progettate in seguito dal marchese di Vauban, ad esempio Briancon e Neuf Brisach, o altre in Europa e addirittura in America e in Oriente. Palmanova era una fortezza ma era stata progettata anche per ospitare degli abitanti e non soltanto dei soldati. Era un luogo particolare, aveva un’impronta militare ma anche un’anima misteriosa, una specie di sogno di città ideale, che nella geometria della forma voleva esprimere un senso di armonia, un modo di essere e di vivere che andava difeso. In mezzo alla piazza centrale, c’è un basamento esagonale in pietra, da cui si alza uno stendardo, sui cui lati sono incise sei frasi che poco hanno a che fare con la guerra: "Non fare al tuo prossimo cosa che tu non vorresti fatta a te" Oltre Palmanova anche altre città dell’Italia centrale, presentano una forma a stella. Tutte sono strutturate con riferimento alla "città ideale" un concetto che, durante il Rinascimento, costituì un vero e proprio modello per rendere più razionale l’organizzazione degli spazi urbani. La città ideale del Rinascimento era improntata alla simmetria e costituiva un insieme armonico, costruito attorno a una piazza centrale. La piazza era il cuore della città, uno spazio progettato in termini di rapporto uomo/universo, che riecheggiava l’idea dell’antico cerchio di pietre, luogo di incontro, cultura e meditazione o la più recente struttura dell’Atlantide descritta da Platone. Abbiamo visto come Palmanova riassuma in sé il binomio di città ideale e fortezza e vedremo come anche le altre città stellari si basino sempre su un equilibrio tra queste due componenti. L’aspetto della difesa è un elemento da non sottovalutare perché contribuisce in modo sostanziale alla costruzione o alla modifica di queste città. È il periodo in cui l’artiglieria da campo diventa un fondamentale strumento di guerra ed è per questo che le mura delle città devono essere strutturalmente diverse da quelle che proteggevano dagli assalti di nemici armati di archi e frecce. Se le vecchie mura dovevano essere alte per rendere difficile la scalata le nuove mura dovevano esse spesse per resistere al tiro dei cannoni, se le vecchie mura potevano avere lunghi tratti lisci, ora questi stessi tratti diventavano punti deboli sotto l’assalto delle nuove armi. Vediamo ora altre città costruite su questo modello.
Ferrara è una città relativamente giovane, il primo insediamento sul suo territorio si registra infatti intorno al VI secolo d.C. Nel 1240 si insediano gli Estensi che contribuiscono a fare di Ferrara un fiorente centro artistico e letterario di avanzatissima ed originale cultura, luogo di incontro di personaggi illustri e correnti culturali d’avanguardia. Nel 1492 acquisisce la sua struttura, grazie alla planimetria disegnata dall’architetto Biagio Rossetti che, ispirandosi ai canoni della città ideale, riesce ad armonizzare i quartieri già esistenti ed indirizzare lo sviluppo futuro dell’agglomerato urbano. Ferrara nasce quindi con proporzioni che vogliono riflettere l’armonia del cosmo, seguendo i princìpi neoplatonici di cui si dibatteva, in quel tempo, a corte. La città ha quattro porte e la lunghezza dei due assi che le collegano è perfettamente uguale. Anche Ferrara è riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Guastalla, situata poco distante dalla riva destra del Po, a circa trenta chilometri da Reggio Emilia, Parma e Mantova ha origini antiche. Conserva tracce del periodo etrusco, romano e longobardo ma sarà nel Rinascimento, con la famiglia Gonzaga, che raggiungerà il suo massimo splendore. È in questo periodo che viene eretta un’imponente cinta muraria fortificata a forma di stella a 7 punte.
Sabbioneta, a metà strada fra Mantova e Parma, è fondata da Vespasiano Gonzaga Colonna tra il 1554 e il 1591, su un terreno sabbioso tra i fiumi Po e Oglio, nel luogo in cui sorgevano la rocca del nonno Ludovico e un antico insediamento. Per il Gonzaga, Sabbioneta doveva essere soprattutto una fortezza, baluardo contro il potere degli spagnoli che dominavano la Lombardia ma, nonostante questa sua funzione “guerresca”, evidenziata dalla potente cinta muraria a forma di stella a sei punte, la cittadina fu costruita in base ai principi umanistici della città ideale. Livorno, città toscana deve la sua nuova pianta all'architetto Bernardo Buontalenti che la realizzò su incarico di Franceso I de’ Medici. Secondo il progetto la città doveva essere protetta da una cinta muraria pentagonale. I lavori cominciarono il 28 marzo 1577. Una modifica importante venne apportata nel 1589 con la creazione di una grande piazza al centro dell’abitato e un’ulteriore rafforzamento delle difese.
Se diamo un’occhiata al resto dell’Europa anche qui scopriamo città, o borghi fortificati che riproducono la pianta a stella.
Jaca, città aragonese (Spagna), ha una cittadella a forma di stella a cinque punte voluta da Filippo II alla fine del 1592 come parte della strategia difensiva contro la Francia e con lo scopo di impedire il passaggio degli Ugonotti attraverso i Pirenei. La sua costruzione fu affidata all'ingegnere italiano Tiburzio Spannocchi. È stata restaurata nel 1968. Pamplona, capoluogo della Navarra (Spagna), ha una cittadella costruita in età rinascimentale, tra il 1570 e il 1645 con la classica forma di stella a cinque punte. Buono lo stato di conservazione anche perché non ha mai subito assedio né alcuna operazione di guerra.
Elvas è un’affascinante città dell’Alentejo, la regione più a sud del Portogallo. Le mura che circondano completamente il suo centro storico per un perimetro totale di più di 10 chilometri, ne fanno la fortezza più grande del Portogallo. Queste imponenti mura a forma di stella, perfettamente conservate, ricche di fascino e cariche di storia, sono state dichiarate patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Hamina, città finlandese la cui cinta muraria fu realizzata nel 1722 per proteggere la Svezia dai ripetuti attacchi della Russia, è un piccolo centro storico, il cui diametro non supera i cinquecento metri. È rimasto quasi intatto dall’epoca della sua fondazione ed è attualmente un’attrazione turistica. Fu costruita per volere del re di Svezia Fredrik I, su progetto del generale Axel von Löwen che scelse il modello rinascimentale italiano e disegnò una pianta a stella, ispirandosi a Palmanova. Così nacque Fredrikshamn, il “Porto di Federico”, Hamina in finlandese. La città vista dall’alto è una stella a otto punte con al centro il municipio da cui si dipartono otto strade. Naarden, cittadina olandese, a soli 20 km da Amsterdam, è una città fortezza molto ben conservata. Costruita nel 1350 sul luogo in cui un’alluvione aveva distrutto una città precedente, venne fortificata a partire dal 1572 ad opera degli spagnoli invasori, per punire l’Olanda che si era ribellata. L’opera fu terminata solo nel 1685. Il risultato fu questa città fortezza dalla pianta a stella a sei punte. Hellevoetsluis, è una città affacciata sul Mare del Nord, nell’Olanda occidentale. Costruita tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700 era un porto sia militare che commerciale e le fortificazioni furono costruite per proteggere sia gli arsenali che le navi. Attualmente la città sta puntando sul turismo, promuovendo lo sviluppo del porto storico e delle fortificazioni.
Bourtange, cittadina del nord-est dei Paesi Bassi, situata al confine con la Germania è un borgo fortificato dalla caratteristica forma a stella pentagonale, realizzato nel 1580, durante la guerra degli ottant'anni, da Guglielmo I d'Orange. Progettata dall’ingegnere Adriaan Anthoniszoon, prevedeva un sistema di più canali a forma di stella intorno alle mura. Rimase in uso fino al 1851, poi si trasformò in semplice villaggio, abbandonando le strutture di difesa al deterioramento del tempo. Negli anni sessanta del secolo scorso tutto il complesso venne restaurato completamente ed ora è praticamente un museo a cielo aperto.
Neuf-Brisach è una cittadina alsaziana a pianta stellata. La sua cittadella fortificata fu progettata dal Vauban, prendendo come modello Palmanova. Nel 2008 ha ottenuto dall’UNESCO la classificazione di patrimonio dell’umanità. Sempre su progetto del Vauban, e quindi sempre sul modello di Palmanova sono costruite Briançon, Besançon, Mont Luis e altre. Gizycko, città polacca, si trova nella parte centrale del distretto dei laghi Mazury. Nella parte occidentale della città sorge la Boyen Fortress, una fortezza prussiana situata su uno stretto istmo tra due grandi laghi. La fortezza prende il suo nome dal ministro della guerra prussiano Hermann von Boyen, e fu costruita tra il 1844 e il 1856 per volere del re Federico Guglielmo IV. Nonostante sia relativamente recente ha la classica forma a stella delle fortificazioni rinascimentali. Alba Iulia è una città rumena della Transilvania. Ha la fortificazione bastionata più grande della Romania, in ottimo stato di conservazione nonostante abbia più di 300 anni. La Fortezza è stata costruita su fortificazioni più antiche: sulla stessa area prima c’era una fortezza medievale e prima ancora un castro romano. La fortezza è stata eretta a partire dall’inizio del XVIII secolo, su progetto dell’architetto italiano Giovanni Morando Visconti. Occupa una superficie di 110 ettari, ha tre fila di mura spesse due metri e mezzo e alte dieci metri e sette bastioni che le conferiscono la forma a stella. A San Pietroburgo, in Russia, sull’Isola delle Lepri o Zayachy, alla foce del fiume Neva, Pietro il Grande fece costruire la fortezza di Pietro e Paolo, che doveva diventare il cuore della sua nuova capitale. Edificata su progetto dall’architetto Domenico Trezzini, la fortezza ha forma di stella e ospita la cattedrale in cui sono sepolti i Romanov.
Nicosia è la capitale dell’isola di Cipro. Tra la fine del 1400 e l’inizio del 1500 Nicosia fu sotto il dominio di Venezia, che trasformò la fortificazione irregolare d’epoca medievale in un sistema di bastioni a forma di stella con 11 lati. Il progetto era di Giulio Savorgnan, l’ingegnere che aveva precedente partecipato alla fortificazione di Candia, nell’isola di Creta e che in seguito progetterà le mura di Palmanova. Halifax è la capitale della Nuova Scozia ed è situata sulla costa orientale del Canada. Città di mare con una splendida architettura e un panorama particolarmente bello, ospita uno dei più grandi porti naturali del mondo, tutt’oggi importante centro economico per tutto il Canada orientale. La sua cittadella a forma di stella fu realizzata dal governo britannico come protezione dagli attacchi americani. E' stata completata nel 1856. Nel 1951 fu catalogata tra i beni culturali nazionali. Hakodate è una città giapponese situata sull’isola di Hokkaido. È stata la sede della Repubblica Ezo, un governo di breve durata nato quando le truppe fedeli allo shogunato, guidate dall’ammiraglio Takeaki Enomoto, dopo la sconfitta subita nella guerra Boshin, si ritirarono installandosi nell’isola di Hokkaido. Tra loro c’era anche Jules Brunet, il consigliere francese, a cui lo shogun aveva dato l’incarico di modernizzare il suo esercito. La roccaforte, la fortezza Goryokaku a forma di stella, fu la prima struttura del Giappone ad essere costruita in stile occidentale. La repubblica di Ezo venne dichiarata ufficialmente il 25 dicembre 1868 e la sua costituzione prese a modello quella americana. In parte abbattuto, il forte viene considerato un’attrazione turistica e il suo parco è noto per la bellezza dei suoi ciliegi durante la fioritura. Hue è conosciuta come la città più romantica del Vietnam. È stata capitale nazionale dal 1802 al 1945, con la dinastia Nguyen. Quando Gia Long Nguyen Anh sconfisse i suoi nemici e si insediò come imperatore, avendo avuto come consiglieri militari i francesi, volle costruire una cittadella fortificata che coniugasse la tecnica militare occidentale e l’identità orientale. Così prese a riferimento da un lato la tecnica ingegneristica del marchese di Vauban e dall’altro la filosofia dei Mutamenti. Nella cittadella di Hue mura e fossati ricalcano la tecnica difensiva francese e disegnano la forma di una stella, ma il luogo in cui venne costruita è stato scelto secondo la teoria di Feng Shui. La sua posizione ha pertanto quattro alture come elementi di appoggio che rappresentano i quattro animali sacri, il drago, la tigre bianca, la tartaruga e la fenice e una sorgente d’acqua. I nove cannoni posti a difesa portano il nome delle quattro stagioni e dei cinque elementi naturali di base: fuoco, metallo, legno, terra, e acqua. Al centro della cittadella c’è la torre della bandiera. E a sottolineare ancora il legame tra questo luogo e il cielo, la Città proibita, ovvero la residenza dell’imperatore, è chiamata Città Purpurea, non per il colore dei suoi intonaci, ma perché negli ideogrammi cinesi (utilizzati nel Vietnam del 1800) mirto purpureo vuole dire stella polare, ed esprime così la funzione di riferimento cosmico per l’imperatore stesso. E ancora, nelle decorazioni troviamo molti draghi. Il drago è il simbolo dell’imperatore e dell’armonia tra terra e cielo.
Probabilmente per alcune di queste città la forma a stella è proprio solo una forma geometrica vuota di significato ma per altre invece qualche traccia dell’antica cultura è ancora viva e le rende dei simboli tridimensionali del legame sempre vivo tra l’uomo e le stelle. Per chi vuol conoscere Radio Dreamland e seguire le sue trasmissioni: www.radiodreamland.it
Per conoscere e approfondire la Tradizione dei Nativi Europei: Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero "IL CUORE ANTICO" Edizioni Triskel.
Un personaggio del Cancro: Helen Keller
Noi tutti, vedenti e non vedenti, ci differenziamo gli uni dagli altri non per i nostri sensi, ma nell'uso che ne facciamo, nell'immaginazione e nel coraggio con cui cerchiamo la conoscenza al di là dei sensi. La vita di Helen Keller è una storia straordinaria, di difficoltà e coraggio, di forza e energia, di sfortuna e fortuna. Helen ci porta a farci domande difficili su che cosa sia la vita cosiddetta “normale”, su che cosa sia davvero la cosiddetta realtà descritta dai sensi, su come si possa comunicare se i canali privilegiati per dialogare vengono a mancare, su che cosa sia il mondo interiore e quello esterno. La vita di Helen è piuttosto nota perché raccontata in un film famoso, Anna dei Miracoli (The Miracle Worker) del 1962, diretto da Arthur Penn. È la storia di una bambina che diventa cieca e sorda a pochi mesi di età, della sua difficoltà di comunicare fin quando non incontra Anne Sullivan che diventa la sua assistente e insegnante e che trova il modo di comunicare con lei. Helen Keller è l’ospite di questo mese in rappresentanza del Segno del Cancro. Del resto chi meglio di lei potrebbe rappresentare il mondo del sogno, la sua ricchezza e la sua chiusura, la speranza e la rinascita, cioè di tutti gli elementi simbolici legati al Segno del Cancro? Helen Keller nasce il 27 giugno 1880 a Tuscumbia, in Alabama, USA. A un anno e mezzo perde la vista e l’udito in seguito ad una malattia. Impossibilitata a comunicare cresce viziata e senza stimoli, talvolta ha atteggiamenti violenti come se l’impossibilità di comunicare con il mondo le provocasse frustrazione e rabbia.
Questa triste situazione trova però una via d’uscita quando arriva Anne Sullivan, una ragazza di circa vent’anni, alle prime armi come assistente ma con una grande voglia di imparare il suo mestiere. Consigliata dal Perkins Institute for the Blind a cui i genitori di Helen si erano rivolti per trovare un aiuto nell’educazione della bambina, Anne arriva a casa dei Keller e prende in mano la difficile situazione. Anne è giovane, ha alle spalle una storia difficile che l’ha provata ma le ha dato anche una grande sensibilità. Vede poco e questo suo limite le fa capire meglio che cosa può provare una bambina che non vede più. Anne si avvicina a Helen e piano piano costruisce con lei un rapporto e una comunicazione. È difficile, per chi non sente, imparare le parole. È ancora più difficile, per chi non sente e non vede abbinare le parole agli oggetti. Anne parla con Helen attraverso il tocco delle mani e la posizione delle dita e in questo modo riesce un po’ alla volta a dare un nome alle cose. La prima volta che l’abbinamento riesce e diventa davvero significativo: è quando Anne mette una mano di Hellen sotto l’acqua e sull’altra sillaba la parola. Hellen racconterà così quell’esperienza nel suo libro Story of my life: Rimasi immobile, l’attenzione rivolta totalmente al movimento delle dita. Improvvisamente sentii la coscienza confusa di un qualcosa dimenticato… La parola “a-c-q-u-a”, viva, risvegliò la mia anima, dandole luce, speranza, gioia, la rese libera! …Andai via dal pozzo desiderosa di imparare. Ogni cosa aveva un nome e ogni cosa dava vita a un nuovo pensiero. Ritornando verso casa, ogni oggetto sul quale poggiavo le mani sembrava crepitare di vita. Questo perché guardavo a ogni cosa con quella strana, nuova vista che era venuta a me. Da quel momento inizia per Hellen un percorso che la porterà lontano. Sempre con l’aiuto di Anne, impara a leggere e a parlare, studia, diventa avvocato, si impegna in favore dei disabili, degli oppressi, delle donne, della pace. Utilizza l’alfabeto manuale e il tocco delle labbra e della gola di chi sta parlando, ma la sua voglia di comunicare è così viva che imparerà a leggere l'inglese, il francese, il tedesco, il greco e il latino in Braille.
Una volta conoscevo l'abisso dove non c'è speranza e dove l'oscurità si stende su ogni oggetto. Fu allora che l'amore venne e liberò la mia anima. Una volta conoscevo soltanto oscurità e immobilità. Ora conosco la speranza e la gioia. Una volta piagnucolavo e davo pugni contro il muro che mi teneva rinchiusa. Ora mi rallegro nella consapevolezza di poter pensare, agire e ottenere il Paradiso. La mia vita non aveva passato né futuro. Un pessimista avrebbe detto che [in quelle condizioni] "la morte è qualcosa da desiderare fervidamente". Ma una piccola parola cadde dalle dita di un'altra sulla mia mano che si aggrappava al vuoto e il mio cuore afferrò l'estasi della vita. La notte scappò di fronte alla luce del pensiero e l'amore e la gioia presero il sopravvento sull'obbedienza alla scienza. Può mai una persona che è scappata da una tale cattività, che ha provato il brivido e la gloria della libertà, essere pessimista?“ Helen un po’ alla volta diventa una celebrità internazionale. Viaggia, sempre accompagnata da Anne, in trentanove diversi paesi, tra cui il Giappone, viene ricevuta da personalità importanti, quali Alexander Graham Bell, Mark Twain, Charlie Chaplin e il presidente Kennedy, finché le sue coraggiose dichiarazioni in difesa degli oppressi e la sua iscrizione al partito socialista non la rendono scomoda. La nostra democrazia è solo una parola. Cosa significa il fatto che possiamo votare? Significa che scegliamo fra due veri autocrati, anche se non li consideriamo tali. Scegliamo fra Tizio e Caio… Chiedete di votare per delle donne… Ma che cosa può fare un voto, quando dieci undicesimi della terra in Gran Bretagna appartengono a solo 200.000 persone e la restante undicesima parte è divisa fra i restanti 40 milioni di individui? I vostri uomini si sono per caso liberati da questa ingiustizia con i loro milioni di voti? Improvvisamente le sue idee vengono sminuite: qualcuno avanza l’ipotesi che a causa della sua cecità e sordità, non sappia vedere con oggettività la realtà dei fatti, tanto che lei si troverà a dire: Da molto tempo mi sono convinta che i vedenti vedono molto poco. Oltre alla sua autobiografia, Helen lascia numerosi scritti quali The world I live in, My religion, Optimism, Out of the dark. Helen muore il primo giugno 1968, nella sua casa di Easton all'età di 87 anni.
GIUGNO 2020 Il segreto delle rune e lo Zodiaco
Più volte abbiamo confrontato lo Zodiaco con altri sistemi simbolici, scoprendone interessanti e profonde attinenze. In questa puntata proveremo ad accostarlo alle Rune, i segni segreti che, secondo la mitologia nordica, Odino consegnò agli uomini per aiutarli nella loro evoluzione. Lo faremo aiutandoci con il libro LA VIA SEGRETA DELLE RUNE di Rosalba Nattero e Giancarlo Barbadoro, pubblicato dalle edizioni Trikel. Le Rune sono comunemente interpretate come un sistema arcaico di scrittura, ma nel loro senso più intimo, possiamo vederle come l’elemento di comunicazione tra due mondi, quello terreno e quello ultraterreno, un ponte tra visibile e invisibile. La parola runa in tutti i principali antichi dialetti germanici significa “mistero” o “segreto”; lo stesso significato ha la parola gaelica run. Così scrivono gli autori nell’introduzione del loro libro, conducendoci poi attraverso la complessa trama della mitologia norrena. Nell’intreccio di vicende che sembrano scritte su più piani che si intersecano, gli autori seguono un preciso filo conduttore e ci fanno scoprire un sentiero che si addentra nel mondo del mito, con i suoi profondi significati sia storici che filosofici. Scopriamo così che la fonte principale da cui deriva il mito delle rune è l’Edda Poetica, una raccolta di 29 carmi che risale all’800 d.C. circa. All’interno dell’Edda poetica, troviamo le due raccolte della Volupsa e, in una di queste, lo Havamal, possiamo leggere la storia di Odino, del suo sacrificio sull’Yggdrasil, l’Albero che cresce fra i mondi, e della sua conquista delle Rune. Odino, signore degli Asi, è una figura molto particolare che assomma in sé vari elementi.
Inizialmente è descritto come guerriero feroce e mercante scaltro, capace di operare inganni di ogni genere. Nello scontro tra gli Asi, popolazione guerriera, e i pacifici Vani, sono i primi ad avere la meglio, così Odino si impone sulle antiche divinità dei Vani, legate alla natura, e diventa re di tutti gli dei. Vani ed Asi riescono a trovare un accordo e a convivere, ma devono in seguito affrontare la penetrazione culturale del cristianesimo che si fa sempre più invasiva. È a questo punto che Odino da dio guerriero si trasforma, assume caratteristiche spirituali e acquisisce un’identità che potremmo definire druidica, fino a diventare la personificazione del druido per eccellenza. Odino ora è guerriero e sciamano, feroce in battaglia, abile negli inganni ma anche poeta e musicista. Un personaggio da cui guardarsi se lo si affronta con la menzogna e l’inganno, ma un fraterno amico se ci si affaccia insieme sull’abisso del “Vuoto” dell’immaterialità dell’esistenza. Odino diventa così il più grande maestro di Seidr il corpus di complessa conoscenza che costituiva l’arte e la pratica creativa degli sciamani dell’antico druidismo. Sul filo degli eventi storici, le Rune che riuscirà a conquistare costituiscono una difesa ideologica contro l’imperante cristianesimo mentre, dal punto di vista filosofico, un modo per tramandare antiche conoscenze al fine che non vadano dimenticate. Il mito racconta che Odino, aiutato dal misterioso Loki, un essere divino che potrebbe essere un alter ego dell’antico Fetonte, accetta di sacrificarsi sull’Albero cosmico della Vita, l’Yggdrasil, per ottenere una più profonda conoscenza di sé e del mondo. Si fa appendere all’Yggdrasil, e ci rimane per nove notti e nove giorni, finché gli appaiono le ventidue rune, poste in cerchio sotto di lui, e lui riesce a coglierne il profondo segreto. Il sacrificio di Odino ricorda la crocefissione del Cristo, anche se mantiene l’antico simbolismo del “sacrificare se stesso a se stesso”, cioè sacrificare la propria parte più egocentrica e legata alla materialità per realizzare di stati di coscienza superiori. Il sacrificio di Odino riecheggia antiche tradizioni sciamaniche, che ritroviamo in riti come l’Odhr dei siberiani o la Danza del Sole dei nativi americani. Tornando alle Rune, possiamo dire che sono un alfabeto tutto particolare, fatto di tratti e linee brevi e nette che si incrociano tra di loro in molteplici combinazioni… nato per essere inciso sul legno o la roccia. Generate da un’esperienza antica e comune, così come accadde per l’alfabeto ogamico, le Rune sarebbero nate nei boschi sacri in cui gli antichi sciamani esercitavano i loro riti iniziatici. I segni che ancora oggi caratterizzano le Rune sarebbero, in questa chiave interpretativa, il frutto di un metodo di trasposizione del linguaggio degli alberi usato dai Druidi per dialogare con la Natura, ovvero si tratterebbe di un alfabeto arboreo in cui i segni runici sono le varie posizioni dei rami disposti lungo il tronco degli alberi. Le Rune sembrano apparire improvvisamente intorno al III secolo d.C., ma la cultura da cui derivano appartiene a tempi ancestrali e costituisce una matrice comune, sempre viva, a cui fanno riferimento o attingono le culture successive. Per questo motivo le Rune, sono sovrapponibili alle ventidue lamine degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, alle ventidue lettere dell’Alfabeto Esoterico dell’ebraismo o ai ventidue capitoli del Libro dell’Apocalisse della Bibbia e trovano, come del resto tutte le serie di simboli citati, la loro matrice nelle ventidue lettere dell’Alfabeto Shannar del druidismo arcaico.
Come gli Hat, le lettere, dell’Alfabeto Shannar, le Rune riflettono archetipi di vita ordinaria e di valori metafisici che troviamo riuniti in una sola matrice, legati tra di loro in una catena sequenziale di significati magici e spirituali. E come gli Hat rimandano al mito di Fetonte, l’essere divino disceso dal cielo in tempi ormai lontanissimi, per donare agli uomini la sua conoscenza racchiusa in una ruota d’oro con ventidue angoli segreti, o al mito di Tah-ai che aveva ricevuto in dono ventidue pietre magiche per conoscere se stessa e il mondo. Agli stessi miti possiamo riferirci anche parlando di Zodiaco. Fetonte, l’essere (o gli esseri) venuto sulla Terra dalle stelle insegnava ai suoi allievi in un cerchio di dodici pietre erette. Dodici pietre erette sono anche quelle che costituiscono lo Stone Circle di Dreamland, nel parco della Mandria in Piemonte, fatto costruire, su progetto di Giancarlo Barbadoro, secondo le antiche conoscenze tradizionali. I cerchi di pietre, veri templi all’aperto, erano luoghi di misticismo, scienza e coltura, luoghi di unione del cielo e della terra. E lo Zodiaco è un linguaggio con cui parlare del rapporto degli esseri umani con il cielo, scoprire quali talenti ognuno ha avuto in dono alla nascita, come cerca di interagire con l’esistenza e che cosa incontra via via nel suo viaggio esistenziale. Come per gli hat e le lamine dei Tarocchi i Segni dello Zodiaco si sovrappongono alle ultime dodici Rune della serie. Potremmo leggerle come una sorta di consiglio che ogni Runa dà al Segno zodiacale corrispondente. Le presentiamo nel loro ordine di successione naturale, dall’undicesima alla ventiduesima. CAPRICORNO WINN, la passione Al Capricorno, Segno determinato ma spesso poco espansivo e un po’ severo, Winn consiglia di godere pienamente della vita, in tutti i suoi aspetti, senza però perdersi dietro i falsi traguardi, mantenendo consapevolezza e determinazione per portare a termine il proprio programma di vita. ACQUARIO YR, la difesa All’Acquario, Segno idealista e proiettato verso il futuro, Yr ricorda da un lato la precarietà dell’universo materiale e delle apparenti certezze acquisite e dall’altro la necessità di proteggere il cammino di evoluzione che dà significato alla vita.
PESCI EOLH, il sacrificio Ai Pesci, Segno dalle profonde intuizioni, Eolh insegna che per elevarsi ad un piano superiore di consapevolezza è necessario sacrificare la parte di se stessi legata alla materia. ARIETE HAGALL, la trasformazione All’Ariete, Segno dell’irruenza della forza vitale, Hagall ricorda che nell’universo non c’è nulla di immobile e che tutto muta continuamente e consiglia di aderire a questa trasformazione continua, per uscire dagli schemi che irrigidiscono e sciogliere i nodi che imprigionano. TORO PEORT, la devozione Al Toro, Segno della forza e della costanza, Peorth insegna la fiducia nell’esistenza. La forza applicata nella direzione del fluire della vita porta alla meta. GEMELLI MANN, il colloquio con Dio Ai Gemelli, Segno dagli interessi poliedrici e dalla vivacità nei rapporti umani, Mann ricorda che ciò che in realtà può rispondere alla loro inquietudine è il contatto con il Mistero, la parte più intima e vera dell’esistenza, possibile solo quando crollano le false certezze relative al mondo dell’ovvietà. CANCRO BEORC, la nascita Al Cancro, Segno sognatore e a volte un po’ infantile, Beorc propone di rinascere, scoprendo la propria natura cosmica di filosofo che guarda le stelle. LEONE FEOH, la ricchezza Al Leone, Segno magnanimo e legato alla sua storia passata, Feoh mostra come le esperienze vissute siano un tesoro che permette di affrontare meglio il futuro, ma l’unica vera ricchezza è quella spirituale.
VERGINE DAEG, la costruzione del Tempio Alla Vergine, Segno che ha bisogno di tradurre in concretezza i grandi ideali, Daegh parla di costruzione di un mondo nuovo fondato sugli ideali di fratellanza e libertà nella luce della ricerca spirituale.
BILANCIA IS, l’attenzione Alla Bilancia, Segno affamato di giustizia e armonia, Is raccomanda l’attenzione a cogliere i segni che giungono dalla realtà invisibile, parole del linguaggio misterioso con cui la realtà invisibile comunica con noi. SCORPIONE ANSUR, l’insegnamento Allo Scorpione, Segno passionale e geloso del proprio mondo interiore, Ansur consiglia di non isolarsi per procedere sul suo cammino di ricerca ma di mettersi in gioco, dialogando con gli altri e facendo dono della sua esperienza.
SAGITTARIO JARA, il sacerdote Al Sagittario, Segno del guardare lontano, oltre i confini stabiliti, oltre ciò che ha appena acquisito, Jara ricorda la ciclicità degli eventi e che ad ogni fine corrisponde un nuovo inizi. Rosalba Nattero - Giancarlo Barbadoro "LA VIA SEGRETA DELLE RUNE
Edizioni Triskel. Il testo è disponibile anche in formato e-book al sito www.triskeledition.com
Un personaggio dei Gemelli: Rachel Carson
La primavera ora non viene annunciata dal ritorno degli uccelli, e le prime mattine sono stranamente silenziose dove una volta erano piene della bellezza della canzone degli uccelli. Questa frase è tratta da Silent spring, il libro più famoso di Rachel Carson, la pioniera dell’ambientalismo di oggi. In Silent Spring, Rachel riporta, corredati da approfondite ricerche e analisi scientifiche, i gravi danni provocati dall’uso indiscriminato dei pesticidi sintetici e del DDT in particolare, tanto sull’ambiente che sugli esseri umani. Il titolo deriva proprio dalla drammatica constatazione del silenzio, nelle mattine di primavera, nei campi che, prima dell’uso massiccio dei fitofarmaci, erano pieni di canti di uccelli. Rachel, nel suo libro, non si limita a denunciare questo specifico dramma ma amplia l’orizzonte e affronta il problema di fondo del rapporto uomo-natura ,mettendo in discussione l’utilità di un progresso scientifico fine a se stesso indipendente da ogni considerazione etica. Nel suo libro Rachel pone delle domande fondamentali: gli esseri umani hanno diritto di sentirsi i padroni della natura e decidere chi può vivere e chi morire? Gli esseri umani hanno il diritto di distruggere la vita di altri esseri che vivono su questo pianeta? Rachel Carson è il personaggio che questo mese rappresenta il Segno dei Gemelli, di cui incarna la vivacità dell’intelligenza, lo spirito critico e soprattutto la capacità di utilizzare la logica per uscire dallo scontato, dalla mentalità corrente che spesso costituisce, di per se stessa, un limite oltre il quale sembra difficile spingersi.
Rachel Carson nasce il 27 maggio 1907 in una fattoria non lontano da Springdale, una piccola città della Pennsylvania, USA. È la più giovane dei tre figli di Maria McLean Carson e Robert W. Carson, agente di assicurazioni. Rachel fin da piccolissima manifesta un grande amore per la Natura e abitando in una fattoria, a contatto con la terra, gli alberi, il fiume, gli animali, Rachel vive un’infanzia felice animata da una grande curiosità per tutto quello che la circonda. Frequenta la scuola primaria a Springdale, quindi la high school a Parnassus dove si diploma nel 1925. Ammessa al Pennsylvania College for Women si diploma, con lode, in biologia nel 1929, quindi frequenta un corso nel Laboratorio di Biologia Marina e subito dopo continua gli studi di zoologia e genetica alla Johns Hopkins University. Nel 1935 interrompe gli studi a causa della morte del padre e si cerca un lavoro. Viene assunta dal Dipartimento Statunitense per la Pesca prima come redattrice di Romance Under Water, una rubrica radiofonica che ha lo scopo di portare i temi del mare al grande pubblico, per diventare poi assistente di biologia marina presso lo stesso Dipartimento. Rachel, fin da piccola, manifesta una vera propensione per la scrittura, a dieci anni scrive già sul giornale della scuola e da adulta pubblica articoli su varie riviste, riportando i risultati delle ricerche a cui partecipa. Undersea è un suo saggio pubblicato dalla rivista Atlantic Monthly che sarà la base del suo primo libro Under the sea wind. Il suo secondo libro, è del 1951. Pubblicato con il titolo The Sea Around Us, con l’intento di riportare dati scientifici, comunica anche tutta la poesia del mare e diventa rapidamente un best seller. The Sea Around Us regala a Rachel la sicurezza economica, le permette di abbandonare il lavoro presso il Dipartimento e dedicarsi a tempo pieno alla scrittura. Da questo libro viene tratto un documentario che vincerà il premio Oscar. Nel 1955 dà alle stampe il suo terzo libro, The Edge of the Sea e nel 1962 viene pubblicato il suo capolavoro per eccellenza: Silent Spring.
La sua intelligenza, il suo bisogno di capire e il suo amore per la natura la portano a indagare i legami tra la vita e l’ambiente in cui si manifesta, ad osservare come la vita si evolve, tra passato e futuro. All’inizio il suo principale campo d’indagine è la vita acquatica e l’ambiente marino e già qui non può far a meno di osservare la verità fondamentale secondo cui nulla vive per conto proprio. Pian piano il suo interesse si sposta alla salvaguardia della vita terrestre, si accorge così che l’approccio allo sfruttamento delle risorse della terra parte da presupposti assurdi e pericolosi. Il "controllo della natura" - scriverà - è una frase piena di presunzione, nata in un periodo della biologia e della filosofia che potremmo definire l' "Età di Neanderthal", quando ancora si riteneva che la natura esistesse per l'esclusivo vantaggio dell'uomo. Le cognizioni teoriche e i metodi pratici dell'entomologia applicata risalgono in gran parte a quella che va considerata come l' "Età della pietra" del progresso scientifico. Ed è davvero estremamente triste che una scienza ancora così immatura abbia avuto a propria disposizione le armi più moderne e terribili che, nella lotta contro gli insetti, finisce per rivolgere contro la stessa Terra su cui viviamo. Avvalendosi di approfondite ricerche bibliografiche, analisi scientifiche e contatti con numerosi scienziati, Rachel riesce a dimostrare i danni irreversibili provocati dall’uso indiscriminato del DDT e in generale dei pesticidi sull’ambiente e di conseguenza sugli stessi esseri umani. Nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale hanno grande sviluppo, anche grazie ai fondi militari per la scienza, i pesticidi di sintesi, tra cui il tristemente famoso DDT, che sembra la soluzione per molti mali. In quel periodo partono campagne di eradicamento di insetti ritenuti dannosi, come le zanzare portatrici di malaria prima e le formiche rosse in un secondo tempo, portati avanti con la massiccia erogazione di questi veleni, anche con uso di aerei. Rachel decide di occuparsi di questo problema quando riceve una lettera da un’amica che denuncia la moria di uccelli sui suoi terreni dopo uno di questi trattamenti con insetticidi.
Nessuna persona responsabile sostiene che la malattia trasmessa dagli insetti debba essere ignorata. - Scrive Rachel in risposta alle potenti industrie chimiche che le si oppongono duramente - La domanda che ora si è presentata con urgenza è se sia saggio o responsabile attaccare il problema con metodi che stanno rapidamente peggiorando la situazione. Il mondo ha assistito alla guerra vittoriosa contro le malattie attraverso il controllo di insetti vettori di infezione, ma ha saputo poco dell’altro lato della medaglia – le sconfitte, i trionfi di breve durata che ora sostengono fortemente l’allarmante visione secondo cui l’insetto nemico è stato reso più forte dai nostri sforzi. Peggio ancora, potremmo aver distrutto i nostri stessi mezzi di combattimento. E in tema di agricoltura sostiene che ai tempi dell'agricoltura primitiva gli insetti non preoccupavano i coltivatori. Il problema sorse quando cominciarono a svilupparsi le colture con immensi appezzamenti di terreno riservati a monocoltura. Fu tale sistema a creare le condizioni favorevoli a esplosioni numeriche di particolari specie di parassiti. Parole che riecheggiano nell’attuale problematica degli allevamenti intensivi. Il successo di Silent spring è grande, stimola accesi dibattiti e, nonostante l’ostilità delle industrie produttrici il pubblico si schiera per lo più dalla parte di Rachel. Purtroppo Rachel, ammalata di cancro, muore solo due anni dopo l’uscita del suo libro, il 14 aprile 1964, a Silver Spring. Le sue parole però produssero in quegli anni un’onda lunga e portarono ad alcuni risultati: la proibizione, nel 1972, dell’uso del DDT in agricoltura negli Stati Uniti (nel 1978 anche in Italia) e l’approvazione della legge di tutela per gli animali in via d’estinzione. Quanto mai attuale resta l’allarme sui limiti di sostenibilità che l’ecosistema terrestre potrebbe presto raggiungere per lo sconsiderata depredazione delle sue risorse e per la distruzione degli habitat degli altri abitanti del pianeta, gli animali non umani, in nome della folle idea che l’uomo sia in perenne lotta con le forze della natura. Anche se, come diceva Rachel, Il benessere futuro dell'uomo e probabilmente anche la sua sopravvivenza dipendono dall'imparare a vivere in armonia, piuttosto che in lotta, con queste forze.
MAGGIO 2020 La madre di tutti i viventi
Saar era la fanciulla più bella che mai uomo potesse conoscere. La sua pelle era del colore che prende l’orizzonte quando lo sguardo si posa sui boschi e sulle pianure nelle quattro stagioni. I suoi capelli erano come le nuvole trascinate dal vento. Si vestiva di profumo di rimmo e i suoi occhi erano colore dell’erba e del cielo. Quando lei nacque non c’era ancora nessun uomo che facesse il guerriero. Non c’erano le opere che noi oggi ammiriamo. Saar era tanto bella che il dio Rasku se ne innamorò e le diede dei figli da amare e da crescere. Fu così che siamo nati. Grazie a nostra madre potemmo vedere cosa c’era stato senza di noi, prima di noi. Fu così che potemmo vedere il cielo stellato e il Grande Albero che cresce tra i mondi. Nostra madre è sempre con noi ed è sempre più bella. Ogni volta che guardiamo le colline, il cielo, il mare, le montagne e le pianure vediamo i suoi capelli, il suo seno e la sua pelle accarezzevole. Ed è così che la vedono i fratelli delle altre famiglie che non sono eguali a noi, ma sono figli come noi della nostra comune madre.
In questo periodo in cui gli umani hanno dovuto fermarsi, ritirarsi dagli spazi che perennemente invadono, sembra quasi di sentire il respiro di sollievo degli altri abitanti del pianeta.
Abbiamo visto tutti immagini e filmati di animali selvatici percorrere le strade semideserte delle città e abbiamo ascoltato con stupore il canto degli uccelli sugli alberi dei viali, senza che il rumore del traffico li facesse tacere. Ed è proprio vedendo la gioia manifestata in questo momento dalle altre specie – scrive Rosalba Nattero in un suo articolo su Shan Newspaper - che ci si rende conto del disastro che la specie umana ha compiuto ai danni degli animali. Tanto per cominciare, ora che gli animali si stanno riappropriando del pianeta, ci possiamo accorgere di quanto il genere umano sia stato invasivo, privando le altre specie di tutti i loro spazi. E se la leggenda ci fa sognare di tempi lontani in cui i figli di Madre Terra vivevano in pace, gli uni accanto agli altri, consapevoli del Mistero che tutti comprende, ci auguriamo che questo strano tempo “sospeso”, in cui la maggior parte delle attività si sono fermate lasciando il tempo per riflettere, porti a considerare i messaggi che la natura manda e a riconsiderare l’impatto che gli esseri umani hanno sul pianeta, per arrivare ad un rapporto più maturo con se stessi, gli altri (indipendentemente dalla specie) e l’ambiente. L’idea arrogante dell’uomo padrone del creato ha fatto il suo tempo. È una posizione ignorante e obsoleta imposta con la violenza secoli orsono e che non può più appartenere alla gente di questo millennio. È il momento di riallacciare il legame con l’antica conoscenza dell’umanità, quella tramandata dalle leggende e custodita dai popoli naturali del pianeta.
Giancarlo Barbadoro - Rosalba Nattero, "Leggende Druidiche: Miti e vicende dell’epopea dei Celti", Edizioni Triskel Articolo di Rosalba Nattero:
Emergenza Coronavirus: come la vivono gli animali?
Un personaggio del Toro: Erik Satie
Sono venuto al mondo molto giovane in un tempo molto vecchio. Erik Satie è un musicista francese della seconda metà dell’ottocento. È una figura particolare che sfugge alle definizioni: dotato di un animo ribelle e mistico, bohémien, anticonformista e provocatorio, Erik è un personaggio fuori dagli schemi. Il suo carattere ironico e bizzarro, la sua musica lontana dai dettami accademici non fanno apprezzare più di tanto il suo talento dai suoi contemporanei ma le sue composizioni influenzeranno in maniera determinante tutta la produzione musicale del novecento. Del suo Segno di nascita, il Toro, incarna la fermezza interiore che gli consente di essere ribelle verso le regole oppressive e formali. Erik Satie nasce il 17 maggio 1866 a Honfleur, un piccolo villaggio della Normandia. Quando Erik ha quattro anni, la famiglia si trasferisce a Parigi, dove il padre ha trovato lavoro. Alla morte della madre, nel 1872, Erik ritorna con il fratello minore Conrad dai nonni paterni a Honfleur, dove comincia a studiare musica con un organista locale, suo primo insegnante. Nel 1878, alla morte della nonna, Erik e Conrad ritornano a Parigi dal padre, che nel frattempo si è risposato con una giovane insegnante di piano, la quale darà lezioni a Erik. Nel 1879 entra in conservatorio, ma i risultati sono poco brillanti a causa del suo carattere ribelle. Definito “privo di talento” viene ben presto espulso e non andrà meglio neppure due anni dopo quando tenterà di tornarci.
Forse deluso da questi insuccessi decide di cambiare completamente vita e si arruola nell’esercito. Ben presto però capisce di non essere adatto alla vita militare e con uno stratagemma riesce a congedarsi. Nel 1887 si trasferisce a Montmartre dove incontrerà gli artisti della bohéme parigina. In particolare diventa grande amico del poeta Patrice Contamine, e saranno proprio le poesie di Contamine a ispirarlo nelle sue prime opere pianistiche. Erik, usando una scrittura libera, senza divisioni di battute, compone le prime due Gymnopedies e le Gnossiennes. Si tratta di composizioni brevi che rivelano però una struttura interessante e nuova da cui prenderà spunto ad esempio Debussy. Affascinato dall’esoterismo, sempre in quegli anni, entra in contatto con il movimento dei Rosacroce. La Messe des pauvres per coro e organo del 1895 è una delle composizioni che risentono maggiormente del suo misticismo.
È ormai trentenne quando comincia ad esibirsi nei caffè e nei cabaret parigini, soprattutto allo “Chat Noir”, il leggendario locale di Montmarte. In questa atmosfera nascono alcune delle sue composizioni più note quali “Piece froides” per pianoforte, la pantomima “Jack in the box”, la parodia del melodramma, “Geneviève de Brabant”, un’opera in tre atti, per marionette, della durata complessiva di un quarto d’ora. Nel 1905, Erik, che versa in cattive condizioni economiche, si trasferisce nel sobborgo parigino di Arcueil, in un piccolo alloggio, tanto piccolo che lui stesso lo chiamerà “l’armadio”. Qui inizia un nuovo capitolo della sua vita, che sarà anche il momento più fecondo dal punto di vista della sua produzione artistica. Erik chiama ironicamente le sue composizioni di questo periodo “musique de tapisserie” (musica da tappezzeria). Sono un’evidente satira contro l'accademismo e la musica dotta. Ricordiamo tra queste il balletto Parade realizzato in collaborazione con il poeta Jean Cocteau e il pittore Pablo Picasso. Erik introduce nei suoi pezzi musicali suoni che non erano mai comparsi nelle composizioni classiche, come le macchine da scrivere, le sirene o inserendo oggetti nella cassa armonica del pianoforte in modo da modificarne il suono. Come aveva composto un’opera della durata di un quarto d’ora compone il brano più lungo della storia, Vexations, della durata di circa venti ore. Per questo suo intento dissacrante Erik sarà anche vicino al movimento Dadaista. Lo stile oltre ad essere innovativo è particolare perché costituito da un intreccio di umorismo, non sense e misticismo in una composizione di apparente semplicità. Erik Satie muore a 59 anni di cirrosi epatica il 1º luglio del 1925. Alla sua morte, gli amici entrarono nel piccolo appartamento ad Arcueil. C’erano solo due stanze, ma Erik ne usava una soltanto, l’altra era sempre chiusa. Aprendola trovarono, in un disordine indescrivibile, mucchi di lettere mai aperte, bigliettini scritti e disegnati da Erik stesso, una collezione di ombrelli mai usati e sette completi di velluto grigio tutti uguali. Erik vestiva sempre e soltanto un completo di velluto grigio.
APRILE 2020 Luoghi astrologici
In questo strano periodo in cui siamo bloccati in casa, nel tentativo di arginare il diffondersi del Covid-19, AstroMatta propone ai suoi lettori un viaggio virtuale, in giro per il mondo… e oltre, per visitare alcuni luoghi astrologici, cioè luoghi che testimoniano il legame degli esseri umani con il cielo e le stelle. Cominciamo il nostro tour dal Rockefeller Center di New York, un complesso di diciannove edifici che coprono una vasta area tra la Quarantottesima e la Cinquantunesima, la Quinta e la Sesta strada. I primi quattordici edifici costruiti a partire dal maggio del 1930 sono in stile Art Déco. Questo è lo stile della grande piazza al centro del complesso e della sua fontana con la monumentale statua di Prometeo. La statua, realizzata da Paul Manship su commissione dello stesso John D. Rockefeller, è in bronzo dorato e raffigura Prometeo mentre porta il fuoco dal cielo alla terra. Un anello con i segni dello Zodiaco circonda Prometeo.
Con il nostro teletrasporto immaginario ci spostiamo al Museo Nazionale di Tripoli dove troviamo una delle copie della statua di Artemide di Efeso, interessante, dal nostro punto di vista, perché indossa una specie di collana con i Segni dello Zodiaco. La statua originaria sembra fosse realizzata in ebano, il legno nero. Artemide era insomma una rappresentazione di Madre Terra come le madonne nere di epoche successive. Il tempio di Artemide a Efeso era considerato nell’antichità una delle sette meraviglie del mondo. Situato nell’attuale Turchia, non lontano da Smirne era veramente imponente. Plinio racconta che le colonne erano alte 20 metri, snelle ed elegantemente scanalate. Distrutto e ricostruito più volte ora ne restano solo poche rovine. E ora in viaggio verso il Senegal per visitare il sito megalitico di Sine Ngayène. Sine Ngayène fa parte, con altri siti, del grande complesso megalitico che occupa una vasta area (circa 350 Km di lunghezza e 100 di larghezza) al confine tra Senegal e Gambia e dal 2006 è riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’umanità. Sine Ngayène comprende diversi tumulus e cinquantadue cerchi di pietre erette. Le pietre, che arrivano a pesare anche sette tonnellate, sono ancora nella loro posizione originale e molto ben conservate, anche perché le popolazioni locali le considerano parte della loro spiritualità e ne hanno rispetto. Il taglio, il trasporto e la posa di queste grandi pietre presuppone un’abilità ed una tecnica notevole che fa presupporre siano espressione di una civiltà dotata di un know-how tutt’altro che primitivo. Gli antichi miti dell’umanità, conservati dai popoli naturali, ricordano che i cerchi di pietre erano contemporaneamente templi dello spirito, luoghi di cultura e arte nonché osservatori astronomici che celebravano il legame tra la terra e il cielo e il ricordo di una conoscenza ricevuta dagli dei venuti dalle stelle.
Riattraversiamo l’Atlantico e raggiungiamo i Caraibi per andare in Martinica, dove si contano numerosi massi coppellati. Le rocce con coppelle sono un elemento della cultura megalitica e si trovano in tutto il mondo. Come tutto ciò che appartiene alla preistoria, queste antiche testimonianze sono spesso sottovalutate nella loro importanza. In Martinica però incontrarono l’interesse di alcuni studiosi. Il primo a interessarsene, fu, alla fine del XIX secolo, Villebrode Coridon, governatore ad interim della Martinica e amante delle antichità. A lui si deve la prima catalogazione delle pietre con coppelle, da lui definite antichi altari. Dopo di lui se ne occupò appassionatamente il canonico Désiré Tostivint che riconobbe un valore mistico a queste incisioni, secondo lui opera di antichi astrologi. Naturalmente la sua interpretazione fu molto criticata dagli accademici. Nonostante ciò uno dei possibili significati delle coppelle, è proprio quello di rappresentazioni delle stelle del cielo e di particolari costellazioni. Tra i massi coppellati della Martinica andiamo a vedere la “Roche à Bon Dieu”, che si trova a Macouba, sul bordo di un torrente, a circa 300 m dall'Atlantico. Con i suoi tre metri e mezzo di lunghezza e più di due metri di larghezza sembra una grande tavola con la superficie superiore punteggiata di coppelle.
Dall’Atlantico al Pacifico, il nostro viaggio ci porta alle Isole Gibert, sedici atolli e un'isola alta che formano l'arcipelago principale delle Kiribati, nel centro dell'Oceano Pacifico. Per gli abitanti di queste isole il rapporto con il cielo è naturale e intenso. Praticamente vivono in un mondo fatto di acqua e cielo e conoscere le stelle è indispensabile per orientarsi e spostarsi da un’isola all’altra. Navigatori esperti da sempre, soprattutto in tempi in cui non esistevano molte strumentazioni, imparavano fin da ragazzi a conoscere le stelle poste sopra le varie isole e quelle all’orizzonte che servivano loro da indicatori di direzione, come se fossero delle bussole. I ragazzi imparavano la posizione delle stelle dall’esperienza degli adulti, in speciali edifici che erano vere e proprie scuole. Nelle Isole Gilbert le travi del tetto di queste costruzioni erano disposte in modo da rappresentare la suddivisione del cielo e la posizione delle costellazioni. E per finire facciamo un salto nello spazio e arriviamo su Marte per andare a vedere di persona il famoso monolite che un po’ di anni fa accese la curiosità di molti. Il monolite è uno dei misteriosi oggetti fotografati sul suolo del pianeta rosso. Sono state individuate una faccia dai tratti umanoidi, una piramide e delle strane costruzioni che non sembrano essere di origine naturale. Naturalmente per molti si tratta di interpretazioni che hanno poco di realistico ma perché non lasciare aperta l’ipotesi che si tratti di segni lasciati da antiche civiltà? In un articolo del Corriere della Sera del 2013, a proposito del monolite si legge “La roccia misura diversi metri d’altezza, è rettangolare e somiglia al leggendario monolite nero di 2001 Odissea nello spazio. Lo strano reperto - ripreso su Marte da una distanza di circa 260 chilometri - è stato scovato da astronomi dilettanti nelle foto ravvicinate del pianeta rosso, scattate qualche anno fa da HiRise, il sensore ottico della Nasa. È la prova dell'esistenza di un'antica civiltà marziana? Eretto dagli alieni per chissà quali ragioni? La risposta dell’agenzia spaziale pare molto più semplice.” L’agenzia spaziale americana smentisce e parla di semplice effetto ottico. A stuzzicare ulteriormente la nostra curiosità c’è però una dichiarazione di Buzz Aldrin, uno dei tre astronauti dell’allunaggio del 1969, che in un’intervista dichiarò “Dobbiamo visitare le lune di Marte. C’è un monolite lì, una struttura molto particolare su questo piccolo satellite di Marte a forma di patata”. Il satellite a cui si riferiva è Phobos e anche lì in effetti è stato fotografato un oggetto che ha tutta l’aria di un monolite. Forse il pianeta rosso ha una storia interessante da raccontare.
Bibliografia - https://www.erudit.org/fr/revues/bshg/2016-n173-bshg02535/1036582ar.pdf - http://planet.racine.ra.it/testi/maori.htm
Un personaggio dell’Ariete: Vincent Van Gogh Per quanto mi riguarda nulla so con certezza. Ma la vista della stelle mi fa sognare.
Chi non conosce Vincent Van Gogh il pittore dei girasoli e della notte stellata? L’ artista innovativo e geniale, l’anima ai confini con la follia, la vita strana, fragile e impetuosa, che si traduce in pennellate ruvide, in i colori densi, corposi, luminosi. Vincent ha il fuoco dell’Ariete e la sua fragilità, caratteristiche che nel suo caso sono portate all’eccesso. Sono un uomo passionale, - diceva di sé - portato a fare cose più o meno insensate, delle quali mi capita più o meno di pentirmi. Delle volte tendo a parlare o ad agire con un po’ troppa fretta, quando invece sarebbe meglio aspettare e portare pazienza. Vincent Van Gogh nasce il 30 marzo 1853 a Groot Zundert, in Olanda, figlio di un pastore protestante. Comincia a disegnare fin da bambino anche se la pittura diventerà il suo linguaggio espressivo molto più tardi. L’ambiente familiare in cui vive è molto austero. Per tutta la vita Vincent manterrà un legame molto stretto con suo fratello Theo, mercante d’arte che per anni lo sosterrà economicamente. Un legame profondo che si sviluppa anche nelle tantissime lettere che Vincent invia al fratello, confidandosi con lui, raccontandogli la sua vita e il suo sentire più profondo.
Vincent ragazzino inizia a studiare a Groot Zundert poi continua a Zevenbergen e finisce le scuole a Tiburg. Nel 1869 comincia a lavorare. Il suo primo impiego è nella succursale della casa d'arte parigina Goupil e Cie. E per la casa d’arte si sposterà all'Aja e poi a Londra e infine a Parigi, dove si trasferisce definitivamente nel maggio del 1875. Il periodo parigino è molto importante per Vincent, qui scopre l’impressionismo, entra in contatto con l’ambiente artistico, conosce Toulouse Lautrec, Paul Gauguin e altri pittori, si appassiona alle stampe giapponesi e trova serenità nella compagnia e nella protezione di suo fratello Theo che già da tempo vive nella capitale francese. Nel 1876 viene licenziato e inizia a studiare la Bibbia con tanta passione da trasformare la lettura in una vocazione religiosa. Nel 1879, forse per seguire le orme del padre, Vincent accetta un incarico dalla Scuola di Evangelizzazione di Bruxelles e si reca nelle regioni minerarie del Belgio per prendersi cura dei malati e predicare la Bibbia ai minatori. La vita e la povertà dei minatori lo colpiscono profondamente nell’animo così decide di condividere la loro condizione completamente, dividendo con loro pasti frugali e dormendo come loro in una baracca. E mentre ai suoi superiori il suo modo di vivere e predicare sembra eccessivo e non gli rinnovano l’incarico, per lui la vicinanza con gli umili diventa una base della sua filosofia di vita e una fonte di ispirazione per le sue opere, perché proprio nella rudezza, nella semplicità percepisce una verità che merita di essere rappresentata. Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole – qualcuno che non ha posizione sociale né potrà averne mai una; in breve, l’infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero cosa c’è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno.
Resta comunque in lui una nota profonda di religiosità che ogni tanto affiora: Quando sento un terribile bisogno di, se devo nominarla, religione, allora esco e dipingo le stelle – scrive. E ancora: Sii chiaramente consapevole delle stelle e dell'infinito in alto. Dopotutto, la vita sembra quasi incantata. Grazie al sostegno finanziario di Theo, che lo aiuterà per tutta la vita, Vincent riesce a dedicarsi completamente all’arte. Si stabilisce all’Aia e qui incontra per strada Sien Vincent, una donna abbandonata dal marito con una bambina e un altro figlio in arrivo. Vincent fa di lei la sua modella e la sua famiglia. Io penso di vedere qualcosa di più profondo, più infinito, più eterno dell'oceano nell'espressione degli occhi di un bambino piccolo quando si sveglia alla mattina e mormora o ride perché vede il sole splendere sulla sua culla. Vincent e Sien si lasciano nell’83. Vincent va a vivere a Nuenen e continua con i suoi esperimenti pittorici, dipingendo instancabilmente, soprattutto i contadini. Il mondo non m’interessa se non per il fatto che ho un debito verso di esso, e anche il dovere, dato che mi ci sono aggirato per trent’anni, di lasciargli come segno di gratitudine alcuni ricordi sotto forma di disegni o di quadri, non eseguiti per compiacere a questa o a quella tendenza, ma per esprimere un sentimento umano sincero.
Nel 1885 si trasferisce ad Anversa, dove tenta senza successo di seguire i corsi dell’Accademia, e poi a Parigi da Théo che nel frattempo è diventato dirigente della filiale di Montmartre di casa Goulpil. Nella piccola galleria d’arte Théo espone opere dei pittori emergenti e di quelli ancora sconosciuti e Vincent ha modo di incontrarli, discutere con loro e imparare nuove teorie e tecniche. In questo periodo la sua pittura si trasforma da buia a luminosa. Vincent dipinge nature morte, paesaggi e autoritratti. Nel 1888, su consiglio del fratello Théo, Vincent si trasferisce ad Arles, nel sud della Francia e va a vivere con Paul Gauguin, con il quale ha intenzione di fondare un’associazione di artisti. Tra Vincent e Paul il rapporto si fa via via più complicato, spesso conflittuale fino a culminare in episodi di violenza. Alla fine Paul se ne va, probabilmente dopo l’ennesima lite furibonda questa volta dovuta alla gelosia di Vincent per Rachele, suo grande amore. Proprio a Rachele è legato il famoso episodio dell’orecchio tagliato, quando Vincent, folle di gelosia e forse annebbiato dall’assenzio, si taglia parte dell’orecchio sinistro con un rasoio e lo invia a Rachele, come pegno di amore. Documenterà poi questa follia in un quadro che lo ritrae con l’orecchio fasciato.
Due giorni dopo, a seguito di una crisi violenta, Vincent viene rinchiuso in manicomio. Da questo episodio inizia un periodo tormentato, in cui Vincent entra ed esce più volte dall’ospedale. La sua anima sembra contemporaneamente folle e lucida, sofferente e luminosa. È di questo periodo La notte stellata, uno dei suoi quadri più famosi. Quando finalmente viene dimesso passa tre giorni a Parigi a casa del fratello e per il nipotino, che Théo ha voluto chiamare Vincent, e la cognata dipinge Un ramo di mandorlo su un fondo di cielo azzurro che cattura la luce della primavera. Vincent va a vivere a Auvers-sur-Oise e qui passa l’ultimo periodo della sua vita. Muore a 37 anni per un colpo di rivoltella al petto. Probabilmente si tratta di suicidio ma non è certo, potrebbe anche essere stato un incidente, magari colpito per errore da ragazzi che stavano giocando con una pistola, mentre Vincent era in giro per i campi, forse per dipingere, forse per passeggiare. Comunque sia Vincent torna a casa ferito e muore il giorno successivo. È il 29 luglio 1890. Di lui ci piace ricordare, oltre alla sua arte, l’animo sensibile che gli faceva cogliere gli aspetti più intimi e veri della natura, tanto da affermare: Vedo ovunque nella natura, ad esempio negli alberi, capacità d’espressione e, per così dire, un’anima, oppure: Se non hai un cane – almeno uno – non c’è necessariamente qualcosa di sbagliato in te, ma ci può essere qualcosa di sbagliato nella tua vita, e ancora: Da quando visitai i mattatoi nel sud della Francia smisi di mangiare carne. Per quanto la sua vita sembri una corsa febbrile era un uomo dotato di una percezione piuttosto lucida della sua esistenza. Di sé scrive: Nella mia febbre cerebrale o follia, non so come chiamarla, i miei pensieri hanno navigato molti mari. E ancora: Noi siamo dei pellegrini, la nostra vita è un lungo cammino, un viaggio dalla terra al cielo.
MARZO 2020 Grandi pietre sotto il cielo stellato
Chi non conosce Stonehenge, il grande tempio megalitico che sorge non lontano da Salisbury in Inghilterra? Il profilo delle sue grandi pietre che di staglia contro il cielo appartiene all’immaginario collettivo. Ma Stonehenge è solo uno dei tanti siti megalitici che testimoniano i tempi antichi, quelli della misteriosa preistoria, quelli che la storia ufficiale preferisce ignorare. La preistoria, secondo la cultura maggioritaria, appartiene ad un passato in cui gli esseri umani erano poco più che bruti che vivevano in caverne, si aggiravano vestiti di pelli e armati di clave, capaci appena di modellare grossolanamente qualche pietra. Che cosa avrebbero mai da dire questi cavernicoli sul cammino della civiltà che progredisce via via fino a giungere a quella attuale, massimo esempio dell’ingegno dell’uomo? In effetti le grandi pietre, che si ergono nelle campagne e nei boschi ora solitarie, ora allineate o disposte a formare triliti, cerchi, tavole, o camminamenti sembrano totalmente estranee al mondo attuale e alla sua cultura. La loro imponenza, il loro numero e la forza che esprimono rappresentano però un vero e proprio mistero. Chi le ha erette? Perché? Quali intenzioni animavano questi antichi costruttori?
E come mai sono diffuse su tutto il pianeta, ripetendo forme praticamente identiche? Li troviamo in tutta l’Europa ma anche in Asia, in Africa, nelle Americhe, in Australia e Oceania. Ci sono i menhir, massi isolati di grandezza variabile che possono raggiungere anche dimensioni davvero notevoli; gli allineamenti, ovvero pietre messe su una o più file parallele; i cromlech, pietre disposte a formare un cerchio, i dolmen, costruzioni ottenute da due o più lastre di pietra posizionate verticalmente in modo da sorreggere una o più lastre orizzontali che fanno da copertura; i tumulus, colline artificiali ottenute ricoprendo con terra e pietrisco delle camere di pietra. Inoltre queste pietre presentano a volte delle particolari incisioni, dette coppelle, posizionate in modo da riprodurre costellazioni del cielo. Gli archeologi solitamente interpretano queste costruzioni come tombe, anche se questa definizione sembra dettata più dal desiderio di seppellire queste testimonianze scomode che dal ritrovamento di qualcosa che ne giustifichi la classificazione come monumento funerario. Stessa sorte del resto è capitata alle piramidi, altre costruzioni diffuse su tutto il pianeta. Solitamente di grandi dimensioni, a volte vere e proprie colline, con all’interno camere e corridoi. Se le famose piramidi della piana di El Giza sono fatte rientrare, appunto come tombe, nella storia della civiltà egizia, le altre hanno sopravvivenza difficile.
Ne è un esempio la piramide di Saint André, vicino a Nizza, demolita per far posto ad un raccordo autostradale, o quelle di Visoko, in Bosnia, scoperte da Semir Osmanagic, che alcuni skeptics si ostinano a definire “colline naturali”. Tra le costruzioni megalitiche si possono annoverare anche le grandi mura, costituite da enormi massi sovrapposti e accuratamente tagliati in modo da combaciare perfettamente. Anche queste mura, realizzate con modalità praticamente identiche, le troviamo in continenti lontani tra di loro, abitati da popoli che, in base alla storia ufficiale, non potevano avere contatti tra loro. E allora? Come si spiega questo mistero? La presenza dei megaliti diffusa su tutto il pianeta sembra parlarci di un’antica civiltà planetaria, ormai scomparsa, ma questa possibilità non collima con la cultura attuale, disegnata dall’avvento delle grandi religioni storiche, in perenne conflitto tra loro per la difesa e la diffusione delle loro verità. Ma è possibile recuperare il ricordo di quanto è avvenuto precedentemente? La risposta è sì. L’antica memoria dell’umanità, anche se rinnegata dalla cultura ufficiale, non è andata perduta nei meandri del tempo e degli eventi. È sopravvissuta nei miti che sono veri e propri strumenti, pensati per trasmettere esperienze e avvenimenti dal più lontano passato ai giorni nostri.
E se la cultura maggioritaria preferisce ignorare, se non volutamente nascondere, la possibile esistenza di un altro modo di vivere, non basato sull’oppressione, sulla conflittualità, sulla ricerca del potere e del denaro questo non significa che non sia esistito e che tuttora esista anche se meno evidente e chiassoso di quello che detiene il potere. Sono i popoli naturali a conservare la memoria antica dell’umanità, quei popoli che, pur vivendo nel mondo disegnato dalle grandi religioni storiche, non ne fanno parte, hanno un loro modo di rapportarsi alla vita, trovando riferimento sia pragmatico che filosofico, nella Natura e nella qualità immateriale che essa esprime. Nelle tradizioni dei popoli naturali – scrivono Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero nel loro libro “IL CUORE ANTICO” - l’uomo è visto come un ponte tra Terra e Cielo. La cultura e la scienza delle tradizioni dei Nativi tengono sempre conto del nostro legame cosmico con l’Universo e con il Mistero che rappresenta. Non esiste una separazione tra individuo e universo, entrambi fanno parte di un unico atto esistenziale, entrambi sono affratellati dalla stessa esperienza.
La cultura megalitica è l’espressione di questo legame: i megaliti presenti su tutto il pianeta sono la testimonianza di una tradizione che si ispira alla Natura e al mistero che essa esprime. L’uomo non è slegato da ciò che ha intorno poiché anch’egli è parte della Natura e in essa trova insegnamento e riferimento. Quindi non è strano che i megaliti abbiano sempre un orientamento particolare, in riferimento a solstizi ed equinozi o a particolari stelle o costellazioni e nemmeno che queste ultime siano rappresentate sulle loro superfici. E neppure è strano che i popoli nativi che trovano riferimento nella Natura, utilizzino questi siti per celebrare le loro feste, i loro incontri o ne riconoscano particolari funzioni terapeutiche. I cerchi di pietre erette ad esempio, leggiamo ancora ne “IL CUORE ANTICO”, simboleggiano un percorso spirituale che esprime il transito dell’individuo dalla nascita alla morte, verso una dimensione cosmica da esplorare e da capire. Nella Cultura Megalitica, i menhir sono considerati catalizzatori dell’energia tellurica e ponte verso la dimensione cosmica. Colonne energetiche per un passaggio dell’energia di scambio tra Terra e Cielo. I megaliti insomma sono testimoni di una civiltà antichissima, che si perde nella notte dei tempi ma anche di un modo di vivere sempre attuale e vivo e del legame profondo tra gli esseri viventi e le stelle. Per approfondire: Giancarlo Barbadoro, Rosalba Nattero - IL CUORE ANTICO Il testo è frutto di una preziosa ricerca, condotta dai due autori, basata su testimonianze e documenti di prima mano ottenuti in incontri e condivisioni di esperienze spirituali con le antiche famiglie celtiche del Piemonte, del Nord Europa e rappresentanti di popoli naturali di tutti i continenti.
Un personaggio dei Pesci: Rukmini Devi Arundale
Balliamo con i nostri corpi, ma alla fine li dimentichiamo e li trasformiamo.
Rukmini Devi Arundale è un’icona nazionale per l’India. Anima sensibile, visionaria, danzatrice, educatrice, riformista sociale, paladina dei diritti animali, Rukmini rappresenta bene gli aspetti migliori del Segno dei Pesci. È nota soprattutto per la sua appassionata riscoperta della danza tradizionale indiana, per averla riconosciuta come significativa forma d’arte e per averla riportata agli antichi onori nel panorama culturale del suo paese e del mondo intero. Rukmini Devi nasce il 29 febbraio 1904 a Madurai, nel Tamil Nadu, in una famiglia di Brahmini Tamil, sesta di sette fratelli. In famiglia si respira un’aria di cultura, arte e idee liberali: il padre, Neelakanta Sastri, è infatti, oltre che ingegnere di professione, uno studioso di sanscrito e storia e legato alla Società Teosofica di Madras, la madre, Seshammal, è un'appassionata cultrice di musica. Nel 1912 la famiglia si trasferisce a Madras e qui la vita cambia sensibilmente. Questo trasferimento coincide, soprattutto per Rukmini, con un vero ampliamento degli orizzonti, per la possibilità di nuove conoscenze e amicizie. All’interno della Società Teosofica, Rukmini conosce il quarantenne Dr George Arundale, pedagogo australiano e, nonostante la differenza di età, lei ha solo sedici anni, lo sposa. Il matrimonio non incontra i favori della casta dei Bramini che non approvano l’unione di una ragazza della loro casta con un’occidentale e per questo la cerimonia verrà celebrata lontano, a Bombay.
Dopo il loro matrimonio, gli Arundale viaggiano molto in tutto il mondo, stabilendo amicizie e collaborazioni con molti personaggi di spicco della cultura internazionale e durante uno di questi viaggi avranno modo di conoscere, tra gli altri, l’educatrice italiana Maria Monessori. Altro incontro fondamentale per la vita di Rukmini sarà quello con la ballerina russa Anna Pavlova. Rukmini ed Anna diventano amiche sulla nave, durante un viaggio verso l’Australia, e sulla nave Rukmini comincia a imparare a danzare. Posso solo dire che non ho cercato consapevolmente la danza, - dirà in seguito – è la danza che mi ha trovata. " Anna incoraggia Rukmini a scoprire le proprie radici e a studiare la danza tradizionale indiana, così, tornata in India, Rukmini inizia quella che per lei diventa un’attività fondamentale. A quasi trent’anni comincia a studiare la Bharatanatyam, una forma di danza tradizionale ormai declassata e involgarita, praticata solo più dalle ragazze di caste inferiori consacrate ai templi delle divinità maschili indù, per il piacere sessuale dei sacerdoti. L’opera di Rukmini comprende anche il tentativo di avviare un sostanziale cambiamento dell’idea di femminilità rispettabile in vigore in quel momento e di come poteva essere rappresentato il corpo femminile. Rukmini porta la Bharatanatyam ad un nuovo splendore, rinnovando i costumi dei danzatori, inventando nuove coreografie, inserendo giochi di luci sul palcoscenico e introducendo anche nuovi strumenti musicali, come il violino, da affiancare a quelli tradizionali. Grazie anche alla collaborazione di musicisti e artisti di diverse scuole e correnti crea spettacoli basati su storie mitologiche ed epiche, apprezzati a livello internazionale.
La sua prima esibizione pubblica è del 1935 e nello stesso anno si inaugura la Kalakshetra, un complesso scolastico voluto da lei e dal marito, costituito da più ordini di scuole che comprende l’accademia di musica e danza. Caratteristica interessante di questa scuola è la presenza di “aule all’aperto” in modo che lo studio sia associato al contatto con la natura. Nel 1939 George Arundale invita Maria Montessori perché inizi un corso di scuola elementare basato sul suo metodo all’interno della Kalakshetra. Nel 1945 George muore. Nel 1952 Rukmini viene nominata membro della Rajya Sabha, la Camera Alta del Parlamento dell’India indipendente, prima donna a ricevere questo onore. Nel 1977 le sarà anche offerta la presidenza dell’Unione Indiana ma lei rifiuterà la carica privilegiando la sua passione per l’arte e la filosofia alla carriera politica. La sua anima sensibile la porta però ad assumere un ruolo importante nella difesa dei diritti degli animali. contribuendo, nel 1960, alla legge sulla Prevention of Cruelty to Animals Act, fondando, nel 1962, l’Animal Welfare Board of India e ricoprendo per più di tre decenni la carica di vicepresidente dell'Unione Vegetariana Internazionale. Gli animali non possono parlare, ma tu e io non possiamo parlare per loro e rappresentarli? Sentiamo tutti il loro silenzioso grido di agonia e tutti aiutiamo quel grido ad essere ascoltato nel mondo. Sono parole sue e sono parole che chiunque abbia a cuore il destino dei nostri fratelli meno fortunati non può non condividere. Rukmini muore il 24 febbraio 1986, a Chennai, pochi giorni prima di compiere 82 anni. Nel 112° anniversario della sua nascita, Google le dedica un doodle che la ritrae nelle sue vesti di danzatrice tradizionale. Noi vogliamo ricordare il suo cuore sensibile con questa sua dichiarazione, quanto mai attuale: La domanda di cibo vegetariano aumenterà la nostra produzione del giusto tipo di alimenti vegetali. Smetteremo di allevare maiali e altri animali per il cibo, cessando così di essere responsabili dell'orrore dei macelli dove milioni di creature piangono invano a causa dell'egoismo dell'uomo. Se tali campi di concentramento per la macellazione continuano, la pace potrà mai venire sulla terra? Possiamo sfuggire alla responsabilità della miseria quando pratichiamo l'uccisione ogni giorno della nostra vita sostenendo consciamente o inconsciamente questo commercio di massacri? La pace non può arrivare dove la pace non è data.
FEBBRAIO 2020 Cercando nell’infinito
In questa puntata, in cui il personaggio ospite è Galileo Galilei, viene naturale parlare della ricerca, del desiderio di conoscere com’è fatto questo mondo in cui ci troviamo a vivere e anche quale sia la sua misteriosa natura. Galileo con il suo cannocchiale scrutava il cielo e scopriva che Venere aveva le fasi come la Luna, che Giove aveva quattro satelliti, che la straordinaria opalescenza della Via lattea era dovuta a miliari e miliardi di stelle. Si interrogava sul moto della Terra, da secoli descritta come immobile centro dell’universo. La sua avventura di scienziato ci porta a identificarci nel suo amore per la ricerca e la scoperta, ricordando tutte le volte che nel cielo notturno abbiamo cercato di individuare pianeti, stelle e costellazioni o puntato il dito a disegnare la scia di una stella cadente appena vista sfrecciare. Il desiderio di capire il mondo in cui si vive è tra i bisogni essenziali di tutti i viventi. Guardare il cielo poi è un’esperienza particolare: è un po’ come ritrovarsi bambini di fronte ad un mondo misterioso, pieno di domande a cui non sono ancora date risposte preconfezionate ed è ancora tutto da scoprire. E questa in fondo è la vera dimensione della ricerca, dove ognuno è un po’ scienziato, dove ognuno è viandante, dove ognuno può cercare e trovare il sentiero percorso da altri viandanti di un tempo più o meno lontano, alla ricerca della conoscenza. Purtroppo non sempre il puro desiderio di conoscere viene accettato dalla cultura del tempo. La vicenda di Galileo ne è un esempio, ma anche ai giorni nostri troppe volte la ricerca sottende interessi tutt’altro che puri che indirizzano verso percorsi predeterminati, ignorano volutamente ambiti bollati aprioristicamente come non degni di interesse o addirittura portano conseguenze terribili come lo sfruttamento di innocenti creature per sperimentazioni inutili e crudeli. Quello che ne deriva non ha neppure il diritto di chiamarsi ricerca scientifica perché nasce dall’ignoranza, o dalla presuntuosa negazione, del legame indissolubile che ci unisce all’universo di cui siamo parte, alla pari con tutti gli altri esseri, tutti partecipi dello stesso mistero. Del resto ogni scoperta porta naturalmente allo stupore e a guardare verso il grande mistero da cui tutto è scaturito. E a proposito della ricerca che cosa può insegnarci lo Zodiaco? Può ricordarci il nostro legame profondo con le stelle e suggerirci che ci sono più prospettive da cui guardare una stessa realtà, angolature diverse che unite tra loro danno una visione più completa e più comprensibile. Di seguito proponiamo dodici affermazioni, di dodici autori diversi, uno per Segno zodiacale. Sono spunti di riflessione su un tema che ha una rilevanza notevole nella nostra vita. Per l’ACQUARIO la vita è un viaggio attraverso luoghi affascinanti e significativi: La sola cosa invincibile in natura è la curiosità, scrive Freya Stark, viaggiatrice.
Per i PESCI la ricerca che conta è quella della verità profonda delle cose: Lo studio e la ricerca della verità e della bellezza rappresentano una sfera di attività in cui è permesso di rimanere bambini per tutta la vita, afferma Albert Einstein, fisico e filosofo.
Per l’ ARIETE cercare è agire con slancio anche quando avviene nel proprio cuore: Questa è la vera esplorazione che vi attende! Non fare la mappa delle stelle e studiare la nebulosa ma tracciare le ignote possibilità dell’esistenza, dice Leonard Nimoy, attore e regista. Per il TORO ciò che conta è la fermezza nell’affermare i principi e nel portare avanti gli intenti: Il mondo non ha bisogno di dogmi, ma di libera ricerca, sostiene Bertrand Russell, filosofo. Per i GEMELLI la realtà è poliedrica e indagarla è un gioco fonte di continuo stupore: Colui che cerca con curiosità scopre che questo di per sé è una meraviglia, asserisce Maurits Escher, incisore e grafico.
Per il CANCRO ciò che conta è la motivazione profonda delle cose: La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità, afferma Nikola Tesla, fisico e inventore. Per il LEONE è importante ricordare ciò che c’è all’inizio, all’origine: La fonte che alimenta ogni ricerca metafisica è la meraviglia che qualcosa in genere sia, e non il nulla, dice Max Scheler, filosofo.
Per la VERGINE la meraviglia sta anche nelle piccole cose: Cerco di osservare ciò che ho sempre sotto gli occhi: il giardino di casa, la mia strada. E tutto mi sorprende, ribadisce Wolfgang Goethe, poeta e scrittore.
Per la BILANCIA è fondamentale che tutto si svolga in un contesto di giustizia e armonia: La professione del ricercatore deve tornare alla sua tradizione di ricerca per l’amore di scoprire nuove verità. Poiché in tutte le direzioni siamo circondati dall’ignoto e la vocazione dell’uomo di scienza è di spostare in avanti le frontiere della nostra conoscenza in tutte le direzioni, non solo in quelle che promettono più immediati compensi o applausi, sostiene Enrico Fermi, fisico. Per lo SCORPIONE tutto ciò che finisce può portare ad una nuova nascita a volte anche inaspettata: Non dobbiamo dimenticare che quando il radio venne scoperto nessuno sapeva che si sarebbe rivelato utile negli ospedali. Era un lavoro di pura scienza. E questa è la prova che il lavoro scientifico non deve essere considerato dal punto di vista della diretta utilità dello stesso. Deve essere svolto per se stesso, per la bellezza della scienza, e poi c’è sempre la probabilità che una scoperta scientifica possa diventare come il radio un beneficio per l’umanità, scrive Maria Curie, chimica e fisica. Per il SAGITTARIO è naturale guardare oltre i confini che vengono tracciati: Il poeta è intimo con la verità, mentre lo scienziato si avvicina goffamente, afferma Jagadish Chandra Bose, fisico e botanico. Per il CAPRICORNO conta la determinazione nel portare a compimento ciò che si intraprende: Nessuno si impegna in una ricerca in fisica con l’intenzione di vincere un premio. È la gioia di scoprire qualcosa che nessuno conosceva prima, sostiene Stephen Hawking, cosmologo e fisico.
Un personaggio dell’Acquario: Galileo Galilei
Eppur si muove… Questa è la celebre frase che, si dice, Galileo Galilei abbia mormorato dopo l’abiura delle sue teorie a cui fu costretto dal Tribunale dell’Inquisizione. Probabilmente Galileo non la pronunciò davvero ma sicuramente corrispondeva al suo sentire e sintetizzava bene il primato della curiosità e della ricerca sulla superstizione e l’arroganza dei sedicenti intermediari con la divinità. Galileo Galilei astronomo, astrologo, matematico e filosofo è considerato il padre della scienza moderna perché con il suo metodo e l’utilizzo dei suoi strumenti cambiò il modo di approcciarsi ai fenomeni della natura. Il suo metodo scientifico è semplice, pragmatico e improntato all’apertura mentale. Ogni fenomeno può essere osservato senza preconcetti, riprodotto in laboratorio, se possibile, per meglio comprenderlo e quindi valutare le leggi che regolano il suo comportamento. Galileo è l’ospite del mese in rappresentanza del Segno dell’Acquario di cui interpreta l’amore per il nuovo, sia per le teorie sia per l’aspetto tecnologico, la fiducia nel futuro e negli altri.
Galileo Galilei nasce a Pisa il 15 febbraio 1564 primogenito di Vincenzo, musicista e teorico della musica e di Giulia Ammannati. I suoi genitori pur appartenendo alla media borghesia hanno in realtà pochi mezzi economici e questa problematica preoccuperà per lungo tempo Galileo. Trascorre la sua infanzia tra Pisa e Firenze e qui comincerà i primi studi di letteratura e logica. Nel 1581 si iscrive alla facoltà di Medicina di Pisa per far contento il padre, ma ben presto ritorna a Firenze, dove comincia a coltivare quella che ha scoperto essere la sua passione: la meccanica. Approfondisce gli studi di matematica e fisica che lo portano a costruire macchine complesse a formulare alcuni teoremi di meccanica e geometria e a progettare la bilancia idrostatica per calcolare il peso specifico dei corpi. Tra il 1589 e il 1592 insegna matematica all’Università di Pisa e intanto continua i suoi studi, pubblica anche De Motu, sul movimento dei corpi in caduta. Quando, nel 1591, muore il padre, Galileo diventa capo famiglia e deve occuparsi del sostentamento dei suoi numerosi fratelli. Nel 1593 diventa docente di matematica, geometria e astronomia all’Università di Padova e qui resterà fino al 1610. Questi saranno, per sua stessa ammissione gli anni migliori della sua vita.
Il suo studio di Padova diventa una vera e propria officina in cui Galileo studia, esegue esperimenti, costruisce strumenti con le sue stesse mani, vendendo a volte le sue realizzazioni per arrotondare lo stipendio. Nel periodo padovano diventa famoso anche come redattore di oroscopi. Molti personaggi importanti del tempo si recano da lui riconoscendogli bravura come astrologo fatto che, attualmente, sembra quasi imbarazzante. C’è chi cerca di giustificarlo ricordando le sue difficoltà economiche o la cultura del tempo ancora infarcita di superstizione. Se per Galileo la matematica è l'alfabeto nel quale Dio ha scritto l'universo, non è però strano che potesse interpretare il cielo tramite gli antichi simboli dello Zodiaco. Del resto il fatto che tra i temi natali redatti da Galileo ci siano sia quelli delle sue due figlie, Virginia e Livia, che il suo, dà l’idea che ritenesse valido calcolarli e interpretarli. Del resto lui stesso affermava che le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella. Sempre negli anni trascorsi a Padova comincia ad interessarsi alla teoria copernicana ed è nella sua officina che nel 1605 comincia a studiare e modificare un cannocchiale olandese, nell’intento di renderlo più idoneo ad osservare la volta cielo notturno ed i corpi celesti. Con questo strumento riuscirà ad osservare la superficie della Luna con i suoi monti e i suoi mari, la Via Lattea che gli appare un incredibile ammasso di stelle, Venere che muta di forma come la Luna e quattro stelline mai viste ovvero i satelliti di Giove. Nel 1610 pubblica un trattato di astronomia rivoluzionario: il Sidereus Nuncius.
Invia la sua opera a Cosimo II de Medici che lo convoca a Firenze, lo nomina Matematico e Filosofo del Granduca di Toscana e gli assegna una cattedra per insegnare. Gli studi e le scoperte di Galileo provocano meraviglia, interesse e anche polemiche. Da un lato c’è chi asseconda il suo lavoro, dall’altro la Chiesa teme che vengano messe in crisi le parole dei sacri testi. È noto l’episodio di monsignor Bellarmino che si rifiuta di guardare nel telescopio di Galileo perché ritiene che ingrandire le immagini lontane sia contro natura e che iddio non lo avrebbe mai permesso. Nel 1614 a Firenze il frate Tommaso Caccini dal pulpito accusa Galileo di contraddire le Sacre Scritture e qui cominciano i problemi. Galileo difende la sua teoria perché si basa su ipotesi confermate da raccolta di dati, osservazioni accurate e analisi che portano a dimostrazioni, inoltre la Bibbia non è un trattato di scienze ma un testo spirituale. Nonostante cominci essere additato come eretico e il De Revolutionibus Orbium Coelestium di Copernico venga messo all’indice, Galileo continua il suo lavoro e nel 1630 porta a termine il suo Dialogo sui due Massimi Sistemi del Mondo, una delle sue opere più famose, in cui mette a confronto le due teorie, tolemaica e copernicana, affermando la superiorità della seconda. Chi non conosce la verità è sciocco, ma chi pur conoscendola la chiama menzogna è un criminale, pensa Galileo e nel suo idealismo non immagina che il papa, con cui ha buoni rapporti, possa accusarlo di eresia. Nel 1632 il suo testo viene dato alle stampe ma, nonostante fossero state apportate alcune modifiche concordate con il Vaticano, quando arriva al pontefice viene proibito e Galileo imprigionato e minacciato di tortura. Nel 1633 viene processato, costretto ad abiurare pubblicamente e condannato al carcere a vita. Gli viene concesso di scontare la pena nella sua villa di Arcetri. Galileo è ormai stanco, malato e quasi cieco ma scrive ancora la sua opera più importante Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, che vien pubblicata nel 1638 in Olanda. Muore l’8 gennaio 1642. Per la Chiesa, Galileo resta un eretico fino al 1992, quando papa Giovanni Paolo II riconosce l’errore del Tribunale dell’Inquisizione e lo assolve dall’accusa di eresia.
GENNAIO 2020
Un anno di ispirazione e poesia La prima puntata del 2020 è interamente dedicata a Giancarlo Barbadoro, ospite del mese, perché nato sotto il Segno del Capricorno, e poeta le cui straordinarie poesie possono essere di ispirazione lungo il percorso dell’anno, per i lettori di questa rubrica. È infatti appena uscito un nuovo libro, dal titolo Al di là della Soglia, per le Edizioni Triskel, che raccoglie tutte le poesie di Giancarlo, quelle che abbiamo amato da sempre e quelle inedite, bellissime, pubblicate ora per la prima volta. Questo nuovo libro è un ulteriore regalo, tra i tanti che Giancarlo ci ha lasciati. Suonano come un messaggio d’amore, di libertà e conoscenza dedicato a tutti gli esseri di questo mondo perché non si arrendano mai all’apparenza, all’ovvietà, alla solitudine ricordando che dopo le tenebre torna sempre la luce e che la ricerca di armonia interiore e con quanto c’è intorno vale la pena di essere portata avanti sempre. Per questo alle previsioni dell’anno per ogni Segno è stata abbinata una poesia tratta da questa raccolta che regala una prospettiva verso l’infinito agli avvenimenti e agli umori che quest’anno porta con sé.
CAPRICORNO Le previsioni: La poesia: Figli dell’eden La vita nasce inarrestabile improvvisa, spontanea e generosa. Come tanti fiori di uno sterminato campo, seminati da uno sconosciuto giardiniere che non vediamo mai se non dentro
i nostri sogni e i nostri incubi che ci aprono sul segreto della morte.
Il giardiniere, in silenzio, continua a seminare la vita lontano da noi, senza ascoltare nessun nostro disegno.
Non sono le idee degli uomini che accendono il sole. Non è l’ingegno degli uomini che fa volare i vascelli del cielo. Non è merito di nessuna madre far sentire il primo vagito di un bimbo. Non sono le preghiere degli uomini che fanno crescere l’erba dei campi. Non è l’opera dei poeti a popolare di vita alata l’immenso cielo.
E la semina dello sconosciuto giardiniere continua. Inarrestabile, generosa e spontanea. È lui che ci ha dato vita tra altra vita, senza che abbia scelto un mondo preferito ad altri. Senza avere figli prediletti che abbiano diritto di giudicare e di servirsi di altri.
La poesia: Vivere in una provetta
Come protozoi, brulicanti in una provetta, amiamo
sogniamo eleviamo i nostri pensieri. Ignari del buio ignari del cosmo che ci sta attorno. Assurdamente… Arrancando sul fondo di un oceano di turbolento gas. Immersi nel liquido della provetta planetaria. Ignari o dimentichi, secondo i cicli della ristretta storia, di essere gli abitatori di un oscuro ciottolo lanciato in una folle corsa attorno al più sperduto dei soli della Galassia. Protozoi… Attori inconsapevoli di un dramma senza senso recitato in uno scenario che esiste solo in virtù di un gioco di cariche elettriche sorte dal nulla. Ridendo e piangendo per inconsistenti questioni umane che noi stessi abbiamo inventato in un gioco che ci ha preso la mano. Protozoi… Soggiogati alle emozioni più violente dettate dalla realtà fittizia creata dai sensi.
Protozoi… Prigionieri nella nostra provetta. Schiacciati gli uni sugli altri a far da oppressi e oppressori in un gioco sciocco senza eguali. Protozoi… Così, sino alla morte… Senza stregua e senza scampo finché non diventiamo capaci di guardare dietro allo scenario!
PESCI
La poesia: Guardando le stelle
Sto attraversando la notte E guardo le stelle
Le stelle… Lassù…
Dov’è la scala?
Mi piacerebbe conoscere me stesso nel mistero del cielo nero Le stelle Non sono così lontane…
Anch’io sono una stella.
Sono l’universo. Devo ricordare Che anche io sono libero ARIETE
Per te il 2020 rappresenterà una svolta e ti darà la possibilità di rivedere e risistemare un po’ tutti gli aspetti della tua vita. Le buone opportunità si presenteranno a partire dalla primavera e in estate prenderanno corpo, grazie alla grande energia che questo periodo ti regalerà. L’autunno sarà il tempo di raccogliere i frutti di ciò che hai messo in atto nella stagione precedente. La poesia: La nuova terra
È l’alba del futuro
Gli antichi dei sono scomparsi Per donarci un nuovo tempo
Una nuova terra sorge dalla notte. Nuove messi salgono verso il sole.
La memoria diventa il nostro presente.
Negli antichi segni leggiamo La via della nostra libertà…
La poesia: Le ombre di Tul
I guerrieri mi parlano.
Li intravedo nel buio
nudi, uniti, con le braccia sulle spalle tra di loro danzano in cerchio silenziosi al ritmo dei tamburi calpestando il suolo senza rumore
Dov’è la giustizia se non nel sonno comune In cui si risvegliano anche coloro che sono morti
Nessuno muore invano.
Il sangue ricorda che non si può essere liberi se non ci si prepara alla lotta…
La libertà… La libertà è per tutti.
Pace sia per tutta l’umanità.
La poesia: Viaggiatori del tempo
Riconoscersi per un istante
nello stesso sguardo. Su due sentieri che si incrociano nell’infinita esistenza.
Incontrarsi al di là delle forme e dei pensieri per diventare amici nel tutto senza fine e senza inizio.
Infiniti incontri. Dimenticati Disperatamente trattenuti in uno struggente abbraccio
Istanti sufficienti per riconoscersi e darsi un fugace saluto tra viaggiatori nel labirinto del caos.
Catapultati senza meta precisa attraverso il tempo, attraverso lo spazio e in tutte le stanze dell’universo.
Vivendo la propria vita nel conforto di sogni che nascono e finiscono lasciandoci solo ricordi di avventure che sono state vissute chissà dove e chissà quando.
Infiniti ritorni su percorsi struggenti che si incrociano con quelli di altri viaggiatori. vincendo il tempo e vinti dal tempo.
CANCRO
La poesia: Fuori dal sogno Ho sognato mondi nuovi con albe e tramonti che nessuno ha mai visto
Ho sognato apoteosi di storie mai vissute da nessun uomo della Terra
Ho sognato una umanità nuova che rigenerasse la vecchia progenie di una umanità stanca.
Ma voi, avete mai visto cosa c’è fuori del carrozzone che ci porta a spasso per le oscure strade del Sole giallo?
Ma, avete mai guardato in alto? Verso le stelle? Le stelle…! Sembrano non finire mai!
Sciami di gemme gettate da uno sconosciuto Fattore che ha voluto seminare per ogni dove Meraviglia e Stupore, le piante della vita.
C’è da impazzire nel tentare di comprendere…
C’è dunque un Fuori dal sogno… Che incomincia lassù dove l’aria si fa più rara e incomincia il buio della Verità profonda…
Mi credete pazzo? Mi credete un sognatore? Ma, avete mai provato a guardare le stelle?
Le previsioni: La poesia: Guardando la natura
La nebbia copre il prato del mattino Il cielo emerge dagli alberi trasparente e infinito L’ultima stella dà l’addio alla notte.
La natura si mostra con il dipinto della mia esistenza.
Lo guardo… È tutto qui. È tutto qui… Mi assale la pace.
Ma io chi sono per cogliere l’immensità che mi sta davanti? Perché questo privilegio? Cerco in me stesso al di là dei pensieri…
Percorro le sponde dei fiumi per seguire l’acqua che sa dove andare Salgo le montagne per cercare l’assoluto Guardo il cielo per inseguire le nuvole. Nella notte mi immergo nel segreto delle stelle.
Le stelle…
Sento il mistero entrare a far parte di me.
La poesia:
Ingresso nel Tempio
Capire di dover guardare negli occhi degli altri per trovare solo speranze e racconti di favole… Capire l’inutilità di dover cercare un consenso in coloro che ti stanno vicino per poter aver senso di esistere… Capire che gli altri sono come te. Che non possono dirti nulla sul grande mistero che vuoi conoscere… Capire che c’è un altro modo… Capire che si può chiedere ad un cielo stellato, o ad un marmo spezzato, come a qualcosa che rimane dell’esistenza anche se non si guarda più negli occhi degli altri… Che si può chiedere e avere risposta… È allora che l’universo spegne le sue luci fastidiose per far sorgere la penombra del mistero. Ed è in questa penombra che puoi scorgere, sorgerti accanto, le colonne possenti dell’universo che si trasforma in una immensa cattedrale… Una penombra che si trasforma in una radiosa luce… E tu ti vedi come un bimbetto impacciato stupito che si muove a passi incerti con una infinita curiosità di vita verso un altare che non vedi ma che sai dove si trova. E le fiamme del candeliere eterno accennano ad alimentarsi per illuminare la tua via…
BILANCIA
Le previsioni: La poesia: Coscienza
Un muro bianco appoggiato alla luce sostiene il quadro. Il caldo afoso della notte oscura le stelle. I passi sulla ghiaia diventano ricordi. Vuoti. Come le parole di circostanza. La Luna tace. L’ombra tace. Sembra che tutto non abbia significato. E io straniero in una terra straniera, assurda e barbara, non taccio. Parlo di amore e di libertà cerco conoscenza nei giorni finti di una vita finta di uomini finti.
Le previsioni:
Consolidamento e preparazione sono le due parole che sintetizzano il 2020 per te. Il tuo compito è di portare a termine ciò che hai iniziato, sistemare ciò che hai terminato ma sempre con un occhio al futuro, ipotizzando, cercando, inventando le nuove opportunità che potranno essere messe in atto da fine anno e soprattutto nel 2021, quando le stelle ti porteranno ad operare una profonda revisione della tua vita. La poesia: I guerrieri del vento
Dov’ero quando le grandi ingiustizie furono compiute…
Come è stato possibile lasciar fare alla follia e al dolore…
Ma io… Ero ancora nel vento ero nei boschi ero nelle nuvole e nei prati che attendevo di essere chiamato alla vita.
Adesso non posso più tacere non posso più ignorare.
Nel vento nei boschi nelle nuvole e nei prati altri guerrieri mi seguiranno.
La poesia: Excalibur
L’arcaica spada forgiata dalle mani dell’antico drago attende a indicare
l’eterno cammino.
La sua lama è pronta a squarciare il velo delle tenebre che nascondono il Mistero.
Forza e abilità possono brandirla nell’arcaico sacrificio che porta alla nuova nascita.
La mente è immobile. La volontà si risveglia. Lo spirito si libera dall’illusione della mente come la spada che viene tolta dal suo fodero di pietra…
Saperla usare significa vivere o morire.
Il guerriero è pronto a vincere il suo avversario più temibile… Se stesso.
Giancarlo Barbadoro Al di là della soglia Edizioni Triskel.
Il libro è disponibile anche in formato ebook www.triskeledition.com
Un personaggio del Capricorno: Giancarlo Barbadoro
Da quando l’uomo ha guardato per la prima volta verso il cielo stellato ed è rimasto rapito dalla grandiosità del suo spettacolo è nato in lui il desiderio di conoscere il Mistero che vi ha scorto e di entrare in sintonia con esso, in maniera consapevole, per capire il senso della propria esistenza. Un’esperienza che, nonostante le sovrapposizioni culturali e storiche avvenute nel tempo, è sempre presente nell’animo di ogni individuo.
Come si fa a condensare una vita straordinaria in poche righe? Giancarlo Barbadoro è stato poeta, guerriero, artista, sciamano. È stato ricercatore delle antiche tradizioni dei popoli del pianeta, delle intelligenze diverse che vivono qui sulla Terra e su mondi lontani, del mistero da cui tutti veniamo e che contiene e permea il nostro universo. Ha combattuto per i diritti di tutti e soprattutto degli ultimi tra gli ultimi, gli animali, che vivono la condizione terribile di essere considerati oggetti, usabili ad ogni scopo. Ha portato alla luce le tracce che danno dignità storica alla leggendaria città di Rama e quindi al mito del Graal e della civiltà primigenia che affratella tutti i popoli della Terra. Ha saputo cantare, con le sue poesie e la sua musica, la bellezza dell’esistenza, la forza indomita che la pervade e la saggezza a cui si può pervenire grazie al dono degli Antichi. Giancarlo era nato sotto il Segno del Capricorno e sicuramente la sua determinazione ben rappresenta il tratto saliente del suo Segno. Per lui costruire un mondo migliore per tutti gli esseri che abitano questo pianeta non era una teoria ma una possibilità concreta per cui valeva la pena di lottare ogni giorno. Al contrario di quello che molti affermano la soluzione ai problemi di questo mondo esiste ed è l’ecospiritualità: il cambiamento è possibile se ognuno ha voglia di cambiare, uscendo dalla logica conflittuale che la società maggioritaria impone e cercando un rapporto armonico con la natura, intesa nel suo senso globale che comprende, oltre alla struggente bellezza dei paesaggi incontaminati, il Mistero che essa esprime.
Ed è nel silenzio che può iniziare questo dialogo con la natura, quando il frastuono dei pensieri e delle emozioni si placa, quando l’individuo smette di essere antagonista della natura e scopre di farne parte. E come ottenere il Silenzio? Con la meditazione, un processo di crescita evolutiva interiore che riflette un archetipo evolutivo già presente in Natura e che non è certamente inventato da alcun uomo. Ma solo indicato dalla Natura come salvagente in questo mare di cacca per mantenere a galla e depurare lo stesso mare trasformandolo in un mondo di acque chiare. Giancarlo era dotato di una creatività immensa e utilizzava strumenti e linguaggi diversi per esprimersi: scriveva poesie e saggi, suonava, dipingeva, conduceva programmi in radio e TV, teneva conferenze e incontri e in ogni modo possibile promuoveva la creazione di uno spazio culturale di libero confronto di idee, esperienze, ipotesi, scoperte. Forse proprio da qui possiamo cominciare a raccontare la sua vita. Giancarlo ragazzino vive un incontro che cambierà il corso degli eventi della sua vita. Viene a contatto con una comunità tradizionale autoctona delle valli piemontesi che lo avvicina allo sciamanesimo druidico, una cultura e una filosofia solo apparentemente debellata dai tragici avvenimenti storici che hanno portato allo stato di imbarbarimento attuale. Viene così a conoscenza di un’altra storia dell’umanità e di una libertà di pensiero e di esperienza di vita che la società maggioritaria ignora. Da quel momento Giancarlo dà corpo alla sua personale ricerca d’infinito e contemporaneamente comincia a sognare un mondo diverso, dove tutti i suoi abitanti possono vivere in armonia, aiutandosi reciprocamente e sviluppando liberamente le loro potenzialità.
Si appassiona a tutti i campi di ricerca che la cultura ufficiale disdegna. Negli anni sessanta comincia a collaborare con le riviste dell’insolito, prima Clypeus, poi il Giornale dei Misteri e PiKappa. Agli inizi degli anni settanta fonda il Centro Culturale Jules Laforgue e la rivista Laforghiana che si occupano di ricerca tra scienza e mistero. È in questi anni che Giancarlo riporta alla luce il mito di Rama, che non si sa come sia ormai finito nel dimenticatoio, pur essendo vivissimo fino alla fine dell’800. Fonda il Centro Culturale SPAZIO 4 che diventa un importante punto di riferimento per tutti coloro che sono interessati ad una ricerca appassionata e fuori da schemi ideologici di parte. Il gruppo riscontra un grosso successo e diventa il crogiuolo di dibattiti, ricerche archeologiche sul campo e sarà alche la base di nuovi progetti culturali e musicali. Negli anni ’80 stringe un legame profondo con la Comunità Druidica Tradizionale della foresta di Broceliande, in Bretagna, e qui apprende la tecnica della Nah-sinnar, la musica del Vuoto, e della Kemò-vad, la danza nel vento. Inizia la collaborazione con Rosalba Nattero che sarà al suo fianco in tante nuove imprese ed avventure che hanno come filo conduttore il mito del Graal e della sua ricerca. Insieme entrano in rapporto con altre comunità druidiche tradizionali del Nord Europa: Olanda, Svezia, Irlanda, Scozia… Nel 1986 proprio in Scozia, Giancarlo fonda, con Rosalba Nattero e con esponenti di movimenti filosofici provenienti da varie nazioni di tutto il mondo, il New Earth Circle, il Cerchio di Nuova Terra, un movimento internazionale che ha lo scopo di promuovere la meditazione su tutto il pianeta. Nel 1987 entra a far parte del LabGraal un progetto musicale di Rosalba Nattero che propone l’anima tribale della musica celtica. Giancarlo entra nel gruppo come flautista, poeta e compositore. Nel percorrere il cammino della sua vita vediamo un continuo susseguirsi di eventi, tutti significativi, che diventa complesso elencare e commentare ma la cosa che colpisce è come tutti si inseriscano in una linea precisa, in un progetto coerente che non devia mai da uno scopo preciso: fare tutto quel che si può per realizzare un mondo migliore, fare tutto quel che si può per liberare quanti più esseri possibile dalla sofferenza, indicando lo strumento che può portare tutti al bien-être, alla gioia di vivere e alla costruzione di mondo nuovo.
Nel ‘93 prende contatto con la comunità apaches di San Carlos e in particolare con Ola Cassadore e Miles Davis, della Apache Survival Coalition, con cui inizia una lunga collaborazione. Nel 2000 inizia la sua attività all’ONU partecipando alla Commissione per i Diritti Umani dell’ONU di Ginevra e nello stesso anno fonda la Ecospirituality Foundation. Nel 2001 scrive, con Rosalba Nattero e Ola Cassadore, I Popoli Naturali e l’Ecospiritualità che riceve l’incoraggiamento dell’ONU, Alto Commissariato per i Diritti Umani e che diventa un importante riferimento per molte comunità native. Il libo rende evidente l’esistenza di una precisa identità morale propria dei Nativi di tutti i continenti, che costituisce il loro naturale legame spirituale differenziandoli in maniera inequivocabile dalla società maggioritaria. Giancarlo porta all’ONU le istanze dei diversi gruppi nativi con cui stringe forti legami di collaborazione, amicizia e condivisione spirituale. È così per gli Apache della Apache Survival Coalition, per i Bretoni di Menhirs Libres, per gli Australiani della Wiran Aboriginal Corporation, per lo Mbog-Parlèment del Camerun… L’aiuto ai popoli indigeni viene normalmente inteso come offerta di strumenti pratici per promuoverne uno sviluppo economico ma Giancarlo introduce l’importanza della difesa delle tradizioni ancestrali e dei luoghi sacri , cioè della loro identità tradizionale. Tramite Giancarlo arrivano all’ONU le richieste di rispetto per le montagne sacre degli Apaches e dei Bassa, degli allignements di menhir dei Bretoni.
L’ecospiritualità è una filosofia naturale che porta a rivalutare il rapporto dell’individuo con l’ambiente, dove tutte le creature viventi, e lo stesso pianeta, vengono ad assumere un valore e una dignità equivalenti a quelle dell'uomo. L'individuo non è quindi visto come il dominatore incontrastato del mondo che abita, ma si trova ad essere affratellato a tutte le manifestazioni della vita e con lo stesso pianeta in una comune esperienza planetaria che è parte di un ecosistema che orbita nello spazio. Il sogno planetario di Giancarlo comprendeva anche gli animali, i nostri fratelli usati e abusati, gli ultimi tra gli ultimi. Antispecista fin da bambino nutriva per loro un grande amore e si è sempre battuto per il riconoscimento della loro dignità e parità con gli esseri umani. Nel 1999 comincia a prendere forma il suo progetto di creare un Stone Circle a Dreamland, nel parco della Mandria, non lontano da Torino, per dare continuità all’antica cultura dello sciamanesimo druidico e per celebrare il mito del Graal, e la leggenda di Fetonte. Il luogo ha una sua storia quasi leggendaria ed è scelto in accordo con comunità tradizionali autoctone piemontesi. L’opera viene completata nel 2006 con la posa delle 12 grandi pietre erette. Intorno al grande cerchio è nato e si è sviluppato l’ecovillaggio di Dreamland, voluto da Giancarlo come luogo fisico in cui vivere l’ecospiritualità in tutti i suoi aspetti, dal contatto diretto con la natura alla creazione di un vero laboratorio di ricerche ed esperienze sul bien-être, la gioia di vivere che il rapporto con Madre Terra regala.
Nel 2007, con Rosalba Nattero, dà vita al Progetto Rama Vive. Il progetto vuole riportare alla luce le antiche tradizioni autoctone piemontesi, nell’ambito di un lavoro più ampio sulle tradizioni dei nativi europei. In particolare la ricerca si focalizza sulla leggenda dell’antica città ciclopica di Rama. Pubblicherà Il risultato delle ricerche nel libro Rama Vive scritto con Rosalba Nattero e pubblicato dalle Edizioni Triskel. Nel 2011 iniziano le pubblicazioni di questa rivista on line, Shan Newspaper ,che Giancarlo crea con Rosalba Nattero, Gino Steiner Strippoli e una redazione internazionale. Shan Newspaper diventa la rivista ufficiale della Ecospirituality Foundation. Nello stesso anno fonda insieme a Rosalba Nattero la “Scuola di Kemò-vad Sole Nero” per promuovere una antica disciplina druidica nelle sue componenti di meditazione, storia, cultura, su specifico mandato della comunità druidica di Brocéliande. Intanto continua la sua attività di musicista, scrittore, poeta, giornalista, conduttore radiofonico e televisivo, lavorando incessantemente per il suo sogno di nuovo eden sul terzo pianeta del sistema solare. L’ecospiritualità infatti è intesa come l’espressione di una condizione edenica che viene dal futuro, come aspetto realizzato della potenzialità inevitabile dell’evoluzione dei figli di Madre Terra raggiunta alla fine dell’oscurità storica che sta imprigionando il pianeta. Una condizione di essere che si trova nel futuro ma che coincide con l’antico Eden del passato, che guida con il suo esempio alla realizzazione del presente. Nuovamente nella manifestazione del mistero del vuoto e del pieno che secondo la filosofia druidica reggono l’architettura del Vuoto e si uniscono per interpretare l’invisibile senso reale dell’esistenza. Giancarlo ci ha lasciati il 6 agosto 2019 lasciando in chi lo amava un vuoto incolmabile. Ma lasciando, in chi lo amava, anche un grande “pieno” di idee, progetti, opportunità, sogni che attendono di essere portati avanti, nascere, fiorire in un futuro che forse è già qui. Per chi volesse approfondire la biografia e le opere di Giancarlo Barbadoro:
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