Archeologia |
Nuove sorprese dal nostro passato: i Tunnel sotto la Scozia |
22 Settembre 2011 | ||||
Rinvenuta una rete di gallerie sotterranee che secondo l’archeologo tedesco Heinrich Kusch collegherebbe la Scozia alla Turchia
Nonostante la notizia sia apparsa ormai da qualche settimana per promuovere la pubblicazione del nuovo libro dell’archeologo tedesco Heinrich Kusch, l’esistenza di una rete sotterranea di gallerie appartenenti al neolitico che collegherebbe la Scozia alla Turchia, ha diviso l’opinione pubblica e solleticato la fantasia di molti. La cittadella accademica è stata a malapena toccata dalla curiosità dei dilettanti: come spesso accade, i colleghi archeologi si sono fatti beffa della teoria di Kusch, bollandola come una bufala. Ma questa volta non si tratta dell’ennesimo volo pindarico sulla costruzione delle piramidi o di qualche allineamento archeoastronomico dei megaliti del Neolitico. A supportare il saggio di Kusch vi sarebbe infatti il ritrovamento di parti di quel tunnel disseminate per l’Europa. Solo secondo una ricostruzione ad ampio raggio l’archeologo tedesco sarebbe giunto a ipotizzare che 12 mila anni fa i nostri antenati avessero dato vita a una rete di gallerie sotterranee solo in parte ultimata – o andata distrutta. La scoperta – se accertata - potrebbe rivoluzionare il campo dell’archeologia e portare a una revisione della storiografia antica, così come potrebbe invece sgonfiarsi alla prova dei fatti. Non abbiamo infatti ancora dati sufficienti per inquadrare la notizia diffusa dall’archeologo tedesco che ha dato alle stampe il suo libro “Secrets of the Underground Door to an Ancient World”. Al momento siamo in possesso di foto divulgate dallo stesso Kusch scattate all’interno di questi tunnel scavati nella pietra. Dopo la scoperta nel 1994 di Gobleki Tepe risalente a 12 mila anni fa e destinata a riscrivere la storia del Neolitico, ora emerge un’altra costruzione megalitica, altrettanto misteriosa: una rete di un migliaio di tunnel sotterranei che avrebbe collegato la Scozia alla Turchia – dove, guarda caso, si trovano proprio gli scavi di Gobleki Tepe, al confine dell’Iraq… A seguito del rinvenimento, in varie parti d'Europa, tra cui Austria e Germania, di tratti di tunnel, scavati nella roccia, presumibilmente risalenti al Neolitico, Kusch avrebbe dedotto che intorno al 10000 a.C. una popolazione sconosciuta avrebbe costruito i tunnel, o perlomeno avrebbe dato vita al progetto di un mega tunnel sotterraneo che avrebbe unito l’Europa alla Turchia. Il Dr. Kusch ha infatti dichiarato al German Herald che in Baviera sarebbero stati rivenuti ben 700 metri di questa rete sotterranea, mentre in Austria 350 metri, ma in tutto si tratterebbe di un migliaio di tratti di galleria. Se non possiamo ancora accertare l’esistenza di un unico tunnel sotterraneo scavato nella roccia e al di sotto del livello del mare, è innegabile l’esistenza di diversi tratti di gallerie risalenti, secondo gli studiosi, al Neolitico. Ora, viene da domandarsi il perché di queste immani costruzioni, gli strumenti utilizzati per scavare gallerie sotterranee e il tempo impiegato. In merito al primo interrogativo gli studiosi sembrano orientati a spiegare l’architettura neolitica come una forma di rifugio della popolazione dai “predatori” in superficie: uno stratagemma simile non trova però riscontro in studi o scoperte precedenti. In secondo luogo, quanto tempo potevano passare rifugiati sottoterra i nostri avi senza canaline o condutture d’aria? I passaggi sotterranei misurano all’incirca 70 cm, ma in alcuni punti si allargherebbero lasciando spazio a delle vere e proprie “camere” dall’utilizzo sconosciuto, che farebbero però pensare alla Camera del Re e alla Camera della Regina della Piramide di Cheope. Un inutile esercizio di sincretismo archeologico? Forse, ma anche nel caso della Grande Piramide ci troviamo di fronte a dei veri e propri enigmi, come la mancanza di cartigli o iscrizioni, la presenza dello Zed, e la difficoltà di accesso alla Camera della Regina. La rete sotterranea poteva avere anche una funzione “iniziatica” come probabilmente aveva la Grande Piramide, o serviva soltanto come passaggio da un luogo all’altro del pianeta? E in questo caso, che importanza dovremmo dare alle leggende che narrano di costruzioni sotterranee e di popoli che abitavano nelle viscere della Terra? Gli uomini del Neolitico potrebbero aver “imitato” delle creature che vedevano entrare e uscire dalle grotte o da nascoste entrate al mondo infero? In attesa di una conferma da parte dei geologi, la data di costruzione della rete sotterranea sembra coincidere con quella del sito di Gobleki Tepe. Ciò farebbe almeno supporre che possa essere esistita una popolazione antidiluviana più evoluta del classico “uomo del Neolitico”, come abbiamo imparato a conoscerlo dalle conclusioni dell’archeologia accademica. Senza con questo dover necessariamente rispolverare il mito di Atlantide, Lemuria o Mu, non è così inverosimile teorizzare che siano esistite popolazioni scomparse con il Diluvio (riportato dai miti e dalle religioni classiche e accertato dalla geologia) autrici di quelle vere e proprie “anomalie” del sistema storiografico che stentano a farsi comprendere sotto la categoria di civiltà “primitive”. Non è certo perché avevano a disposizione “molto tempo libero”, come alcuni archeologi hanno ipotizzato, che culture classificate come “primitive” avrebbero potuto dare vita a una rete sotterranea di tunnel o ai megaliti di Gobleki Tepe, dotate soltanto di selci e molta pazienza. Il tentativo di banalizzare le scoperte contemporanee, perché la loro portata storico-simbolica sfugge ancora ai nostri cervelli positivisti, è ridicolo. Ed è un insulto a quelle popolazioni che hanno impiegato decine o centinaia di anni per dare vita a complesse costruzioni, il cui fine ancora ci sfugge per nostra limitatezza, non a causa loro… Se negli ultimi trent’anni stanno emergendo dei reperti – e in questo senso vanno ricomprese anche le ossa di scheletri di Giganti rinvenute in tutto il mondo – che sfidano il sapere comune e che non sono per questo “catalogabili” negli schemi che ci siamo fissati finora, forse, sono quelli stessi schemi – per quanto difficile e doloroso possa essere – che dovrebbero essere riveduti. Dal punto di vista storico, antropologico, filologico questi reperti non possono essere stipati a forza in categorie che non li possono contenere. Questa è una violenza che uno storico per quanto convinto delle proprie “credenze” e di quanto appreso fino ad ora, dovrebbe rendersi umilmente conto. In secondo luogo ci si dovrebbe chiedere quali strumenti siano stati utilizzati ben dodicimila anni fa per scavare questa rete sotterranea e se, come sostiene l’archeologo tedesco, in seguito sorsero in prossimità delle entrate alle gallerie dei luoghi di culto e delle Chiese. Anche le leggende, soprattutto in terra scozzese, ci tramandano l’esistenza di strane creature del Popolo Fatato che potevano accedere all’altro mondo proprio da queste “porte” sotterranee. Inoltre, proprio in corrispondenza di queste ley lines lungo le quali venivano eretti templi, poi chiese o monumenti, il Piccolo Popolo appariva entrando in contatto anche se per poco con gli uomini. In tempi più recenti le cronistorie degli avvistamenti dei fairies hanno ceduto il passo ad avvistamenti più “moderni” e “tecnologici”, ovvero a Ufo o sfere luminose. Rimane costante, però, il legame che questo genere di apparizioni – del Piccolo Popolo, mistiche, ufologiche – hanno con certi luoghi da sempre ritenuti “sacri”. Ora, quasi a tracciare una linea di collegamento tra questi punti nodali, emerge dal passato una rete sotterranea di tunnel, che richiama il mito della Terra Cava e delle misteriose città sotterranee, dal mito di Akakor ad Agarthi. L’esistenza di queste gallerie era forse conosciuta anche in un recente passato? E se così fosse, perché questo segreto è rimasto letteralmente “sepolto” fino ad oggi? |