Ambiente |
Non ne bastavano cinque? |
28 Dicembre 2024 | ||||||||||||
Siamo nella sesta estinzione di massa: l’iconico caso degli Albatros
Ebbene sì. La Scienza con la esse maiuscola ha ormai idee molto chiare sul fatto che la cosiddetta Razza Umana, in un futuro probabilmente non prevedibile ma assolutamente certo, se non cambia registro porterà sé stessa all’estinzione. E quello che ci preme qui è l’aspetto criptozoologico del fenomeno. Se è vero, come è vero, che stanno ormai da tempo accadendo cose mai viste nel grande e meraviglioso mondo degli Animali non Umani. Da sempre, o perlomeno da quando Homo Sapiens indaga “scientificamente” sull’ambiente che lo circonda, assistiamo ad estinzioni per così dire “naturali” di forme di vita animali e vegetali. Estinzioni dovute ad uno spontaneo esaurirsi di energie vitali, riproduttive, adattative. A conti fatti, pare che, con le dovute eccezioni, la vita media di una specie possa toccare, giorno più giorno meno, il milione di anni circa. Benissimo: possiamo chiamarla “legge della Natura”. Ma quello che stupisce è che oggi stiamo assistendo a un declino delle specie non umane che viaggia a ritmi circa 1000 volte superiori a quelli dell’evoluzione della Natura. Il che significa che gli scienziati dei primi anni dell’Ottocento assistevano, in un certo periodo di tempo, ad una forma di estinzione e oggi, nello stesso periodo di tempo, gli scienziati assistono non a una bensì più o meno a 1000 forme di estinzioni, tra specie animali e specie vegetali. Un dato inoppugnabile, presente in tutti i rapporti sullo stato del Pianeta realizzati dagli organismi più prestigiosi, dall’ONU al Fondo Monetario Internazionale, dalla NASA all’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e molti altri. Un dato agghiacciante, da film dell’orrore. Anche se consideriamo che il numero complessivo delle specie animali presenti sul Pianeta Terra è enorme e ben difficilmente precisabile, in quanto tende a variare tra i 3 e gli 8 milioni, a seconda dei diversi criteri che possono essere adottati per la ricerca e in virtù della continua comparsa di nuove specie, prima sconosciute, che si scoprono abitualmente in ogni angolo della Terra.
Forse abbiamo più certezze con le specie vegetali, se non altro per il fatto che si lasciano vedere: le specie vegetali oggi note sono circa 400.000, per la precisione 391.000 e rotti, secondo uno studio del 2016, intitolato “Stato delle piante del mondo” e pubblicato dai ricercatori britannici dei prestigiosissimi Royal Botanic Gardens, i giardini reali inglesi, situati a Kew, una decina di chilometri da Londra e riconosciuti dall’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità. E considerando pure, come dicevamo, che saltano fuori ogni anno diverse specie prima mai identificate, non possiamo non notare d’altro canto che, spesso, la scomparsa di una specie causa irreversibilmente la scomparsa di altre specie ad essa per qualche motivo correlate, conseguenza che la Scienza ha denominato “effetto domino”. Siamo purtroppo in grado di dire, secondo dati diffusi dall’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, l’ente pubblico di ricerca del Ministero Italiano per l’Ambiente che, ogni giorno, scompaiono per sempre dalla faccia della Terra circa 50 specie viventi, tra quelle animali e quelle vegetali… Vale a dire: circa 18.000 all’anno. Da restare senza parole. Allora: il 10 luglio 2017 PNAS, sigla che sta per Proceedings of the National Academy of Sciences (Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, sottinteso degli Stati Uniti d’America), probabilmente la più autorevole testata scientifica al mondo, pubblicò uno studio, a cura di numerosi enti di ricerca, dal titolo “Biological annihilation: the ongoing sixth mass extinction”. Vale a dire: “Annientamento biologico: la sesta estinzione di massa”. Fu la prima volta che la Scienza umana nominò ufficialmente questo fenomeno. Dal 2017 ad oggi sono stati innumerevoli i riferimenti scientifici a quella di cui ormai tutti parlano appunto come “la sesta estinzione di massa”, considerando le prime cinque come fenomeni appartenenti alle precedenti ere geologiche. Tutte le prime cinque estinzioni, per quanto se ne sappia ufficialmente, sono state provocate da disastri naturali assoluti, come catastrofiche eruzioni vulcaniche o caduta di enormi meteoriti. La sesta estinzione di massa ha invece un responsabile e unico colpevole: quello che ormai molti scienziati definiscono, terribilmente ma efficacemente, come il “virus della Terra”, vale a dire l’Homo Sapiens.
Vogliamo elencare le colpe di questo unico indiziato ed accusato? Distruzione degli habitat naturali con il proliferare incontrollato degli agglomerati abitativi e industriali; inquinamenti ambientali di ogni tipo, tramite liquami e sostanze tossiche; cambiamenti climatici conseguenti alle attività umane, con specifico riferimento alle emissioni di gas che alterano l’equilibrio atmosferico, producendo innalzamenti innaturali delle temperature medie. Emissioni che, insieme a molti degli inquinamenti ambientali, sono da attribuirsi per una più che cospicua percentuale agli allevamenti intensivi di animali non umani, fonti non solo di crudeltà inenarrabili ma anche di fattori distruttivi della stessa natura del Pianeta, ivi comprese le deforestazioni provocate per guadagnare sempre più terreno all’agricoltura produttiva che per la sua maggior parte si riversa appunto nelle necessità degli allevamenti intensivi di animali. Parlando dei quali non possiamo non aggiungere, tra i mali che affliggono il Pianeta, la caccia spietata e incontrollata, la pesca eccessiva e ormai insostenibile, il bracconaggio e commercio illegale di animali non umani… Un sistema davvero perverso, in una cecità totale che Homo Sapiens non cessa di dimostrare, dall’alto del suo antropocentrismo, continuando a compiere atti che minano alla base la possibilità di sopravvivenza per i nostri fratelli di vita sul Pianeta, siano essi Animali non Umani o Esseri Vegetali. Un caso emblematico: sta sorprendentemente aumentando il numero delle coppie “divorziate” tra gli Albatros. Eh sì, sembra quasi un gossip ma in realtà non lo è. È un fenomeno che discende da una realtà per nulla divertente.
Partiamo da un approfondito studio, durato ben 18 anni e condotto da un team di biologi decisamente monumentale, che ha coinvolto ricercatori dell’Università di Lisbona, dell’Università di Stato del Montana (USA) e dell’Università di Exeter, inglese, oltreché vari Istituti di ricerca marina ed ambientale impegnati nello studio e nel monitoraggio dell’Oceano Atlantico. I risultati di questo studio sono stati pubblicati sulla rivista della Royal Society, l’Accademia delle Scienze Naturali del Regno Unito. I ricercatori hanno iniziato nel 2003 a tenere gli occhi addosso a circa 15.500 coppie di Albatros che, abitualmente, nidificano e allevano la prole sulle Isole Falkland, il famoso piccolo arcipelago situato nell’Oceano Atlantico a poca distanza dalle coste sud dell’Argentina e teatro, nel 1982, della guerra tra l’Argentina appunto e la Gran Bretagna per il possesso delle isole stesse, possesso che è stato mantenuto dalla Corona inglese. Lo studio è stato svolto in particolare sulla cosiddetta West Island, la più occidentale delle Falkland, che è una vasta riserva naturale dal 1972, abitata dalla più grande colonia di Albatros del Pianeta. L’Albatros è uno dei più maestosi uccelli marini, vive soprattutto nelle aree meridionali dei due grandi Oceani, dove colonizza le coste di molte isole e da qui prende il volo verso il mare aperto: un volo proprio maestoso perché l’Albatros, che si presenta come una sorta di grosso gabbiano, lungo fino a un metro, interamente bianco con macchie nere sulle ali e sulla coda, è l’uccello con la più ampia apertura alare conosciuta, che può arrivare fino a tre metri e mezzo. Un vero spettacolo vederlo sorvolare le onde. Ma torniamo alla sua vita di coppia: l’Albatros è una delle specie animali più monogame, nella stragrande maggioranza forma coppie indistruttibili, destinate a durare per l’intera vita del nostro uccello marino, che può arrivare fino a 70 anni d’età.
Gli scienziati conoscono da tempo alcuni fattori, molto residuali, che possono portare a una rottura tra il maschio e la femmina: sono soprattutto legati alla riproduzione, e cioè alla sterilità, alla mancata schiusa delle uova o alla morte dei pulcini prima della crescita. Tali separazioni sono sempre avvenute in natura, interessando una percentuale variabile dall’uno al tre per cento sul totale delle coppie. Ma, dal 2003 ad oggi, i ricercatori hanno assistito a separazioni in numero sempre maggiore, fino ad arrivare ad un massimo, nel 2017, di circa l’8 per cento di separazioni sull’insieme della colonia. Un aumento incalcolabile, pari a 6 volte circa la media precedente. Perché? Mistero. Fino a quando i numerosi team che hanno studiato questo caso si sono resi conto che gli Albatros stanno divorziando a causa del cambiamento climatico. È stato infatti rilevato con precisione che l’innalzamento delle temperature dell’acqua degli oceani è direttamente proporzionale all’aumento dei problemi riproduttivi. E sappiamo che, negli ultimi 50 anni, la temperatura media delle acque marine non ha fatto che salire, tanto che oggi abbiamo mari mediamente più caldi di quasi un grado centigrado: sembra niente ma è tantissimo, se si immagina l’immensa massa di acqua che si innalza di un grado. Innalzamento che, come ben sappiamo, è esclusiva opera dell’uomo, con le sue emissioni, i suoi allevamenti intensivi, le sue deforestazioni, i suoi inquinamenti e chi più ne ha più ne metta. Le conclusioni dei ricercatori che si sono applicati allo strano caso dei divorzi tra gli Albatros sono di una chiarezza cristallina e devastante:
Conseguenze: un Albatros, per trovare cibo per sé stesso e per la sua famiglia, deve volare sulle acque per periodi di tempo sempre più lunghi e con garanzie di successo sempre meno reali. Ergo, arriva meno cibo sul desco: gli Albatros femmina e le loro proli sono privati del quantitativo regolare e ottimale di nutrimento, con conseguenti problematiche biologiche e un numero sempre più grande di pulcini che non ce la fanno a sopravvivere. A questo si associa lo stress reso eccessivo proprio dalle difficoltà di trovare cibo e dalle conseguenti maggiori fatiche … uno stress che spesso debilita i maschi, costretti ad andare in caccia molto più a lungo per trovare cibo e li rende meno disponibili agli accoppiamenti, in termini sia di tempo sia di energie. Incredibile ma vero. Ne consegue che la popolazione degli Albatros sta subendo un continuo declino, testimoniato dalla IUCN, l’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura, che ha sede a Gand, in Svizzera e svolge ruolo di comprimario dell’Assemblea delle Nazioni Unite. La IUCN è l’ente che gestisce, a livello mondiale, il monitoraggio sulla sopravvivenza degli organismi animali e vegetali: ha riscontrato che, a partire dal 2005, la popolazione degli Albatros sta subendo una diminuzione del numero di individui che va dal 5 al 10 per cento annui. Tantissimo, al punto che la IUCN ha inserito ben 19 delle 21 specie di Albatros conosciute nell'elenco delle specie a rischio di estinzione. E torniamo così alla nostra tragica sesta estinzione di massa: ancora una volta una specie molto vitale e molto ben organizzata viene rovinata dalle conseguenze delle azioni dell’Homo Sapiens. E ciò che sta minando la socialità stessa dell’Albatros non è che un esempio delle malversazioni antropocentriche. Via di salvezza? Un futuro ecospirituale, dove l’armonia con sé stessi e con il mondo che ci circonda possa unire tutte le specie viventi e le cose di questo bellissimo Pianeta, ora come ora in serio pericolo. Elio Bellangero, speaker di Radio Dremland (www.radiodreamland.it) conduce la trasmissione “Animali ed Enigmi”. |