Alimentazione Vegan |
Moda vegan: intervista alla stilista Paola Benedetta Cerruti |
21 Aprile 2024 | ||||||||
Il vegan procede inesorabile e la maggiore attenzione e consapevolezza verso cosa mangiamo, ha portato anche il mondo della moda a fare le sue riflessioni e a prendere le sue decisioni sul futuro di questo settore. Così la moda vegan si sta facendo sempre più spazio, anche tra le griffe famose, proponendo abiti senza pelle, pellicce, lana, seta, imbottiture in piuma e riferendosi ad alternative sostenibili e cruelty free. E a proposito di vegan fashion, abbiamo una testimonianza diretta di come gli stessi “attori” dell’abbigliamento stiano optando per l’utilizzo di materiali senza lo sfruttamento degli animali nelle loro creazioni. Ne abbiamo parlato con la stilista torinese Paola Benedetta Cerruti, artista e membro di Artists United For Animals, il sodalizio fondato da Rosalba Nattero che unisce artisti nazionali e internazionali spinti dal desiderio di fare qualcosa per gli animali attraverso l’arte. Paola, quando hai cominciato a utilizzare per i tuoi abiti e accessori dei tessuti che non abbiano a che fare con lo sfruttamento, la sofferenza e la morte degli animali? Come puoi immaginare anche tu che sei vegana, ho seguito un percorso. Sono diventata vegetariana a diciassette anni e da lì ho iniziato a frequentare i Veg festival e diverse manifestazioni animaliste, venendo a scoprire tutto quello che si celava dietro i derivati animali per quanto riguarda l’alimentazione, per cui poi ho deciso di diventare vegana. Nel frattempo stavo già lavorando a Roma per la Maison Valentino, ma comunque questa scelta etica verso gli animali l’avevo già fatta. Certamente stando in un’azienda di lusso, mi sono ritrovata a contatto con tantissimi materiali di origine animale e che, ovviamente, non sono per niente camuffati, essendo proprio il pelo, le piume, le pellicce. Insomma, un impatto davvero forte, senza tralasciare la seta, anche se questa magari non ha una evidenza così immediata se non sai che deriva, comunque, da una sofferenza animale cruenta. Quindi quando ti ritrovi a dover cucire anche del pelo animale è davvero dura se hai già una sensibilità verso altri esseri come te: sì, avevo escluso gli alimenti di origine animale ma da lì ho capito che il discorso era molto più ampio. Verissimo, perché non a tutti risulta così evidente che noi umani utilizziamo gli animali in tutte le cose pratiche quotidiane, da quello che mangiamo, a quello che indossiamo, a quello che usiamo per l’igiene, gli accessori, l’arredamento, le cure mediche… Il fatto è che purtroppo usiamo gli animali, li utilizziamo veramente in tutto, anche nella moda che non è, diciamo, un bene di prima necessità, anche se io credo che nemmeno la carne sia un bene di prima necessità. Culturalmente c’è ancora questa opinione diffusa, ma fortunatamente pian piano si sta scardinando. Certo, nella mia esperienza, mi ha molto colpito che questi animali possano subire un destino veramente atroce. Durante la scuola di moda ci avevano insegnato, e non tra le righe, che i visoni prima di essere uccisi vengono sottoposti ad una scossa elettrica per far sì che il pelo si rizzi e sia poi più “bello” esteticamente per l’uso che ne verrà fatto per l’abbigliamento. Stiamo quindi parlando proprio di torture e di esseri allevati solo per la pelliccia.
E poi cosa è successo per conciliare il tuo lavoro con la tua scelta etica? Poi con l’avvento di Internet con cui ti puoi documentare da solo, ho scoperto che gli animali vengono scuoiati vivi e ci sono delle cose indicibili fatte su di loro per soddisfare il campo dell’abbigliamento. Allora sempre di più ho avuto il desiderio di aprire una mia attività. Sicuramente tutti quelli che fanno questo mestiere dopo un po’ lo desiderano e anche se, per carità, quella di Valentino è sicuramente una realtà molto coinvolgente con degli aspetti molto belli per l’alta moda, allo stesso tempo desideravo realizzare degli abiti per seguire la mia passione e il mio talento, ma soprattutto volevo creare un esempio di moda sostenibile. Adesso questa parola “sostenibile” è anche un po’ abusata, ma volevo creare una moda rispettosa degli animali, degli esseri viventi, del pianeta ma in senso globale, perché avevo visto che comunque in questo ambiente c’è tanto sfruttamento umano: il settore tessile, anche qui in Italia, è un settore molto sottopagato, molto ingiusto. Quindi il mio desiderio era di creare un luogo di lavoro dove ci fosse rispetto anche per gli esseri umani oltre che, appunto, non utilizzare prodotti di origine animale. Volevo portare un esempio concreto perché ho sempre creduto che dobbiamo essere noi stessi il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, anche in quello che facciamo e, a maggior ragione, se riusciamo a farlo con un lavoro etico. Ci tengo tantissimo nel riuscire a lavorare con dei valori in cui credo, perché ovviamente da Valentino dovevo comunque sottostare a dei compromessi. Non è che mi potessi rifiutare di cucire il pelo e ogni tanto l’ho dovuto fare, purtroppo. Per te quindi è stata una maturazione verso una esperienza a più ampio respiro? Sì, effettivamente è un discorso globale e in questi tredici anni (perché adesso sono 13 anni che ho aperto l’Atelier qui a Torino), mi sono resa conto che inizialmente la mia missione era quella che ho appena descritto, ma si è ampliata, nel senso che vorrei portare anche ad una sensibilizzazione più estesa. Adesso c’è un fatto, o meglio, diciamolo pure, una piaga micidiale che è quella del fast fashion. Un tipo di moda che purtroppo fa molta gola perché ovviamente con la crisi economica è diventata una moda facile e più “risparmiosa” dove, anche solo con un click, puoi acquistare tutto. Però ritengo che questo sia diventato un abuso compulsivo di questa moda usa e getta. Mi sono resa conto che col mio lavoro vorrei anche sensibilizzare le persone a ritornare a un prodotto di qualità, a rendersi conto che il solo fatto di comprare per esempio dieci abiti da 30 euro piuttosto che uno solo da 300 euro non vuol dire risparmiare. Io vorrei portare anche questo messaggio, ovvero, che un abito di qualità è ovviamente più costoso perché dietro c’è un tessuto di qualità che ha dei costi, un lavoro pagato il giusto e dei fornitori pagati altrettanto giustamente. Ecco, vorrei far ritrovare e riscoprire questo valore alle persone, dove un capo è più costoso nel senso che è di qualità e non più costoso semplicemente perché ha una firma: si tratta di un prestigio che diamo anche a noi stessi, perché comunque le nostre scelte consapevoli portano un valore anche al mondo in cui viviamo.
Quali sono i tessuti cruelty free che utilizzi? Uso soprattutto materiali di origine naturale e vegetale come il cotone e il lino. In alcune collezioni per gli accessori ho usato anche la rafia, che è un materiale un po’ più rigido. Ovviamente arrivo a utilizzare dei materiali che assomiglino alla seta e quindi usufruibili per una moda elegante, facendo un compromesso nell’adoperare tessuti artificiali, che hanno però una base sempre vegetale, perché derivano dalla cellulosa. Tra questi possiamo citare la viscosa o il modal. Adesso è di moda un tessuto che si chiama lyocell, che deriva dall’eucalipto. Insomma, tessuti che comunque hanno una base vegetale e possono essere veramente versatili per quattro stagioni. Trovi che la clientela oggi sia più attenta al fatto di non utilizzare prodotti di origine animale per l’abbiglimento? Vedo che la mia moda vegan è sicuramente apprezzata, perché comunque io la propongo, ma in generale la richiesta vera e propria devo dire che è ancora bassa. Nonostante ci siano tanti modi per essere informati, questa informazione è ancora troppo poca. Tra l’altro le tue creazioni sono anche delle opere artistiche: come quella che hai portato alla Mostra d’Arte che si è tenuta in occasione della maratona artistica dedicata agli animali organizzata da Artists United for Animals lo scorso novembre a Torino, presso il Garage di Arte e Cultura. Sì, proprio così! Dove si trova il tuo atelier di Torino? Sono in via Beaumont 8 e l’atelier prende proprio il nome dalla via. Sono al primo piano e diciamo che tutta la vetrina è all’interno. Lo possiamo considerare un atelier come quelli di una volta, dove si è accolti e coccolati, dove c’è un “su misura” in tutti i sensi, perché ci dedichiamo a ogni persona per soddisfare le sue esigenze. E soprattutto adoperando tessuti cruelty free, giusto? Giusto! In questo poi creo delle linee già pronte in modo che il cliente possa trovare degli abiti già fatti oppure li posso confezionare su misura a seconda che servano per un evento o per un desiderio particolare. Ovviamente consigliando questi tessuti rispettosi verso gli animali. Voglio aggiungere che questa ricerca dei tessuti è sempre al centro della mia ricerca stilistica e devo dire che in questi tredici anni sono decisamente aumentati i tessuti vegan. Infatti fortunatamente oggi si trovano molte più alternative rispetto al passato. Per esempio esiste l’organza vegana, ma anche i tessuti sintetici, che sono molto tecnici e vengono sempre più usati nelle collezioni di alta moda.
Per la stagione autunno-inverno cosa usi come tessuto un po’ più caldo? Per l’inverno mi è capitato di usare il pile, che è un tessuto molto morbido. Detto così sembra brutto, però se trovi un pile di qualità ti assicuro che non ha niente da invidiare alla lana. Mi è capitato di usare anche un tessuto catarifrangente perché mi piace sperimentare, oppure tessuti tecnici particolari e poi ho usato l’alcantara vegana di microfibra. Per lo più per la stagione autunno-inverno prediligo tessuti alternativi, ma utilizzo anche i velluti che risultano morbidi e tengono caldo. Anche per le giacche ho sperimentato questi materiali, oppure tessuti tecnici, alcuni un po’ spessi ed altri con una certa elasticità che mi permettono di fare anche delle redingote e dei capispalla un po’ più sostenuti. Certo, sei proprio un’artista! Sia per la tua ricerca, sia per la conseguente applicazione dei vari tessuti alle forme! Sì, vero! Devo dire che per me è veramente una sfida sempre più impegnativa, perché vedo tante attività che chiudono compresi i negozi di fornitori. Però quando si tratta della tua missione, quando prevalgono i valori in cui tu credi, allora hai una forza in più che ti fa comunque procedere e ti aiuta a non scoraggiarti nei momenti di alti e bassi. Ma soprattutto è una bella soddisfazione quando poi trovi le persone che comunque apprezzano e sentono questo messaggio che vuoi trasmettere, cioè sentirsi bene in questi abiti. Io vorrei portare un benessere attraverso l’abito, dove un abito di qualità ti fa stare bene, ti fa sentire meglio e lo poi riutilizzare tanto. Ci tengo a dire che un abito sartoriale non è semplicemente quello della cerimonia: un abito sartoriale vuol dire un abito di qualità ma che puoi indossare anche tutti i giorni perché magari diventa il tuo abito preferito, perché è quello che ti fa sentire bene e lo puoi reinterpretare con accessori diversi. Insomma, lo puoi vivere tante volte. Grazie Paola, è molto bello quello che hai raccontato, con informazioni utili a sottolineare che è possibile vestirsi alla moda, secondo i propri gusti e contemporaneamente in modo cruelty free! Miriam Madau è medico omeopata e nutrizionista vegano. Conduce su Shan Newspaper le rubriche “Felicemente Veg” sull’alimentazione vegana e “H2O” sull’omeopatia. Conduce inoltre la trasmissione “VeganSì” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it
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