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Il Sacro Monte di Ghiffa e il culto della Trinità |
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| 19 Novembre 2025 | ||||||||
I Sacri Monti nascondono segreti che fanno emergere interrogativi sulla loro vera natura...
Il Sacro Monte della Santissima Trinità si trova nel Comune di Ghiffa (Verbano-Cusio-Ossola): è poco sopra l’abitato di Ronco, sulle pendici del Monte Cargiago, a 360 metri sul livello del mare ed è immerso nel Parco Naturale del Sacro Monte di Ghiffa, una Riserva Naturale Speciale che ricopre una superficie di circa 200 ettari di zona boschiva. La posizione è straordinaria: la vista sul Lago Maggiore spazia da una parte fino alla Svizzera e dall’altra verso Verbania, fino a Stresa e alle Isole Borromee. Il Sacro Monte di Ghiffa fa parte del gruppo dei Sacri Monti alpini inseriti nel 2003 nell'elenco dei "Patrimoni dell’Umanità”. L’UNESCO ha infatti riconosciuto il sito “Sacri Monti del Piemonte e della Lombardia” nella Lista del Patrimonio Mondiale con la seguente motivazione: “I nove Sacri Monti dell’Italia settentrionale sono gruppi di cappelle e altri manufatti architettonici eretti fra il XVI e il XVII secolo, dedicati a differenti aspetti della fede cristiana. In aggiunta al loro significato simbolico e spirituale, possiedono notevoli doti di bellezza, virtù e gradevolezza, e risultano integrati in un ambiente naturale e paesaggistico di colline, boschi e laghi. Contengono inoltre reperti artistici molto importanti (affreschi e statue)”. L’UNESCO attribuisce un valore universale a sette Sacri Monti del Piemonte (Belmonte, Crea, Domodossola, Ghiffa, Oropa, Orta e Varallo) e due della Lombardia (Ossuccio e Varese). “Un Sacro Monte è un complesso devozionale posto sul versante di una montagna con una serie di cappelle o edicole in cui sono rappresentate, con dipinti e sculture, scene della Vita di Cristo, di Maria o dei Santi. Riproposizione della Nuova Gerusalemme, i Sacri Monti offrivano la possibilità ai pellegrini di visitare i Luoghi Santi con la riproduzione, in scala minore, degli edifici in cui si era svolta la Passione di Cristo. Essi sono collocati su di una altura elevata, in una posizione appartata rispetto al centro urbano, in un ambiente più naturale, e vi si giunge prevalentemente mediante un pellegrinaggio”. (Amilcare Barbero - Convegno Internazionale "Religioni e Sacri Monti" - Edizioni Atlas, Supplemento n. 2 al n. 137 di Piemonte Parchi - giugno/luglio 2004).
Curiosa la vicenda dei Sacri Monti… si cominciò a costruirli in Italia a partire dalla fine del Quattrocento e il loro scopo fu, prima di tutto, di offrire ai pellegrini un'alternativa più sicura rispetto ai viaggi in Terra Santa; si trattava anche di creare per i fedeli un percorso di meditazione e di preghiera, utilizzando la rappresentazione per immagini della Vita e della Passione di Gesù per mezzo di gruppi statuari all’interno di cappelle; in alcuni casi il percorso è dedicato alla Vergine ed ai "misteri" del Rosario, oppure alla Trinità e anche alla vita di alcuni Santi particolarmente venerati, come San Francesco d'Assisi o San Carlo Borromeo. La costruzione dei Sacri Monti fu per la Chiesa anche un modo per rafforzare la fede dei credenti, in un tempo nel quale la Riforma aveva seminato il dubbio nelle menti dei fedeli. Un grande sostenitore della costruzione dei Sacri Monti fu il vescovo di Novara Carlo Bascapè (1550 - 1615), che si occupò soprattutto dei Sacri Monti di Varallo e di Orta ma anche di quello di Ghiffa all’inizio del ‘600. Bascapè, seguace di San Carlo Borromeo, riteneva infatti che i Sacri Monti potessero utilizzare l’arte per trasmettere il messaggio dell’imitazione di Cristo e del rinnovamento della Chiesa. Questa l’ufficialità… Però, forse, i Sacri Monti nascondono qualche segreto o comunque fanno emergere interrogativi sulla loro natura e sulla loro origine. Spesso, infatti, sono sorti là dove si trovavano preesistenti luoghi di culto non cristiano: un tratto che li accomuna a molte installazioni religiose come le pievi, le chiese, le croci... Sappiamo che la Chiesa Cattolica volle cancellare sistematicamente le tracce della religiosità pagana e lo fece in molti modi: da una parte appropriandosi dei luoghi e della devozione “pagana”, ad esempio costruendo edifici religiosi sopra quelli precedenti o inglobando riti e simbologie non cristiane; dall’altra parte demonizzando quello di cui non era riuscita ad appropriarsi. Il luogo in cui sorge oggi il Sacro Monte di Ghiffa era sede di culto antichissimo, legato alla cultura celtica, come testimoniano i massi coppellati che si possono trovare lungo il sentiero archeologico della Riserva Naturale e come testimonierebbe un grande masso (definito anche “altare preistorico”) sotto la cappella dell’Incoronazione della Vergine. D’altra parte, il luogo assomma caratteristiche tipiche della sacralità legata alla natura: l’altura, il bosco, l’acqua del lago. Più tardi nel tempo venne edificato nello stesso sito un oratorio romanico: risalente all’XI o XIII secolo, fu poi parzialmente abbattuto per fare posto alle nuove costruzioni religiose. “La scelta di utilizzare un’altura situata sopra il borgo di Ronco, vicino a Frino e non lontano dalla riva del Lago Maggiore per creare un luogo di sacralità e di incontro è remota nel tempo. […] In un breve volgere di tempo crebbe la fama del luogo che fu venerato considerandolo miracoloso.” (Sacro Monte di Ghiffa - Arte e storia nella Riserva Naturale della SS. Trinità - Ancora Arti Grafiche, Milano, pag. 12)
D’altronde, nelle tradizioni dei Popoli Naturali i monti sono spesso luoghi sacri, basti pensare a Mount Graham in Arizona, montagna sacra degli Apache San Carlos profanata dall’installazione di due telescopi, per la difesa della quale Giancarlo Barbadoro e Rosalba Nattero, fondatori della Ecospirituality Foundation, hanno supportato la lotta dei Nativi presso l’Assemblea delle Nazioni Unite. Oppure Ngog Lituba, la montagna sacra del popolo Bassa in Camerun, o Uluru in Australia, la montagna rossa considerata sacra dai Nativi australiani, o Externsteine nella Foresta Nera in Germania, simbolo spirituale di molti Nativi europei. O ancora il Roc Maol (Rocciamelone) in Valle di Susa o il Monte Everest, sacro per i Tibetani e i Nepalesi, tanto per citarne alcuni. Il progetto del Sacro Monte di Ghiffa prevedeva forse più cappelle, ma c’è chi pensa che, oltre al santuario dedicato alla Santissima Trinità, ne siano state realizzate tre fin dall’inizio, sempre in onore del culto trinitario: la Cappella di Abramo, la Cappella dell’Incoronata e la Cappella di San Giovanni. Già nella chiesa più antica, sopra l'altare si trovava un affresco, tuttora presente, con l’immagine ripetuta tre volte di Cristo seduto ad un desco: le tre persone sono uguali e hanno davanti, poggiato sul tavolo, un calice, la mano sinistra poggia sul globo crucigero (il mondo sovrastato da una croce) e la destra è benedicente. Una rappresentazione della Trinità piuttosto inconsueta. Siamo abituati a vedere nelle chiese cattoliche la Trinità rappresentata prevalentemente con tre figure diverse: Dio Padre Onnipotente (in genere un vecchio con la barba bianca), il Figlio Gesù Cristo e lo Spirito Santo (quasi sempre una colomba). Questa iconografia è quella ufficializzata dalla Chiesa perché trova riscontro nelle Sacre Scritture, ma la Trinità veniva raffigurata anche in altri modi: tre figure uguali e distinte (come a Ghiffa), un volto con tre facce, una testa con tre volti. È curioso che questa immagine, come altre simili nella stessa area e nel resto del mondo cristianizzato, non sia stata cancellata: infatti “La costituzione Sollicitudini nostrae di Benedetto XIV del 1° ottobre 1745 intervenne esplicitamente per disciplinare e correggere ogni tipo di raffigurazione della SS. Trinità, proibendo espressamente tutte le rappresentazioni sopra elencate come non consone alla dottrina cattolica e quindi da non essere proposte pubblicamente come oggetto di venerazione nelle chiese ed altri luoghi sacri” (Sacro Monte di Ghiffa - Arte e storia nella Riserva Naturale della SS. Trinità - Ancora Arti Grafiche, Milano, pag. 63). Come fece a sopravvivere l’affresco di Ghiffa insieme a molte altre rappresentazioni “non consone”? Qualcosa, qualcuno volle mantenere un legame con una cultura più antica? Il concetto di Trinità, infatti, è qualcosa di molto più antico del Cristianesimo: la tradizione druidica parlava di “Ternarietà”, cioè tre piani (corpo mente spirito) che caratterizzano gli esseri viventi, un concetto che con il Concilio di Costantinopoli dell’869 è stato abolito, consentendo solo l’idea di un corpo e di un’anima.
Nell’affresco di Ghiffa le tre figure hanno inoltre davanti a sé un calice, che non può non richiamare alla mente il Graal, un altro antico simbolo “rubato” dalla Chiesa Cristiana. Forse le popolazioni del luogo mantenevano un legame forte con le antiche tradizioni? E le difesero in modo che potessero essere tramandate? Forse… D’altra parte la raffigurazione della Trinità in tre persone uguali e distinte si è conservata soprattutto nelle valli alpine verso la Svizzera, dove probabilmente la cristianizzazione non era ancora avvenuta o comunque la longa manus della Chiesa faceva più fatica ad arrivare, ma la troviamo anche altrove nel mondo, per esempio in Etiopia. Angelo Torre, docente di Storia Moderna presso l’Università del Piemonte Orientale, mette in relazione la rappresentazione a tre figure uguali e distinte della Trinità con le Confrarie dello Spirito Santo, organizzazioni che si occupavano prevalentemente della distribuzione di cibo ma che assumevano caratteristiche di gestione delle comunità (una struttura che richiama quella del Clan celtico) - (L’iconografia della SS. Trinità nel Sacro Monte di Ghiffa - Atti del convegno internazionale - Verbania, Villa Giulia, 23 e 24 marzo 2007). Quali che siano state le vicende di questo luogo non possiamo dimenticare che la Storia viene sempre raccontata dai vincitori, ma la vera Storia dell’Umanità si trova nelle tradizioni dei Popoli Naturali, nelle leggende, incisa nelle pietre in tutto il mondo e si cela ovunque intorno a noi perché è stata tramandata da popoli che non hanno voluto dimenticare ed hanno voluto regalare il passato a chi fosse in grado di saperla leggere. |