Meditazione |
Benessere e Armonia nella neutralità del Vuoto |
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04 Giugno 2025 | ||||||||
L’uomo vive un quotidiano in cui riversa tutto il senso della propria esistenza. Lo fa nella dimensione ordinaria di ogni giorno, nel suo proprio rapporto con gli altri e nel tentativo di raggiungere il successo personale. In questo quotidiano trova tutti i valori del senso reale della propria identità e della propria esistenza.
Alcuni giungono a ribellarsi alla routine del proprio vissuto quotidiano e tendono a scoprire altri valori di vita oppure si arrendono al sogno imponderabile della droga, in cerca di una via di uscita dai problemi e dalla noia di archetipi di esistenza che si ripetono all’infinito. Eppure anche costoro non sfuggono alla logica che imprigiona il senso personale dell’esistenza nell’orizzonte percettivo dell’ordinario e dell’ovvio. La loro è semplicemente una fuga dall’ordinario attraverso una negazione dello stesso, senza vie d’uscita. Se non è bianco è nero, ma comunque entrambi sono due colori che appartengono alla stessa esperienza di esistenza e altri colori non se ne possono proprio inventare… Sembra proprio che l’esistenza che noi vediamo intorno a noi sia la sola esistenza che possiamo vivere. Un’esistenza che sembra essere oltretutto muta e cieca verso i nostri problemi e i nostri affanni. Un vissuto ordinario che sembra essere senza vie d’uscita che vadano oltre quanto dicono le filosofie accreditate e le religioni delle varie latitudini geografiche del nostro pianeta. Eppure, alla luce di una sperimentazione diretta, quale è possibile attraverso l’esperienza della meditazione, risulta che ciò che noi viviamo non è la vera realtà da cui dipendiamo, nella globalità dei fenomeni in cui la stessa esistenza si identifica. Se possiamo fare un esempio, ricordiamo la precarietà della condizione di coloro che si dedicano completamente alla logica del visibile. Una persona giusta e osservante della morale è destinata ad essere soggetta agli stessi eventi prodotti dall’esistenza quanto un’altra che sia sprovveduta e abietta. Non esiste morale o potere che consenta di evitare di soffrire oppure di morire… Alla luce dell’esperienza della meditazione è evidente che esiste un’altra realtà molto più completa e definita di quanto lo sia quella ordinaria. Una realtà totale che è invisibile se valutata secondo la logica del vissuto quotidiano e che non è percepita attraverso la manifestazione ordinaria dei sensi, ma che rivela la propria esistenza nostro malgrado, molto concretamente ad una sperimentazione diretta. È un concetto di realtà che certamente trascende la nostra esperienza e comprensione ordinaria dell’esistenza, ma con cui pur tuttavia dobbiamo confrontarci ogni giorno, anzi in ogni istante della nostra vita.
Ci siamo mai chiesti perché siamo nati e che senso abbia esistere se poi dobbiamo morire? Ci siamo mai chiesti in cosa, in quale fenomeno ci troviamo ad esistere? Ci siamo mai chiesti cosa possiamo fare di questa esperienza di vita che stiamo vivendo, oltre che per far carriera? L’esoterismo dell’antico sciamanesimo solare ha colto l’identità della realtà nel concetto fenomenico di Shan, definendo l’esistenza come un atto totale dell’essere in cui non esiste dimensione temporale di presente, di passato o di futuro. Un atto di esistenza che non è riferibile alla manifestazione della materia, poiché essa non è altro che la rappresentazione dell’esistenza dovuta alla percezione dei nostri sensi. Il visibile, cioè il nostro vissuto quotidiano, non sarebbe altro che un’esperienza parziale dell’esistenza reale e globale dello Shan. Come dire che l’universo che vediamo, costituito dalle galassie lontane e dall’immenso spazio in cui fluttuano, non è tutto, ma che c’è ancora una parte nascosta e imponente di esistenza con cui confrontarci in ultima istanza. In effetti, anche se la nostra vita può essere dominata in apparenza dalle esigenze imposte dal nostro vissuto quotidiano, noi dipendiamo in realtà da eventi che hanno origine in un universo ombra che complementa quello che già viviamo. Si invecchia senza poter tornare indietro nel tempo, né è possibile fare ritorno per riparare a situazioni che oggi vorremmo poter mutare. Il successo di un nostro progetto dipende sempre e inevitabilmente da una serie di giochi probabilistici di cui non vediamo la causa operante, ma a cui siamo inevitabilmente soggetti e che non possiamo neppure dominare. In ogni caso, al di là di ogni possibile dissertazione, è più che evidente che l’uomo, che lo voglia o meno, rimane soggetto alla natura fenomenica di una dimensione che trascende la sua ordinaria percezione. Attraverso l’esperienza acquisita in seno alla meditazione, potremmo aggiungere che addirittura il benessere dell’uomo dipende dalla qualità del suo rapporto con la natura trascendente dell’esistenza. Non partecipare alla logica della natura reale dell’esistenza significa vivere fuori da un piano armonico ed essere pertanto nella disarmonia e quindi nella sofferenza. Certamente molti problemi umani si presentano con le loro esigenze che, a prima vista, si possono interpretare come di natura primaria. Eppure possedere a priori una visione chiara del nostro rapporto modalitario con il trascendente significa affrontare con altrettanta chiarezza ed efficacia la soluzione di qualsiasi nostro problema. Possedere una propria identità che sia in armonia con il senso reale dell’esistenza significa operare non solo al meglio, ma anche sfruttare in tutta la loro pienezza le facoltà creative che sono in ciascuno di noi per assicurarsi un benessere completo sia sul piano psicofisico quanto su quello dell’interiore. L‘uomo è prigioniero di una ovvietà di vita che è ristretta ai limiti della sua stessa percezione sensoriale, che lo porta a vivere dentro ad un orizzonte di eventi soggettivi quale è il suo vissuto quotidiano. In questa interpretazione parziale del senso della vita l’uomo si pone obiettivi inutili che possiedono soltanto un’apparente finalità e si scontra con l’evidente impossibilità di realizzare pienamente e in forma permanente i suoi bisogni soggettivi, cosicché l’esistenza gli sembra diventare fonte di sofferenza.
Eppure su questa prospettiva interpretativa della sua esistenza l’uomo ha creato una condizione di vita che si identifica nei valori soggettivi del suo mancato rapporto con la reale natura dell’esistenza, dando vita ad uno stato di conflittualità permanente che alimenta la soggettività su cui si sorregge e la stessa sofferenza che ne deriva. Al contrario, utilizzare l’esperienza che scaturisce dal rapporto con il trascendente significa utilizzare l’armonia che esso esprime per realizzare una condizione di vita migliore, in grado di contrastare la sofferenza, anzi in grado di essere fonte di benessere. Un benessere che non è solamente valutabile su un piano globale dell’esistenza, ma anche su quello del vissuto quotidiano che così viene ad essere integrato con il tutto, rinsaldando quel legame che è solitamente interrotto dall’ignoranza e dalla superstizione. Ma come fare se il trascendente è così lontano dalla portata esperienziale dell’uomo? I nostri sensi sono stati costruiti dalla nostra evoluzione di specie per assolvere a specifiche competenze di rapporto con l’ambiente, il che ci consente la percezione di un manifesto fenomenico che è inevitabilmente parziale rispetto alla natura reale dell’esistenza nella sua totalità. I nostri occhi non percepiscono il mondo dell’infrarosso né tantomeno quello dell’ultravioletto e neppure quello in cui dominano le frequenze radio. Il nostro cervello, oltre a quella tridimensionale dello spazio, coglie appena la dimensione temporale… Eppure i moderni computer riescono a simulare molte altre dimensioni fenomeniche dell’universo che ci sono irrimediabilmente precluse. Le nostre capacità intellettive si trovano ad essere inevitabilmente circoscritte alla sola elaborazione dei dati che possiamo ricavare dall’ambiente a mezzo dei nostri sensi. Così la nostra conoscenza della reale natura dell’universo in cui viviamo rimane incompleta. L’uomo ha tuttavia la possibilità di fare esperienza della natura reale dell’universo, ovvero della globalità invisibile del trascendente, attraverso la percezione di una proprietà fenomenica dell’universo stesso, che egli può realizzare adottando un atteggiamento esperienziale nei confronti dei valori del vissuto ordinario del visibile quotidiano. Cioè nella negazione della realtà percettiva e valutativa dell’esistenza conosciuta attraverso la logica del visibile quotidiano, quale il trascendente stesso non è. Si può tentare un esempio. Valutiamo come gli uomini si rapportino all’esistenza attraverso i loro ruoli personali e le loro convinzioni ideologiche o confessionali. Se noi togliamo questi valori soggettivi l’universo non scompare, ma rimane esattamente com’era prima del nostro intervento. Anzi si rivela con un suo inusitato volto. Per fare un ulteriore esempio consideriamo il caso di due uomini che si guardino. L’uno considererà inevitabilmente l’altro come parte dello scenario che ha intorno e entrambi avranno ragione e torto. Per uscire dall’impasse occorre guardare la cosa dall’esterno, cioè non essere nella condizione soggettiva dei due osservatori, oppure entrambi la possono risolvere se negano l’apparente realtà del loro ruolo di osservatori. Immediatamente risulterà chiaro ad entrambi il senso del trascendente, una natura fenomenica che segue una logica completamente diversa da quella del visibile, ma che consente a questo di coesistere in seno ad essa. In questa prospettiva interpretativa, ecco che la natura percettiva del trascendente può essere paragonata alla manifestazione di un immenso vuoto dove tutte le cose che conosciamo e che viviamo non esistono assolutamente per come crediamo che siano e che esistano. Un’esperienza di vuoto in cui la propria identità, il senso della propria esistenza e il concetto di passato-presente-futuro coincidono in una sorta di eterno presente. Una percezione di vuoto che non è altro che la reale natura che esiste e si manifesta a sé stessa, al di là delle nostre percezioni sensoriali e così pure oltre la nostra stessa possibile immaginazione. Nella percezione dell’esistenza vissuta nell’esperienza del vuoto l’universo muta aspetto. Le cose che abbiamo davanti a noi rimangono sempre le stesse cose poiché ovviamente i nostri sensi rimangono sempre gli stessi. Ma è la nostra percezione consapevole e non immaginativa, la stessa che utilizziamo quando focalizziamo la nostra identità interiore, che ci consente di “vedere” che le cose che abbiamo intorno non sono più le stesse a cui eravamo abituati e a cui noi davamo i valori concettuali ed emotivi consueti. Si rende evidente che un tavolo è pur sempre un tavolo, ma paradossalmente non è più un tavolo… È un tavolo nel nostro modo di percepire sensorialmente e di usare i concetti; in realtà il tavolo è una parte indistinguibile di un tutto che ora si rivela anche nel dettaglio dello stesso tavolo.
C’è da credere di dar di testa, eppure questa è la realtà vera in cui viviamo, quella ordinaria non è altro che un sogno senza senso se non per i valori che possono essere dati secondo la logica sterile dello stesso sogno. Accade per l’esempio del tavolo la stessa cosa che accade per i due uomini che si guardano, l’universo soggettivo scompare per lasciare posto all’immediatezza del trascendente. È chiaro vedere in questo caso, nella prospettiva della percezione del vuoto, come tutti i valori ordinari su cui si sostengono le nostre motivazioni conflittuali, e su cui si regge lo stato di conflittualità permanente, possano venire a decadere all’istante in una naturale relativizzazione delle cose. Infatti, nell’esperienza del vuoto l’uomo prende contatto con la natura reale del trascendente e proprio dall’esperienza del vuoto l’uomo può ricavare l’energia che gli occorre per ottenere e mantenere la propria condizione di benessere. L’esperienza del vuoto rivela come questo stesso possieda e manifesti un valore neutro rispetto al senso degli eventi conflittuali che producono e mantengono le patologie della personalità e degli eventi ordinari. Il potere interiore che deriva dall’esperienza della neutralità del vuoto consente quindi di relativizzare tutti i problemi soggettivi dell’individuo, permettendogli di vivere armonicamente. Cioè secondo i valori reali del trascendente, che sono al di fuori delle stesse soggettivazioni della realtà che producono i problemi. A mezzo dell’esperienza del vuoto chiunque può prendere rapporto con la natura segreta del trascendente e sviluppare la sua percezione diretta, apparentemente impossibile a realizzarsi poiché essa appare posta al di fuori delle nostre limitate possibilità sensoriali di specie. Il motivo per cui ciò può avvenire lascia supporre che la nostra natura interiore possa andare al di là dell’architettura biologica con cui siamo costruiti. È evidente che possediamo in noi un corrispettivo interiore di questo vuoto, lo stesso che ci consente di distinguere nell’esistenza la natura e il senso intrinseco del trascendente, altrimenti non percepibili. Un particolare e inusitato aspetto della nostra natura interiore che con la sua manifestazione ci consente di riconoscere in noi medesimi l’esistenza e l’identità delle proprietà, misteriose ed eterne, del vuoto stesso. Da “Laforghiana” - anno III – N.4 ottobre 1990 |