Alimentazione Vegan

C’è cibo e cibo

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19 Novembre 2025

Con i cibi di derivazione animale, quanti sanno esattamente cosa stanno mangiando?


Esiste una questione di fondo: nell’alimentazione umana non è necessario nutrirsi di carne e soprattutto, per contro, proprio i cibi carnei costituiscono un serio problema per la nostra salute, incrementando innumerevoli patologie, da quelle cardiovascolari a quelle neoplastiche e molte altre ancora.

Esiste anche, purtroppo, una errata informazione su questi alimenti che quotidianamente le persone sono spinte ad acquistare e portare a tavola, credendo che siano gli alimenti giusti e che ci vogliano tante proteine, soprattutto animali, nella dieta. Tutto ciò viene seguìto un po’ in buona fede, un po’ per abitudine, un po’ per la propaganda all’uso quotidiano della carne che era iniziata dal secondo dopoguerra del secolo scorso e che si è perpetrata e continua tutt’ora sulla base di interessi economici-speculativi, mantenuta dagli stessi che oggi gridano allo scandalo verso le proposte di alimenti plant-based o di sintesi o di coltivazione cellulare. Basta vedere quanto imperversano sul mainstream le resistenze all’applicazione legislativa e all’utilizzo della carne coltivata, proponendo, per contro, la bontà delle proteine animali, addirittura esaltando e portando l’attenzione a come gli ominidi, secondo reperti fossili, potessero essere anche carnivori.

Certo si può dire di tutto e di più, soprattutto per incoraggiare coloro che alla carne non rinunciano, senza considerare che potrebbero benissimo riferirsi alla carne sintetica per nutrirsi, stando meglio e senza nuocere agli animali e al pianeta su cui viviamo.

Ma, valutando scientificamente il problema, è poi così salutare mangiare tante proteine e per giunta di derivazione animale?

Non proprio, come riporta un lavoro scientifico condotto dall’Università di Pittsburgh, in cui si è scoperto un meccanismo molecolare attraverso il quale un eccesso di proteine nella dieta può aumentare il rischio di aterosclerosi.

I risultati della ricerca, che sono stati pubblicati da Nature Metabolism, mostrano come consumare più del 22% delle calorie derivanti da proteine possa portare a una maggiore attivazione delle cellule immunitarie, che svolgono un ruolo importante nella formazione della placca aterosclerotica.

Sulla base di esperimenti iniziali su soggetti sani per determinare la sequenza temporale dell’attivazione delle cellule immunitarie dopo l’ingestione di pasti ricchi di proteine, i ricercatori hanno simulato questa condizione in vitro sui macrofagi, cellule immunitarie particolarmente sensibili agli aminoacidi.

Ebbene, è emerso che consumare più del 22% delle calorie da fonte proteica può agire negativamente sui macrofagi, portando a un accumulo di queste cellule nelle pareti dei vasi e peggiorando le placche aterosclerotiche nel tempo.

La principale responsabile di questa attivazione anomala è la leucina: un aminoacido di cui sono ricchi gli alimenti di derivazione animale, come la carne di manzo, le uova e il latte.

L’assunzione a lungo termine di carne rossa è stata messa in relazione al rischio di demenza e al declino cognitivo
L’assunzione a lungo termine di carne rossa è stata messa in relazione al rischio di demenza e al declino cognitivo

Ma allora non possiamo fare a meno di porci il dubbio che “ci sia cibo e cibo” e che quello animale non sia certo il migliore per noi.

Ad esempio: capita che qualche mamma, desiderosa di nutrire al meglio il proprio figlio, avendo sentito, per lo meno, che la carne rossa fa male, decida di rivolgersi alla carne bianca, specialmente di pollo.

Ricordiamo che in base a recenti ricerche è certo che la carne rossa sia un fattore di rischio per contrarre patologie importanti, da quelle cardiovascolari a quelle metaboliche come diabete e dislipidemie a quelle tumorali. Negli ultimi dieci anni le ricerche scientifiche hanno dimostrato che le carni possono promuovere l’insorgenza di tumori del colon-retto, dello stomaco, al seno, alla prostata e all’endometrio.

Oggi si è capito che i danni dell’alimentazione carnivora possono raggiungere la sfera cognitiva, come riportato in un recente lavoro condotto dall’università di Harvard e pubblicato sulla rivista Neurology, dal titolo: “Assunzione a lungo termine di carne rossa in relazione al rischio di demenza e alla funzione cognitiva negli adulti statunitensi”.

Secondo questo studio, troppa carne nella dieta potrebbe accelerare il declino cognitivo e aumentare il rischio di sviluppare una qualche forma di demenza nella terza età.

È stato evidenziato che con un quarto di porzione o più di carne lavorata al giorno (considerando una porzione di carne pari a 85 grammi) aumenterebbe del 13% il rischio di sviluppare una forma di demenza nella terza età.

Salendo a una porzione al giorno si crea un invecchiamento accelerato delle funzioni cognitive, che equivale ad avere un cervello più vecchio di 1,6 anni con effetti incrementali al crescere del consumo di carne.

L'assunzione di 100 grammi al giorno di carne rossa, rispetto a 50 grammi al giorno, è stata associata ad un rischio maggiore del 16% di Subjective Cognitive Decline (SCD), ovvero declino cognitivo soggettivo.

Per contro, la sostituzione di una dose al giorno di noci e legumi al posto della carne rossa è stata associata ad un rischio inferiore del 19% di demenza, 1,37 anni in meno di età cognitiva e un rischio inferiore del 21% di SCD.

E poi ancora: in un’analisi basata sull’autovalutazione delle proprie capacità cognitive da parte dei partecipanti sottoposti a questa ricerca, il consumo di almeno una porzione di carne rossa giornaliera è risultato collegato ad un aumento del 16% del rischio di declino cognitivo. È stato interessante che i ricercatori sottolineassero come l’autovalutazione spesso possa portare alla luce la presenza di problemi prima che questi si rendano verificabili con altri metodi.

Ma che dire poi della carne di pollo?

Ebbene, anche qui i problemi sussistono. Non è molto che è stata rivalutata la presenza di petti di pollo venduti al supermercato che presentano le white striping. Si tratta di carne derivante da allevamenti intensivi, come risulta anche nell’indagine condotta da Salvagente (che è leader nei test di laboratorio contro le truffe ai consumatori), dove si è rilevato un aumento significativo del contenuto di grassi, fino a tre volte la soglia di grassi considerata normale dal CREA, cioè dal Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria.

Allevamento intensivo di polli Broiler
Allevamento intensivo di polli Broiler

Ma vediamo meglio di cosa si tratta: il white striping è una malattia ed è, allo stesso tempo, sintomo di sofferenza animale e di qualità scadente. Il white striping è facilmente visibile a occhio nudo sia sui petti di pollo interi che sui filetti e su alcuni muscoli della coscia di pollo. Sono delle striature bianche che corrono parallele alle fibre muscolari della carne. È purtroppo un sintomo evidente di profonda sofferenza nei polli selezionati geneticamente per crescere nel più breve tempo possibile – tendenzialmente i polli Broiler – dove il grasso, molto evidente sulla carne in queste striature bianche, ha preso il posto delle fibre muscolari che sono morte per la mancanza di ossigeno e di nutrienti.

Oltre ad essere un problema per la grande sofferenza a cui sono sottoposti gli animali negli allevamenti, il white striping cambia sia l’aspetto che la consistenza della carne, comportando una riduzione del contenuto di proteine e aumentando notevolmente quello dei grassi.

In definitiva sono strie di dolore e contemporaneamente di disumanità per come questi esseri viventi non solo sono allevati per essere mangiati, ma vengono cresciuti in condizioni in cui non riescono a reggersi in piedi e così costretti a stare fermi a terra, con conseguenti ferite ed abrasioni pari a bruciature sulla cute dovute al contatto con le loro deiezioni acide. E anche con problemi respiratori, dovuti alla crescita veloce in pochi giorni della parte pettorale, non supportata da un’adeguata crescita ossea toracica proprio a causa della mutazione genetica imposta dall’uomo.

In ogni caso ne consegue il fatto che sia una totale contraddizione con l’idea che la carne di pollo, in particolare il petto e la coscia, sia una scelta alimentare salutare.

Nello specifico, l’analisi effettuata ha messo in luce una media complessiva di 1,6 grammi di grassi nei campioni testati, ben al di sopra degli 0,8 grammi di riferimento del CREA.

Si tratta di un’indagine che ha evidenziato un cambiamento importante nella composizione nutrizionale della carne di pollo, attribuibile a diversi fattori tra cui l’allevamento intensivo, l’uso di razze modificate, a rapida crescita, selezionate per sviluppare un petto abnorme e raggiungere in poche settimane (40 giorni) il peso di macellazione.

Ma ha posto anche l’attenzione a come vengono alimentati i polli e alla loro limitata mobilità, sia per la mancanza di spazio che per lo sviluppo asimmetrico ed esagerato dei muscoli pettorali e delle cosce rispetto alle zampe.

Tutti fattori che hanno portato ad un notevole aumento del contenuto di grassi nella carne di pollo rispetto al passato e che devono farci riflettere sulla qualità nutrizionale di una carne ottenuta perlopiù da animali allevati in modo intensivo.

Non è solo la quantità di grassi a preoccupare, ma anche la qualità: come ha fatto osservare Debora Rasio, oncologa, nutrizionista e ricercatrice all’Università La Sapienza di Roma, la carne di pollo attuale risulta essere squilibrata verso un eccesso di acidi grassi pro-infiammatori.

E questo, nuovamente ribadito, dipende dalla dieta degli animali e dal modo in cui sono allevati.

Insomma, l’allevamento intensivo e la selezione di razze a rapida crescita sembrano contribuire all’aumento dei grassi nella carne di pollo, il che cambia radicalmente l’aspetto nutrizionale di questa fonte proteica, tradizionalmente considerata magra e salutare.

È ormai evidente che i cibi di derivazione animale sono alti fattori di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, metaboliche, tumorali, allergiche, neoplastiche e cognitive
È ormai evidente che i cibi di derivazione animale sono alti fattori di rischio per lo sviluppo di patologie cardiovascolari, metaboliche, tumorali, allergiche, neoplastiche e cognitive

Inoltre non bisogna scordare che l’Italia, secondo le più recenti analisi, risulta uno dei primi Paesi in Europa per vendita e uso di antibiotici negli allevamenti: questo costituisce un altro grave problema verso la piaga dell’antibiotico-resistenza con cui la nostra salute sta facendo i conti.

Ma c’è dell’altro.

Qualche mese fa è stata pubblicata sulla rivista Nutriens una ricerca dal titolo: “Il consumo di pollame aumenta il rischio di mortalità per tumori gastrointestinali? Un'analisi preliminare dei rischi concorrenti”.

Si tratta di uno studio italiano dell’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) “Saverio de Bellis” di Castellana Grotte, guidato dalla dottoressa Caterina Bonfiglio, che ha seguito 4.869 adulti per 19 anni e concluso che il consumo di carne di pollo aumenta sensibilmente il rischio di tumori.

Nello specifico, un consumo settimanale di 100‑200 grammi di carne di pollo aumenta del 35% il rischio di mortalità per tumori gastrointestinali, mentre, se si superano i 200 grammi, questo rischio raddoppia rispetto a chi ne mangia meno di 100.

Certo sono dati che fanno sicuramente tremare chi è nel settore di produzione avicola e, al momento, cerca di contrastarli, ma come non riflettere sul fatto che chi ne sopporta le dirette conseguenze siamo noi e i nostri cari?

Ormai gli studi che vertono sui danni arrecati dal cibo a base animale vengono condotti con assidua frequenza, valutando la salute nostra, degli animali, dei terreni, dell’acqua, dell’aria e degli ecosistemi globali.

Ma allora? Come ci possiamo comportare di fronte a questa situazione?


Prima parte - continua


Miriam Madau è medico omeopata e nutrizionista vegano. Conduce su Shan Newspaper le rubriche “Felicemente Veg” sull’alimentazione vegana e “H2O” sull’omeopatia. Conduce inoltre la trasmissione “VeganSì” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it

Riferimenti: