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Orta, lago antico e misterioso |
07 Dicembre 2023 | ||||||||||||
Storie millenarie di un lago da fiaba, tra draghi, guerrieri e acque incontaminate
Siete mai stati sul Lago d’Orta? Sì, proprio quel lago un po’ nascosto, in Piemonte, tra le provincie di Novara e del Verbano Cusio Ossola. Sicuramente conoscete meglio il suo vicino, il Lago Maggiore, come pure gli altri che si allungano nel Nord Italia, il Lago di Como e il Lago di Garda… ma il Lago d’Orta è un po’ speciale, ha un fascino molto discreto e potremmo dire un po’ fatato. È un lago abbastanza piccolo, 18,1 chilometri quadrati, si adagia fra le Prealpi piemontesi, a nord un breve tratto di terra lo separa dal Lago Maggiore e dal Lago di Mergozzo. Pareti boscose scendono dalle cime circostanti fino all’acqua e si specchiano nel suo colore un po’ oscuro. È anche noto con il nome di Lago Cusio, di origini medievali. Ha avuto una storia di degrado profondo: a partire dal 1927, infatti, ha subito un severo inquinamento industriale, che si è prolungato per decenni. Una significativa riduzione delle industrie ha reso possibile, fra il 1989 e il 1990, un intervento di risanamento delle acque tramite immissione di grandi quantità di carbonato di calcio, che hanno neutralizzato le principali sostanze inquinanti presenti nel lago. Ulteriori fasi di recupero chimico e biologico sono tutt’ora in atto, tanto che oggi il Lago d’Orta è presentato come il lago più pulito d’Europa, dove si fa il bagno con grande piacere e dove vivono di nuovo pesci e altri animali. Una cosa interessante e insolita è che è nato il “Contratto di Lago per il Cusio”: un progetto che accomuna enti locali, aziende private, scuole, associazioni sportive, associazioni culturali e di volontariato ecc., tutti coordinati in molteplici interventi per la tutela e la valorizzazione del lago e del territorio e per la diffusione di una cultura più attenta e rispettosa dell’ambiente.
Una stranezza: curiosamente, la valle in cui si adagia il lago è inclinata al contrario rispetto agli altri specchi d’acqua prealpini! L’emissario del Lago d’Orta, la Nigoglia, fuoriesce infatti all’altezza di Omegna e, anziché scendere a Sud, scorre verso Nord per buttarsi nel torrente Strona. La Città di Omegna, principale centro del Cusio, è posta all'estrema propaggine settentrionale del lago ed è comunità molto antica, caratterizzata da una lunga storia di autonomia e di difesa del territorio: non per niente Genserico (il leggendario re dei Vandali e degli Alani, che avrebbe condotto i suoi popoli al Sacco di Roma nel 455 d.C.), dopo aver invaso l’area nel 437, rinunciò alla conquista della città lacustre e le riconobbe il privilegio di promulgare autonomamente le proprie leggi. Da qui, secondo la tradizione locale, il motto dialettale: “La Nigouja la va in su e la legg la fouma nu!” “La Nigoglia scorre in su e la legge la facciamo noi!” E di fatto, gli abitanti di Omegna hanno una storia di indipendenza che comincia molto prima: una leggenda fa infatti derivare l’antico nome della città, Vemania, da "Vae moenia" (Guai a voi o mura!), maledizione che Giulio Cesare avrebbe scagliato contro le formidabili e insuperabili mura della città. Sicuramente Omegna si trova in un’area abitata fin dai tempi antichi da popolazioni celtiche. Sono infatti numerosi i riferimenti storici ai Liguri e agli Osci (a questi ultimi, parenti dei Sanniti, sembra si possa far risalire la nascita della città) e si trovano testimonianze della cultura celtica e pre-celtica: ad esempio sul Monte Zuoli, una collina vicino ad Omegna, compare una grande roccia con uno “scivolo” in pietra e numerose coppelle, i tipici scavi circolari, usati ritualmente e spesso con riferimenti alle costellazioni, che fanno parte della cultura megalitica e che testimoniano di una civiltà antichissima che ha unificato, in tempi remoti, tutto il Pianeta. Forse la storia più nota del Lago d’Orta è la leggenda di San Giulio. Originario dell'isola greca di Egina, Giulio, insieme al fratello Giuliano, arrivò nell'alto Novarese e nel Cusio intorno alla fine del quarto secolo con lo scopo di evangelizzare la popolazione e edificare nuove chiese al posto dei luoghi di culto pagani, per ordine dell'imperatore Teodosio I.
La leggenda vuole che i due fratelli costruirono cento chiese e che Giulio abbia lasciato al fratello Giuliano il compito di edificare la novantanovesima a Gozzano, per cercare da solo il luogo dove far sorgere la centesima. Individuò nella piccola isola sulle acque del Lago d'Orta il luogo ideale e, per raggiungerla, si recò ad Omegna, allora Vemania, cercando qualcuno disposto a traghettarlo. I pescatori e barcaioli, però, rifiutarono, presi - si dice - dalla paura di creature che vivevano proprio sulla piccola isola. Giulio allora stese il suo mantello sulle acque e navigò così, miracolosamente, sul lago… Raggiunta l'isola, “ebbe la meglio” su draghi e serpenti, simbolo delle credenze pagane: intimò loro di andarsene, cosa che questi fecero inabissandosi nelle acque scure del lago (come a dire: si ritirarono ma non scomparvero…). Sull’isola Giulio pose le fondamenta di una chiesa nello stesso punto in cui sorge oggi la Basilica di San Giulio, dove poi le sue spoglie furono tumulate. Curiosa leggenda che, però, si ricollega ad altre che narrano casi analoghi di draghi sconfitti da santi cristiani o di draghi nascosti nelle acque di innumerevoli laghi in Italia e altrove. Che cosa successe davvero? Cosa può simboleggiare? Forse il momento in cui la Chiesa cristiana fece la sua guerra contro le tradizioni precedenti e queste, per sopravvivere, si nascosero e continuarono la loro opera segretamente? Molto probabile. O c’è un vero e proprio “drago” nel Lago d’Orta, come Nessie in Scozia e come in altri laghi sparsi in tutto il mondo? Un misterioso abitante proveniente da epoche ancestrali? Come che sia, nella sacrestia della basilica sull’Isola di San Giulio viene conservata una grande vertebra che, secondo la tradizione, sarebbe appartenuta ad un drago o grosso rettile “sconfitto” da San Giulio, vertebra ritrovata in una caverna nei pressi del paese di Orta e oggi non più visibile al pubblico. Ufficialmente tale reperto viene attribuito ad un essere preistorico, probabilmente un cetaceo marino, e potrebbe essere arrivato sull'isola come ex-voto lasciato da qualche marinaio o viaggiatore, ma chissà…
Altra cosa curiosa è che, sempre nella sacrestia della basilica e non visibile al pubblico, viene conservato anche un simulacro di drago che fino a non molto tempo fa veniva portato in processione: si tratta infatti di un drago processionale snodabile, in ferro battuto, lungo circa 42 centimetri per 110 di ampiezza e datato al XVI-XVII secolo. I draghi processionali, conservati anche in altre chiese della diocesi di Novara, venivano utilizzati durante le Rogazioni, le processioni che si svolgevano nel periodo primaverile (in genere nei tre giorni prima dell'Ascensione, o, come sull'Isola di San Giulio, intorno alla festa di San Marco, 25 aprile) per chiedere alla Provvidenza la protezione dei campi e delle colture dalle avversità atmosferiche. In tali processioni - attestate fino agli anni ‘60 del XX secolo - un chierico portava un drago sollevato su una pertica. Nei primi due giorni il drago guidava la processione, con ali spiegate, coda eretta e nelle fauci fiori di campo, erba e spighe: il terzo giorno invece chiudeva il corteo, con ali e coda abbassate e la bocca chiusa. La simbologia religiosa “ufficiale” voleva significare che dopo due giorni di preghiera il male veniva sconfitto e i fedeli potevano essere certi della protezione divina ma, anche qui chissà, l’eco di antiche tradizioni pagane è evidente. L’Isola di San Giulio rimane in ogni caso un luogo speciale, immerso nel silenzio e nella pace. Oggi è occupata quasi esclusivamente dall’Abbazia Mater Ecclesiae, una comunità benedettina di suore che si dedicano alla tessitura e alla riparazione di stoffe antiche. È stata loro iniziativa, in accordo col Comune di Orta, denominare la via che percorre il perimetro dell’isola “Via del Silenzio” in un senso e “Via della Meditazione” nel senso opposto: scelta inusuale, che rimanda ad esperienze, appunto, di silenzio e meditazione che sono ben più antiche della nascita delle grandi religioni. Il paese di Orta racchiude anche un altro luogo particolare, il Sacro Monte, che fa parte del gruppo dei nove Sacri Monti Alpini in Piemonte e Lombardia, considerati patrimoni dell’umanità. Il Sacro Monte di Orta sorge sulla collina che si eleva al centro della penisola di Orta San Giulio e fu realizzato su emulazione del Sacro Monte di Varallo, in tre distinti periodi tra il 1590 e il 1785. È un complesso di cappelle dedicate alla vita di San Francesco, l’unico Sacro Monte dedicato interamente alla vita di un santo. Le cappelle sono in totale 22, se ne contiamo anche una mai terminata nonché la chiesa principale.
In ogni cappella si possono ammirare gruppi di statue a grandezza naturale che rappresentano i momenti più significativi della vita del Santo. Alcune hanno forma circolare e ricordano la shahqt-mar, la ruota forata, l’antico simbolo dello Sciamanesimo druidico che si ritrova in tutte le culture e i luoghi della Terra e che si riferisce alla natura immateriale dell’esistenza, la dimensione nella quale siamo immersi al di là del visibile quotidiano. Davvero curiosa l’edificazione dei Sacri Monti: viene identificata come una strategia utilizzata dalla Chiesa cattolica negli anni della Controriforma per combattere la Riforma Luterana, un modo per rinfocolare nei fedeli la fede nella Chiesa romana… Purtuttavia i Sacri Monti sono luoghi in cui è evidente la simbologia del percorso iniziatico: di tappa in tappa si procede verso l’alto, spesso le tappe sono 22 (come gli archetipi dell’antico Sciamanesimo druidico) e non di rado viene appunto utilizzato il simbolo della ruota forata. Sono in ogni caso luoghi di contatto con la natura e di silenzio: viene da pensare che possano nascondere le tracce di antiche tradizioni precristiane. D’altra parte, lo stemma di Orta è proprio una specie di ruota forata (l’Hortus conclusus) con al centro un albero, che richiama un altro simbolo ancestrale, quello dell’Yggdrasil, l’albero della vita.
Se percorriamo il perimetro del lago troviamo, proprio di fronte a Orta, il piccolo borgo di Pella, dove ci imbattiamo nel complesso di San Filiberto. Situato su un prato in riva al lago, comprende la chiesa, che è la più antica cappella della riviera occidentale del Lago d’Orta, edificata intorno all’XI secolo con l’abside rivolta ad est verso l’approdo sul lago, ancora esistente, e un giro di quattordici cappelle risalenti al 1794 che raffigurano la Via Crucis. Una struttura curiosa perché sembra la riproduzione cristiana di un antico cromlech: al centro, in questo caso, è situata la piccola chiesa, tutto intorno si snocciolano a cerchio le 14 cappelle tutte rivolte verso il centro. Una costruzione veramente particolare e non usuale nella tradizione dell’edilizia religiosa. Forse c’era prima un sito preistorico? Un vero e proprio cromlech? Di cui la Chiesa cristiana, come ha fatto in mille modi e luoghi, si è impadronita assimilandolo? Qualcosa del passato rimane comunque, anche se in modo discreto. Passeggiando lungo il lago non è strano intravvedere dentro i giardini delle ruote forate, così come accade nel primo chiostro del convento francescano di Monte Mesma, situato all’interno della Riserva naturale omonima, poco distante da Orta. Anche qui dunque, un simbolo molto antico, che si ritrova dappertutto nel mondo e che fa bella mostra di sé in un luogo sacro alla religione cristiana. Certo, nella cultura ufficiale le ruote forate vengono classificate come “macine”, se sono grandi, e come “fusaiole”, se sono piccole, ma, ci chiediamo, perché mai nel chiostro di un convento campeggia una ruota forata invece che una croce? E nel bel mezzo di una rotonda ad Opaglio campeggiano due grandi ruote forate sovrapposte? Di sicuro la presenza diffusa di questo ancestrale simbolo dello Sciamanesimo druidico testimonia che qualcosa viene tramandato ancora oggi. D’altra parte, sul bordo del lago, presso Orta, incontriamo anche un piccolo bonhomme, un insieme di piccole pietre sovrapposte, altra costruzione che si ritrova spesso in montagna e nei paesi nordici. Un’altra testimonianza spirituale su questo piccolo lago di fiaba? Elio Bellangero, ricercatore della Ecospirituality Foundation, conduce la trasmissione “Animali ed Enigmi” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it; Gilda Paolicchi è insegnante e ricercatrice della Ecospirituality Foundation |