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Australia: tra Draghi e Megaliti |
02 Maggio 2011 | ||||||||||||||||
L’Australia che non c’è – Seconda Parte
Il mio gruppo musicale, LabGraal, era stato ingaggiato per una serie di concerti e conferenze in Australia. Il nostro tour australiano ci aveva portato in quella Terra del Sogno e noi non avevamo nessuna aspettativa particolare se non quella di gustarci fino in fondo quel viaggio che per noi aveva il significato di atterrare su un altro pianeta. Essere in Australia, dall’altra parte del mondo, su un altro emisfero, era per noi talmente nuovo ed entusiasmante che non facevamo neppure dei piani: ci lasciavamo guidare dagli eventi. I quali non tardavano a manifestarsi. Avevamo concluso la parte del viaggio che prevedeva i maggiori impegni e non ci aveva lasciato molto tempo per “gustarci” quel pianeta alieno. I concerti erano andati molto bene, le conferenze pure, e noi potevamo finalmente guardarci un po’ attorno. Sfogliando le varie guide turistiche e parlando con gli amici del posto credevamo di esserci fatti un’idea, anche se sommaria, dell’Australia. Ci sbagliavamo. L’Australia che stavamo per conoscere non è descritta dalle guide, non è raccontata dalle persone del posto, è invisibile. L’Australia megalitica Eravamo nelle terre dei giganti. Le leggende dei Nativi australiani narrano che il popolo dei giganti ha eretto delle grosse pietre per tutta l'Australia. Ci eravamo chiesti come mai la cultura del megalitismo esistesse in tutto il mondo tranne che in Australia. Ci sembrava strano. Ma chiedendo in giro, o sfogliando le guide, pareva non ve ne fosse traccia.
Stavamo per scoprire invece che il New South Wales e il Victoria ne sono pieni. Nella Terra del Sogno, a contatto con il potere tellurico di Gaia, le mie facoltà ESP si dovevano essere acutizzate parecchio: avevo un particolare radar interno che mandava un segnale in prossimità di un luogo megalitico. Al ritorno da una delle nostre escursioni "qualcosa" mi ha suggerito una decisa inversione di marcia verso un percorso alternativo. E siamo finiti a Boulder Country, un percorso che ci ha rivelato un complesso megalitico impressionante, con pietre alte più di 20 metri. Non riuscivamo a crederci! Era quasi buio. Il posto era recintato ma il "caso" ha voluto che proprio in quel momento passasse di lì il custode, il quale ci ha dato appuntamento per il giorno dopo. E infatti siamo tornati. Non avevo mai visto dei canguri scorrazzare in un luogo megalitico. Non avevo neppure mai visto un complesso megalitico così imponente e vasto. Monoliti di più di 20 metri di altezza, filari di menhir, cromlech, grossi menhir isolati. Molti di questi avevano una grossa pietra posata sulla sommità, come avremmo poi riscontrato in pressoché tutti i luoghi megalitici australiani. Ricordano un po' gli Inookshook, i megaliti antropomorfi degli aborigeni canadesi. Da restare a bocca aperta. Siamo entrati dentro la parte recintata e subito si è messo a piovere a dirotto. Non fa niente, proseguiamo imperterriti. I canguri della zona giocano e sguazzano tra i menhir, perché non possiamo farlo anche noi? E anche se è già un po' buio, piove e tira un vento della madonna, nulla può diminuire lo stupore di fronte a questo sito. In Australia non ci sono megaliti? Non ci sono POCHI megaliti. Ce ne sono tantissimi, ne trovavamo dappertutto, e sono eccezionali! Solo che le guide e le mappe non li citano, e la gente non sa neppure che cosa siano. Steven, il ragazzo che ci accompagna, si entusiasma per la nostra eccitazione e ci racconta che tutta la zona è piena di megaliti. Addirittura la zona è stata chiamata Boulder Country, il paese della pietra. La gente del posto pensa che sia un fenomeno naturale, questo è ciò che passa l'informazione locale. Centinaia di menhir disposti a filari e a cerchi, grossi massi sulla cui sommità è posata una grossa pietra, cromlech con una pietra nel centro esatto. Fenomeno naturale? Allora siamo a contatto con un bell’X-File.
Cominciavamo a pensare che non fosse un caso se ci trovavamo proprio in quella zona dell’Australia. I territori del Victoria e del New South Wales si stavano rivelando particolari per tanti motivi: per la cultura megalitica e per le tradizioni aborigene del luogo, secondo le quali proprio lì fanno risalire le origini della loro civiltà. Il drago di Bunyip Park Avevamo capito che era difficile fare previsioni: le cose accadevano al di là di qualsiasi nostra aspettativa o programmazione. Il nostro viaggio stava prendendo una piega tutta sua, con percorsi imprevisti che si snodavano autonomi. Non ci chiedevamo dove ci avrebbe portato, eravamo ormai pervasi da una sorta di fatalismo e lasciavamo che le cose succedessero da sole. Sembrava di fare un percorso a tappe e ogni tappa ci svelava un volto inedito dell'Australia. L'esperienza sconvolgente del Bunyip Park ci ha portato a contatto con il lato nascosto di questa terra ancestrale. Avevamo progettato un giro nello Yarra Yarra State Park, nel Victoria, ma qualcosa mi ha fatto cambiare idea e optare per il vicino Bunyip State Park, appena fuori Melbourne. Lo Yarra Yarra, molto più conosciuto, era la zona dove stavano i coloni mentre i Nativi preferivano la zona del Bunyip.
Avevo letto che era un posto sacro per i Nativi e che secondo la mitologia aborigena questa foresta ospitava una creatura misteriosa, il Bunyip appunto, un essere che viveva tanto nella foresta quanto nella profondità dei laghi e dei fiumi. Mi ha fatto venire in mente Nessie, il mostro di Lochness. Il Bunyip, secondo la leggenda, era il custode di questo posto e dispensava punizioni a chi non rispettava il luogo. E i fatti strani che pare si manifestassero inquietavano e scoraggiavano i coloni dal frequentarlo. C'erano già abbastanza elementi per incuriosirmi, e i miei compagni di viaggio sono stati subito d'accordo: dopo la scoperta di Boulder Country affidavamo il viaggio all’istinto, soprattutto al mio istinto, visto che mi consideravano ormai posseduta da non si sa quale strana entità che mi suggeriva gli itinerari da seguire... Non sapevamo ancora che il Bunyip per la mitologia aborigena è il Drago, un simbolo importantissimo anche per la mitologia druidica, a cui si legano racconti e leggende su strane ed enormi creature, simili ai sauri, che sarebbero tuttora esistenti, nascoste in posti particolari del pianeta. Il Bunyip State Park è una foresta immensa, scura, sconvolgente e ancestrale. Nonostante sia solo a poco più di un centinaio di chilometri da Melbourne, lo scenario cambia improvvisamente e sembra di essere in un altro mondo, nel cuore dell'Africa o nelle foreste norvegesi. Durante tutta la nostra esplorazione, siamo stati seguiti e tenuti d'occhio dai nativi non-umani del posto. Gli animali che abitano la foresta emettono grida e suoni stranissimi. Si avvisano da una radura all'altra, si mandano segnali forse sui nostri spostamenti, o almeno è questa l'impressione. I wallaby, perfettamente a loro agio, controllano le nostre mosse. Nonostante fosse sabato, il posto era deserto. Le poche auto che incontravamo, perlopiù automezzi di trasporto, sembravano avere una fretta del diavolo. La prima grossa sorpresa è stato scoprire che il posto è un luogo megalitico, anche questo completamente ignorato dalle guide.
Compaiono menhir un po' ovunque sul percorso. Troviamo menhir isolati, grandi e piccoli, e inoltrandoci nelle vie sterrate secondo un percorso assolutamente casuale che non sapremmo più ritrovare, ci troviamo davanti a un complesso imponente: tre grossi megaliti attaccati uno all'altro. Una struttura impressionante per dimensioni e forma. Siamo rimasti per un po' lì a contemplare il sito, affascinati ed estasiati di ritrovare sempre lo stesso elemento sui nostri percorsi: le grosse pietre che hanno sempre segnato e guidato i nostri viaggi. Ma le sorprese erano tutt'altro che finite. Quando abbiamo deciso di tornare verso casa, abbiamo scoperto che ci eravamo persi. Avevamo perso completamente il senso dell'orientamento, le cartine sembravano non rispettare i percorsi reali, addirittura davano indicazioni sbagliate; il tom tom era andato in tilt; ci muovevamo con la bussola, ma anche questa sembrava sballata. Nel frattempo si stava facendo buio e i rumori della foresta erano sempre più forti. E' stato a quel punto che alcuni di noi hanno percepito qualcosa di stranissimo. Giancarlo ha intravisto un essere enorme che sembrava seguirci, scuro, come sdraiato, acquattato. Andrea invece ha scorto un masso verde che evidentemente non era un masso, poiché compariva e scompariva. Convinti di essere ormai fuori di testa, e persi tra i sentieri della foresta sempre più buia, ci siamo fermati ad una radura che emetteva un richiamo irresistibile per tutti noi. E anzichè preoccuparci di ritrovare la strada, noi tutti abbiamo avuto la stessa idea balzana: ci è venuta l’improvvisa voglia di sentire il suono del flauto in quella radura aliena. Abbiamo chiesto al nostro flautista di suonare qualcosa, e quando Giancarlo (Barbadoro – n.d.a) ha iniziato a suonare, tutti i rumori della foresta si sono zittiti per un lungo momento. Poi i nativi non-umani si sono chiamati a raccolta ed hanno accompagnato il concerto improvvisato con i versi e i suoni più strani che avessi mai sentito. Le sensazioni che abbiamo avuto nel sentire il suono del flauto di Giancarlo in quella radura, in quella foresta, sono indescrivibili. Il flauto sembrava amplificato naturalmente e la musica sembrava provenire da tutta la foresta. Quando ci siamo avviati verso il pulmino eravamo tutti un po' sbiellati, e qui si è verificato l'ultimo fatto strano: le portiere si sono chiuse da sole prima che salissimo, un po' come se non dovessimo andarcene. Nello stesso momento un verso inquietante, alieno, forte, ancestrale, da brivido, ci ha raggiunti da dietro gli alberi. Un uccello sconosciuto? Il Bunyip? I Nativi umani che ancora abitano la foresta? Probabilmente non lo sapremo mai, ma ci è sembrato un saluto. In quella radura ci siamo sentiti a casa, accolti benevolmente dalle presenze e dagli abitanti del posto.
Il pulmino si è riaperto, siamo ripartiti ed abbiamo magicamente trovato subito la via di casa. I nostri amici Nativi ci hanno poi raccontato che il Bunyip è una creatura curiosa che secondo le leggende segue di soppiatto le persone e le spia. Nel contatto con le tradizioni locali abbiamo saputo che secondo la mitologia aborigena il Bunyip, il drago, abitava questa zona e la proteggeva da chi voleva danneggiarla. La leggenda narra che anticamente una tribù che si era comportata male era stata trasformata in uomini piumati, con le piume nere e il collo lungo, che emettevano suoni strani, tra i versi di uccello e le grida umane. Come il grido che abbiamo sentito? Hanging Rock Dopo essere stata ad Hanging Rock mi è venuta la tentazione di prendere tutte le mie guide turistiche, anche le più rinomate, e buttarle nella spazzatura. Liquidare in poche righe un posto del genere è criminale. Avevo scoperto che a pochi chilometri dalla nostra base di Melbourne esisteva Hanging Rock, il luogo divenuto famoso nel resto del mondo per il film di Peter Weir "Picnic ad Hanging Rock". In Australia questo fatto non è particolarmente sottolineato, e questo garantisce un po' più di tranquillità al luogo rispetto al più sponsorizzato Uluru. Ma anche senza bisogno del film, il luogo ha già di suo un background di fatti misteriosi.
Il film raccontava la sparizione inspiegabile di alcune collegiali durante un picnic ad Hanging Rock, ispirandosi ad un libro che narrava un fatto realmente accaduto. Esiste una diatriba sulla veridicità o meno dell'episodio, ma anche se il fatto non fosse vero, il posto non perderebbe comunque il suo fascino e il suo mistero. E non si fatica ad immaginare la sparizione di qualcuno tra quegli anfratti e quei sentieri che si perdono in labirinti senza apparente via d'uscita. Hanging Rock è un posto incredibile. E' un imponente complesso megalitico naturale costituito da particolari rocce vulcaniche che al di fuori di questo posto si trovano solo in Svezia e Norvegia, un grosso agglomerato di monoliti formatisi naturalmente (ma sarà poi così?) nel corso delle ere geologiche che sembra sorto dal nulla in un paesaggio che nulla ha a che fare con esso. Il primo scopritore lo chiamò Monte Diogene. Una delle rocce, che sembra appesa a un filo e sempre sul punto di cadere, ha poi dato il nuovo nome al posto. Il complesso ricorda Externstein nella Foresta Nera. Le grandi rocce, risultato di un processo che dura da milioni di anni, sono composte da singoli agglomerati di enormi menhir che hanno assunto forme talmente particolari da essersi meritate nomi evocativi come Stonehenge, il Vampiro, i tre Monoliti, Re Artù e così via. Il posto, veramente imponente, è pieno di catacombe, grotte, sentieri fra le rocce.
Il luogo emana una potenza e un'energia che lasciano sopraffatti. E gli effetti si sono manifestati anche tangibilmente: i miei compagni di avventura hanno avuto sensazioni diverse e molteplici. Chi ha rischiato di perdersi, chi ha dovuto aggrapparsi ad una roccia per ritrovare il percorso dopo essersi addentrato in un sentiero che svaniva nel nulla, chi si è inoltrato in una grotta ma ne è uscito subito perché sentiva una forza respingente. Ci sentivamo tutti quanti svuotati di energie, effetto che si è protratto per tutto il viaggio di ritorno. Altro fatto strano: abbiamo rischiato di non avere fotografie del posto perché le pile di tutte le nostre macchine fotografiche si sono scaricate contemporaneamente. Ma non siamo stati i primi ad avere questi effetti: esistono testimonianze di persone che in questo sito hanno avuto effetti analoghi come ad esempio orologi e bussole che impazzivano. Hanging Rock è un luogo sacro per i Wurundjeri, una coalizione di tribù locali. Secondo le leggende dei Nativi questa montagna ospita uno spirito che li protegge e li guida. Come per Uluru, non mi stupirei se i Nativi lo abitassero tuttora, nascosti nel cuore dei grandi monoliti. Addentrandosi tra i percorsi nelle rocce sembra di veder comparire da un momento all'altro i giganti della mitologia aborigena. Il percorso tra le rocce imponenti è mozzafiato: grandi monoliti di tipo antropomorfo che ricordano i Moai dell'Isola di Pasqua, complessi di menhir allineati come a Carnac, grandi coppelle e soprattutto grotte e caverne che ci siamo guardati bene dal perlustrare. Non per paura, ma per rispetto verso i custodi del posto. 2 - continua |