Tradizioni Celtiche |
In viaggio con i Vikinghi |
22 Dicembre 2022 | |||||||||||||
Dal diario di bordo del viaggio in Islanda del LabGraal a contatto con il cuore di Gaia
Verso un altro pianeta Siamo i quattro musicisti del LabGraal, Luca, Andrea, Gianluca ed io, gruppo ormai collaudato nei viaggi, eppure ci sentiamo in cinque, perché Giancarlo è sempre con noi, anche in questa avventura. Non so cosa aspettarmi da questa esperienza, è un po’ come andare su un altro pianeta, e forse è questo che mi attrae. È il fascino dell’aspetto sconosciuto, verso il mistero, quello che gli antichi druidi chiamavano “Matchka”, un’esperienza che inizia da tutto quello che non si conosce. È vero che esistono libri, reportage e filmati sull’argomento, ma ho imparato che i viaggi non sono mai come uno se li aspetta. Soprattutto se non si viaggia da turisti ma con l’idea di affrontare un’esperienza nuova, senza aspettative aprioristiche. In fondo viaggiare nello spazio è un po’ come viaggiare nel tempo, lo spazio e il tempo sono direttamente collegati in una unica dimensione che la teoria della relatività ristretta definisce “spazio-tempo” o “cronotopo”. “Partire è un po’ morire”, dice una poesia di Edmond Haraucourt, un detto diventato famoso. E in effetti è proprio così: ogni viaggio segna una tappa della propria vita e, se si approfitta di un’esperienza che allarga gli orizzonti, è come morire e rinascere. Viaggiare a 11.000 metri di altezza mi produce sempre una certa sfasatura, vedere le nuvole dall’alto porta a filosofeggiare, e ogni volta mi chiedo come facciano gli astronauti a tornare alla loro vita quotidiana dopo essere stati nello spazio. Infatti quelli che sono rimasti delle missioni Apollo pare che non se la passino tanto bene.
Questa sfasatura mi era già successa in Australia, sembrava di essere su un altro pianeta, con la volta stellata percepita come aliena rispetto a ciò a cui siamo abituati, e la luna all’incontrario. Giancarlo mi diceva: andremo in Islanda a incontrare gli alieni. Chissà se succederà davvero? O forse si sarebbero manifestati solo con lui? Andremo in una terra con paesaggi incontaminati, un vero e proprio parco geologico, sembrerà veramente un viaggio attraverso il tempo, viaggiando indietro di milioni di anni, e magari ci aspetteremo di incontrare un grande sauro. Una terra abitata anticamente dai Vikinghi che sicuramente avranno lasciato delle tracce, come minimo nella cultura del posto. Una terra mitica che è stata identificata con la leggendaria isola di Thule dal navigatore e geografo greco Pytheas vissuto nel 330 a.C. La definiva “Ultima Thule”. Appena usciti dall’aeroporto siamo stati salutati da una scultura di Magnús Tómasson raffigurante un grande uovo d’acciaio da cui esce il lungo becco di un uccello che mi ha ricordato un dinosauro che esce dal suo guscio, come nella leggenda celtica dell’uovo di Hal. Ci è sembrato un benvenuto dalla terra dei Vikinghi. La cultura norrena, sempre presente Immergendosi nella cultura islandese si scopre che i Vikinghi sono molto più presenti di quanto la storia dell’Islanda letta sui libri ci racconti, come ampiamente dimostrato dal Museo Nazionale d’Islanda, pieno di reperti vikinghi. Una volta di più è stato evidente come quelli che definiscono “barbari” avessero una cultura raffinatissima, con una gioielleria preziosa ed elegante, arti ricercate e poemi profondissimi che ancora oggi molto spesso rimangono oscuri.
Sarà sicuramente un argomento che fa tendenza e sarà per questo che nella capitale ci sono negozi, negozietti, mercatini e fior di librerie dedicate alla cultura vikinga. Ma indubbiamente è un argomento pregnante che viene esibito con fierezza. L’Islanda è un’isola giovane, rimasta per molto tempo disabitata. I greci, in particolare l’esploratore Pythéas, ma anche Eratostene e Tolomeo, hanno legato questa terra alla leggendaria Thule. Uno dei primi coloni vikinghi dell’Islanda fu Ingólfur Arnarson che, si narra, fondò Reykjavík nell’anno 874 d.C. seguendo un rituale vikingo. Le attribuì il nome “Reykjavik” che si può tradurre in “baia fumosa” per via dei vapori geotermali che già allora caratterizzavano la zona. Secondo alcune interpretazioni, l’isola era già abitata da monaci cristiani, i Papar, che tuttavia all’arrivo dei Vikinghi lasciarono l’isola. Ma non sono mai state trovate prove della loro esistenza. Per molto tempo Reykjavik fu un centro modesto formato da alcune fattorie di coloni. Fino a quando, nel 1749, Skúli Magnusson, anch’egli di origini vikinghe, decise di trasformare la zona in un centro di lavorazione della lana, dando un impulso al commercio che progredì fino a far diventare la città capitale del Paese. Questo gli fece guadagnare la fama di “padre della città”. Oggi Reykjavik riesce a coniugare le diverse tendenze degli islandesi, la loro voglia di andare verso il futuro con la necessità di vivere una vita tranquilla. In ogni casa degli islandesi, anche nei posti più sperduti, c’è alta tecnologia e l’energia è presa direttamente dal sottosuolo. In Islanda più del 50% dell’energia proviene dalla geotermia che viene adoperata per elettricità, riscaldamento delle case, delle piscine, ecc. Più del 90% della popolazione usa l’energia geotermica per il riscaldamento.
Questa fonte di energia negli altri Paesi non viene molto considerata, eppure è stato calcolato che con la sola energia geotermica si potrebbe teoricamente soddisfare il fabbisogno energetico planetario per i prossimi 4000 anni. In questo Paese dove il costo della vita è molto elevato, la bolletta media dell’elettricità non supera i 10 euro ogni tre mesi. L’Islanda ha anche un altro primato: la settimana lavorativa ridotta a 35-36 ore senza ridurre i salari, ma aumentando la produttività. Del resto l’Islanda, come altri Paesi scandinavi, ha messo sempre al primo posto il benessere dei cittadini, come è dimostrato dalla storia recente: nel 2008 il mercato azionario crollò completamente, eppure il governo islandese si rifiutò di utilizzare il denaro dei contribuenti per sostenere le banche fallite, come invece fecero le altre nazioni, ma mise al primo posto il sistema di previdenza nazionale. La decisione controcorrente del governo diede i suoi frutti e il Paese tornò in ascesa. Intanto, nel nostro viaggio i misteri cominciano a manifestarsi. Davanti al centro culturale Harpa, nel cuore di Reykjavik, c’è una baia. Ebbene, questa baia ospita migliaia (MIGLIAIA!) di offerte votive, piccole e grandi sculture antropomorfe fatte di sassi impilati, come quelle che abbiamo avuto modo di vedere nella foresta di Brocéliande in Bretagna, o simili agli Inukshuk che abbiamo visto in Canada. Cosa rappresentano queste migliaia di offerte votive? E chi ne sono gli autori? Un’antica usanza di una tradizione dimenticata che viene tramandata da ignoti prosecutori? Thingvellir Nel Thingvellir National Park c'è una particolare roccia sormontata dalla bandiera dell’Islanda che indica la sede del primo parlamento islandese, considerato anche il primo parlamento del mondo. L’“Althing” (“assemblea” in norreno) è un’assemblea vikinga nata nell’anno 930 d.C. Qui si prendevano decisioni a cui partecipavano tutti i membri della comunità, al di là dei gradi, dei ruoli sociali e di genere, in piena democrazia. Si decidevano le leggi dopo averle discusse tutti insieme. Di solito l’“Althing” si teneva nelle due prime settimane di luglio. Era considerato l’evento principale dell’anno a cui partecipavano anche migliaia di persone accampate nella zona con le tende e a fianco dell’evento principale, l’assemblea, si sviluppavano scambi commerciali, patti, o semplicemente ci si divertiva in incontri intertribali.
Il compito principale dell’“Althing” era quello di legiferare nuove leggi o interpretare quelle già esistenti, e amministrare la giustizia. All’“Althing” partecipavano sia Vikinghi sia Celti, in quanto entrambi i popoli facevano parte dei primi coloni che si insediarono in Islanda. Del resto entrambe queste culture avevano una matrice comune, come dimostrano i ritrovamenti e i reperti. Ogni uomo e ogni donna potevano intervenire argomentando e portando avanti i propri progetti di legge al di là dei ruoli che rivestivano nella società. Chi non era soddisfatto del suo Capo Clan poteva decidere di cambiare Clan. All’inizio dell’“Althing” le leggi non venivano scritte, ma solo declamate a voce. Era compito dei “Law Speakers” (annunciatori di leggi) ricordarsele e tramandarle. Lo storico, poeta e studioso islandese Snorri Sturluson (1179-1241), autore dell’Edda in prosa, è stato “Law Speaker” due volte. L’Edda di Snorri è considerata la più famosa e forse l’unica raccolta di miti e leggende norrene esistente, un’opera fondamentale per la conoscenza del patrimonio mitologico nordico e del credo spirituale della Scandinavia pagana. Racconta la tradizione della poesia degli scaldi, i poeti vikinghi. Sturluson era a sua volta Capo Clan. Durante il periodo vikingo, prima della conversione forzata del cristianesimo, dal 930 al 1271 nell’Althing non venivano decise pene corporali come la decapitazione o l’annegamento nel sacco, cose che avvennero dopo l’avvento del cristianesimo. Nell’epoca vikinga la punizione più severa per chi commetteva un crimine capitale era l’“esilio nella foresta”, che rappresentava l’essere esclusi dalla società civile senza più alcuna protezione. Fino al 1798 si è proceduto, anno dopo anno, a tenere assemblee annuali e a stabilire le leggi per tutto il popolo. Nel 1930 il Primo Ministro Tryggvi Thorhallsson celebrò il millennio dell’“Althing” al Thingvellir Park a cui intervennero circa 40.000 persone e fu coniata anche una moneta per ricordare l’evento. Oggi l’“Althing” continua ad esistere e a formulare le leggi, ma l’assemblea si tiene a Reykjavik, capitale dell’Islanda. Geysir
Dopo questa interessante immersione nella storia d’Islanda, la puntata successiva è stata Geysir, dove esiste il geyser più importante e più antico d’Islanda da cui proviene lo stesso nome “geyser”, a sua volta derivato dal termine islandese “gjósa” che significa “eruttare”. La zona del geyser è attiva da circa 10.000 anni. Nel 1630 un’enorme esplosione ha fatto risalire l’acqua dal suolo ed eruttare tutti i geyser della zona. Le sue eruzioni possono arrivare anche a 170 metri, noi abbiamo visto a più riprese una eruzione di circa 70 metri. È impressionante assistere all’esplosione programmata, circa ogni 10 minuti, di questo geyser e anche di tutti gli altri più piccoli della zona. E viene da chiedersi cosa succede nel cuore del pianeta che ci ospita. “Viaggio al centro della Terra” di Jules Verne ci ha fatto sognare, ma il nucleo della terra non dev’essere un bel posto da visitare, a meno che non ci piacciano le fornaci. Eppure recenti scoperte hanno rivelato che il cuore del pianeta si raffredda più in fretta del previsto. Già in passato, gli scienziati hanno ipotizzato che al centro della Terra si trovi un cristallo esagonale, alla profondità di 3000 miglia. Recentemente invece, un gruppo di ricercatori ha fatto una scoperta straordinaria: il nucleo della Terra sembra avere un altro nucleo ancora più interno. In pratica, ciò che avviene nel cuore del nostro pianeta è ancora un mistero. E questo porta a chiedersi che tipo di processo alchemico avvenga nel nucleo di Gaia, questo alternarsi di freddo e caldo di cui noi vediamo solo gli effetti in superficie. Dopo l’acqua bollente dei geyser di Geysir, che producevano getti d’acqua e vapore a 100 gradi ogni 6/10 minuti circa, ci siamo avventurati nel getto di acqua fredda della cascata più famosa d’Islanda. La cascata Gullfoss L’incredibile cascata Gullfoss è considerata la cascata più importante dell’isola grazie ai suoi 141 metri cubi di acqua al secondo che si riversano nella gola alta 32 metri, alla forza del proprio getto e all’impressionante paesaggio che la caratterizza.
Gullfoss significa “cascata d’oro”, forse per la luce dorata che si riflette sulle sue acque al tramonto e all’arcobaleno che si forma quando la luce solare attraversa le particelle d’acqua sospese in aria. La cascata è imponente, così come impressionante è anche il canyon sottostante. È alimentata dal fiume Hvítá, famoso per le acque bianche dovute al limo artico, organismo che ricopre il fondale. La cascata Gullfoss è legata al nome di una donna, Sigríður Tómasdóttir, un’ambientalista ante litteram del 19esimo secolo, che si batté contro il governo per salvare questa ricchezza naturale portando avanti la sua battaglia. Un imprenditore inglese, insieme ad altri allevatori tra cui il padre di Sigríður, aveva infatti acquistato l’area di cui faceva parte anche la cascata per sfruttarne la forza e produrre energia. Il progetto era quello di costruire una centrale idroelettrica che avrebbe inevitabilmente mutato il paesaggio. Sigríður decise di intraprendere una battaglia per salvare la cascata, facendo avanti e indietro a piedi da Reykjavik alla fattoria in cui viveva lontana 120 chilometri. Non ottenendo risposta, Sigríður alla fine si recò nella capitale minacciando di gettarsi nella cascata. Il governo cedette alle sue pressioni e la cascata venne dichiarata patrimonio nazionale. 1 – continua
Da “Les Cahiers du Graal”n. 3, ottobre 2022. Pubblicazione trimestrale del Centro Studi Giancarlo Barbadoro - www.centrostudibarbadoro.it |