Tradizioni Celtiche |
Nella terra dei Vikinghi |
16 Ottobre 2020 | ||||||||||||||||||||||
Le terre dei Paesi Scandinavi risentono ancora fortemente dell’atmosfera degli antichi abitanti norreni
Viaggiando per i Paesi dei Norreni Antichi templi megalitici, reperti preistorici risalenti a migliaia di anni fa, raffinatissima gioielleria, imbarcazioni leggere e modernissime con cui solcavano i mari e attraversavano gli oceani… ma chi erano veramente i Vikinghi? Non certo quei rozzi navigatori così come la Storia ce li vuole mostrare. Viaggiando per i Paesi del Nord Europa, come Danimarca e Svezia, è inevitabile confrontarsi con una cultura per certi versi aliena, addestrati inevitabilmente alla narrazione del mainstream di “casa nostra” a cui è difficile sfuggire. Ci si stupisce per la rilassatezza che regna ovunque, abituati come siamo a convivere con un clima di panico da pandemia, o per il fatto che sui media locali esistono anche altri argomenti interessanti oltre al Covid. Ma soprattutto, come non stupirsi nel vedere centinaia di biciclette abbandonate fuori dalle stazioni della metropolitana, senza antifurto, perché sicuri di ritrovarle il giorno dopo? O nel vedere bambini in fasce apparentemente dimenticati fuori dai bar e dai ristoranti, usanza comune in Scandinavia, dove è normale lasciare i bambini in carrozzina fuori dagli esercizi pubblici. Paesi all’avanguardia in materia di diritti civili, diritti umani e parità di genere. In Svezia nel '98 il Parlamento approvò una legge che garantiva le pari opportunità a maschi e femmine. Nello stesso Paese, dal 2003, le coppie gay e lesbiche possono adottare bambini; dal 2005, le coppie lesbiche hanno parità di accesso alla fecondazione in vitro e alla fecondazione assistita; nel 2009 è stato legalizzato il matrimonio omosessuale. Conquiste molto precedenti rispetto agli altri Paesi europei.
Il congedo parentale in Svezia è di 480 giorni fino al compimento dei nove anni del bambino e nelle prime due settimane dopo la nascita entrambi i genitori possono fruire del congedo per avere la possibilità di accudire il bambino congiuntamente. Tutti gli altri giorni possono essere divisi tra i genitori per permettere sempre a uno di essi, padre o madre, di lavorare mentre l’altro rimane a casa con il bambino. In Danimarca l’attività lavorativa è di 33 ore alla settimana e alle 16 qualsiasi esercizio chiude perché, giustamente, le persone non vivono per il lavoro ma lavorano per vivere, e quindi hanno una vita propria a cui dedicarsi. Tutto questo cosa ha a che vedere con i Vikinghi? La relazione c’è eccome. I Vikinghi sono stati dipinti per secoli come rozzi guerrieri semiselvaggi, in realtà questa è una delle tante mistificazioni che la Storia, come sempre scritta dai vincitori, ci vuole propinare.
È evidente come l’argomento necessiti di una rivisitazione storica. Forse il motivo dei progressi civili dei Paesi nordici è il retaggio di un passato che ha lasciato profonde tracce.
La Società Vikinga È ormai assodato che nella società vikinga esisteva la parità di genere: i ritrovamenti delle tombe rivelano l’alto rango delle donne che, alla pari del maschio, combattevano ed erano leader spirituali. È famoso il caso del ritrovamento di Birka, in Svezia. Un ritrovamento di una tomba vichinga rinvenuta nel 1800 piena di armi: spade, asce, scudi e altri elementi di tipo più rituale. Per anni si è dato per scontato che fossero di proprietà di un guerriero perché secondo la logica patriarcale dovevano essere oggetti appartenuti a un maschio. Ebbene, due ricercatrici (guarda caso donne) hanno scoperto che si trattava in realtà di una guerriera di alto rango. E una guerriera importante, vista la ricchezza del corredo. È stata sepolta con spade, asce, il suo cavallo e un raffinato gioco da tavolo, simile agli scacchi, segno che quell’oggetto aveva una tale importanza simbolica e strategica da essere sepolto insieme a lei. Quindi non una guerriera rozza come di solito vengono dipinti i vichinghi. E tuttavia le due ricercatrici non furono prese sul serio dalla collettività internazionale di scienziati e ci sono voluti diversi anni perché la comunità scientifica ammettesse che si trattava di una donna guerriera e non di un guerriero maschio.
Non è certo l’unico caso. In Norvegia ci sono quelle che gli archeologi chiamano «tombe anomale», cioè sepolture in cui sono state trovate ossa femminili insieme a oggetti da guerrieri. Il pregiudizio impera, come si evince da una affermazione di una professoressa di letteratura medievale dell’Università di Oxford, Carolyne Larrington, che ha dichiarato: «Stiamo trovando abbastanza prove che ci dicono che al tempo dei vichinghi i ruoli di genere erano più fluidi di quanto pensassimo e che quindi è possibile che in alcuni casi le donne fossero considerate ‘socialmente uomini’ anche se non lo erano biologicamente, e che per questo potessero avere ruoli di comando militare». La società vikinga era anche un esempio di democrazia diretta: ne abbiamo una dimostrazione nei Thing, assemblee pubbliche a cui tutti i cittadini partecipavano e dove venivano prese decisioni per tutta la comunità, al di là del rango e del ruolo dei partecipanti. Nel sistema sociale dei vikinghi, ancora in tempi relativamente recenti, parliamo del periodo dall’VIII all’XI secolo, le donne godevano di uno status legale di assoluta parità con tutti i diritti concessi al capo di un clan famigliare. I Vikinghi non avevano capi e le armate erano senza gradi. Non avevano neppure sacerdoti: i capi villaggio, con funzioni più che altro di coordinatori, si occupavano dei pochi rituali, basati soprattutto sul rapporto con la natura. Ciò che può essere ancora più interessante è la loro filosofia, in cui il rapporto con il trascendente permea anche tutte le loro azioni quotidiane.
Un atteggiamento nei confronti dell’esistenza che li rendeva invincibili, poiché vivevano la vita nella consapevolezza di non essere eterni e di avere un destino ben più ampio in confronto alla sola vita terrena. La divinità principale dei Vikinghi è Odino, personificazione del “sacro” e principio dell’universo. Secondo l’Edda poetica, il massimo poema nordico finora conosciuto, Odino guiderà gli dèi e gli uomini contro le forze del caos nell'ultima battaglia, dove sopraggiungerà il Ragnarok, la fine del mondo, nel quale tutti gli dèi e lo stesso Odino saranno uccisi per ritrovarsi nel Valhalla. Questa posizione nei confronti della vita e della morte può forse sembrare cupa e angosciante, in realtà rivela una mistica profonda (cosa c’è di più precario del nostro percorso in questa vita terrena?) e un atteggiamento irriverente nei confronti delle divinità, viste non come dèi da riverire ma piuttosto come simboli accomunati a noi da una sorte comune. Tuttavia sappiamo molto poco, tutto sommato, di questi popoli. I ritrovamenti, le documentazioni a riguardo sono tutte ormai filtrate dalla religione che è subentrata, il cristianesimo, che di certo non ha interesse a dipingere i Vikinghi come un popolo eroico.
Celti e Vikinghi, una stessa cultura Dal simbolismo delle loro opere, dai templi megalitici, dalle pietre runiche e dai pochi reperti che per fortuna vengono ancora conservati si può arguire che i Vikinghi appartenessero a un tipo di sciamanesimo primordiale con legami molto forti con i Celti. In definitiva, avevano le stesse origini, gli stessi miti, gli stessi santuari. E lo stesso legame con la Natura. Erano in definitiva una unica cultura.
Con il nome di Celti si vuole intendere impropriamente l'eterogenea identità degli antichi popoli naturali del continente europeo che erano divisi in specifiche etnie. Ma sebbene si parli di Celti come di un popolo unico, questi non rappresentavano un vero e proprio popolo etnicamente omogeneo, bensì erano il risultato di numerose migrazioni di varie etnie che avevano invaso di volta in volta i territori del Nord Europa. Quando questi popoli giunsero in Europa trovarono già edificata la maggior parte dei monumenti megalitici e furono accolti dalla cultura druidica che insegnò loro antiche conoscenze e fecero da elemento di coesione culturale. Dal druidismo nacque l’identità della cultura celtica e vikinga. Cultura di cui oggi conosciamo solamente una manifestazione indiretta dovuta, prima, alla dominazione dell’impero romano e, poi, alla penetrazione culturale del cristianesimo. Oggi molti ricercatori si chiedono che cosa mai possa unire in una unica identità, con poche differenze ma non sostanziali, Paesi del Nord e Centro Europa. Le musiche, i balli, i simboli, le installazioni megalitiche… che cosa tiene vive queste culture nonostante l’opera sistematica di cancellazione da parte dell’impero romano e soprattutto del cristianesimo? Domande a cui gli esperti non sanno rispondere perché non tengono conto della funzione di collante e di preservazione culturale del druidismo. Le successive vicende storiche relative alle conquiste dell’impero romano e della penetrazione del cristianesimo hanno portato all’attuale apparente interpretazione e distinzione regionale della cultura celto-vikinga in due culture europee: la cultura celtica dell'Europa centro-settentrionale e la cultura vikinga dell'Europa del Grande Nord. Una distinzione forzata che non corrisponde alla realtà dei fatti, poiché il legame tra le due culture è evidentissimo.
Nel Museo Nazionale Danese che ha sede in Copenhagen questa liaison, unita a una profondità culturale di tipo sciamanico, emerge in ogni angolo e da ogni reperto. Interessante e prezioso reperto è il Carro solare di Trundholm, ritrovato in Danimarca nella regione Zealand nel 1902, datato XV - XIV secolo a.C. È un manufatto in bronzo e raffigura un cavallo ed un grande disco, entrambi posizionati su un carro con le ruote a raggi. L’interpretazione dei ricercatori è che la statua sia dedicata a Sól, una divinità solare della mitologia norrena, figlia di Mundilfœri e moglie di Glenr. Il mito nordico racconta che gli dèi costrinsero Sól a guidare i cavalli del carro di quel sole che essi avevano creato da una scintilla di Múspellsheimr, la “terra delle fiamme”. Ma Sól sarà poi raggiunta da Skoll, il lupo che la divorerà. Difficile non fare il parallelismo con Fetonte, il dio figlio di Apollo che aveva preso di nascosto il carro del sole conducendolo troppo vicino alla Terra. Secondo alcune interpretazioni il carro di Fetonte cadde sulla Terra e si incendiò, ma secondo la narrazione dei Popoli autoctoni ancora esistenti in Valle di Susa, non fu una caduta ma una discesa. Anche il dio celtico Taranis è stato sempre rappresentato insieme a una grande ruota che può ricordare la ruota d’oro che Fetonte avrebbe consegnato agli uomini al suo commiato. Taranis viene raffigurato con un fulmine in una mano e una ruota nell'altra. È stato associato al dio Thor dei Vikinghi e nell'area piemontese è stato interpretato come il dio del tuono, infatti secondo la leggenda il rumore del tuono era prodotto dalla ruota del carro del dio. Nella cultura celtico-norrena, queste divinità non erano dei veri e propri dèi ma erano più che altro simboli di eventi o rappresentazioni di allegorie mistiche. Quello che lega Fetonte a Taranis e a Sòl è un elemento comune: la ruota. Reperti di ruote associate al culto di Taranis sono state ritrovate a migliaia nei territori europei, le stesse ruote che si trovano anche sotto forma di graffiti nel Nord del Piemonte e sotto forma di ruote forate nei reperti megalitici di tutto il mondo.
Gli archeologi spiegano questa grande quantità di ruote con la funzione di macine, nei casi delle ruote preistoriche di pietra. Ma come possono essere macine se si trovano sui soffitti all’interno delle grotte o in verticale sulle rocce di montagne in posti impervi? La spiegazione non può essere quella. Forse bisognerebbe affidarsi maggiormente ai miti, come la leggenda di Fetonte secondo la quale la ruota forata ha una valenza spirituale ed è l’allegoria del dono che Fetonte fece agli uomini prima del suo commiato. Il Calderone di Gundestrup Se c’è un reperto che può dimostrare come i Celti non fossero un unico popolo, bensì una federazione di etnìe, ebbene questo è il Calderone di Gundestrup. Questo prezioso ritrovamento, anch’esso conservato nel Museo Nazionale Danese di Copenhagen, è una imponente coppa d’argento di un diametro di 69 cm, 42 cm. di altezza e un peso di 9 chilogrammi. È stato ritrovato nel 1891 in una torbiera dell'Himmerland, a Gundestrup nello Jutland ed è risalente al III secolo a.C. Ma quello che lo rende importante è il significato delle 13 placche d’argento che lo compongono: infatti vengono attribuite a diverse etnie che si erano unite insieme in una federazione di nazioni. Una Europa Unita ante litteram. Popoli che si univano in pace, sotto una identità comune. Interessante è anche la provenienza: i ricercatori hanno verificato che non si tratta di un prodotto locale, viene invece ipotizzata come luogo di fabbricazione la regione del basso Danubio, all’incirca l’attuale Bulgaria.
Questo avvalora la tesi del ricercatore Giancarlo Barbadoro secondo cui attorno al Mar Nero si era sviluppata una progredita civiltà stanziale costituita da etnie diverse ma unite da una stessa cultura. Secondo le ricerche di Barbadoro, questi popoli subirono migrazioni di massa per via dell’esondazione del Mar Nero dovuta al fatto che il Mare Mediterraneo irruppe nella depressione dello “Svartahaf” (“mare nero” in islandese nell’opera di Snorri Sturluson). Una tesi che è stata confermata anche dalle ricerche dei geologi statunitensi, William Ryan e Walter Pitman della Columbia University, USA, due ricercatori che hanno sviluppato uno studio in merito alla catastrofe del Mar Nero nel tentativo di dare una spiegazione alla moltitudine di leggende sul diluvio. Secondo i due ricercatori, approssimativamente 7000 anni fa, l’acqua del Mar Mediterraneo spinta da Nord, si sarebbe canalizzata attraverso lo Stretto del Bosforo, e avrebbe colpito il Mar Nero con 200 volte la forza delle Cascate del Niagara. Ogni giorno il Mar Nero sarebbe aumentato approssimativamente di 15 centimetri, e le fattorie costiere sarebbero state ben presto inondate. Il racconto dell'inondazione è rimasto nella memoria delle leggende di tutti i popoli ed è stato trasmesso alle generazioni successive attraverso i miti, come quelli del diluvio biblico, di Atlantide o della leggenda bretone della Terra d’Ys.
Il Calderone di Gundestrup è stato definito come l’elemento più sacro della cultura celto-vichinga. Su ogni placca è inciso un disegno esoterico riferito al popolo che lo ha forgiato e nel suo insieme rappresenta un prezioso esempio di federazione celtica. Vi è rappresentato il dio Cernunnus nell’antica keltic-platz, la postura della meditazione dello sciamanesimo druidico, che lui esegue insieme agli animali; o il carro solare in cui possiamo identificare l’evento ricordato anche dal mito di Fetonte. Ma il calderone è reso ancora più importante e misterioso da ciò che non si vede. Infatti i ricercatori hanno trovato, nascosti dietro le placche visibili, altri disegni incisi, con simbologie evidentemente iniziatiche e riservate a chi poteva interpretarle. In definitiva, la lezione che possiamo trarre da una ricerca sui Popoli che hanno preceduto la nostra cultura, e dalle tracce evidentissime che ci hanno lasciato, è che forse dovremmo affidarci ai miti per conoscere le nostre vere origini. La storia è scritta dai vincitori, e chi ha soppiantato questi antichi popoli sembra non abbia interesse a costruire un mondo migliore. Forse abbiamo alle spalle un passato glorioso di cui potremmo vantarci e prenderlo a riferimento per andare verso un futuro pieno di speranza, basato sul rispetto per la Natura e i suoi abitanti. Gli antichi miti ci trasmettono dei valori e delle simbologie che andrebbero analizzate e sviscerate. Una umanità che non è consapevole delle sue radici non è attrezzata sufficientemente per affrontare serenamente il suo futuro.
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