Leggende e Tradizioni |
I Robot degli Antichi Dei |
01 Agosto 2012 | ||||||||||||||
Gli automi di Leonardo da Vinci e le conoscenze meccaniche degli antichi. I robot intelligenti delle civiltà scomparse di Creta e dell’antica Cina. Il dio Fetonte della tradizione druidica e i suoi due aiutanti di metallo dorato
I robot del mito La scienza moderna sta lavorando alla realizzazione di robot che affiancheranno l’umanità nei suoi bisogni quotidiani e nell’esplorazione dello spazio. Sono già stati messi a punto numerosi prototipi dalle sembianze antropomorfe che sono in grado di eseguire le movenze umane. Ma l’obiettivo più affascinante è quello rappresentato dal progetto di ricerca sull’A.I., Intelligenza Artificiale, che dovrebbe consentire ai robot piena autonomia di movimento e di decisionalità. Un progetto ambizioso che rivoluzionerà la società umana portandola a convivere con creature senzienti totalmente artificiali e pronte a condividere ruoli e attività sinora propri della specie umana. Ma tutto questo sforzo tecnologico e scientifico sembra costituire una ripetizione di quanto può essere già accaduto nel passato della storia del pianeta. I miti di molte civiltà antiche tramandano infatti il ricordo di creature di metallo in grado di muoversi autonomamente e di possedere intelligenza e decisionalità. Creature dichiaratamente artificiali che erano messe al servizio degli uomini e degli dèi. Potrebbe solamente trattarsi di vere e proprie marionette costruite da abili artigiani che sono riusciti a suggestionare le genti sino a divenire una leggenda. Del resto ancora alle soglie dello scorso secolo ci furono intraprendenti ricercatori che riuscirono a realizzare automi semoventi di indubbio fascino. Alla luce delle conoscenze del nostro tempo, valutando le proprietà possedute dai robot del mito, viene comunque da cedere alla suggestione di considerarli come dei veri e propri dispositivi intelligenti, precursori di quelli della tecnologia moderna. Suggestione non scevra da implicazioni storiche di ogni genere. Se questa ipotesi fosse attendibile porterebbe inevitabilmente a rivalutare e a rivedere la storia fin qui conosciuta e porrebbe l'umanità attuale del pianeta nella posizione di essere probabilmente l'erede inconsapevole di una evoluta civiltà scomparsa e dimenticata.
Ipotesi del resto non del tutto da rigettare poiché, a seguito dell’azione disastrosa della Discovery Doctrine promulgata dalla Chiesa, che ha cancellato durante il periodo delle colonizzazioni ogni traccia storica che non coincidesse con quella della nuova religione, abbiamo perso ogni ricordo del passato. Gli "automi" della storia Al di là della narrazione dei miti, anche la storia nei secoli più recenti, attraverso cronache documentate, ci riporta la notizia di dispositivi meccanici realizzati da occasionali abili artigiani, conoscitori dei metalli e delle leggi della meccanica. Veri e propri geni del loro tempo. Dalle cronache storiche possiamo avere la testimonianza di singolari macchine paragonabili a robot. Lo scrittore e critico latino Aulo Gellio (Notti Attiche, lib. X, c. 12) riporta la notizia che nel IV secolo a.C. Archita da Taranto, filosofo e matematico della scuola pitagorica, aveva costruito una colomba volante di legno con vari dispositivi meccanici interni. La colomba, dopo essere stata posata su un albero, era in grado di volare di ramo in ramo. Secondo le antiche cronache riportate dal presbitero francese Jacques Paul Migne, noto per aver redatto una raccolta degli scritti dei Padri della Chiesa cattolica, il papa Silvestro II, al secolo Gerberto d’Aurillac, salito al rango papale il 2 aprile 999, possedeva una testa di bronzo intelligente che era in grado di colloquiare con gli astanti. La testa di bronzo rispondeva soprattutto con dei "sì" e dei "no" alle domande che le si rivolgevano sulla politica e sulla situazione della cristianità. Secondo lo stesso Silvestro II questo procedimento era molto semplice e corrispondeva al calcolo con due cifre. Un automa precursore del calcolo binario moderno? Leonardo da Vinci si dedicò a realizzare automi di ogni genere. Nel 1500 realizzò una sorta di androide meccanico dall'apparenza di un cavaliere rivestito da una corazza. I commentatori dell’epoca dissero che al suo interno un misterioso meccanismo lo faceva muovere come se si trattasse di un vero essere umano. Ma la più straordinaria opera di Leonardo relativa agli automi fu quella del leone meccanico semovente in metallo dorato che fu presentato in segno di omaggio al nuovo re Francesco I, in occasione del suo solenne ingresso a Lione nel 1515, calorosamente accolto in particolare dalla cospicua comunità fiorentina di banchieri e mercanti.
L’automa di Leonardo suscitò grande impressione nel pubblico effettuando le sue complesse evoluzioni. I testimoni dell’epoca riportano che fu in grado di attraversare l’immenso salone gremito di persone con passo fermo e possente. Si pose più volte seduto sulle zampe posteriori per rialzarsi e proseguire nel suo cammino. La cosa sorprendente fu che l’automa riuscì a individuare dove si trovava il re tra la folla, giungendogli davanti per aprirsi il petto facendo fuoriuscire un mazzo di gigli augurali. Nel 1742, in Francia, il pittore Jacques de Vaucanson realizzò il primo automa meccanico, in forma di flautista, che era in grado di suonare lo strumento emettendo aria dalla bocca e muovendo le dita. Lo stesso pittore, in seguito, realizzò una papera meccanica che era capace di bere e di mangiare, di nuotare e di produrre richiami sonori. Le conoscenze delle civiltà antiche Nella prospettiva di una tecnologia meccanica di evidente fattibile realizzazione, perchè non pensare che anche civiltà più antiche di quelle che si affacciano sul nostro ultimo secolo possano essere state in grado di costruire dei robot meccanici? Se guardiamo alle civiltà del mondo classico possiamo valutare, ad esempio, come intorno al 150 a.C. sia stato realizzato il meccanismo a ruote dentate che oggi è conosciuto con il nome di "Calcolatore meccanico di Antikythera". Il meccanismo, rinvenuto casualmente in una nave affondata lungo le coste della Grecia, è stato oggetto di analisi da parte dei più accreditati studiosi del pianeta e le conclusioni ottenute sono risultate inspiegabili e sorprendenti. Secondo i ricercatori inglesi che hanno ricostruito il meccanismo, questo oggetto era in grado di calcolare con assoluta precisione il moto dei pianeti e la posizione del Sole e della Luna. I ricercatori ritengono che il suo utilizzo fosse destinato a stabilire le rotte navali dei vascelli che si spingevano oltre le Colonne d’Ercole, verso l’Oceano Atlantico. Se poi si pensa che Erone, matematico e fisico di Alessandria del 1° secolo a.C., conosceva la forza del vapore e la utilizzava per far muovere le sue "macchine" e che gli antichi Egizi utilizzavano meccanismi basati sulla forza idraulica, in grado di aprire le grandi porte dei templi, potrebbe non risultare poi tanto difficile ritenere che nell'antichità ci possa essere stato qualcuno in grado di giocare con la meccanica e realizzare dispositivi semoventi paragonabili a robot.
Erone rientra a tutti i diritti in una storia degli automi. Una delle sue opere si intitola proprio Automata, e tratta la meccanica dei corpi solidi. Ha conosciuto vivissimo successo, e le copie manoscritte devono essere state ben numerose, se la Biblioteca Nazionale, a Parigi, ne conta addirittura sette molto antiche. Erone, nella sua opera, distingue gli automi a base mobile da quelli a base fissa. Nel primo caso i dispositivi si muovevano su delle specie di rotaie e il motore, che utilizzava principalmente un gioco di contrappesi, produceva il movimento di personaggi e di oggetti in una precisa scenografia. Da quanto si scopre oggi, l'Impero romano da parte sua avrebbe potuto benissimo impiegare l’energia meccanica per le sue imprese. Lo si evince ad esempio dai prodigiosi meccanismi scoperti nei resti della “Domus Aurea” dell’imperatore Lucio Domizio Enobarbo Nerone, ancora visibili a Roma. Ma evidentemente era stata fatta una precisa scelta di utilizzo della tecnologia allora conosciuta per mantenere circoscritto il potere dell'oligarchia che dominava l’Impero. Veniva inoltre preferito l'utilizzo della forza lavoro degli schiavi che serviva ad esempio perenne della gloria delle conquiste imperiali, piuttosto che l’energia delle macchine che sicuramente l’Impero romano era in grado di costruire. La tecnologia relativa alle macchine era in ogni caso un segreto militare di un Impero sempre teso alla conquista di altri popoli.
I robot nei miti dei popoli della Terra Si potrebbe affermare che i miti dell'antichità rappresentino i libri di testo con cui ci è stata tramandata la storia più antica, facendola sopravvivere al tempo e soprattutto all’azione della Discovery Doctrine. Molte volte i miti sono stati misconosciuti dalla società maggioritaria relegandoli nella presunta infantilità dei sopravvissuti Popoli naturali, o addirittura interpretandoli come metafore di natura psicoanalitica. I fatti dimostrano il contrario. Ad esempio possiamo citare il caso di Schliemann e la scoperta della città di Troia, nel 1872, basata solamente sulla sua interpretazione dei poemi omerici. Oppure la scoperta, nel 2007, delle mura ciclopiche della città di Rama nella Valle di Susa in Piemonte, una città megalitica il cui ricordo è rimasto solo nel mito, edificata in occasione della venuta di Fetonte. A fronte delle citazioni che ci provengono dai miti di tutto il pianeta, se li interpretiamo con gli occhi di chi è abituato alle meraviglie della tecnologia, non possiamo non interrogarci su una effettiva presenza di robot, già costruiti e operanti nel passato della storia.
L'Iliade di Omero narra che Efesto, l'antico dio greco del fuoco, della metallurgia e dell'artigianato, "forgiò" due dozzine di trespoli di rame che potevano spostarsi dal loro posto "su ruote di oro" ed erano in grado di muoversi a comando e anche in maniera autonoma. La leggenda dice che questi apparecchi erano stati costruiti allo scopo di essere utilizzati per rendere servizi agli dèi che andavano in visita nell'antro di Efesto. Volendo fantasticare, e ci sono tutti i termini per poterlo fare, ci si potrebbe chiedere se questi oggetti così curiosamente descritti e deputati a un inequivocabile servizio del dio, potessero essere robot, forse addirittura telecomandati, o mezzi automatici di trasporto. L'antica leggenda greca narra anche che Efesto era zoppicante e che per essere aiutato nelle sue necessità domestiche aveva "forgiato" anche due assistenti in forma femminile, realizzate interamente in oro. Esse vengono descritte con dovizia di sorprendenti particolari da cui possiamo sapere che erano "brave, sensibili e sapevano esprimersi a parole" e che “hanno dato appoggio a Efesto accompagnandolo per mano durante le sue passeggiate, si sono occupate di lui e l'hanno divertito col loro canto". Esse, inoltre, "erano in possesso di ogni forma di conoscenza appresa dagli dèi immortali". Androidi precursori dell’Intelligenza Artificiale? Può essere fantasioso porci questa domanda. Ma comunque è legittimo porsela. Un altro antico mito greco tramanda la notizia del gigante “Talos”, una creatura di rame realizzata ancora da Efesto, che Zeus aveva regalato a Minosse, il re di Creta, per difendere la città dai nemici che potevano giungere dal mare. Le descrizioni che ci sono giunte del gigante descrivono Talos con un corpo interamente di metallo sormontato da una testa cornuta. C'era una sola arteria che correva dalla sommità del suo corpo sino ai suoi piedi, bloccata con un "chiodo di rame". Il "gigante di rame" pattugliava incessantemente l'isola e teneva le navi nemiche a distanza gettando loro addosso delle enormi pietre. Quando poi le forze nemiche riuscivano a raggiungere il suolo dell'isola, Talos le affrontava eruttando una "rossa fiamma" di intenso calore che si sviluppava intorno a lui uccidendo ogni cosa e facendo fuggire i superstiti nuovamente in mare. I racconti narrano che questo gigante costituiva anche una sorta di comunicatore attraverso cui Minosse parlava ai suoi sudditi con voce tonante raggiungendo tutte le parti dell’isola. Secondo la leggenda, fu la maga Medea a superare in astuzia il gigante di metallo con l'aiuto di "false visioni”, riuscendo a strappare via il tappo che sosteneva l'arteria del gigante, da cui fuoriuscì un sangue nero e oleoso che si allargò in terra. Da allora la forza di Talos diminuì. E Creta divenne estremamente vulnerabile agli attacchi dei suoi nemici.
Il "sangue nero e oleoso" poteva essere il liquido di un sistema idraulico che muoveva il "gigante di metallo"? La "testa con le due corna" poteva alludere a un apparato di antenne con cui veniva guidato? E le "false visioni" potevano riferirsi a disturbi radio in grado di perturbare l'attività dell'apparato elettronico del possibile "robot" ante litteram? Pure fantasticherie? Chissà. Troviamo altre descrizioni di precursori dei robot moderni dall’altra parte della Terra, nella storia dell’antica Cina. Una leggenda ricorda “Chi Yu”, una creatura di metallo con quattro occhi, sei braccia, una sorta di tridente al posto delle orecchie. Chi Yu era capace di avanzare agilmente sul terreno accidentato. Poteva scavare in terra, ma solo per un breve lasso di tempo. La leggenda dice che si nutriva di pietre, di sabbia e qualche volta anche di minuti pezzi di ferro. Dopo che Chi Yu all’improvviso cessò di muoversi venne creduto morto, e la gente del posto dove aveva dato prova delle sue capacità pensò di togliergli la testa seppellendola in una caverna che divenne luogo di culto per molto tempo. Poi un giorno, una nuvola di vapore rossastro cominciò a uscire dalla testa riempiendo progressivamente la caverna. La nube negli anni aumentò sempre di più e il santuario non fu più accessibile. Tra le leggende dell'antica Cina emerge anche quella relativa a un drago appartenuto a Huang Ti, il leggendario primo imperatore della stessa Cina. La leggenda riporta che il il drago aveva un paio di ali e il suo corpo sembrava brillare come se fosse fatto di metallo. Sempre secondo l'antica leggenda cinese, il drago poteva sollevarsi nel cielo portando con sé fino a settanta persone. Queste salivano a mezzo di una sorta di scaletta che dava accesso al suo interno. Risulta bizzarro che il suo volo dipendesse dalle condizioni del tempo. Un giorno Huang Ti, salito a bordo della creatura non potè alzarsi in volo a causa di un improvviso uragano. Una circostanza singolare per una narrazione mitica, se si trattava solamente di un mito, visto che il "drago" era considerato il protettore della pioggia e del vento e avrebbe potuto alzarsi in volo senza problemi.
I robot dei miti celesti Per finire la carrellata sulla mitologia che riporta la presenza di robot nell'antichità possiamo ricordare due esempi ancora più emblematici per il fascino che possono suscitare. Nella mitologia cinese ci sono altri testi in cui si parla di Huang Ti come il “figlio del cielo”, che sarebbe sceso sulla Terra intorno al 2500 a.C., prendendo dimora nel bacino del fiume Houang-ho. Secondo gli antichi testi che riportano la vicenda, questa divinità celeste aveva a sua disposizione complessi carri di metallo che funzionavano senza essere trainati e ottanta servitori di metallo con quattro occhi e sei braccia, che si nutrivano di pietre e di sabbia.
Dopo aver vissuto sul nostro mondo per tre secoli, Huang Ti ritornò alla stella da cui era venuto, che si trovava, secondo la leggenda, nella costellazione del Leone. Riecheggia in questo mito quello di Fetonte. Una antica tradizione trasmessa dallo sciamanesimo druidico europeo narra che nei tempi all’alba della storia, in quella che poi sarebbe stata identificata come la Valle di Susa, Piemonte, sarebbe disceso dal cielo il dio conosciuto a posteriori con il nome di Fetonte, un mito che si sovrappone a quello del Graal. Fetonte si avvaleva dell'aiuto di due assistenti di metallo dorato dai quali fece costruire un grande cromlech di pietre erette in cui riceveva l’umanità del tempo. Durante la sua permanenza sulla terra insegnò l'arte della fusione dei metalli, delle scienze del Cielo e della Terra e dell’Alchimia. Quando il dio ritornò in cielo da dove era venuto, donò all’umanità una grande ruota d’oro forata, che ancora oggi ispira le “medicine wheel” indossate dai Popoli naturali di tutto il pianeta. Quindi lasciò uno dei suoi due aiutanti dorati al fine che assistesse gli uomini che avevano raccolto i suoi insegnamenti. Le leggende riportano che una delle proprietà delle creature di metallo dorato era quella di poter assumere varie forme a loro piacimento, da quella di animali a quella umana. Una citazione di questa proprietà è ravvisabile anche in tempi relativamente recenti, nella leggenda medievale che riporta di una grande caverna, posta all'interno del monte Musinè, sempre in Val di Susa, in cui questa creatura "mutaforma", questa volta con l'aspetto di un grande drago d'oro, proteggeva una luminosa gemma verde dagli immensi poteri. La cosa che più sollecita l’immaginazione è rappresentata dal fatto che Fetonte, come già il dio greco del fuoco, veniva visto conversare con questi suoi due aiutanti di metallo dorato e che costoro erano in grado di eseguire complicati compiti in completa autonomia, anche quando si allontanavano per interi giorni. Siamo di fronte alla descrizione delle proprietà di un antico esempio di Intelligenza Artificiale? Una antica conoscenza che, insieme a quella contenuta dalla ruota d’oro, potrebbe essersi perpetuata attraverso i secoli come bagaglio di sapere e che avrebbe alimentato lo splendore delle antiche civiltà sorte a posteriori della venuta di Fetonte? |