Misteri |
Milano: Draghi, Lupi mannari e Fantasmi metropolitani |
24 Dicembre 2011 | ||||||||||||||||||||||
“Che gli Angeli e i Santi ci proteggano”
“Maestorum refugium, Deus, tribulantum consolator, clementiam tuam suppliciter exoramus, ut afflictis oppressione gentium auxilium tuae defensionis impedens eripere nos, et salvare digneris. Tribue, quaesumus, fortitudinem fessis, laborantibus opem, solatium tristibus, adjutorium tribulatis. Circumda civitatem hanc virtutis tuae praesidio, et omnes in ea manentes immensae pietatis tuae defende juvamine. Pone in muris et portis ejus Angelorum custodiam, salutis ancilia, munitionem omnium sanctorum tuorum: ut qui pro peccatis nostris juste affigimur, de sola misericordia tua confidentes, miserationis tuae munere adjuvemur. Quatenus a pressura hac, quae nos circumdedit, erepti liberis tibi mentibus gratia agentes servire possimus. Per Dominum nostrum ...” [1]
Le Litanie o Rogazioni Triduane si svolgevano dal V secolo con modalità diverse da città a città. Anche se i Milanesi vantavano la priorità dell’istituzione di questo rito che dicevano fondato dal vescovo Lazzaro nella prima metà del V secolo nell’imminenza dell’arrivo di Attila, in genere si pensa che siano state istituite, o meglio riorganizzate, nella seconda metà del secolo da Mamerto, vescovo di Vienne, quando questa città era “ridotta a condizione infelicissima pei frequenti terremoti, per gl’incendi, e per il guasto, cagionato ai contorni di essa dai cervi e dai lupi, che moltiplicati si erano a dismisura.” [2] Questo rituale, che doveva rassicurare i cittadini minacciati da pericoli provenienti dall’esterno, si svolgeva nei tre giorni seguenti la domenica successiva alla festa dell’Ascensione, che cade generalmente alla fine di maggio. I fedeli, dopo l’imposizione delle ceneri, si muovevano in processione dalla cattedrale verso le porte della città, che dovevano essere tutte raggiunte nell’arco dei tre giorni. Essendo un rito penitenziale, si doveva osservare il digiuno (solo pane e acqua), vestire abiti semplici e in origine anche andare scalzi. Ogni città aveva un proprio itinerario e preghiere adeguate alle chiese e ai santi che si trovavano sul percorso. La preghiera usata a Milano davanti alle sei porte è quella citata all’inizio, che rinvia ad una forte minaccia esterna e alla grave prostrazione dei cittadini. Oltre alla città, anche i paesi delle campagne lombarde celebravano questo Triduo sostituendo nella preghiera le parole “civitatem istam” con “plebem istam” e “muros nostros” con “fines nostros”.
In seguito le Litanie Triduane, specialmente quelle campestri, si trasformarono in feste molto scomposte tanto da far sorgere lamentele da parte dei monasteri che venivano attraversati da queste folle, che, come dice il Fumagalli [3], percorrevano i campi “con tamburi o qualch’altro grossolano strumento siasi imitato il rombo del tuono, accompagnato poi da urla e schiamazzi, coi quali avrà forse creduto quella buona gente di fugar in tal guisa le aeree infeste podestà.” Anche a Milano le Litanie assunsero un carattere di festa della fertilità: per scongiurare le carestie si ponevano alle finestre vari tipi di pietanze tanto che ben presto furono chiamate le processioni “delle lasagne”. Resta sempre però l’elemento del terrore contro i pericoli che vengono “da fuori”, pericoli minacciosi soprattutto perché ignoti e inaspettati, com’erano le improvvise incursioni degli Unni o degli Ungari nel Medioevo. Non meno minacciose erano le possibili incursioni di qualche “aerea infesta podestà”, causa di terremoti, di incendi ed anche di selvagge aggressioni da parte di fiere e, perché no, di draghi. C’era una volta un drago... La natura, come disse Aristotele, è “demonica” (Leopardi dirà “matrigna”). Dove l’uomo non ha posto le sue salvaguardie, i suoi dei o i suoi santi, il territorio è dominato da forze ostili sempre in agguato che prendono quelle forme di leoni, di lupi, di draghi che vediamo torcersi e avventarsi sull’uomo in centinaia di sculture romaniche. In Francia spesso le Litanie Triduane erano accompagnate dall’immagine del drago che nei primi due giorni precedeva il corteo mentre nel terzo giorno lo seguiva sconfitto. Anche a Milano ci fu un drago, appostato fuori dalle mura, ma non venne mai inserito nei riti liturgici probabilmente perché la storia nacque piuttosto tardi, come uno “spot pubblicitario” che accompagnò l’affermazione politica della famiglia dei Visconti all’inizio del XIV secolo.
Furono i Domenicani di S. Eustorio, largamente debitori dei Visconti, che elaborarono questa campagna pubblicitaria grazie all’ingegno di Galvano Fiamma, il loro più famoso scrittore di quell’epoca. Da questa fucina, accanto a molte altre mirabolanti avventure degli antenati dei Visconti, nacque questa del drago, che il Morigia e il Torre ripresero poi nel Cinquecento e nel Seicento con dovizia di particolari. “In questi tempi poco dopo la morte di Teodosio, & del nostro Padre Santo Ambrogio, nella parte della Città, dove è la Chiesa hora di San Dionigi, nacque un pestifero morbo, onde ne morirono quivi assai centenaia di persone; ne sapendosi d’onde fosse cagionato questo accidente, in quella parte sola della Città, essendo in tutte l’altre parte sanissima; fu scoperto un gran Dragone, che usciva à certe hore dalle cave, & col pestifero, & mortifero fiato suo ammorbava l’aria; alqual non trovandosi remedio speditivo, come in tal instante caso faceva bisogno, Uberto uno de’ primi nobili della Città di casa d’Angiera, allhora Luogotenente del detto Conte d’Italia, mosso dal suo naturale valore, & dalla Pietà della patria, si espose al pericolo della vita per liberare la patria. Andò adunque il coragioso Uberto contro il mortifero Drago armato non tanto di ferro, quanto di fortezza d’animo, di destrezza, & d’ingegno, et al fine felicemente l’ucise, et liberò la sua patria con gloria eterna di lui. Da questo Uberto ha havuto origine casa Visconte ...” [4] “Questi [S. Dionigi] è poi quel sito, in cui fu occiso da Uberto Visconte il Drago, che co’ suoi fiati apportava a’ Cittadini malefici danni, mentre distoltosi da profonda tana givasene per questi vicini contorni, à procacciarsi il vitto, havendo voi à sapere, che in quelle antiche età rendevasi tal sito disabitato, e selvaggio, innalzandosi assai discoste le Cittadine Mura, quindi havevano famigliari i Covaccioli le Fiere. Generoso era cotesto Uberto Cavaliere di nascita, Signore d’Angera popolata abitazione, anzicome vogliono alcuni istorici Città ne’ Confini del Verbano Lago, prendendo il nome da Anglo del Ceppo d’Enea Troiano, che negl’anni quattro cento seguita la Nascita del Messia assisteva a’ pubblici maneggi in Milano con il Titolo di Viceconte ... quindi postosi Uberto in pretensione, di farsi mirare vittorioso, entrò in arringo, e vinse il mostro, dal cui felice successo ne trasse di valoroso memoria eterna ne’ posteri.” [5] Questi due graziosi raccontini ci dicono in sostanza che fuori Porta Orientale (oggi Venezia), nella zona dove poi sorsero i Giardini Pubblici, particolarmente ricca di acque e quindi di vegetazione, c’era questo drago che non uccideva i viandanti, ma inquinava l’aria della zona con il suo “mortifero fiato” provocando gravi malattie (tumori?) agli abitanti dei quartieri vicini. Scoperta la causa del morbo e tentati vari rimedi, forse anche un Triduo di preghiere, ecco che Uberto Visconti si offre come salvatore e “armato non tanto di ferro, quanto di fortezza d’animo, di destrezza, & d’ingegno” uccide il drago risanando felicemente l’atmosfera. La storia non racconta come è avvenuto questo epico scontro, né dove sia finito il corpo di questo drago, anche se lo stesso Torre, parlando del Mausoleo Trivulzio a Porta Romana, ci dà forse qualche traccia sulla sua sepoltura, riportando la notizia inedita di un ritrovamento avvenuto più di un secolo prima:
“Trassi da una istoria manuscritta datami dal Prencipe Cardinale Teodoro Trivulzi, adoprandomi in construere l’Arbore di sua antica Famiglia, che numera più di ottocent’anni di nascita, come nell’iscavare i fondamenti di questo Mausoleo, fu trovato il carcame d’un’orribile, e mostruoso Drago; ciò non vi rasembri fuor di credito, poiché questo sito dianzi d’essere ecclesiastico, aitava a formare quel vasto Serraglio chiamato Ergasto, dove solevansi racchiudere ferocissime belve, con le quali veggevansi ogni giorno accozzar ardite persone armigere...” [6] Lascio a voi decidere se è più “fuor di credito” pensare che questo drago sia lo stesso che è stato ucciso da Uberto Visconti o se sia invece, come suppone il Torre, un drago “da combattimento” impiegato nell’Arena in epoca romana. Magari era un dinosauro attardatosi nelle paludi milanesi qualche milione di anni fa. Lupi in Lombardia Gli Angeli e i Santi, posti a protezione delle mura e delle porte di Milano dagli antichi arcivescovi, hanno dovuto lavorare parecchio non solo nel Medievo, ma anche nei secoli successivi fino alle Cinque Giornate del 1848, quando i Milanesi sfondarono a Porta Tosa, o fino all’agosto del 1943, quando si trovarono forse impreparati davanti ad una minaccia che veniva dal cielo. Molti furono gli eserciti nemici accampati fuori Milano: qualcuno riuscì ad entrare, altri non vi riuscirono, ma i protettori della città, invocati ogni anno nelle Litanie Triduane, fecero sempre del loro meglio per limitare i danni o almeno per aiutare i superstiti a risollevarsi. Dove riuscirono meglio nel loro compito, fu nella protezione dalle insidie della Natura - acqua, fuoco, terremoti, belve - dalle quali Milano è stata egregiamente preservata. Il drago di Porta Venezia, è vero, fece morire centinaia di persone con il suo fiato pestilenziale, ma fu subito ucciso (con una salatissima multa?) dall’ingegnoso funzionario pubblico Uberto Visconti. L’opera dei protettori fu ancora più meritoria se pensiamo a com’era il territorio che circonda la città sino a due secoli fa, infestato da banditi e da un’altra razza dimenticata di predatori: i lupi.
La battaglia contro i lupi fu piuttosto dura e impensierì più volte le autorità laiche e religiose, raramente però nei secoli passati i lupi hanno portato la loro minaccia alle porte di Milano. Grazie all’attento e minuzioso studio di Maria Comincini pubblicato nel 1991 (vedi Bibliografia) possiamo conoscere meglio il paesaggio milanese, quando al posto di automobili, TIR ed aerei, sfrecciavano cervi, caprioli, lupi. In questo ambiente, esterno ed estraneo alla città, i lupi erano numerosi e spadroneggiavano senza infastidire molto l’altro e più forte predatore: l’uomo. Soltanto nei periodi di carestia le due specie venivano allo scontro, ed era in genere il lupo che attaccava. Lo studio sopra menzionato riporta molti dati su questa guerra, relativamente agli ultimi secoli e nelle diverse province lombarde. Ho estratto da quell’elenco gli avvenimenti più rilevanti svoltisi non troppo lontano da Milano per poter inquadrare meglio l’evento più significativo, ancora oggi ricordato in molte pubblicazioni: quello della Bestia Feroce. 1462 i lupi assaltano dei fanciulli nella Martesana 1484 i lupi vanno di notte a mangiare i cadaveri nel cimitero dell’ospedale di S. Ambrogio (via S. Vittore a Milano) 1512 e 1530 alcuni morti fuori Porta Ludovica 1528 molti lupi nel Milanese che aggrediscono i ragazzi 1530 fuori di città molte persone uccise soprattutto da un grosso lupo 1558 molti lupi che uccidono nel Ducato 1575-78 cinque persone uccise da due lupi a Misinto 1580 un lupo fa molte vittime a Busto Garolfo 1603 boschi infestati dai lupi tra Cusago e Trezzano 1650-52 tre ragazzi uccisi da un lupo a Nosate 1655 molte persone uccise ad Abbiategrasso 1656-58 quattro bambini uccisi da un lupo a Bellusco 1668 una bambina uccisa da un lupo a Cesate, un altro nel 1692 1676 due bambini uccisi a Nosate 1679 molti ragazzi uccisi dai lupi a Bellusco 1575-78 premio a chi uccide i lupi e caccia generale nello Stato
1580 un lupo fa molte vittime a Busto Garolfo 1603 boschi infestati dai lupi tra Cusago e Trezzano 1650-52 tre ragazzi uccisi da un lupo a Nosate 1655 molte persone uccise ad Abbiategrasso 1656-58 quattro bambini uccisi da un lupo a Bellusco 1668 una bambina uccisa da un lupo a Cesate, un altro nel 1692 1676 due bambini uccisi a Nosate 1680 molti ragazzi uccisi dai lupi a Bellusco premio a chi uccide i lupi e caccia generale nello Stato 1740 una bestia simile a quella del 1792 assale molte persone in Lombardia, scompare nell’inverno e viene uccisa la primavera seguente 1765 sedici persone assalite a Orio Litta e molte uccise anche per aver contratto la rabbia; a Rivolta d’Adda un lupo (idrofobo?) assale i soldati del Castello e molte altre persone 1766 premio a chi uccide i lupi e caccia generale nello Stato 1767 un lupo assale cinque persone a S. Colombano al Lambro 1772-74 premi a chi uccide i lupi 1801 bestia feroce “che credesi lupa” a Legnano e Locate 1801 lupo idrofobo a Limbiate 1812 un fanciullo ucciso ad Arluno 1816 una bambina assalita da un lupo a Gessate Questo elenco, a detta dello stesso studioso che è riuscito a raccogliere tutti questi dati, è ancora incompleto, ma ci consente di fare queste considerazioni: i lupi attaccano l’uomo - generalmente giovanissimi guardiani di animali - soprattutto in momenti di grave carestia. I casi più drammatici, quelli del 1765-67, ebbero come protagonisti dei lupi idrofobi e i danni più rilevanti furono causati dalla malattia contratta dai morsi del lupo più che dai morsi stessi. La Bestia Feroce Nel 1792 le cose però andarono ancora diversamente. Dal 5 luglio al 2 settembre, un animale dall’aspetto pauroso e vagamente somigliante ad un lupo uccise quattro ragazzi e sei ragazze, tutti compresi tra i 6 e i 13 anni di età, ferì gravemente un’altra ragazza e assalì alcune persone adulte. Non era un periodo di carestia, né l’animale era idrofobo. Forse non era nemmeno un lupo. La storia, curiosa e inquietante, ci è stata fortunatamente raccontata con dovizia di particolari dall’anonimo estensore del Giornale circostanziato... (testo on line) pubblicato a Milano nello stesso anno. Tutto cominciò il 5 luglio 1792, quando Giuseppe Antonio Gaudenzio, un bambino di 10 anni di Cusago venne mandato dal padre di notte nel bosco a cercare la vacca che aveva smarrito. Non tornò più a casa. Dopo qualche giorno si trovarono dei vestiti stracciati e “avanzi del corpo di un fanciullo divorato”. Si incolparono i lupi e si pensò che il bambino, stanco, fosse stato assalito mentre dormiva. Pochi giorni dopo però, il 9 luglio, un gruppo di ragazzi di Limbiate viene assalito da “una brutta bestia, simile a un grosse cane, ma dall’orribile aspetto e di strana forma”. I ragazzi fuggirono, ma il più piccolo, Carlo Oca di 8 anni, venne raggiunto. Quando i contadini accorsero avvertiti dagli altri ragazzi lo trovarono sbranato dalla belva. La notizia si sparse rapidamente seminando il panico tra i contadini. Molti videro o credettero di vedere lo strano animale in località molto distanti tra loro. Qualcuno sparò contro qualcosa, ma senza esito. I bambini erano tenuti chiusi in casa. Le autorità governative, nella persona del conte di Kevenhüller, il 14 luglio pubblicarono un Avviso nel quale si diede notizia dell’uccisione dei due fanciulli da parte di “una feroce Bestia di colore cinericcio moscato quasi in nero, della grandezza di un grosso Cane”. Fu indetta quindi una “generale Caccia” con premio di 50 zecchini per chi avesse ucciso la “predetta feroce Bestia”.
La caccia generale, organizzata da varie città e paesi della zona ad ovest di Milano, non diede alcun esito, neppure quando il premio per “distruggere la Bestia feroce” salì a 150 zecchini. Nel frattempo giravano strane voci sul “Mostro girovago”, segnalato ormai da troppe parti. Un intraprendente tipografo stampò un’incisione dove la Bestia feroce venne raffigurata con un bambino in bocca, quasi fosse un nuovo tipo di biscione visconteo. Altri sostennero che si trattava di una jena, ricordando che recentemente era passato per Milano un artista girovago con due jene in gabbia. La notizia trovò ancora più credito quando si venne a sapere che questo artista - un certo Bartolomeo Cappellini - era a Cremona dove esibiva una sola jena. Interrogato, diede varie versioni sulla sparizione dell’altro animale, fece le valigie e riparò velocemente nel Veneto. Più aumentava il premio, più numerosi erano i cacciatori che si lanciavano nell’impresa. Alcuni “professionisti” giunsero anche dalla Vallassina e dalla Valsassina, ma senza alcun esito. Anzi, arrivò ben presto dalla Bestia una tremenda sfida. Il 1° agosto sorprese un gruppo di bambini vicino a Senago, raggiunse Antonia Maria di 8 anni e la trascinò nel bosco dove i contadini che la inseguivano la costrinsero a lasciare la preda ormai moribonda. Sul collo della bambina furono contate 45 ferite. Un testimone fornì questa descrizione dell’animale che suscitò molte perplessità nei funzionari pubblici e un grande terrore nei contadini: “lunghezza di due braccia circa, alta un braccio e mezzo come un vitello di ordinaria grandezza, con la testa simile a quella di un maiale, orecchie da cavallo, peli lunghi e folti sotto il mento come le capre ed il resto del corpo baio rossino sulla groppa e lungo di egual colore sotto la vita, con la coda lunga arricciata, zampe sottili ma larghe alle estremità con unghie lunghe, con un grosso petto che va restringendosi posteriormente.” Due giorni dopo, il 3 agosto, la vittima fu Domenico Cattaneo di 13 anni ucciso nei pressi di Cesano Boscone; il 4 agosto, fu Giovanna Sada di 10 anni ad essere afferrata per la gola ad Arluno mentre era al pascolo ai margini di un bosco. Considerando la notevole distanza che c’è tra Arluno e Cesano Boscone, a questo punto si pensò che ci fossero addirittura due Bestie feroci. Ormai tutta la città e il contado erano terrorizzati. A Milano non si parlava d’altro. Il 7 agosto anche la Municipalità di Milano volle fare qualcosa e decise di offrire “con le dovute cautele” fucili in prestito a chi avesse voluto cacciare la Bestia. Aggiunse altri 50 zecchini al premio offerto dal Governo.
Le campagne attorno a Milano, a questo punto, si popolarono di rumorose brigate di cacciatori che ricordavano, con il loro fracasso, le antiche Litanie Triduane in una versione più laica e moderna. Una di queste brigate, si racconta, il 10 agosto burlò un oste mangiando e bevendo allegramente e abbondantemente. Ad un certo punto uno di essi sbucato dal bosco gridò di aver visto la Bestia. Subito tutti balzarono in piedi, afferrarono i fucili e si dileguarono in un attimo dalla vista dell’oste e dal... conto. Se i Milanesi avevano ancora voglia di fare scherzi, la Bestia invece non scherzava affatto. Il giorno dopo questo buffo episodio, l’11 agosto, alle 8 del mattino, Regina Mosca di 12 anni venne uccisa “in vicinanza di S. Siro fuori di Porta Vercellina, sotto la parrocchia di S. Pietro in Sala (oggi in piazza Wagner)”. Alle 23 dello stesso giorno, Dionigi Giussano di 12 anni fu aggredito e ferito a Boldinasco nella pieve di Trenno (oggi piazza Kennedy). Ormai la Bestia era sotto le mura di Milano. I rimedi finora adottati, le grandi battute di caccia, si erano dimostrati del tutto inefficaci. I cacciatori di professione, che provenivano da lontane vallate, se ne tornarono a casa delusi e le Autorità si misero in moto per cercare altre soluzioni mentre le uccisioni continuavano. Il 16 agosto il conte di Kevenhüller scrisse al Magistrato Politico Camerale affermando che a suo avviso non si trattava di un lupo, che i cacciatori avevano fallito e quindi bisognava trovare qualche altro rimedio. Chiese una relazione su quanto era stato fatto fino a quel momento. Il funzionario che venne incaricato di far eseguire la “condanna a morte” della Bestia feroce fu lo stesso personaggio che trent’anni prima era stato osannato in tutto il mondo per il suo libro contro la pena di morte: Cesare Beccaria. Il 20 agosto, Cesare Beccaria, vagliate le varie proposte presentate, e orientatosi verso l’antica soluzione delle trappole che da sempre erano state adottate per catturare i lupi, incaricò i sacerdoti Rapazzini e Comerio di seguire l’esecuzione un loro progetto che era risultato essere il più idoneo. Si trattava di una fossa circondata da una palizzata ovale con al centro un piccolo rialzo con un animale vivo legato. Il contratto con i due sacerdoti prevedeva che venissero predisposti a spese dello Stato 30 steccati o “giochi” secondo il loro progetto. Potevano crearne altri se volevano a loro spese e in questo caso avrebbero preso il premio del governo. Un avviso in questo senso venne affisso con la stessa data del 20 agosto. Anche la Congregazione municipale di Milano si mise al lavoro, ma in tutt’altra direzione: pensò di rivolgersi agli Angeli e ai Santi. Il 18 agosto fece affiggere l’Avviso di un Triduo di preghiere in S. Maria delle Grazie per i giorni 19-20-21 agosto “attesa l’inefficacia dei mezzi umani finora adoperati per l’uccisione della Bestia feroce”. Fu proclamato lo stato di pubblica calamità. Alla vigilia dell’arrivo a Milano di Napoleone, e della profonda trasformazione dei costumi che ne seguì , si riaccendeva dunque la polemica tra Illuministi e Tradizionalisti. L’Anonimo estensore del Giornale, illuminista convinto, stigmatizzò l’operato delle autorità locali con queste parole: “... al volgo contadino, inclinato al meraviglioso, e al poltrone, che ama meglio lassiar di sè la cura al cielo, che da sè stesso difendersi, destano il pensiero, che non una Bestia naturale questa sia, ma uno spirito infernale, o altroché d’analogo. Questa, comunque insensata, opinione si sparge, e v’ha sin chi dice averla trovata di notte in mezzo ad un bosco in figura di gentil donzella. A ciò danno peso, presso chi non ragiona, le preci pubblicamente contro la Fiera ordinate...” (pp. 17-18)
Questo atteggiamento della Municipalità aveva dalla sua una tradizione molto antica, quando molti santi erano preposti alla difesa dai lupi, come S. Defendente, S. Alessandro, S. Sebastiano, S. Giuliana e S. Elia. Nel 1777, pochi anni prima di questo evento, il prevosto di Primaluna aveva raccolto 189 lire tra gli abitanti della Valsassina da mandare a Roma al fine di ottenere dal papa una Bolla di scomunica contro i lupi. Intanto i bambini continuavano ad essere assaliti e a morire in varie località fuori Milano: il 16 agosto alle 23 a Barlassina, Anna Maria Borghi di 13 anni; il 21 agosto presso Bareggio, Giuseppa Re di 13 anni; il 22 agosto a Terrazzano, la bambina Maria Antonia Rimoldi di Mazzo; il 2 settembre, Giovanna Bosone venne assalita, ma il fratello Gerolamo di 14 anni riuscì a liberarla in tempo. Ferita gravemente alla gola, venne curata grazie al chirurgo fornito da Pompeo Litta e guarì. Il 13 settembre erano pronte 18 delle 30 trappole previste. Si stilò il rapporto sull’idoneità da parte dell’ispettore del Beccaria, che il giorno 17 dispose il pagamento ai sacerdoti delle spese sostenute. Il giorno dopo, in un campo detto la Crosazza della Pobbia fuori di Porta Vercellina, distante da Milano miglia 5 circa, un lupo cadde nella trappola. I contadini, sentendolo urlare, lo colpirono con sassi e pertiche e poi lo impiccarono con un cappio. Iniziò un processo formale di riconoscimento che vide sfilare molti testimoni chiamati a osservare l’animale per capire se era veramente quello veduto da loro durante le drammatiche aggressioni: molti riconobbero nel lupo ucciso la Bestia feroce, alcuni invece affermarono che si trattava di un animale diverso. Il 4 ottobre venne stilata una Relazione che ammise l’identità del lupo con la Bestia feroce, ma con molte riserve, tanto che si proseguì comunque a realizzare le altre 13 fosse, che furono terminate il 30 ottobre. Soltanto il 24 dicembre Beccaria autorizzò l’esposizione al pubblico del lupo, debitamente imbalsamato, in una casa Agli scalini del Duomo (dov’è ora la Rinascente) dalle 9 alle 14 e dalle 17 alle 21. Il biglietto costava 10 soldi a persona e per i nobili ci si rimetteva alla loro discrezione. Nella primavera dell’anno seguente le fosse vennero smontate e rinchiuse. L’incubo era finito, ma solo il 18 gennaio 1794 la Municipalità riconobbe il premio di 50 zecchini ai due sacerdoti, che presero in seguito altri 12 zecchini vendendo il lupo al Museo di Storia Naturale dell’Università di Pavia. Fantasmi a Milano Ben protetta dalle sue tre cerchia di mura, alle quali se ne sono aggiunte in questo secolo altre due - la circonvallazione della linea 90-91 e la Tangenziale - Milano è stata dunque sempre impenetrabile alle “aeree infeste podestà” di cui parlava il Fumagalli nel Settecento. Questo forse spiega anche perché Milano, a differenza di molte altre grandi città, è sempre stata avara di eventi paranormali, e soprattutto di fantasmi. Anche sfogliando i numerosi libri dedicati alla Milano “magica” o “misteriosa” usciti negli ultimi anni (vedi Bibliografia) ben poco troviamo su questo argomento ed è convinzione generale che questa città sia molto povera di fantasmi. L’argomento meriterebbe, io credo, un approfondimento per vedere se i Milanesi realmente non incontrano mai queste “anime sofferenti” nelle loro veglie notturne oppure se non ne parlano perché esiste una specie di censura collettiva che impedisce a questo argomento di circolare. Le storie di fantasmi, così ben accette in altri ambienti (Piemonte e Toscana, per esempio), a Milano sembra invece che imbarazzino chi le ascolta e in certo qual modo screditino chi le racconta, facendolo apparire come persona poco “affidabile e concreta”, due aggettivi sommamente apprezzati in questa città. Affrontiamo questo rischio. La più antica storia di fantasmi, tra le poche che sono state raccolte, risale alla seconda metà del XIV secolo e riguarda Bernarda, figlia naturale di Bernabò Visconti.[7] Rinchiusa nella Rocchetta di Porta Nuova per adulterio, Bernarda morì dopo pochi mesi per riapparire più volte come fantasma, prima a Bologna e poi nel chiostro di S. Radegonda a Milano. Il padre, da buon milanese, pensò più semplicemente che fosse riuscita a fuggire. Fece riesumare il cadavere e svolse accurate indagini, ma il mistero rimase. Nel Seicento ci viene in aiuto il solito immaginifico Carlo Torre con una bellissima storia, da lui vissuta in prima persona nella sua chiesa di S. Nazaro in Brolo:
“Ma non potrei partirmi da questa moderna Fabbrica [la cappella di S. Matroniano], se prima non vi narrassi un’avvenuto prodigio nello smantellare dell’antica Cappella. Eransi qui dinanzi radunate tutte quelle Panche da voi vedute ora disposte in determinati siti, per rendere disimpacciata la Chiesa al lavorio, che si faceva per la nuova Erezione, quando al disfacimento delle vecchie muraglie videsi distesa per ogni dilungata sedia gran massa di polvere, atta à ricevere qualsisia impronta d’appoggiato oggetto: Una mattina all’aprire della Chiesa furono osservate nelle polverose Panche varie forme di disuniti Scheletri d’umane persone, quivi dimorando una Coscia, ivi dilungandosi una gamba, in altro sito veggendosi sdentata una faccia, poco distante riposandosi ravvoltato teschio, più da vicino allargandosi una spalla con il braccio contiguo, per un lato mirandosi un’ossatura di stomaco, tenendosi appresso distesa una schiena, doveche da sagge persone contemplata scena si lugubre, tennesi per prodigioso successo; fecersi coteste figure visitare da periti disegnatori, se mai con grande astuta vi havesse l’arte per ingannar gli occhi trafficata sua mano, fù conchiuso non potere umano ingegno giungere à delineamenti così perfetti: mentre stavasi considerando il fatto, quasiche non desiderasse memorabile la Fama, benche si fosse prodigioso, dispersesi ogni forma apparsa, lasciando per autentico raccordo, che tien poca durevolezza ciocche vien registrato nella polvere. Considerate voi se tal’accidente hebbe ardire di paventare tutti noi Calonaci, e me in particolare; s’impiegassimo subito in pubblici solenni suffragij, giudicando, che gli spiriti di que’ raffreddati Carcami n’havessero duopo; suffragati, che si furono, niuna altra novità mai più si vide.”[8] Nel Seicento i fantasmi si presentano dunque come scheletri che si divertono a disegnare ogni loro parte (anche l’ossatura di stomaco) sulle panche impolverate della chiesa. Il Torre, da bravo Canonico, sa comunque come evitare altri incontri con gli “spiriti di que’ raffreddati Carcami”: alcune messe solenni di suffragio, e il problema è risolto. Neanche un milione di messe di suffragio avrebbe potuto far sparire il fantasma di Carlo Sala dai dintorni del suo luogo di sepoltura, che si trovava dalle parti del Foppone di Porta Vercellina, oggi piazza Aquileia. Carlo Sala era stato giustiziato in corso di Porta Tosa (oggi Verziere) il 25 novembre 1775 come ladro sacrilego per aver spogliato 38 chiese nelle campagne del Milanese. Poiché in punto di morte non aveva voluto dar segni di pentimento, venne sepolto in luogo sconsacrato. La ferma resistenza opposta dal condannato alla conversione e all’assunzione dei Sacramenti fece grande scalpore. Tranne alcuni rari miscredenti “volterriani”, tutti pensarono che la sua anima sarebbe stata certamente dannata. Per questo quel luogo per molto tempo fu ritenuto infestato dal suo spettro. L’avanzata di case e strade nella zona ha cancellato anche il ricordo di questa paura. Nell’Ottocento romantico i fantasmi sono numerosi in letteratura, rari nella vita. La storia della bellissima Antonietta Fagnani Arese che compariva nelle notti di luna al balcone di Palazzo Arese in corso Venezia è così vaga da sembrare essa stessa un fantasma.[9] Forse però questa storia ha i suoi segreti cultori: quando dopo l’ultima guerra Palazzo Arese è stato demolito, qualcuno ha salvato uno dei suoi balconi neoclassici e l’ha ricollocato sulla nuova facciata moderna, forse sperando nel perpetuarsi delle apparizioni. Ancora più gentile fu lo spirito di Tommaso Marino che offrì tre numeri da giocare al lotto al bisnonno dell’architetto Paolo Mezzanotte.[10] I numeri erano comparsi in sogno sotto la cornice dell’antico ritratto del banchiere che era nella sagrestia di S. Marco. Non essendo certo di averli letti bene, andò due giorni dopo a controllare e, sollevando la cornice, lesse chiaramente: 62-44-56. Purtroppo, dopo averli giocati per due sabati, non riuscì a giocarli per la terza volta quando naturalmente uscirono. Più tardi, per convincere gli amici increduli della sua storia, andò con loro in S. Marco, ma i numeri sotto il ritratto erano scomparsi. Oggi anche il ritratto è scomparso dalla sagrestia. Lo tiene al sicuro il parroco forse per sottrarlo all’eccessiva curiosità dei giocatori.
L’ultimo fantasma che godette di larga notorietà a Milano e che è riportato in tutti i libri, è il Fantasma del Parco.[11] Alla fine dell’Ottocento comparve più volte nei pressi del Parco Sempione, all’angolo con via Paleocapa, una dama velata che invitava con un cenno i giovani a seguirla per i viali del Parco finché, dopo lunghi giri, li faceva entrare in una villa elegantemente arredata, ma deserta e completamente ricoperta di parati di velluto nero. Qui dopo aver danzato al suono di una musica misteriosa, i malcapitati giovani avevano la sorpresa di scoprire che il volto della silenziosa signora, sotto il velo, aveva le fattezze di un macabro teschio. Dopo alcuni di questi “incontri ravvicinati”, furono organizzate diverse ricerche della misteriosa villa nel Parco, ma invano. Forse si trattava di un UFO in stile liberty. Tra le due guerre, vennero raccolte parecchie storie di apparizioni misteriose nella zona Vittoria-Taliedo, presso la chiesa del Suffragio, la Senavra e lo stabilimento Caproni. Poi per fortuna venne costruita la Tangenziale Est e le apparizioni cessarono.[12] Neppure lo spiritismo e le sedute medianiche hanno mai avuto a Milano il successo travolgente verificatosi in tutta Europa in certi anni e in certi ambienti alla fine dell’Ottocento e nel corso di questo secolo.[13] Nessuno a Milano si fece paladino di quest’arte come avvenne per esempio a Torino con Massimo d’Azeglio, ma si utilizzarono piuttosto le medium, o, come si diceva agli inizi, le “Sonnambule”, per avere notizie sugli affari, gli amori, i viaggi, e soprattutto sulla salute. Erano insomma considerate come delle super-astrologhe, una professione quindi “scientifica” al servizio del benessere dei cittadini più che una guida ai misteri dell’oltretomba, verso i quali l’interesse è sempre stato piuttosto scarso. Per concludere, ricorderemo ancora, come l’eccezione che conferma la regola, l’avventura editoriale dell’industriale Giovanni Guglielmone, proprietario di una fabbrica di biscotti molto noti nel dopoguerra. Nel settembre 1945 uscì il primo numero di “Humana, Rassegna mensile scientifico-filosofica”. Costava L. 25, ne era direttore lo stesso Guglielmone che riprendeva con una Nuova Serie un’iniziativa già iniziata dieci anni prima. La redazione era in Corso Vittorio Emanuele 1. Accanto alla rivista furono organizzate serie di conferenze nelle quali si intendeva divulgare l’idea filosofica del Guglielmone: l’Essenzialismo, una sintesi delle verità contenute in ogni filosofia e in ogni religione. La rivista e le conferenze furono praticamente l’unica occasione che ebbe Milano di sondare in profondità ogni tipo di fenomeno paranormale con toni che precorsero l’attuale New Age. L’esperto di fenomeni medianici era l’avvocato Calogero Picone Chiodo che nella sua rubrica fissa analizzò ogni aspetto di questo fenomeno. Sfogliando queste pagine, però, tra decine e decine di fantastiche apparizioni non ce n’è neppure una che riguardi Milano. La ricerca, comunque, dovrebbe continuare. [1] Fumagalli, Angelo, Delle antichità longobardico-milanesi, vol. III, diss. XXVI, Milano 1793 [Rist. Cisalpino-Goliardica 1971] pp. 232-33 [2] Fumagalli, cit., p. 250 [3] Fumagalli, cit., pp. 251-52 [4] Morigia, Paolo, Historia dell’antichità di Milano, Venezia 1592 [Rist. Bologna, Forni 1967] p. 12 [5] Torre, Carlo, Il ritratto di Milano, Milano 1714 (1674) [Rist. Bologna, Forni 1973] p. 258-59 [6] Torre, cit., p. 26. [7] Guida ai misteri, pp. 298-300; Milano misteriosa, pp. 24-25 [8] Torre, cit., p. 30 [9] Pellegrino, Bruno, Porta Orientale, Milano, Libreria Milanese , p. [10] Milano misteriosa, pp. 22-24 [11] Guida ai misteri, p. 20; Leggende e storie milanesi, pp. 101-2; Milano misteriosa, p. 21 [12] Milano misteriosa, p. 21 [13] Guida ai misteri, pp. 20-25 |