Megalitismo

I megaliti dell’Argimusco: le Pietre Alchemiche

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30 Luglio 2024
Il megalite con la raffigurazione dell’Aquila
Il megalite con la raffigurazione dell’Aquila

Un sito megalitico speciale. Il connubio mistico tra il potere delle pietre e il linguaggio alchemico. I megaliti come specchio del Cielo. Un cammino tra la natura alla ricerca del Graal. Un sito calpestato dai Catari e Templari


Tra i tantissimi siti megalitici del nostro Paese, ce n’è uno davvero unico e speciale non tanto per la bellezza, la grandiosità e l’imponenza ma per l’atmosfera magica che emana e per l’alone di mistero che aleggia intorno alla sua misteriosa e leggendaria frequentazione fatta di personaggi storici noti negli ambienti della scienza alchemica e riportata dalle cronache medievali.

Stiamo parlando del sito megalito dell’Argimusco, in Sicilia, una località su un altopiano a 1200 m. sul livello del mare poco distante da Montalbano Elicona, in provincia di Messina e non lontano dall’Etna.

Non si tratta di un monumento isolato ma di un complesso megalitico esteso su una vasta area, teatro di un affascinante intreccio narrativo tra storia, archeologia, astronomia, esoterismo, alchimia e mitologia; un luogo in cui l’interesse che suscita e la fama che lo precede non provengono solo dalla bellezza del suo paesaggio e delle sue forme così particolari, ma dal significato molto profondo ed esoterico che esprime.

Quando alcuni anni fa il complesso megalitico venne alla ribalta grazie ad alcuni ricercatori, e vennero individuati menhir, piattaforme rocciose incise dalle forme particolari, gruppi di rocce dalle pareti alte fino a trenta metri, rocce disposte secondo un ordine preciso, vasche per la raccolta dell’acqua, sfere di pietra, piccole piramidi di pietra, ecc., il mondo degli studiosi si spaccò tra coloro che ritenevano la conformazione e la disposizione delle rocce assolutamente naturale e casuale e coloro che invece le riconducevano, in tutto o in parte, ad un intervento antropico.

La questione è tuttora non facile da dirimere perché bisogna innanzitutto premettere che le strutture megalitiche sono composte da arenaria, una roccia di natura molto friabile e molto soggetta al processo di erosione degli agenti atmosferici, per cui rimane difficile capire se la configurazione attuale sia fedele a quella delle origini.

Sembrerebbe non esserci dubbio che i gruppi di rocce più grandi siano sì di antica origine naturale, ma siano stati modellati dall’azione dell’uomo per ottenere forme e profili precisi e significativi; tuttavia molti indizi fanno anche supporre che i menhir, la disposizione di alcune pietre più piccole e le curiose sagome di alcune rocce siano, al contrario, di origine artificiale.

Il visitatore che giunge sull’altopiano dell’Argimusco, attratto dalla definizione di straordinario sito megalitico con cui viene pubblicizzato, ma all’oscuro delle affascinanti vicende storiche che lo hanno attraversato e del contenuto altamente simbolico che esprime, aspettandosi dunque un sito megalitico classico può rimanere deluso perché non troverà eretti cromlech, allineamenti di menhir, dolmen imponenti, ma solo un dolce paesaggio composto da rocce singole e a gruppi, apparentemente senza alcuna rilevanza e di cui non può assolutamente immaginare la magia che invece nascondono.

La coppia di menhir all’ingresso del percorso alchemico: quello di destra raffigura la Civetta; quello di sinistra il Pellicano
La coppia di menhir all’ingresso del percorso alchemico: quello di destra raffigura la Civetta; quello di sinistra il Pellicano

Conoscendo invece la chiave interpretativa su cosa rappresenti l’Argimusco, frutto di decenni di studi archeoastronomici, alchemici e storici, può scoprire con grande stupore che la forma delle strutture rocciose sparse qua e là nelle pieghe del paesaggio, dalle forme antropomorfe e zoomorfe, non è affatto casuale, e che queste sembrano seguire, come il tracciato di una precisa mappa verso il suo tesoro nascosto, un vero e proprio percorso segreto verso una ricchezza immateriale: l’affascinante conquista della Pietra Filosofale, l’oro ricercato dagli alchimisti.

Secondo l’interpretazione più accreditata, infatti, l’altipiano dell’Argimusco rappresenta simbolicamente le tappe di un vero e proprio percorso alchemico scandito dalle rocce che sono state modellate o in alcuni casi assemblate per ottenere il profilo di un oggetto specifico della ricerca ermetica o le forme animali o antropomorfe che sono associate al simbolismo delle sue varie fasi.

Quali sono dunque queste forme ermetiche che lo rendono un luogo così speciale?

Immaginando di seguire il percorso concepito dagli ignoti artefici si trova all’inizio del cammino una coppia di menhir disposta quasi frontalmente fra loro e alquanto imponenti.

Insieme ad un piccolo dolmen situato oltre, questi due sono gli unici elementi dall’aspetto puramente megalitico, secondo il luogo comune.

In questa sede, però, più che sulla forma megalitica è interessante soffermarsi sul profilo morfologico che hanno assunto con l’intervento umano, di cui si notano chiaramente i segni. Uno dei due ricorda molto la “civetta”, che nel linguaggio alchemico è associato al concetto di saggezza, veggenza e magia e aiuta a svelare ciò che è nascosto, veicolo dei misteri della purificazione e foriera di grandi cambiamenti o avvenimenti. È un animale di transizione che nell’Argimusco sta a simboleggiare il processo di mutazione interiore che si sta per intraprendere. L’altro è stato modellato con una sorprendente abilità per esprimere la forma del “pellicano” che nell’alchimia rappresenta la forza spirituale che alimenta il lavoro dell’alchimista che con grande amore e sacrificio conduce la ricerca della perfezione. Nell’iconografia alchemica il pellicano simboleggia un particolare vaso, l’alambicco, nel quale veniva riposta, nella fase iniziale del processo alchemico, la materia liquida da distillare, ed è molto curioso notare che in prossimità del menhir a forma di pellicano-uccello si trovi anche una roccia proprio dalla forma dell’alambicco.

Parte della rupe centrale modellata a forma di Corvo
Parte della rupe centrale modellata a forma di Corvo

La simbologia del pellicano fu associata a diversi significati, fra cui quello della Pietra Filosofale e nel rito massonico scozzese l’uccello indicava il grado di Rosacroce.

Un fattore associativo, questo, molto importante ai fini della ricostruzione della storia e del significato dell’Argimusco perché la frequentazione di questo sito da parte dei Rosacroce si evince dalle cronache del tempo rinvenute.

Altra conformazione rocciosa davvero impressionante, chiaramente scolpita, è quella che sembra richiamare il “corvo”, che non poteva mancare in questa parte iniziale del percorso alchemico.

In Alchimia, infatti, il corvo è l’inizio della Grande Opera, la prima fase attraverso la quale iniziava il cammino verso la trasmutazione interiore. La materia prima veniva scaldata nell’uovo alchemico posto sull’athanor finché la materia, mediante il processo di putrefatio, si calcinava carbonizzandosi: la fase detta “Nigredo”.

Segue a distanza una composizione di rocce di straordinaria bellezza, chiamata l’”aquila”, con le ali spiegate e la testa ruotata lateralmente che sembra orientata verso un’antica necropoli poco distante.

Dal punto di vista morfologico-strutturale è la chiara testimonianza dell’intervento umano nell’Argimusco, perché nella parte posteriore si riconosce facilmente l’assemblaggio di grandi massi rocciosi per ottenere quella particolare conformazione.

In alchimia l’aquila è lo spirito costretto nella materia bruta che si libera solo dopo la fase di riscaldamento prolungato nell’athanor e si concretizza nell’alto dell’alambicco.

L’orientamento astronomico e quello simbolico verso la necropoli sembrano quindi alludere al culto della morte, inteso però per lo più come il cammino post mortem della parte spirituale dell’individuo, che si avvia libera verso la sua realizzazione.

Altro elemento fondamentale nella ricerca alchemica è il “cigno” nel cui simbolismo gli alchimisti trovarono sia la luce solare, sinonimo della natura maschile, sia la luce lunare immagine della femminilità. Il megalite raffigurante il volatile è uno straordinario esempio dell’abilità modellatrice che gli artefici dell’Argimusco hanno messo in campo: è davvero magnifica l’eleganza con cui è stata resa l’idea del lungo collo ripiegato tra le ali che voleva evocare il simbolo fallico, e il corpo rotondeggiante il senso del corpo femminile.

Il simbolismo del cigno che si voleva esprimere era quindi quello dell’uovo del Mondo e del corpo androgino frutto dell’unione degli opposti.

Nel linguaggio alchemico era associato ad una delle due modalità con cui l’alchimista può condurre la propria opera: quella umida, in cui la materia giungeva allo stato di putrefazione in un tempo estremamente lungo con un riscaldamento lento, in alternativa a quella secca, in cui la Nigredo avveniva seguendo un processo di riscaldamento forte e veloce, via rappresentata dall’aquila.

Sono presenti anche altri simbolismi alchemici nel sito dell’Argimusco, sotto forma di pietra, come il “leone”, sinonimo del potere solare e della conclusione dell’Opera alchemica, o quello del “salnitro”, ottenuto da un colossale megalite tondeggiante inciso perfettamente per tutta la sua altezza, proprio come la rappresentazione simbolica dell’elemento che rappresenta il corpo e la materia nella sua cristallizzazione e condensazione.

Inoltre il sale è un elemento grezzo che però attraverso processi chimici può essere purificato, una purificazione che gli alchimisti ritenevano potesse accadere anche alla dimensione materiale dell’uomo.

Oltre a questi megaliti che sembrano scandire precisi elementi alchemici, lungo il percorso dell’Argimusco si trovano anche altre conformazioni rocciose altrettanto affascinanti e pregne di significati simbolici.

Uno di queste è il cosiddetto “Pluviometro”, un masso foggiato a forma di schiena d’asino che fa pensare ad un uso per il culto delle acque; sulla sommità sono infatti ricavate sei piccole vasche, probabili contenitori d’acqua, dalle quali si generano altrettanti canaletti verticali, anch’essi scolpiti. È anche presente una grande vasca rettangolare ricavata da una roccia affiorante dal terreno.

Il megalite a forma di Delta, il cosiddetto Tetagrammaton, simbolo in uso dai Templari
Il megalite a forma di Delta, il cosiddetto Tetagrammaton, simbolo in uso dai Templari

A seguire si incontra la roccia dell’”Orante”, detta anche la Dea Neolitica, uno strepitoso e suggestivo profilo ricavato scolpendo la roccia che delinea una figura femminile ieratica in stazione eretta a mani giunte. Antistante ad essa la roccia del Volto o la “Grande Rupe”, ossia il grande ammasso roccioso scolpita a forma di teschio: i due megaliti insieme delineano una finestra da cui è possibile fissare il tramonto.

Un ulteriore elemento su cui è interessante soffermarsi è costituito da quello che viene chiamato il “Tetagrammaton”, un simbolo esoterico della Cabala ebraica, un tetraedro roccioso dalla forma a delta, allineato a nord e su cui sono stati scolpiti 9 gradini che consentono di raggiungere la sommità con vista panoramica su tutto il complesso dell’Argimusco. È possibile supporre un riferimento al triangolo alchemico?

Un’altra possibile interpretazione vede questa struttura simbolica associata niente di meno che ai Templari, praticanti dell’esoterismo del “Delta”, e ancora prima di loro ai Catari. Secondo quanto attestano numerosi documenti storici e alcune testimonianze architettoniche ancora presenti nella regione dell’Argimusco, sembrerebbe infatti attestata la frequentazione del territorio da parte dei due ordini iniziatici medievali.

Il fatto non ci deve sorprendere perché nell’ambito dell’esoterismo cavalleresco ci sono numerosi riferimenti alla scienza alchemica.

L’ipotesi che il complesso dell’Argimusco sia stato ricavato per esprimere un percorso iniziatico di natura alchemica non lo si deduce solamente dall’interpretazioni degli studiosi ma anche dalle cronache e dalla corrispondenza intercorsa, nel periodo medievale, tra Pietro III d’Aragona re di Aragona, che risiedeva nella regione nel periodo estivo e che nel 1282 divenne re di Sicilia, e il suo successore Federico III.

Questa documentazione, che contiene una dettagliata descrizione della ritualità praticata nel sito dell’Argimusco, ci racconta quindi di un grande interesse da parte della casa reale per la scienza alchemica.

Nell’ambito di questo quadro storico e dei salotti esoterici presenti in quel periodo nella località di Montalbano Elicona, la dimora estiva nei pressi dell’Argimusco della casa reale spagnola, rivestì un ruolo di primissimo piano il medico che frequentava assiduamente la corte reale, Arnaldo da Villanova, noto alchimista ed esoterista europeo del tempo e autore di testi fondanti della scienza ermetica come il Rosarium Philosoforum. Alcuni studiosi e autori si spingono oltre e sostengono l’ipotesi che fu proprio lui a progettare il sito dell’Argimusco.

Della stretta relazione esistente tra la casa reale spagnola e l’ordine religioso-iniziatico dei Catari, abbiamo già accennato; un feeling risalente ai tempi in cui costoro, giunti in Catalogna, subirono una crociata sollevata dall’Inquisizione che li spinse a trovare rifugio sotto l’ala protettiva dei reali di Spagna; ma va segnalato un significativo elemento a suo sostegno. Sembra che Arnaldo da Villanova, come sostiene uno dei massimi studiosi moderni del sito, Paul Devins, fece erigere a Montalbano Elicona la chiesa di Santa Caterina d’Alessandria, che divenne patrona degli alchimisti, e la Chiesa del Santo Spirito per consentire ai Catari le loro funzioni religiose. Sulle facciate di entrambi gli edifici fece scolpire alcune rose mistiche a cinque petali, simbolo nella scienza esoterica del percorso e dell’elevazione spirituale dell’individuo, conosciuto ed utilizzato già dai Catari e successivamente dai Rosacroce, ai quali sembra che Arnaldo da Villanova fosse affiliato.

Entrambe le chiese sono elementi estranei all'architettura isolana e fuori del contesto storico, ispirate alle chiese romaniche catalane, e hanno la stranezza di non avere la cappella absidale e di essere orientate a nord e non ad est come nelle comuni chiese: un orientamento che punta dritto verso l’altopiano di Argimusco che si può in effetti parzialmente scorgere dalla Chiesa di S. Caterina.

Particolare della finestra della Chiesa di S. Spirito a Montalbano Elicona che include il simbolo della Rosa mistica a cinque petali in uso dai Catari
Particolare della finestra della Chiesa di S. Spirito a Montalbano Elicona che include il simbolo della Rosa mistica a cinque petali in uso dai Catari

Ulteriori documenti storici come bolle papali, testimonianze rese davanti agli inquisitori francesi, fanno pensare ad una vera e propria emigrazione di Catari fuggiaschi dalla Provenza alla Sicilia tramite il porto di Genova.

Infine un altro indizio della presenza catara all’Argimusco è rappresentato dal simbolo del Pellicano, simbolo divenuto nel tempo cristico ma che originariamente, oltre alla tradizione ermetica, apparteneva ai Catari.

Vicende analoghe a quelle dei Catari toccarono alcuni anni dopo ai Templari che sempre a causa delle crociate dell’Inquisizione dovettero fuggire dalla Catalogna e conoscendo il clima favorevole e protettivo del sovrano Federico III verso i Catari e il loro stesso ordine, probabilmente scapparono dall'Aragona dirigendosi verso la Sicilia.

Là dove viveva quel re, Federico III d'Aragona, al cui servizio era stato per molto tempo Ruggero, il loro comandante.

Quel re ospitava inoltre a corte il famoso alchimista Arnau de Vilanova le cui posizioni a favore dei Templari erano note da tempo.

Come abbiamo visto la presenza nel percorso alchemico del megalite denominato Tetragrammaton potrebbe essere un forte indizio della loro effettiva frequentazione del sito.

Questo elemento esoterico che esprime il nome di Dio, il cui simbolo era il Delta in cui era inscritto, rappresentava infatti uno dei gradi iniziatici templari, quello dei "Cavalieri del Delta Sacro”.

Sul Delta megalitico dell’Argimusco inoltre sono stati scolpiti nove scalini, e si sa che il nove era un numero magico per i Cavalieri del Tempio.

Un altro fatto molto curioso di questa vicenda, riconducibile al filone esoterico che parte dai Catari e giunge agli alchimisti passando per i Templari, è rappresentato da una citazione di Pietro III, predecessore di Federico III, il quale afferma che l’Argimusco si chiama così non solo perché si tratta di un luogo fertile dal punto di vista iniziatico (secondo la scienza alchemica “Argimusco” significa “oro degli Argonauti” o meglio “oro dell’ariete”, quindi “Vello d’oro”, proprio perché il muschio (muscus) per gli alchimisti altro non è che un termine per definire la luccicanza dell’oro) ma anche perché allude alla possibilità che da lì fosse possibile osservare il Vello d’oro, o meglio il luogo dove era conservato un simbolo equivalente del Vello d’oro, che in realtà non è che un’altra versione del mitico Graal.

A cosa si riferiva dunque con questa affermazione così ermetica?

La Madonna nera di Tindari, nei pressi dell’Argimusco
La Madonna nera di Tindari, nei pressi dell’Argimusco

Secondo molti studiosi delle discipline esoteriche questo luogo potrebbe essere la località di Tindari, effettivamente non molto distante dall’Argimusco, e potrebbe riferirsi nello specifico alla presenza in quella località di una delle più famose e venerate Madonne Nere del mondo. Potrebbe quindi esistere una relazione tra il significato alchemico dell’Argimusco e quello della Madonna nera che, come è noto, è un simbolismo cristiano che si è sovrapposto al concetto pagano arcaico della Grande Madre Terra, del simbolismo metafisico del suo grembo, ovvero una metafora esoterica per esprimere l’ancestrale valore della sacra e mitica coppa del Graal, intesa come accesso alla conoscenza e all’insegnamento impartito dalla Natura.

Se accostiamo i valori della conoscenza illuminata insito nel concetto della Grande Madre Terra, che hanno ispirato nella ricerca del Graal l’epopea cavalleresca dei Templari e ancor prima di loro i Catari, al simbolismo del Vello d’oro e della Madonna Nera allora il cerchio si chiude, delineando uno scenario storico-esoterico davvero affascinante e misterioso relativo alla frequentazione dei megaliti dell’Argimusco.

Allo stesso tempo pone anche domande spontanee, ossia, se l’Argimusco non fosse stato effettivamente un luogo sacro perché avrebbe suscitato tanto interesse presso personaggi storici e alchimisti famosi e ordini iniziatico-cavallereschi?

Dagli elementi fin qui raccolti sembrerebbero esserci pochi dubbi sul fatto che le strutture megalitiche dell’altopiano dell’Argimusco, siano esse frutto di un colossale progetto di rimodellazione dell’ambiente naturale di epoca medievale o, come altri studiosi sostengono, risalente alla preistoria, avessero una valenza fortemente simbolica legata alla tradizione ermetica. Tuttavia questa fortissima impronta spirituale non emergeva solo dal simbolismo iconografico delle rocce, che sembra ricordare le radici terrene, materiali, dell’uomo posto sul cammino della conoscenza, ma anche dal profondo legame che egli contestualmente nutriva per il Cielo, nella dialettica evolutiva degli opposti.

Per questo motivo è davvero sorprendente scoprire che gli elementi rocciosi raffigurati che scandiscono le tappe del percorso alchemico all’Argimusco avevano un equivalente nel mondo celeste.

L’intuizione che potesse esserci una tale relazione ha indotto una ricerca archeoastronomica del sito che oltre ad evidenziare una serie di precisi allineamenti astronomici tra le figure, ha messo anche in luce che le figure animali rappresentati sull’altopiano erano le raffigurazioni di costellazioni effettivamente visibili nel cielo del sito.

Un fenomeno ormai abbastanza conosciuto, uno schema individuato nelle tradizioni archeoastronomiche dei popoli antichi, in cui veniva riportato al suolo la rappresentazione di costellazioni o gruppi di stelle di significativa importanza per quelle genti, sia da un punto di vista calendariale-astronomico, sia da quello simbolico e archetipale.

Nel nostro caso infatti le costellazioni si presentano nel cielo rispettando in modo sbalorditivo la sequenza della composizione megalitica del complesso dell’Argimusco.

Ad esempio la figura del Corvo è collocata in una posizione che rispecchia fedelmente la stessa che il Corvo astrale assume rispetto alla Vergine, che nell’Argimusco è rappresentata dal profilo dell’Orante neolitica; anche il Cigno di pietra nel suo posizionamento rispetto alla struttura megalitica dell’Aquila riflette la stessa identica posizione che ha rispetto ad essa nel cielo, e così via per tutte le figure alchemiche.

Incisione raffigurante il famoso alchimista Arnaldo di Villanova
Incisione raffigurante il famoso alchimista Arnaldo di Villanova

I megaliti sembrano essere quindi in relazione con le costellazioni celesti, non in un allineamento classico, come è stato individuato in altri siti megalitici del mondo, ma quale specchio delle stesse costellazioni che poste sulla linea dell’orizzonte si specchiano “toccando” quasi sul terreno dell’Argimusco le proprie controfigure megalitiche.

Per dovere di cronaca bisogna inoltre aggiungere un fattore molto interessante sotto il profilo archeoastronomico, ossia che il maggiore studioso dell’Argimusco Paul Devins all’inizio delle sue ricerche e in collaborazione con la Società Archeoastronomica Siciliana, seguendo la stessa intuizione che fu di Robert Bauval per il sito delle piramidi di Giza, scoprì con stupore che le rocce presenti all’Argimusco rappresenterebbero ciascuna una costellazione orientata e collocata nel modo in cui sarebbe apparsa in cielo in una data molto antica: la stessa praticamente che fu appurata da Bauval per Giza, ovvero il 10.450 AC.

Dopo questa incredibile scoperta non fu mai chiarito bene cosa indusse il ricercatore ad abbandonare dopo breve tempo questa datazione per abbracciare quella medievale.

Perché scartare l’ipotesi che siano entrambi veritiere? Ovvero che il sito sia di epoca tardo paleolitica e che nel periodo medievale con lo sviluppo della disciplina alchemica “storica” sia stato rispolverato e magari integrato o modificato ulteriormente.

Alcuni studiosi sostengono che il sito sia stato progettato interamente dall’uomo, ma per motivi storici e geologici questa teoria sembra poco plausibile.

Si può quindi sostenere che il sito megalitico nel complesso fosse di origine naturale, ma possiamo anche dire che per la sua particolare conformazione fu poi considerato dagli uomini del tempo come una sorta di “ierofania”, ovvero una manifestazione del sacro, e di conseguenza fu trasformato in spazio “ierotopico”, cioè uno spazio sacro, modellando un luogo già naturalmente predisposto dalla magia della Natura ad esprimere una sacralità. Nell’Argimusco, in sostanza, veniva da tempi arcaici celebrata la profonda relazione tra uomo e cosmo, uomo e Natura in tutte le sue manifestazioni, praticando rituali riferiti alla fertilità della terra, vista come simbolismo della fertilità interiore relazionata a Madre Terra, e in questo senso non sarebbe errato affermare, e ciò ci aiuterebbe a cogliere meglio il linguaggio alchemico del sito, che vi si praticava il culto del Graal.

Sembrerebbe fuori dubbio che l’Argimusco sia sempre sia stato un luogo di culto misterico. Non ha importanza se il sito megalitico sia di origine preistorica o, come sostengono alcuni studiosi, molto più recente e riconducibile al medioevo; come accennato non è una novità che le strutture religiose nei secoli abbiano subito riadattamenti, sia strutturali che culturali.

Ancora oggi all’Argimusco, secondo testimonianze popolari, la tradizione pagana fiorita dal linguaggio alchemico dell’antichità è ancora oggi mantenuta viva dalla pratica di rituali segreti che si tramandano ininterrottamente nei secoli, o forse da millenni, dall’antico Druidismo europeo ai Catari, dai Cabiri ai Templari, dalla Cabala ai Rosacroce, fino all’Ordine del Toson D’oro.

Oggi come allora questo misterioso sito è ancora pregno della magia sprigionata dalla forza evocativa e fisica delle pietre sacre che incarnano il potere spirituale dell’individuo e rappresenta pertanto una fortissima testimonianza dell’intimo e indissolubile legame che da sempre unisce l’uomo alla Natura.


Marco Pulieri, ricercatore della Ecospirituality Foundation, conduce la trasmissione “Archeomistery World” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it



 

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