Megalitismo

I templi megalitici di Malta

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26 Giugno 2023
L'ambiente principale dell’ipogeo di Hal Saflieni
L'ambiente principale dell’ipogeo di Hal Saflieni

Testimonianze di un’antichissima civiltà sconosciuta


La misteriosa comparsa dal nulla di una civiltà megalitica nell’era neolitica. L’enigma della sua scomparsa improvvisa. L’inspiegabile concentrazione di templi in una terra piccolissima. L’ispirazione alla figura della Grande Madre Terra nella progettazione dei templi.
Il concetto del sacro e del rapporto con la Natura nel misterioso popolo maltese.


L’arcipelago maltese è noto per la straordinaria bellezza del suo paesaggio marino ma non tutti sanno che queste isole custodiscono i più antichi e meglio conservati monumenti megalitici dell’intero Mediterraneo, unici al mondo.

I primi ritrovamenti archeologici nell’isola risalgono al 5200 a.C. con la fase detta di Ghar Dalam, dal nome di questa fantastica grotta che per lungo tempo è stata l’insediamento umano principale dell’isola. In seguito, a partire dal 4100 a.C., si susseguono le fasi di Skorba e di Zebbug dal nome delle località in cui sono stati rinvenuti resti architettonici e fittili riferibili ad insediamenti che diedero vita alle prime rudimentali formazioni templari e infine, durante il periodo compreso tra il 3500 e il 2500 a.C., la popolazione maltese intraprende la produzione di maestose fabbriche caratterizzata dall’uso di enormi blocchi litici ricchi di decorazioni a spirale e punti, sculture e incisioni molto raffinate. Dopo circa un millennio di costante attività, la società di questi arcani costruttori conobbe un improvviso collasso, del quale sono sconosciute le cause, e la grande fase megalitica s’interruppe bruscamente.

Così com’è avvolta nel mistero la nascita di questo straordinario ciclo, così lo è anche la sua fine.

Nell’arco di circa 2.000 anni si ha l’inizio e il declino di una società raffinata e complessa dedita prevalentemente al culto del sacro, un fenomeno che non sembra essere stato determinato dall’invasione di altri popoli.

I grandi templi megalitici, i più antichi d'Europa, precedono di molto la Piramide di Cheope (2500 a.C.), Stonehenge (2300 a.C.) e i palazzi minoici di Creta (1800 a.C.).

I templi maltesi sono ritenuti eccezionali per l’unicità che rappresentano nel panorama megalitico mediterraneo e non solo: sia per la tecnica esecutiva, per la enorme concentrazione in un piccolo territorio, per la morfologia, per la dimensione, per le raffinate decorazioni simboliche e soprattutto per il fatto di non essere stati mai replicati o emulati nella loro forma.

Il fattore misterioso che più colpisce chiunque studi questa civiltà è rappresentato dalla sproporzione tra le dimensioni ridotte di Malta e Gozo e l’enorme numero di edifici sacri presenti che, sommando quelli ancora oggi ben visibili a quelli non più tali perché andati quasi del tutto perduti ma comunque individuati da recenti ricerche archeologiche, arrivano alla incredibile cifra di 45. Visto che le dimensioni ridotte di Malta e Gozo non giustificano una simile quantità di templi monumentali, si può ipotizzare che forse queste fossero isole sacre per un ampio settore del Mediterraneo, conosciute e frequentate al di là dei loro confini. Un luogo di culto, di studio, di pratiche iniziatiche e di guarigione posto in una sorta di crocevia tra l’Africa, la Sicilia e le isole minori circostanti, a metà strada tra quelli che in seguito vennero denominati lo Stretto di Gibilterra e il Canale di Suez.

Il tempio di Ggantija visto dall’alto
Il tempio di Ggantija visto dall’alto

Nell’Ipogeo di Hal Saflieni, uno dei più famosi siti megalitici di Malta, sono state trovati le spoglie di circa 7.000 persone, sepolte in forma collettiva nel corso di un millennio, conferendo al tempio una funzione funeraria che sicuramente, però, in origine non era tale ma che è riconducibile ad un suo riutilizzo molto più tardo.

Questo dato ci dice che sull’isola sarebbero avvenuti circa 7 decessi l’anno, una cifra troppo esigua se si considera l’ipogeo il luogo di sepoltura per i membri della comunità maltese.

Si potrebbe allora avanzare l’ipotesi che in quel luogo venissero sepolte solo alcune persone “speciali”, fondamentali per la comunità locale, come iniziati, sacerdoti, gli anziani capi tribù, ecc. I templi megalitici maltesi rivelano una grande maestria architettonica, frutto di una tecnologia molto avanzata nella lavorazione della pietra, anomala rispetto agli standard dell’epoca, evidente nella sbalorditiva precisione delle opere (l’ipogeo, ad esempio, è scavato nella roccia su vari livelli spingendosi fino a 10 m. nel sottosuolo). Una progettazione così complessa in grado di protrarsi nel tempo attraverso diverse generazioni implica il coinvolgimento di un gran numero di persone con ruoli altamente differenziati interpretati da individui molto motivati.

L’impulso per la manodopera proveniva probabilmente dal fervore religioso, più che dalla coercizione sociale: i templi maltesi fanno pensare più alle cattedrali medievali europee che alle piramidi costruite in Egitto con manovalanza coercizzata.

Una constatazione che ci aiuta a delineare il contesto sociale della popolazione maltese dell’epoca e che si unisce ad un altro elemento molto particolare che riguarda la sua storia antica, cioè il mancato ritrovamento di armi da guerra, mura fortificate e segni in genere di conflitto.

I primi abitanti di Malta sembra quindi che formassero comunità unite e pacifiche, un popolo coeso, non belligerante e in cui vi era attenzione per ogni singolo individuo, raccolto intorno a un gruppo di leader spirituali che pianificava e organizzava la costruzione dei templi e dirigeva la vita religiosa del luogo: intere generazioni di donne e uomini hanno condotto la loro esistenza ponendo al centro del quotidiano la sacralità della vita e la simbiosi costante con le forze divine della Natura. D'altronde “l’Antica religione”, quella della Grande Madre, si basava proprio sulla solidarietà, sul nutrimento spirituale e sulla protezione reciproca.

Un altro fattore che rende i templi maltesi anomali ed unici al mondo è l’assoluta mancanza di tracce di un loro utilizzo funerario, poiché all’interno non sono state mai ritrovate sepolture, tranne che a Tarxien dove tali tombe sono però di epoca molto successiva e, come già detto, nell’Ipogeo di Hal Saflieni, anch’esse molto più tarde rispetto all’edificazione originale.

Alla luce di queste constatazioni i templi maltesi dovevano avere pertanto una valenza molto forte dal punto di vista cultuale.

Dal punto di vista strutturale ogni edificio è composto da una doppia pianta, una interna ed una esterna e da una serie di ambienti lobati. Risulta molto interessante notare come lo sviluppo del disegno interno dei templi sembra essere stato ispirato alla figura della Grande Dea Madre, che era senz’altro il culto più diffuso sull’isola, coerentemente, del resto, con quanto avviene in quel periodo un po' in tutto il Mediterraneo. La forma ottenuta dalla disposizione delle pietre ricorda infatti la figura sinuosa e abbondante di quel grande archetipo in procinto di accogliere i suoi figli nel suo grembo per riti legati alla fertilità e alla rigenerazione.

La grande Dea venerata nel Neolitico nell’Europa antica è una dea della nascita, della vita, della morte e della rigenerazione e rappresenta un ciclo completo ed eterno, vissuto come un atto globale. Tutti questi aspetti non sono contrapposti: la dea che dispensa la vita è infatti anche quella che incarna la morte che in questa visione non rappresenta la fine di tutto ma viene immediatamente seguita dalla rigenerazione, replicando quindi un ciclo ispirato dall’osservazione della natura e che riflette, ad esempio, l’alternarsi delle stagioni in cui all’inverno che apporta un’apparente morte segue sempre il risveglio primaverile.

Particolare del tempio di Hagar Qim con la stele raffigurante l’''Albero della vita''
Particolare del tempio di Hagar Qim con la stele raffigurante l’“Albero della vita”

Il culto della Dea Madre era sicuramente praticato nel tempio di Ggantija, il primo dei grandi templi nell'isola di Gozo, che risale al 3600 a.C., perché al suo interno sono state ritrovate diverse sculture raffiguranti figure femminili dalle pronunciate sembianze matronee, tra le quali una gigantesca di cui rimane solo il basamento.

Al 3300 a.C. risale l'ipogeo di Hal Saflieni, che si sviluppa da 3 a 10 metri di profondità, per una superficie complessiva di 2500 metri quadrati che si sviluppa su tre livelli sotterranei con grandi camere e ampi spazi. Le camere replicano gli stessi elementi architettonici della pianta esterna e sono ricche di decorazioni.

Qui fu rinvenuta la famosa statuetta della “Dea Dormiente” che secondo l’interpretazione di alcuni studiosi rappresenta, nella cultura religiosa del primo neolitico, la drammatica e fondamentale fase di passaggio dal culto della Grande Dea protettrice, a cui appartiene ad esempio la famosa Venere paleolitica di Willendorf, a quella successiva scandita da sconvolgenti eventi astronomici per il pianeta. Eventi che furono memorizzati simbolicamente nella modifica del posizionamento della figura della Grande Dea Madre che, nella raffigurazione di Hal Saflieni, diviene sopita, non più quindi eretta, guardiana e protettrice, a simboleggiare forse l’avvento della catastrofe avvenuta per la cessata protezione della divinità.

I templi maggiori nell’arcipelago maltese sono Ta’ Hagrat, Skorba, Ggantjia, Tarxien, Mnajdra e Hagar Qim. Alla fine dell'epoca di Tarxien, intorno al 2500 a.C., per cause ancora ignote, l'isola si spopola e si interrompe bruscamente la continua e prolifica edificazione dei templi.

E’ questo un fenomeno davvero misterioso considerando il ruolo centrale che avevano fino ad allora rivestito nella comunità maltese, soprattutto considerando l’aspetto simbolico che racchiudevano. In questa chiave interpretativa assumevano un valore molto profondo due elementi specifici presenti in quasi tutti i templi: gli altari e le decorazioni a spirale che rivestono un carattere sacrale molto accentuato.

Secondo la visione dell’esistenza dell’uomo neolitico che viveva immerso nei cicli della Natura, era fondamentale mantenere sempre vivo il rapporto con il sacro: per questo motivo nel Neolitico il concetto di edificazione di un altare, elemento architettonico che costituisce un naturale ponte verso il divino, dimostra l’intenzione di produrre uno spazio di contatto con la dimensione del sacro. In questo periodo gli altari erano presenti ovunque, nelle case, nei templi, nelle caverne, nelle foreste e in montagna.

Gli altari sono quindi il centro dello spazio sacro e il luogo dove avveniva il dialogo con il mondo metafisico della Natura, dove si realizzava la connessione con il sovrannaturale.

L’altare in questi templi è un elemento sacrale collocato in una posizione molto precisa, assolutamente non casuale: secondo l’antica sapienza dell’uomo primordiale che la cultura neolitica in fondo ha solo ereditato, gli altari al pari dei menhir, dei cromlech o dei dolmen e degli allineamenti megalitici, erano collocati lungo le linee telluriche energetiche delle profondità del pianeta, spesso sovrapposte a quelle provenienti dalle faglie acquifere.

In questo modo l’altare e il portale d’ingresso al tempio erano congiunti tra loro grazie all’attraversamento di queste correnti energetiche ed erano esattamente impostati sulla larghezza del fronte degli scorrimenti acquiferi.

Studi approfonditi di geobiologia hanno rilevato costantemente l’esatta corrispondenza dell’allineamento tra i due elementi architettonici dei templi maltesi con la presenza di acqua sotterranea e delle vene sincroniche, le famose linee energetiche telluriche, dette nel mondo anglosassone ley lines o “Vene del Drago”. Queste correnti rivestono come una maglia a rete la superficie del pianeta attraversandone tutti i luoghi sacri, secondo i dettami esoterici dell’antica architettura sacra. Sembrerebbe quindi che gli architetti-iniziati di quel tempo, una volta individuati con precisione i corsi acquiferi e le bande sincroniche, progettavano una struttura sacra che potesse adattarsi alle caratteristiche geobiologiche presenti in quel luogo, modellandone la forma come replica dell’archetipo della Grande Madre.

Mappa della distribuzione dei templi nell’arcipelago maltese
Mappa della distribuzione dei templi nell’arcipelago maltese

L’altro elemento simbolico è rappresentato dalle spirali: dipinte o incise, le spirali esprimono sempre il potere della forza vitale, l’evoluzione cosmica, il flusso ininterrotto dell’energia, l’archetipo evolutivo presente in Natura.

A Malta e Gozo le spirali sono presenti nei templi di Hal Saflieni, Ggantija, Mnajdra, Hagar Qim e soprattutto Tarxien e seguono in genere due schemi figurativi: uno sottolinea la simmetria e l’armonia, attraverso due o quattro spirali collocate una a fianco dell’altra o a gruppi di due, l’altro mette in risalto la forza vitale della natura con una successione di spirali incise su grandi pietre rettangolari che evoca nel suo andamento sinusoidale il succedersi di motivi vegetali o le onde del mare, riecheggiando appunto l’archetipo dell’evoluzione della Natura e dell’individuo.

L’esempio più evidente di tale funzione e significato delle spirali è fornito dalle due steli poste una di fronte all’altra nel tempio di Tarxien, come se nel loro insieme costituissero una sorta di alto schienale per un sedile ad esse collegato che veniva utilizzato dal partecipante al rito per realizzare un preliminare momento di fermata, di silenzio interiore, propedeutico all’accesso al potere spirituale del rito vero e proprio che si compiva nel tempio.

Le due lastre di pietra, che oltre alle spirali contengono anche il bassorilievo di una sfera, esprimono un messaggio che è possibile riferire al concetto di Ascesi e allude anche alla condizione necessaria affinché si possa accedere agli spazi sacri: la sfera centrale allude infatti all’invito a creare e rafforzare in primis il proprio centro di gravità interno.  Il posizionamento delle spirali nella loro sequenza sembra indicare l’importanza di incanalare l’energia vitale, dando armonia alla propria vita, determinando allo stesso tempo una collocazione e connessione simbolica dell’iniziato tra “cielo” e “terra”; condizione che si concretizza nel cogliere e vivere la dinamica cosmica rappresentata dall’interazione degli opposti secondo il principio dualistico dell’alto e del basso.

Una rappresentazione della vita iniziatica, questa, illustrata efficacemente dal ritrovamento nel tempio di Hagar Qim di un altare a colonna punteggiato e decorato, che è stato associato dagli studiosi al simbolismo archetipale dell’Albero della vita. Un reperto che sembra ereditare la stessa simbologia e filosofia presente nella cultura sciamanica del druidismo dell’era preceltica, riconducibile ad un periodo storico molto antecedente quello maltese, che si spinge fino all’epoca antidiluviana.

I templi maltesi non solo presentano principi di geobiologia ma rivelano anche degli inaspettati elementi di archeoacustica, la scienza che studia i siti megalitici ed archeologici sotto il profilo della energia del suono che esprimono.

In vari anni di ricerca, questa scienza ha dimostrato una stretta relazione tra vibrazioni meccaniche presenti nei templi neolitici scaturite dal fenomeno della risonanza e l'attività cerebrale umana.

Le vibrazioni naturali a bassa frequenza possono influire positivamente sul benessere umano tanto che alcuni soggetti possono percepire i suoni a bassa frequenza come una sensazione fisica piuttosto che come un suono.

Proprio la stretta correlazione tra pietra-vibrazione sonora a bassa frequenza-essere umano manifestata da alcuni luoghi, e ben conosciuta dalle antiche popolazioni, è forse all’origine dell’identificazione di tali siti come sacri.

L’utilizzo delle proprietà acustiche naturali di alcuni luoghi serviva nell’antichità a creare riti suggestivi ed evocativi all’interno di strutture progettate appositamente per sollecitare nella mente dei partecipanti un particolare stato di coscienza che sfruttava le vibrazioni energetiche prodotte al loro interno.

L’indagine archeoacusitca condotta nei Templi di Tarxien, poiché essi dal punto di vista strutturale sono oggi molto diversi dall’edificazione originale, non ha reso possibile registrare fenomeni di risonanza nelle varie camere del tempio; però è stata rilevata un’interessante vibrazione a bassa frequenza proveniente dal sottosuolo, in una gamma compresa tra i 21 Hz e i 23 Hz. In alcune occasioni questa frequenza si è spinta anche nella banda di frequenza degli infrasuoni (non udibili all’orecchio umano) con un picco a circa 18Hz.

La più probabile spiegazione della sua origine è che sia dovuta allo scorrimento delle acque sotterranee lungo le faglie geologiche. Questa vibrazione sembra essere trasmessa anche attraverso i megaliti, alcuni dei quali presentano nella loro conformazione delle concavità o fori intagliati che rilevazioni strumentali archeoacustiche hanno confermato essere dei diffusori acustici di basse frequenze in grado di proiettare e focalizzare queste vibrazioni.

In precedenti interpretazioni di natura più strettamente archeologica questi stessi fori e concavità erano state invece riconosciute come alloggiamenti per sostenere i cardini di una sorta di portale, ma in realtà senza alcuna prova a sostegno.

Questo tipo di frequenza a basso volume può avere un effetto positivo sull’attività cerebrale, con un’efficacia particolarmente evidente, secondo il parere degli scienziati che hanno condotto le indagini, in quelle persone che praticano la meditazione.

Le vibrazioni scoperte a Tarxien sono vicine al ritmo delle frequenze delle onde cerebrali quindi, quando le persone sono impegnate in uno stato meditativo, questo tipo di fenomeno energetico può amplificare le percezioni superiori di coscienza. Si può quindi concludere, alla luce di questi intriganti dati strumentali, che gli antichi popoli maltesi, attraverso l'osservazione e la sperimentazione empirica, avevano raggiunto la consapevolezza che alcuni luoghi possedevano particolari energie in grado di influenzare la mente.

Particolare delle decorazioni spiraliforme incise nel tempio di Tarxien
Particolare delle decorazioni spiraliforme incise nel tempio di Tarxien

Questo potrebbe essere il motivo per cui i templi sono stati costruiti in quei luoghi particolari e non in altri. Come è stato possibile, però, che molto più di 5.000 anni fa la popolazione maltese sia stata in grado di individuare questi luoghi senza i dispositivi di misurazione che abbiamo a disposizione oggi?

Infine non poteva mancare nei templi maltesi la componente archeoastronomica, oramai rilevata praticamente in tutti i siti megalitici del pianeta, attestata in questo caso da due importanti reperti archeologici ritrovati all’interno dei templi, entrambi custoditi al Museo Nazionale di Archeologia: la famosa “Pietra di Tal-Qadi” e la ruota solare di Ħaġar Qim, entrambe testimonianze incise su pietra di conoscenze calendariali ed astronomiche molto dettagliate.

Dalle indagini archeoastronomiche compiute in tre siti (Tà Hagrat, Gġantija e Haġar Qim) è emerso che avevano degli allineamenti astronomici verso la Luna e la levata e il tramonto eliaco di Venere. Rimangono ignote le motivazioni che spinsero i primi abitanti di Malta a realizzare allineamenti astronomici verso obiettivi non strettamente primari, come appunto Venere.

Le prove della presenza del culto di una divinità femminile identificabile nella Dea Madre, che come abbiamo visto era diffusissimo in epoca neolitica, la pratica del culto di divinità ctonie, anche queste riconducibili alla Grande Madre, e il fatto che la Luna, notoriamente identificata come divinità femminile, fosse un obiettivo astronomico, avvalorano l’ipotesi che nei templi maltesi si praticasse una religione basata sul culto degli elementi naturali, sui cicli della fertilità della Terra e sulla credenza di una vita ultraterrena che prevedesse, attraverso la sepoltura nel “ventre della Madre”, la ricongiunzione degli uomini con la dea genitrice primordiale.

La civiltà neolitica fiorita a Malta e Gozo raggiunse un elevato grado di sviluppo spirituale, testimoniato appunto dagli immensi templi costruiti nel corso di molte generazioni, e lasciò incise nella pietra un grande patrimonio di esperienza e saggezza, un messaggio e un insegnamento destinati non solo ai contemporanei, ma anche alle future generazioni.

Da dove arrivasse questa civiltà, considerato che la vicinissima Sicilia, distante solo 95 Km e nel Pleistocene addirittura collegata ad essa, non presenta nulla di simile da un punto di vista architettonico, rimane un grande mistero, come lo è la sua repentina scomparsa.

Eppure il megalitismo maltese rimane la testimonianza più antica nel Mediterraneo di una sconosciuta e avanzatissima civiltà.


Marco Pulieri, ricercatore della Ecospirituality Foundation, conduce la trasmissione “Archeomistery World” su Radio Dreamland www.radiodreamland.it