Megalitismo

Le pietre delle stelle

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11 Marzo 2021
Il cerchio megalitico di Nabta Playa nel deserto della Nubia, Egitto – riproduce l’allineamento con la Costellazione di Orione e di Sirio nel 6000 AC circa
Il cerchio megalitico di Nabta Playa nel deserto della Nubia, Egitto – riproduce l’allineamento con la Costellazione di Orione e di Sirio nel 6000 a.C. circa

Lo sviluppo dell’archeoastronomia rivela il profondo rapporto che legava l’uomo preistorico al Cielo


La scoperta dei perfetti allineamenti astronomici con stelle e costellazioni presenti nei monumenti megalitici – L’utilizzo delle strutture megalitiche come osservatori celesti per scandire le attività umane e celebrare il contatto con la Grande Madre Terra e con il mistero del cielo stellato – Le costellazioni come pagine della storia ancestrale dell’umanità


Il megalitismo è un fenomeno di portata planetaria per molti versi affascinante e misterioso, perché un elemento così semplice e naturale come può sembrare una pietra infissa nel terreno, anche se spesso gigantesca, racchiude in sé un universo di significati, oltre essere fonte di mille interrogativi.

Misteriosa è infatti la civiltà che parecchie migliaia di anni fa inizio improvvisamente a produrre questa fantastica architettura megalitica in tutto il pianeta, misteriosa è l’origine del fenomeno e la sua collocazione temporale, misteriosa è soprattutto la natura delle sue funzioni.

Tuttavia, In questa giungla di enigmi sta emergendo una scienza nuova, l’archeoastronomia, che si sta ritagliando un ruolo sempre più importante nello studio delle antiche civiltà, dando fra l’altro un notevole contributo a individuare una delle funzioni principali del megalitismo e anche a capire la visione filosofica che ispirava lo stile di vita dell’uomo neolitico.

Una apparente riproduzione della costellazione delle Pleiadi in un megalite in località Plan des Forciers, Lillianes (AO)
Una apparente riproduzione della costellazione delle Pleiadi in un megalite in località Plan des Forciers, Lillianes (AO)

Se da una parte l’archeologia classica tende a ridurre al minimo l’importanza e il ruolo culturale che il megalitismo può aver rivestito per la civiltà umana dal paleolitico fino all’età del ferro, quindi per un arco temporale di parecchi millenni, nonostante sia di fatto un fenomeno che ha interessato tutto il mondo ed è ancora sotto i nostri occhi, dall’altra noi oggi con grande sorpresa cominciamo a scoprire che i costruttori megalitici per erigere i loro monumenti adottavano principi e leggi celesti, che rivelano conoscenze scientifiche e tecnologiche inaspettatamente avanzate, e seguivano un mondo religioso armonico e uno stile di vita molto semplice e naturale, per quanto profondo ed estremamente pragmatico. Alcune di queste abitudini ce le sta rivelando l’archeostronomia, la scienza che cerca di individuare la presenza di principi astronomici nelle architetture megalitiche.

La cultura della tradizione megalitica era intimamente connessa alla Natura, in tutte le sue manifestazioni, quindi sia al concetto di Madre Terra, sentita come unica e vera genitrice dell’umanità e di tutte le creature viventi, sia alla dimensione del Cielo, visto come teatro degli avvenimenti cosmici che indipendentemente dalla volontà degli uomini determinano la sorte degli stessi.

Ed è oramai innegabile e scientificamente dimostrato dall’archeoastronomia che i siti megalitici sono stati costruiti seguendo precisissimi riferimenti astronomici e già da sola questa constatazione dovrebbe sconfiggere definitivamente la visione semplicistica e riduttiva che l’archeologia accademica ha creato ad hoc nei confronti della cultura megalitica: il modo più semplice per non dover minare le certezze storiche convenzionali sulle quali fonda la propria esistenza e l’influenza culturale che esercita sul mainstream.

L’archeoastronomia inoltre ci fa anche capire quanto fosse sentito e viscerale il rapporto dei nostri antenati con il cielo, un mondo imponderabile, misterioso, ma allo stesso tempo tangibile per gli effetti imponderabili che i fenomeni e gli astri esercitavano, scandendone il ritmo, sulle vicende della Terra e degli uomini.

E ci dice quanto per i nostri antenati preistorici il mantello stellato fosse un libro da leggere, da scrutare per cercare nel suo abisso infinito le risposte alle loro domande esistenziali, cercando di carpirne il segreto, ma anche per cogliere i segni che potevano influenzare la loro vita quotidiana.

Fu proprio dalla continua osservazione della volta celeste e dal suo impercettibile movimento che i nostri progenitori fissarono in quei punti luminosi e nelle bizzarre forme che questi creavano unendoli tra loro, le prime costellazioni.

La perfetta sovrapposizione della Costellazione di Orione sulle piramidi della Piana di Giza, Egitto
La perfetta sovrapposizione della Costellazione di Orione sulle piramidi della Piana di Giza, Egitto

A molti di noi uomini moderni le costellazioni non dicono più di tanto, sono elementi astronomici acquisiti, scontati, o che usiamo distrattamente nell’oroscopo come un effimero intrattenimento.

Eppure vedremo come le costellazioni, alcune in particolare, possiamo immaginarle come delle pagine simboliche della storia dell’umanità primordiale.

L’uomo della cultura megalitica sentiva l’impellente bisogno di trasferire il potere e il significato magico del cielo nelle sue azioni terrene e nelle opere che realizzava che dovevano per questo motivo rispecchiarne i principi naturali e le leggi che lo governavano.

È in questa visione che dobbiamo collocare la presenza molto diffusa nei monumenti megalitici di elementi che richiamano ed evocano il potere del cielo.


Pensiamo ad esempio alle misteriose coppelle scavate nella roccia che spesso si trovano nei monoliti e di cui gli archeologi ignorano la funzione esatta.

L’archeoastronomia, oltre al significato simbolico e cultuale legato alla proprietà rigenerativa dell’acqua, o meglio della rugiada, che vi si raccoglieva all’interno, ha individuato per le coppelle un altro possibile scopo, ossia un modo per i Sapiens, a partire già da 50.000 anni fa, di rappresentare e registrare le fasi della luna piena, realizzando così un primitivo strumento di calcolo temporale.

Un calcolo che intorno al 10000 a.C. sembra evolversi e divenire più complesso e preciso nel momento in cui anche il moto del Sole acquista una fondamentale importanza e diventa oggetto di osservazione.

È la fase in cui oltre alle coppelle cominciano a comparire nei monumenti paleolitici le spirali incise, creando dei modelli associati di calcolo temporale, in cui un sistema, il lunare, mantiene le coppelle come carattere distintivo, insieme a quello solare viene introdotto con la comparsa della spirale destrogira.

Un simbolo ancora più evoluto era costituito dalla doppia spirale, un modo efficace per rappresentare l'alternanza ciclica del tempo.

Le prime incisioni di questo simbolo, scolpite sui primitivi gnomoni che appaiono in quell’epoca, presentano un motivo a doppia spirale continua, che ingloba nell'andamento destrogiro, il simbolo del cerchio radiante del Sole e nell'andamento sinistrogiro il cerchio della luna, racchiudendo così in un unico simbolo tutti gli elementi principali a portata di mano, anzi di occhio, per il calcolo del tempo.

Con l’avvento e lo sviluppo dell’architettura megalitica il profondo legame con il Cielo e i suoi misteri venne espresso nella simbologia dei monumenti ipogei a pianta lobata centrale con copertura a cupola, che rappresentavano insieme rispettivamente il grembo di Madre Terra e la volta celeste, richiamando l’osservazione e lo studio delle leggi che regolano il cosmo.

Il nostro progenitore scrutando con stupore l’abisso infinito del cielo finì per instaurare con il cosmo un legame sempre più profondo che sfociò in un rapporto metafisico sollecitato dalla sempre più impellente esigenza di ricerca della causa prima e delle finalità dell'universo e del ruolo che poteva recitare al suo interno.

L’effetto dei raggi del sole nel solstizio d’estate che attraversando un’apertura artificiale in un megalite nel sito di S.Lorenzo in Caprione, in Liguria, riproduce una magnifica farfalla dorata
L’effetto dei raggi del sole nel solstizio d’estate che attraversando un’apertura artificiale in un megalite nel sito di S.Lorenzo in Caprione, in Liguria, riproduce una magnifica farfalla dorata

Per questo l’uomo ancestrale si sentì sempre più attratto dall’incombenza del cielo, alla ricerca di segni che orientassero la propria vita quotidiana, ma anche che ne proteggesse l’esistenza.

Ed è proprio in questa fase della sua storia che nacque la produzione delle statuine di ceramica chiamate Veneri, che raffigurano la Grande Dea Madre, che da quel momento ebbero un’enorme proliferazione giungendo sino a noi nei siti megalitici con esemplari magnifici e, per l’archetipo universale che esprimono, davvero evocativi di una dimensione atavica che ancora risiede nel nostro inconscio e che sono ancora in grado di risvegliare.

Per i nostri antenati queste raffigurazioni rappresentavano la riproduzione di un modello cosmico e allo stesso tempo erano un simbolo, poiché, secondo alcuni antropologi, erano probabilmente ispirate a quella macro-configurazione astrale immaginaria percepita come la figura di dea opulenta che si distendeva sull'arco della Via Lattea con al suo fianco la costellazione del Toro.

Ancora oggi come allora, possiamo scorgere con la fantasia la forma della mitica Grande Madre unendo tra loro le figure tracciate dalle costellazioni di Auriga, delle Pleiadi, Cassiopea, Andromeda e il Triangulum.

Quell'immagine virtuale sicuramente produceva nell’uomo preistorico un senso di protezione, un’assicurazione di fecondità e di sopravvivenza proporzionali al grado di visibilità della Via Lattea, perché questa era la galassia che ormai era entrata nella dimensione del mito grazie agli attributi che le erano riconosciuti come arco latteo o fiume latteo sgorgante dal seno della Grande Dea, divenendo nel tempo un’immagine di grande potere evocativo perché tranquillizzante, anche a livello inconscio, per le sorti dell’uomo.

Inoltre secondo questa interpretazione mitologica questa immagine materna e cosmica era rassicurante anche perché veniva associata alla funzione che la Grande Madre dell’umanità si credeva avesse avuto da tempi immemorabili nella lunga gestazione dell’uovo cosmico che nasceva ogni 26.000 anni, concetto che esprimeva chiaramente attraverso un simbolo il lungo ciclo precessionale dell’asse terrestre.

La funzione protettiva della Madre Terra venne nel tempo proiettata nelle forme architettoniche dei templi megalitici a pianta lobata, come ad esempio quelli famosi di Malta, che rievocano con la loro forma uterina la fecondità del suo grembo e le cicliche nascite dell’uovo cosmico, e allo stesso tempo svolgono la funzione di spazi sacri e di asilo poiché suggeriscono l'idea di uno spazio totalizzante e avvolgente come quello cosmico.

La Costellazione di Orione così come si vede ad occhio nudo
La Costellazione di Orione così come si vede ad occhio nudo

Questi templi senza tempo rievocano il senso di appagamento, anche mistico, oltre che fisico ed emozionale, prodotto appunto dal ruolo confortante della Grande Madre assunto sia nel contatto viscerale con il mondo sotterraneo rappresentato dai templi ipogei sia nella forma avvolgente della volta celeste, ricreata simbolicamente dalle esedre e dalle cupole dei templi esterni.

Osservando con attenzione e continuità i movimenti e i segni del cielo, l’uomo dei megaliti si accorse nel succedersi del tempo che qualcosa in quell’immagine rassicurante e protettiva stava cambiando, un mutamento lento ma molto significativo tale che probabilmente si riflesse anche nel simbolismo delle statuine raffiguranti le Veneri, che cominciarono ad assumere la postura di dormienti.

Gli studiosi si interrogano ancora oggi sul significato di questo mutamento espressivo.

Una spiegazione può essere ricercata nel fatto che osservando attentamente il cielo si ritenne che il ruolo simbolico della Grande Madre astrale delle origini stava volgendo al termine a seguito della fine del ciclo precessionale dell’asse terrestre che aveva invertito, in un certo senso, il processo temporale. Sembrava quindi che la veglia che aveva esercitato fino ad allora su quell’ordine cosmico si stesse esaurendo, e questo mutamento era annunciato dal conseguente cambiamento astronomico della raffigurazione astrale della Grande Madre.

Il nuovo scenario cosmico che si andava lentamente delineando determinato dalla rotazione delle costellazioni diede così all’uomo primordiale la sensazione che la Grande Dea stesse scivolando verso una sorta di letargo, e questa percezione si tradusse per simbiosi in un cambiamento dell’architettura megalitica che divenne in quell’epoca prevalentemente ipogea, sotterranea.

Immaginando di divenire per un attimo spettatori di quello scenario cosmico possiamo capire quanto il risveglio della dea celeste protettiva fosse stato invocato invano dalle genti megalitiche di quell’epoca, se improvvise calamità naturali decretarono la loro inspiegabile fine come sembra, secondo il mito, sia accaduto ad Atlantide.

L’affresco cosmologico così tracciato di quell’ era remota sembrò dunque descrivere la rottura, la fine di un equilibrio cosmico che durava da 26000 anni, con la fine simbolica della protezione della Grande Madre; un evento che fu percepito infatti come un devastante "travaglio" preludio della nascita di un nuovo uovo cosmico, ossia la comparsa del nuovo ciclo precessionale riferito all'era geologica dell’Olocene, travaglio che si consumò effettivamente nel periodo conclusivo dell'ultima fase dell’era precedente, il Pleistocene.

La Costellazione del Leone riprodotta dall’unione delle città megalitiche del Lazio
La Costellazione del Leone riprodotta dall’unione delle città megalitiche del Lazio

Il passaggio precessionale determinò una fase di caos che durò fino al momento in cui non si affacciò sul nuovo orizzonte cosmico la Costellazione di Orione, il combattente astrale, la clessidra cosmica, segnatempo del nuovo ciclo olocenico.

Chissà se è per questo motivo allegorico, simbolico, che dunque appartiene al passato ancestrale dell’uomo, che la Costellazione di Orione ha da sempre rivestito un’importanza fondamentale per tutte le antiche civiltà, tale da essere un costante punto di riferimento nel cielo primordiale per le popolazioni paleolitiche e oggetto di venerazione così profonda che la sua conformazione iniziò ad essere riprodotta nelle grandiose opere architettoniche megalitiche.

Non a caso, vedremo, un’infinità di monumenti preistorici, come innanzitutto le Grandi Piramide egizie, ma anche intere città, vennero edificate riflettendo sul suolo la forma della costellazione di Orione.

Come sia stato possibile realizzare progetti del genere rimane un grande mistero, eppure le prove che ciò è veramente accaduto sono sotto gli occhi di tutti.

Nonostante ricercatori, scienziati, astronomi non allineati abbiano oramai dimostrato con certezza l’esistenza della corrispondenza tra molti monumenti preistorici e allineamenti astronomici, la scienza accademica ancora oggi fa molta fatica ad ammettere il fenomeno perché non sa spiegare come popolazioni ritenute primitive e selvagge fossero in grado non solo di conoscere la volta celeste in dettaglio, ma anche di trasferire questa conoscenza in progetti astronomici estremamente complessi, che evidentemente dovevano avere un significato molto particolare per quelle genti.

Nel caso specifico della costellazione di Orione, ad esempio, quando comparì all’orizzonte dopo l’era del caos determinata dalla catastrofe della fine del ciclo precessionale, fu vista come di apportatrice di un nuovo equilibrio cosmico.

L’importanza sempre maggiore che nel tempo acquisì è racchiusa anche nel cuore di molte antiche tradizioni, come quella egizia secondo le quali Orione, insieme alla stella Sirio, viene addirittura indicata come il luogo di nascita dell’umanità e di provenienza degli dei che scesero sul pianeta e da cui dopo la loro dipartita sarebbero tornati sulla Terra.

Gli Egizi infatti credevano che da Sirio e Orione fossero arrivati sotto forma di esseri umani gli dei Osiride e Iside, coloro che hanno iniziato la razza umana, e hanno lasciato molte tracce di questa credenza.

La similitudine impressionante della disposizione delle piramidi di Tikal, in Guatemala con la Costellazione delle Pleiadi
La similitudine impressionante della disposizione delle piramidi di Tikal, in Guatemala con la Costellazione delle Pleiadi

Ma non solo in Egitto troviamo racconti di Dèi che promettono il loro ritorno; possiamo trovare questo concetto praticamente in ogni cultura antica.

Tra queste la tradizione dei nativi americani della tribù Hopi, una delle più antiche del continente americano, è molto esplicita perché narra espressamente della loro provenienza dalle stelle e in particolare, in questo caso, dalle Pleiadi, un’altra Costellazione carica di mistero e di leggende.

Gli Hopi affermano infatti di essere i discendenti di antichi dèi provenienti da quelle stelle, dèi che vissero con loro per molto tempo trasmettendo un bagaglio immenso di conoscenza.

Parlano quindi espressamente di un contatto in tempi ancestrali con una civiltà aliena di cui ancora oggi attendono il ritorno.

Gli Hopi comunque hanno nella loro antica tradizione una grande venerazione anche per Orione che è molto eloquente se consideriamo il sorprendente riferimento astronomico verso questa costellazione leggibile nella riproduzione perfetta della sua famosa cintura attraverso la dislocazione delle tre principali città degli Hopi nelle Mesa, gli altopiani in cui vivono tuttora questi antichi nativi americani. Anzi secondo alcuni ricercatori se si collegano le Mesa ad altri luoghi di riferimento per gli Hopi in tutto il sud-ovest, si ottiene la mappa dell’intero corpo della costellazione di Orione.

Torniamo ora alla cultura egizia, perché all’interno delle piramidi di Giza si trovano due elementi architettonici davvero interessanti che confermano il profondo significato che questa costellazione doveva avere. Il ricercatore e scrittore Robert Bauval nel 1983 a conclusione dei suoi lunghi studi su questi monumenti giunse alla incredibile affermazione che la disposizione sul terreno e la distanza tra le tre piramidi corrisponde esattamente al disegno delle tre stelle principali componenti la cintura di Orione.

Questa controversa teoria, che ha ovviamente incontrato la resistenza dell’archeologia convenzionale, mette in luce una conoscenza astronomica, ingegneristica e topografica degli antichi Egizi straordinaria, tanto più se si considera che la costruzione delle piramidi ormai è stata quasi certamente retrodata ad un’epoca molto precedente quella classica del 2500 circa a.C., sconfinando verso il periodo delle civiltà antidiluviane.

L’altro elemento sorprendente è costituito dai noti condotti della piramide.

I condotti superiori sboccano sulla superficie delle facce nord e sud, alla stessa quota, a quasi ottanta metri d’altezza e si è sempre pensato in passato che avessero la funzione di canali di areazione.

Successivamente fu intuito che potessero essere in realtà dei condotti simbolici, allineati astronomicamente e costruiti per motivi di culto.

Uno dei Templi megalitici di Malta con la pianta lobata che riproduce le sembianze della mitica Grande Madre
Uno dei Templi megalitici di Malta con la pianta lobata che riproduce le sembianze della mitica Grande Madre

Approfondendo questa intuizione e sulla base di calcoli astronomici basati sulla precessione dell’asse terrestre che permise di riprodurre la carta celeste all’epoca della costruzione della grande piramide, fu appurato che il condotto nord della Camera del Re puntava verso la culminazione della stella polare dell’epoca, la stella Alpha Draconis, diversa da quella attuale proprio per lo spostamento dovuto alla precessione.

Il condotto sud puntava invece sulla Cintura di Orione, cioè le tre brillanti stelle che si vedono splendere al centro di questa costellazione.

Questa fantastica collimazione ha dell’incredibile e sembrerebbe confermare la profonda simbologia legata a questa costellazione che per qualche motivo doveva aver ispirato i costruttori della piramide.

Doveva esserci una relazione ben precisa tra la funzione della piramide e il suo orientamento astronomico e forse il ruolo divino e il destino celeste incarnato dal faraone potrebbe esserne la spiegazione.

Queste due regioni del cielo, la stella polare e Orione, erano infatti fondamentali nella concezione egizia dell’aldilà, così come è testimoniato nei testi detti delle Piramidi.

Il faraone avrebbe navigato nel cielo sulla barca di Ra, il dio sole, e sarebbe diventato una stella compagna di Orione (Osiride) e Sirio (Iside).

Del resto anche la scienza moderna sembra indirettamente confermare l’importanza che Orione aveva raggiunto nelle antiche tradizioni; secondo gli scienziati Orione, distante 1.500 anni luce dalla Terra, potrebbe essere infatti la regione celeste in cui stelle e pianeti potrebbero essere stati creati miliardi di anni fa.

Torniamo ora alle fantastiche Pleiadi e vediamo alcuni esempi che mostrano quanto anche questa magica costellazione sia stata riprodotta tantissimo nei monumenti preistorici.

Uno dei motivi per cui erano venerate potrebbe essere che erano associate al mito della civiltà perduta di Atlantide e allo splendore che espresse, la mitica civiltà dell’Oro, un ricordo ancestrale che appartiene all’inconscio collettivo dell’umanità.

Nella narrazione del mito greco, infatti, le Pleiadi sono le Atlantidi (perché figlie di Atlante) e insieme ad Orione, figlio di Poseidone il Dio dell’Oceano, delineano quindi una stirpe atlantidea che avrebbe preso parte alla saga dell’umanità ancestrale. Quindi una venerazione che nasceva dal ricordo di una civiltà edenica scomparsa.

Una statuina in terracotta del periodo neolitico raffigurante la Grande Madre dormiente proveniente dal tempio ipogeo di Hal Saflieni, Malta
Una statuina in terracotta del periodo neolitico raffigurante la Grande Madre dormiente proveniente dal tempio ipogeo di Hal Saflieni, Malta

La costellazione delle Pleiadi rivestiva per i nostri antenati megalitici anche una funzione molto pragmatica servivano cioè a stabilire il calendario agricolo poiché quando venivano osservavate all’alba, prima del Sole, indicavano che era giunto il periodo della mietitura, mentre quando erano osservabili al tramonto erano il segnale di inizio della aratura, e al pari della costellazione di Orione aveva molto importanza per tutte le culture antiche del pianeta.

Un altro eclatante esempio a riguardo si trova nelle straordinarie piramidi maya di Tikal, in Guatemala che, oltre ad avere una funzione nella determinazione del Calendario Maya, nella loro ubicazione riflettono anch’esse esattamente la mappa stellare della costellazione delle Pleiadi.

Se quindi per questa antica cultura le Pleiadi avevano un significato simbolico molto profondo, cosa possiamo pensare della incredibile similitudine con questo fenomeno astronomico individuata recentemente nientemeno che su Marte, nella regione conosciuta come Cydonia, il luogo del famoso volto di Marte, dove un gruppo di formazioni rocciose piramidali replica perfettamente il modello delle piramidi di Tikal?

La fantasia, ma non solo, porterebbe a pensare all’esistenza di una strana e misteriosa relazione, secondo cui Tikal potrebbe essere un segno umano lasciato per ricordare un evento alieno che interessò l’umanità del lontano passato e che potrebbe avere una qualche connessione con il pianeta rosso.

Infatti le leggende e i miti della regione andina, al pari di tante altre tradizioni, parlano di un’epoca in cui gli dèi che vennero dal cielo vivevano e si mescolavano con gli uomini.

Torniamo sul nostro pianeta e andiamo a scoprire uno degli esempi più sbalorditivi di archeostronomia applicata ai monumenti megalitici.

Riguarda un fenomeno astronomico fantastico che si registra nel sito megalitico di San Lorenzo al Caprione, in Liguria. In questo esteso sito oltre a menhir, cromlech e dolmen si trova una struttura megalitica molto particolare composta da un trilite, costituito cioè da due pietre verticali sormontate da un blocco a forma di losanga, e da una quarta lastra di roccia posta trasversalmente nella parte bassa. Questa struttura rocciosa, che nella composizione dei suoi elementi determina una sorta di finestra centrale, è teatro di un meraviglioso gioco di luce creato dai raggi del sole al tramonto del solstizio estivo che attraversando l’apertura proiettano su una roccia retrostante l’immagine di una farfalla dorata.

Come se non bastasse un’analoga farfalla ma argentata si formerà al tramonto della Luna piena.

Questa rappresentazione non è certa casuale se pensiamo che ancora oggi, presso alcune popolazioni siberiane la farfalla è un’immagine che racchiude in sé sia il concetto di fine che quello di inizio, la morte e la rinascita. Secondo la loro tradizione gli uomini, discesi dalla costellazione delle Pleiadi, alla morte vi fanno ritorno: la farfalla incarna dunque il percorso dello spirito umano che, liberatosi dal suo bozzolo di spoglie mortali, può proseguire la sua evoluzione ascendendo finalmente al cielo.

L’osservatorio astronomico megalitico più antico ritrovato chiamato “il Calendario di Adamo” in Sud Africa e risalente ad allineamenti astronomici risalenti a 160.000 anni fa.
L’osservatorio astronomico megalitico più antico ritrovato chiamato “il Calendario di Adamo” in Sud Africa e risalente ad allineamenti astronomici risalenti a 160.000 anni fa

Proprio nel contesto di queste credenze ancestrali legate al cielo si inserirebbe il culto della farfalla dorata, a dimostrazione della sensibilità dell’uomo megalitico per la dimensione mistica dell’uomo: alla fine della sua esistenza terrena, l’anima trasmigra verso la costellazione-generatrice, che in questo caso possiamo dedurre si tratti di Cassiopea, visto che si ritrova precisamente nel disegno formato dai cinque monumenti megalitici presenti in quell’area.

Se questo è un fenomeno acheoastronomico davvero affascinante che ci dà quella sensazione arcana di essere connessi, è proprio il caso di dirlo, in un battito d’ali con i nostri antenati, un altro che interessa il territorio del basso Lazio ha veramente dell’incredibile. Negli anni Ottanta un funzionario della Soprintendenza di una città laziale, appassionato di archeologia, mentre realizzava una mappa del patrimonio archeologico della zona, fece una scoperta da lasciare a bocca aperta. Notò che tutte le città del basso Lazio, la Saturnia Tellus dell’età pelasgica, che possedevano resti di mura megalitiche, ciclopiche (e sono veramente tantissime), se collegate idealmente tra loro formavano con una precisione impressionante, tanto da poterle sovrapporre tra loro perfettamente, diverse costellazioni, tra cui l’Orsa Maggiore, Il Leone, i Gemelli, Ercole.

Rimane un mistero capire come sia stato possibile realizzare in quell’epoca remota un progetto così grandioso e perfetto senza avere la possibilità di una veduta aerea, ma soprattutto ci sfugge del tutto il perché.

Questo viaggio nella tradizione megalitica forse ha reso più chiaro quanto fosse forte e radicato il concetto e il legame micro e macro-cosmo, che era racchiuso nella visione della Terra, della Grande Madre in quanto riflesso del cielo.

Secondo la filosofia dell’uomo megalitico questo rapporto era reso possibile dall'esistenza di un'ideale colonna d'energia vitale, che univa la Terra con il punto più alto nel cielo.

Il Disco di Nebra, uno dei reperti archeologici europei dell’Età del rame più famosi e importanti perché si è rivelato un potente osservatorio astronomico. È ben visibile la raffigurazione delle Pleiadi
Il Disco di Nebra, uno dei reperti archeologici europei dell’Età del rame più famosi e importanti perché si è rivelato un potente osservatorio astronomico. È ben visibile la raffigurazione delle Pleiadi

Si tratta del concetto universale dell’asse cosmico o Axis-mundi, perno della volta celeste, in seguito ripreso da molte culture tra le quali i diretti continuatori di questa antichissima tradizione primordiale, i Druidi dello sciamanesimo europeo.

Le primissime consorterie sciamaniche del pianeta al fine di rendere fluido il passaggio costante di quell'energia pensarono che sarebbe stato utile alimentarlo con l 'accensione di un fuoco sacro perenne, culto che si è tramandato fino alla storia più recente con il culto delle Vestali degli antichi Romani.

Un’intuizione dal carattere simbolico quella dei nostri progenitori che si tradusse però in una pratica concreta.

Partendo dall'idea che esiste un vincolo energetico che collega la Terra con il cielo in un rapporto d'equilibrio precario che può divenire instabile e caotico, come avvenne con i cataclismi cosmici che determinarono la distruzione dell’umanità, svilupparono l’idea che fosse necessario in qualche modo vincolare indissolubilmente la Terra alla volta celeste.

Il flusso dell’energia cosmica, che nell’antico sciamanesimo druidico veniva chiamata Korà, poteva essere agevolato con l’innalzamento dei megaliti in punti di particolare carica tellurica, proprio per rinsaldare quel vincolo equilibrante tra cielo e terra.

I monumenti megalitici potevano pertanto rivestire anche la funzione di strumenti di osservazione astronomica per determinare, oltre alla variazione delle posizioni terrene ed astrali, anche il lento moto retrogrado della precessione, che avrebbe prima o poi riportato ineluttabilmente la Terra, nell'arco di circa 26.000 anni, alle medesime condizioni sperimentate dall'umanità nel catastrofico passaggio precessionale dal Pleistocene all'Olocene.

I megaliti, quindi, oggi possono affascinare per le loro dimensioni inconcepibili per le nostre cognizioni moderne, oppure lasciarci indifferenti trattandosi di semplici rocce infisse nel terreno, eppure un contatto consapevole con esse possono trasportarci in un battito d’ali nel cielo, tra le più lontane stelle che hanno visto e scritto la storia ancestrale dell’umanità.